Archivi del giorno: 1 marzo 2009

Gli aspetti che mi sembrano pericolosi dell’energia nucleare

Berlusconi vorrebbe costruire in Italia delle nuove centrali nucleari. Chiaramente questo tizio pensa con schemi mentali superati, la cosa non sorprende: oggi ha settantatre anni (classe 1936), è stato giovane cinquanta anni fa.

Il nucleare è una tecnologia che si è rivelata pericolosa e in tutti questi decenni le promesse di un nucleare sicuro non sono state mantenute, oggi si parla di un nucleare “molto più sicuro” (di quarta generazione) entro il 2030-2040. Vedremo se e quando arriverà la quarta generazione, comunque il tipo di centrali che Berlusconi vorrebbe costruire in Italia sono ancora di terza generazione e si pensa che saranno pronte entro il 2020 (di solito le stime per la costruzione di mega impianti come questo sono sempre ottimistiche). In ogni caso per rendere le centrali più sicure (100% sicure è impossibile) sono richiesti investimenti enormi che rendono discutibile la convenienza dell’energia nucleare.

Negli stati uniti non si costruiscono più centrali nucleari da trent’anni perché nessuno più crede alla loro convenienza.

…In Europa ci sono due centrali in costruzione come quelle che dovremmo importare in Italia: una è in Finlandia, l’altra in Francia. Quella finlandese è iniziata 3-4 anni fa e ha già accumulato 2 anni di ritardo e un aumento di costi di 2 miliardi di euro. Il problema è che una centrale nucleare ha esigenze tecnologiche altissime. Anche i materiali, come il cemento o l’acciaio, devono essere di qualità superiore. Le industrie finlandesi non sono in grado di soddisfare questa esigenza. Pensiamo a cosa potrebbe accadere in Italia dove la Italcementi ha dato cemento taroccato anche per le grandi opere»…

(da l’Unità)

Gli aspetti che mi sembrano pericolosi dell’energia nucleare sono i seguenti:

Scorie nucleari: possiamo costruire centrali supersicure che hanno un arco di vita di 50 anni, ma le scorie nucleari restano pericolose per migliaia di anni, una parte per milioni di anni. Come si fa a mantenere le scorie in sicurezza per tutto questo tempo? E quanto costa per 100-1000-10000 anni? Che senso ha creare dei rischi per un futuro così lungo? Riuscirà l’umanità futura a controllarlo? Non lo sappiamo. Mantenere un rischio per così tanto tempo è per me semplicemente criminale.

E in ogni caso considerando una scala di tempo umana, le fughe di materiale radioattivo (o come minimo di acqua contaminata) dagli impianti esistenti si sono rivelate relativamente frequenti e il fatto che l’Italia è una zona sismica aumenta il rischio.

Poi bisogna ricordare gli interessi della criminalità nello smaltimento dei rifiuti e l’avvelenamento sistematico del terreno della Campania descritto bene da Saviano. Se mettessero le mani anche su quelli nucleari…

Costi: ci raccontano sempre che il nucleare conviene economicamente. Poi si scopre che i costi di realizzazione di una centrale sono sempre sottostimati del 50-100% e magari forniti dalle lobby dei costruttori che hanno tutto l’interesse nel fornire cifre iniziali basse e magari non tengono conto o sottostimano i costi di smantellamento. Si cita il fatto che l’elettricità in Francia costi poco, trascurando che una grossa parte degli investimenti per il nucleare pesano sul bilancio della difesa per lo sviluppo dell’arsenale nucleare. In Italia questi costi andrebbero direttamente in bolletta.

Qualche mese fa sul quotidiano finlandese Helsingin Sanomat c’era un articolo in cui venivano confrontati i costi dell’energia nucleare a quella eolica. Quella eolica era risultata solo un poco più costosa sulla carta, ma a rischio zero e con maggiori benefici in termine di occupazione.

Un’altra considerazione da fare dal punto di vista economico è che per costruire un impianto nucleare ci vuole un investimento iniziale enorme che comincerà a ripagarsi solo dopo 10-15 anni, al completamento della centrale. Durante la costruzione della centrale serve una gran quantità di manodopera (diretta e indiretta), ma poi quando la centrale è pronta gli occupati sono relativamente pochi per i successivi 50 anni. Al confronto, generatori eolici per una potenza equivalente possono essere costruiti e cominciare a ripagarsi in molto meno tempo, con minore spesa iniziale. Dal punto di vista occupazionale poi, se anziché costruire tutti i generatori eolici in una volta se ne costruiscono un pó alla volta, tra costruzione dei nuovi e manutenzione di quelli vecchi, si può mantenere un livello di occupazione costante e comunque superiore a quello delle centrali nucleari.

Indipendenza energetica. Producendo energia eolica o solare si ridurrebbe la dipendenza energetica dall’estero e l’esposizione alle crisi energetiche. Poi secondo Rubbia, le scorte di combustibile nucleare dureranno solo per altri cinquanta anni, dunque non conviene investire adesso in una tecnologia sul viale del tramonto. Meglio piuttosto investire sulle rinnovabili. In Danimarca l’industria dell’eolico è diventata la prima del paese.

Impatto ambientale: le centrali nucleari hanno bisogno di enormi quantià di acqua per il raffreddamento. “Stime indicano che in Francia il 40% di tutta l’acqua consumata è usata nelle centrali atomiche“. In Italia di acqua ce n’è sempre meno dovunque ed un uso massiccio per raffreddare i reattori nucleari farebbe tra l’altro lievitare i costi delle bollette dell’acqua perchè il prezzo seguirebbe la domanda. Poi l’acqua di raffreddamento è acqua calda che non si può riusare, per esempio per il teleriscaldamento perchè nessuno vuole nei termosifoni di casa acqua proveniente dalla centrale nucleare. Inoltre considerato il rendimento termodinamico della centrale, solo il 35-40% dell’energia prodotta viene convertita in elettricità, il resto (60-65%) deve essere smaltito con l’acqua di raffreddamento che raggiunge temperature talmente alte da alterare gli ecosistemi fluviali e lacustri. Si causa quindi un inquinamento termico. Per fare un esempio “un impianto da 1000 Megawatt (Caorso era da 830 Megawatt) richiederebbe per il raffreddamento quasi un terzo dell’acqua che scorre nel Po a Torino”. E’ una quantità enorme di acqua quella che serve.

Per approfondimenti:

INTERVISTA A ANGELO BARACCA: «LA FRANCIA IMPORTA PIÙ PETROLIO DI NOI IL NUCLEARE NON SERVE»

Rubbia: la prima grande centrale a solare termodinamico

Accordo nucleare Italia-Francia: e’ un coro di critiche

Radiografia del business atomico

Catturarli e’ una questione di soldi

Da http://www.antimafiaduemila.com/index.php?option=com_content&task=view&id=13416&Itemid=48:

di Pietro Orsatti – 27 febbraio 2009
Soprannome: maresciallo dei telefoni. Ha arrestato i latitanti più pericolosi di Cosa nostra, da Provenzano ai Lo Piccolo, e oggi scrive un libro. Spiegando perché è sempre più difficile mettere le mani sui criminali in fuga.

E’ un siciliano di quelli che hanno scelto di combattere la mafia. E lo ha fatto, appena maggiorenne, entrando nella polizia di Stato. Da più di vent’anni fa parte di una delle squadre d’élite della questura di Palermo, la “catturandi”. Ed è stato, insieme a poche decine di suoi colleghi, protagonista di clamorosi successi negli scorsi anni. Dalla cattura dei leader del clan Vitale Fardazza nel partinicese, all’arresto di Bernardo “Binnu” Provenzano, fino alla colossale operazione Gotha e alla cattura di Salvatore e Sandro Lo Piccolo. I.M.D. – dietro questa sigla si nasconde l’identità del funzionario di polizia soprannominato dai propri colleghi e superiori “il maresciallo dei telefoni” – è oggi autore di un libro (Catturandi, Dario Flaccovio editore, in uscita a marzo) in cui le tecniche investigative e le vicende degli ultimi anni di lotta contro Cosa nostra vengono viste dall’interno. I.M.D. lo incontriamo nella redazione di left, con le copie del libro fresche di tipografia sul tavolo. «La catturandi di Palermo nasce alla fine degli anni Settanta, dopo la morte di Beppe Montana, all’epoca di Cassarà», racconta. Ma solo dopo le stragli del ’92 e del ’93 vengono investite quelle risorse che permetteranno le catture di “rilievo”.

Risorse. Alla fine di questo si parla: di soldi e uomini. «Perché un latitante investe enormi somme di denaro per garantirsi il suo stato, e se tu non investi più di lui per penetrare nel territorio dove si nasconde non riuscirai mai a prenderlo». Quasi una formula matematica. Più investi e più in alto puoi puntare.
Si tratta di somme impressionanti, che i vari boss con mandato di cattura sulle spalle investono in una fitta rete di autisti, guardiani, spalle, soldati. «Facciamo l’esempio del Lo Piccolo – racconta I.M.D. -. La quantità di denaro che entrava direttamente nelle casse della famiglia è quantificabile in quasi 40mila euro alla settimana. Questi, in un mese avevano a disposizione 160mila-170mila euro. A volte anche di più. Perché c’erano gli extra dei grossi traffici, per esempio quelli fatti con l’Olanda, che portavano introiti consistenti d’improvviso, oppure i grossi appalti come quelli della metanizzazione della città dei quali il 3 per cento arrivava nelle loro casse». In pratica i latitanti potevano disporre di circa 2 o 3 milioni di euro all’anno di liquidi per potersi curare la latitanza. E la domanda è inevitabile. Quanto deve investire lo Stato per poterli catturare? «Almeno il doppio. Perché il latitante non ha solo il denaro, ha anche gli appoggi logistici sul territorio; è ovviamente coperto. Invece lo Stato questi appoggi non li ha e l’unica possibilità di penetrare nel sistema di latitanza è intervenire con la strumentazione e la tecnologia».

Per l’arresto dei Lo Piccolo, avvenuto nel novembre 2007, sono stati impegnati 42 uomini della “catturandi” di Palermo, 24 ore al giorno. «I Lo Piccolo avevano possibilità immense, controllo assoluto del territorio. Potevano fare letteralmente qualsiasi cosa». E il lavoro, per un membro della “catturandi”, è sacrificio personale, a volte perfino economico. I.M.D. racconta, fra i tanti episodi, quello delle missioni finalizzate ad accompagnare nei vari uffici sparsi per l’Italia i collaboratori di giustizia. Anticipando con i propri fondi. Perché – e questo è un dato assolutamente sconosciuto ai più – i collaboratori di giustizia, prima di essere affidati al servizio protezione e gestione del ministero – e spesso ci vogliono mesi – sono responsabilità del reparto che ha effettuato l’arresto e ha raccolto l’intenzione di collaborare. E allora sono alberghi, aerei, spostamenti. Pagati di tasca propria. Spese anticipate che a volte non vengono rimborsate per mesi, se non addirittura per anni. E poi c’è la creatività che a volte, spesso, supplisce alla mancanza di appoggi sul territorio e di risorse. «Quando eravamo sui Fardazza a Partinico, faccio questo esempio per chiarire che a volte siamo stati costretti a inventarci letteralmente di tutto per seguire uno o più latitanti, avevamo la necessità di controllare un portone dove noi sapevamo che un favoreggiatore di Vito Vitale usciva ed entrava. Non avendo la disponibilità di una telecamera, perché era impossibile posizionarla, abbiamo preso una Fiat Ritmo del padre di un mio collega, abbiamo fatto un buco col trapano nel bagagliaio e dentro ci abbiamo infilato un ispettore di polizia per quattro ore con la sua telecamerina a riprendere il portone. Poi, tirato fuori dal bagagliaio, per due giorni lo abbiamo dovuto “stirare” per farlo stare in piedi», e ride. Anche sulla vicenda Provenzano le difficoltà sono state enormi. Spesso gli uomini della “catturandi” si sono trovati a sostenere turni “h24”, 24 ore consecutive, con un binocolo e un sacco a pelo fornito dall’esercito (perché la polizia non ne dispone) in un buco su una montagna. Ore e ore di straordinari che per due anni consecutivi non sono stati pagati («e pensa che solo per la polizia l’ora di straordinario è pagata meno di quella ordinaria») e per farli erogare dall’amministrazione dello Stato è stato necessario che gli agenti scendessero in piazza con striscioni e cartelli. Gli straordinari sono fondamentali. Perché un agente di polizia mediamente prende 1.400 euro al mese. Anche i super specializzati come gli agenti della “catturandi” di Palermo.

Oggi l’attenzione è spostata su altri due latitanti. Matteo Messina Denaro, nel trapanese, e Domenico Raccuglia, a Palermo. «Non capisco questa sottovalutazione dello spessore di Raccuglia – afferma l’autore del libro -. Il “veterinario” (questo il suo soprannome), se vuole, si può prendere tutto senza bisogno di alcun triunvirato con Messina Denaro e qualcuno dei Riina o alleanze simili. E poi Messina Denaro è in difficoltà: quando ha provato ad allargarsi qualche schiaffo lo ha preso». Da Raccuglia, appunto. E perché, nonostante le grandi operazioni degli ultimi mesi, una proprio sul territorio della sua probabile latitanza (Borgetto), il “veterinario” non è stato preso? «Cosa nostra ha cambiato forma. Da una struttura verticistica è passata a rete satellitare. E questo, ovviamente ci complica la vita». Perché non sapete mai su chi per primo puntare? «Non solo questo. Perché abbiamo sempre più scarse risorse e dobbiamo sempre decidere dove e su chi indirizzarle. Se le risorse diminuiscono, diminuisce anche la prospettiva di azione. Se io prima facevo la mappatura della Sicilia, ora posso limitarmi a fare appena la mappatura di un quartiere. Se io prima potevo ambire a prendere Provenzano ora posso ambire solo a prendere un latitante che ha risorse minori investite sulla propria latitanza». E questo spiega, purtroppo, tante delle cose avvenute negli ultimi anni.

Alfa e Beta

Da http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=1138:alfa-e-beta&catid=17:libri&Itemid=29:

Scritto da Salvatore Borsellino

Alfa e Beta è la storia dell’inchiesta aperta dalla procura di Caltanissetta a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, accusati di «reato di concorso in strage per finalità terroristica e di eversione dell’ordine democratico», in pratica di essere i “mandanti esterni” delle stragi di mafia del terribile biennio ’92-’93.
Alfa e Beta è la storia di una archiviazione che invece di chiarire ogni dubbio non fa che aumentare le incertezze, le inquietudini: «Gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato – scrive il gip Tona – la sussistenza di varie possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati [Berlusconi e Dell’Utri].
Ciò di per sé legittima l’ipotesi che, in considerazione del prestigio di Berlusconi e Dell’Utri, essi possano essere stati individuati dagli uomini dell’organizzazione quali eventuali nuovi interlocutori».
Ma «la friabilità del quadro indiziario impone l’archiviazione».
Anche a Firenze era stata aperta e poi archiviata per scadenza dei termini d’indagine una inchiesta su Berlusconi e Dell’Utri come «mandanti occulti», e il il giudice fiorentino Soresina nell’atto d’archviazione affermò come indiscutibilmente sia esistita «una obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione [Forza Italia]: articolo 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni 90». Tant’è che nel corso delle indagini «l’ipotesi iniziale [di un coinvolgimento di Berlusconi e dell’Utri nelle stragi] ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità».

Il libro Falanca oltre a riportare integralmente il decreto di archiviazione traccia un affresco del contesto storico-politico della stagione delle stragi, ricostruisce uno spaccato credibile e coerente della transizione tra “prima” e “seconda Repubblica”.
L’autore, mettendo in fila le dichiarazioni dei “pentiti”, le sentenze, e diverse inchieste giornalistiche, dimostra come dietro quella criptica dialettica al tritolo tra ristretti gruppi d’interesse (di cui conosciamo solo gli autori materiali) non ci sia stata solo una inconfessabile trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato.
Le stragi rientravano in una strategia più vasta che prevedeva la destabilizzazione del paese per favorire la nascita di una nuova forza politica che sostituisse la Democrazia Cristiana, partito di governo per 40 anni, letteralmente implosa dopo le indagini sulla corruzione di Mani Pulite.
Ed è così che emerge inconfondibilmente il ruolo che hanno giocato i Servizi Segreti italiani ed esteri, la massoneria, i settori deviati dello Stato, eredi di quello Stato parallelo che 20 anni prima avevano insanguinato l’Italia con la strategia della tensione.
Alfa e Beta è la storia di una verità che fatica ad emergere, nonostante il grande lavoro degli inquirenti e le recenti scoperte che vanno proprio in direzione del piano di destabilizzazione più vasto.
Alfa e Beta è, infine, una storia che ci riguarda tutti, un pezzo della storia italiana che stiamo scoprendo solo ora, nonostante le archiviazioni.