Antimafia Duemila – ”I mandanti impuniti”. Il video integrale della conferenza.
Il video integrale si trova sul sito di antimafia duemila, qui viene riportato solo un estratto significativo. Vale comunque la pena seguire l’intera conferenza.
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Poliziotti indagati per depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
L’inchiesta Dopo le rivelazioni del boss Spatuzza cresce la lista degli accusati anche per l’omicidio Borsellino
Un pentito che ha ritrattato: mi hanno costretto a confessare
CALTANISSETTA
— C’è l’inchiesta sulla strage e c’è l’inchiesta sulle indagini svolte 17 anni fa, per la stessa strage. A questo sdoppiamento è giunto il lavoro dei magistrati di Caltanissetta intorno all’eccidio del 19 luglio 1992, nel quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Strage mafiosa ma non solo, come quasi tutti ormai pensano; strage con eventuali «mandanti occulti» non individuati; strage con alcuni colpevoli condannati da sentenze definitive, ma forse non tutti davvero colpevoli. Ecco perché le inchieste sono ancora aperte.Da un lato si cercano i responsabili rimasti impuniti, di tutte le categorie. Tra gli «uomini d’onore» rimasti fuori dalle precedenti indagini, le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza – boss del quartiere palermitano di Brancaccio, che riempie verbali su verbali da un anno, dopo averne trascorsi 11 a regime di «carcere duro» – hanno portato ad almeno un nuovo indagato; su di lui sono in corso accertamenti e riscontri alle accuse del nuovo collaboratore di giustizia. Oltre la mafia, nel campo di ipotizzate collusioni e del ruolo di possibili «apparati deviati dello Stato», compresi esponenti dei servizi segreti, la situazione è più complessa; si continua a scavare su coincidenze, parentele, contatti telefonici sospetti emersi nei processi già celebrati, per tentare di arrivare a conclusioni più concrete.
Dall’altro lato gli inquirenti guidati dal procuratore Sergio Lari hanno riaperto il capitolo delle inchieste avviate nel ’92, subito dopo la strage. Quelle che hanno portato a tre diversi processi e alle sentenze confermate dalla Cassazione. Ora una parte di quella verità giudiziaria potrebbe essere riscritta, proprio a partire dalle dichiarazioni di Spatuzza, dai riscontri effettuati e dalle conseguenti ritrattazioni di almeno un altro pentito, vero o presunto che sia.Il neo-collaboratore — autore tra gli altri delitti dell’omicidio di padre Pino Puglisi, il parroco antimafia di Brancaccio ucciso nel 1993 — ha svelato di essere l’autore del furto della Fiat 126 utilizzata per fabbricare l’auto-bomba esplosa in via D’Amelio. Offrendo indicazioni precise, puntualmente verificate. Del furto s’era accusato, nel 1992, tale Salvatore Candura, mezzo balordo e mezzo mafioso che oggi, di fronte alle rivelazioni di Spatuzza, confessa di essersi inventato tutto. O meglio, di aver ripetuto ciò che alcuni investigatori lo avevano costretto a riferire ai magistrati. Di qui la nuova indagine aperta dalla Procura di Caltanissetta a carico di quegli investigatori: i nomi di due o tre poliziotti che facevano parte del Gruppo investigativo Falcone-Borsellino, creato all’indomani delle stragi, sono già finiti sul registro degli indagati. Ipotesi di reato, calunnia.
Di fatto si ipotizza un possibile depistaggio messo in atto con le false dichiarazioni di Candura, che hanno portato alle confessioni dell’altro «pentito» Vincenzo Scarantino, su cui sono fondate parte delle condanne confermate in Cassazione; confessioni false, se sono vere quelle di Spatuzza e ora di Candura. Indotte dagli investigatori, secondo la nuova ricostruzione di quest’ultimo. I magistrati nisseni hanno riassunto la situazione nel parere col quale hanno aderito alla proposta di protezione per Spatuzza; lì scrivono che uno dei riscontri alle dichiarazioni del neo-pentito consiste proprio nella ritrattazione di Candura. Il quale «ha formulato pesanti accuse nei confronti di alcuni esponenti della Polizia di Stato, a suo dire responsabili di averlo indotto a dichiarare il falso».
Ipotesi grave e inquietante. Perché il depistaggio, qualora fosse realmente stato organizzato come fa credere Candura, dovrebbe avere un movente. Dev’essere il frutto di una decisione presa a tavolino nelle settimane immediatamente successive all’eliminazione di Paolo Borsellino (e due mesi dopo la morte di Falcone nella strage di Capaci), per indirizzare le indagini su una falsa verità consacrata fino al verdetto della Cassazione. Per quale motivo? Per coprire quale realtà alternativa? E con l’avallo, o su mandato, di chi? A quale livello politico o investigativo?
Sono tutte domande alle quali dovrebbe rispondere l’inchiesta, se dovesse accertare che Candura, ora, non mente più. Ma resta aperta anche l’altra ipotesi, e cioè che lui allora si sia autoaccusato per sua libera scelta, tirando in ballo un personaggio come Scarantino (sulla cui attendibilità molti hanno nutrito dubbi, a cominciare dal pubblico ministero Ilda Boccassini che li mise nero su bianco nel 1994, al momento di lasciare Caltanissetta) senza chiamare in causa mafiosi di ben altro profilo. Anche Candura è indagato nel nuovo procedimento (l’ipotesi di reato è autocalunnia), in attesa che gli accertamenti portino a fare un po’ di chiarezza sull’intricata vicenda. E con lui, Scarantino, che anche di fronte alla nuova verità di Spatuzza ha invece confermato quanto dichiarato nelle indagini e nei processi precedenti. Lo ha fatto negli interrogatori e durante il confronto con il neo-pentito, seppure dopo qualche minuto di riflessione.
Nell’ambito dell’indagine sui poliziotti accusati di aver «imboccato » Candura sono già stati ascoltati come testimoni alcuni magistrati che fra il ’92 e il ’94 si occuparono delle indagini sulla strage di via d’Amelio, tra i quali la stessa Boccassini, Carmelo Petralia e Paolo Giordano. Gli accertamenti proseguono per tentare di venire a capo, a 17 anni dai fatti, del presunto depistaggio sulla più misteriosa delle stragi di mafia del ’92-’93; oppure, se le accuse si rivelassero false, del depistaggio messo in atto oggi,
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Pietro Orsatti » Blog Archive » A Palermo condannati i medici di Cosa nostra.
di Pietro Orsatti
Criminalità – Processo Gotha, dieci anni per Giovanni Mercadante, ex parlamentare regionale di Forza Italia che, secondo gli inquirenti, sarebbe legato a Provenzano
…
«Giovanni Mercadante è un creatura di Provenzano, dottore», questa la dichiarazione raccolta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo del ruolo che il sessantenne medico radiologo avrebbe ricoperto all’interno di Cosa nostra. Ad accusarlo anche altri boss pentiti del calibro di Giovanni Brusca e Angelo Siino. Insieme a un altro medico, già condannato per mafia in due precedenti processi (Nino Cinà), Mercadante è considerato il medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento di Cosa nostra nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Solo nel 2006 a seguito dell’inchiesta Gotha è arrivato l’arresto. A carico dell’ex deputato, oltre alle dichirazioni rilasciate dai pentiti, si sono affiancate le intercettazioni ambientali realizzate nel box del capomafia Nino Rotolo, sito individuato dai clan per i loro summit. Nei colloqui il nome di Mercadante è emerso numerose volte in relazione sempre ad affari illeciti. E non solo. Secondo gli investigatori Mercadante avrebbe fornito «il proprio ausilio e la disponibilità della struttura sanitaria della quale era socio (l’Angiotac) per prestazioni sanitarie in favore degli associati mafiosi, anche latitanti, e la redazione di documentazione sanitaria di favore, ricevendo, in cambio, l’appoggio elettorale di Cosa nostra in occasione delle regionali in cui era candidato». L’altro personaggio è sicuramente Cinà. Condannato già due volte per associazione mafiosa, «ma le condanne e la detenzione non hanno interrotto la sua partecipazione alle attività mafiose», dichiarano i magistrati. Sarebbe uno dei protagonisti della trattativa tra Stato e mafia, capo mandamento di Resuttana, «mediatore e pacificatore» nel periodo delle stragi del ’92 e poi, nel 2005…
“Breaking the Silence”, l’ong israeliana che raccoglie le testimonianze dei soldati sugli abusi e sui crimini commessi dall’esercito israeliano, ha pubblicato 54 racconti di soldati dell’Idf che hanno partecipato alla recente operazione “Piombo Fuso” nella Striscia di Gaza, denunciando gli orrori e gli atroci crimini di guerra commessi a danno di civili inermi ed innocenti.
Si spazia dalla distruzione di centinaia di case e di moschee senza alcuno scopo di carattere militare all’uso del fosforo bianco in aree densamente abitate, dall’uccisione illegale e indiscriminata di civili inermi al tristemente noto utilizzo di civili Palestinesi come scudi umani, tutte considerate “pratiche accettabili” nel quadro di un’atmosfera permissiva in cui ogni azione è lecita e ogni crimine è santificato da Dio.
E’ tanto l’orrore che provo e la ripugnanza per il comportamento di questi vili e barbari assassini che non mi sento di scrivere oltre, limitandomi a riportare quanto scritto in proposito dagli ebrei americani di… “Jewish Voice for Peace” e invitando chi legge ad aderire all’invito dell’associazione di inviare una lettera di denuncia al Presidente Usa Barack Obama.
Voglio aggiungere però una cosa.
Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak, di fronte alla denuncia di “Breaking the Silence”, ha avuto la faccia tosta di ripetere la nota favoletta secondo cui l’esercito israeliano “è quello con il più alto senso morale del mondo”.
Questo può andare bene per i cantori della becera e vergognosa propaganda sionista, in stile informazione corretta per intenderci, ma in realtà simili affermazioni costituiscono la prova più evidente di come i crimini di guerra commessi da Tsahal a Gaza (e non solo), compresi quelli più atroci ed efferati, hanno sempre avuto la totale copertura e condivisione da parte del governo israeliano.
Sarebbe ora che negli Usa, e in Europa, si prendesse in considerazione l’idea di sottoporre Israele non ad un semplice blocco delle forniture militari – come ha timidamente iniziato a fare la Gran Bretagna – ma ad un boicottaggio economico e politico atto a costringere questo Stato canaglia ed assassino al rispetto del diritto umanitario, dei diritti umani dei Palestinesi, della legalità internazionale.
Non può più essere consentito a nessuno, nemmeno agli ebrei d’Israele, di mandare in giro i propri lanzichenecchi a massacrare i Palestinesi alla stessa stregua di un bambino che brucia le formiche con una lente d’ingrandimento.
Cosa dicono i soldati israeliani su Gaza?
15.7.2009L’associazione israeliana “Breaking the Silence” ha da poco diffuso una raccolta di testimonianze (1) di soldati israeliani che hanno preso parte all’attacco contro Gaza lo scorso dicembre e gennaio.
Questo non è il primo rapporto che documenta gli orrori inflitti alla popolazione civile di Gaza. Meno di due settimane fa, per esempio, Amnesty International ha presentato un rapporto che documenta l’uso israeliano di armamenti da battaglia contro la popolazione civile intrappolata a Gaza (2).
Oggi i soldati israeliani corroborano le accuse secondo cui l’esercito ha ripetutamente violato il diritto internazionale.
“Sai cosa? Ti senti come un bambino che gioca con una lente d’ingrandimento, bruciando le formiche. Veramente. Un ragazzo di 20 anni non dovrebbe fare queste cose alla gente”.
I soldati raccontano dell’utilizzo di scudi umani (3), dell’uso del fosforo contro le popolazioni civili, della pura e semplice enormità della distruzione.“Perché il fosforo bianco? Perché è divertente. Fantastico”. “Era orribile, come in quei film sulla II guerra mondiale dove non restava niente. Una città totalmente distrutta”.
I soldati riferiscono anche degli sforzi dell’unità del rabbinato militare di trasformare l’attacco in una guerra santa tra i “figli dell’oscurità” e i “figli della luce”.“(Ci dissero) Nessuna pietà, Dio vi protegge, qualunque cosa facciate è santificata”.
L’elenco continua.Abbiamo ascoltato le stesse storie, sia dagli abitanti di Gaza sia dai soldati israeliani (4).
Il generoso aiuto degli Stati Uniti – i dollari delle tasse americane – hanno reso possibile tutto questo. Le armi fabbricate negli Usa sono state utilizzate per attaccare i civili di Gaza, gli stabilimenti produttivi, le scuole e gli edifici amministrativi.
Il governo britannico ha cancellato alcuni contratti di fornitura di armi con Israele.
Non è ora che i membri del Congresso prestino attenzione? Chiedi un’inchiesta sull’uso dei proventi delle tasse Usa per finanziare i crimini di guerra a Gaza.
Sydney Levy
Jewish Voice for Peace(1) Breaking the Silence Testimonies
(3) Ha’aretz: Israeli soldier: “We used Gazans as human shields.”
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1100300.htmlOriginal article removed from Ha’aretz, but available in full here:http://www.indybay.org/newsitems/2009/07/14/18607903.php)(4) BBC Breaking the Silence on Gaza Abuses
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Mafia e Politica. Il papello di Riina.
Scritto da Desiree Grimaldi
Intervento di Giancarlo Caselli alla trasmissione “il Caffè” di Rainews 24 condotta da Corradino Mineo, andata in onda il 26 luglio 2009. In collegamento anche il giornalista Felice Cavallaro da Palermo. Oltre ad un’attenta analisi degli intrecci tra mafia e politica effettuata del magistrato torinese, il giornalista Cavallaro mette in evidenza uno strano parallelismo tra la vicenda Mancino-Borsellino e Rognoni-Mattarella: due ex ministri degli interni affetti dalla medesima amnesia:c’è chi nega, c’è chi non ricorda.
nell’intervista si accenna inoltre al riciclaggio del denaro sporco della mafia a milano, di Fininvest, del fatto che Andreotti abbia incontrato il capo della mafia di allora Stefano Bontate prima e dopo l’uccisione di Mattarella per discutere proprio di Mattarella e del fatto che Andreotti stesso non si sia rivolto alla magistratura per prevenire l’uccisione di Mattarella stesso.
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Benny Calasanzio Borsellino: Addio Tenebra, ripartono le indagini!.
Ci sono voluti 17 anni, la testa di un sostituto procuratore come Luca Tescaroli e l’arrivo di un nuovo procuratore capo a Caltanissetta per far riaprire le vecchie indagini e farne decollare di nuove sulle stragi del 1992 ed in particolare su quella che coinvolse il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli. Il Consiglio Superiore della Magistratura, caduto in un evidente errore di valutazione, forse tradito dal viso angelico e rassicurante di Sergio Lari, lo aveva nominato procuratore capo di Caltanissetta nel dicembre del 2007. Salvatore Borsellino, il giorno dopo la nomina, aveva commentato, sottovoce, con pochi intimi: «questa volta è quella buona. Lari è una persone in gamba, per bene e determinato ad andare fino in fondo». Previsione mai fu più azzeccata. In meno di due anni, assieme agli aggiunti Domenico Gozzo e Amadeo Burtone, e ai sostituti Nicolò Marino e Stefano Lucanici, Lari è riuscito a riaprire le vecchie indagini e ad avviarne di nuove che si candidano seriamente a fornire risposte sconvolgenti sulla morte dei due giudici, che pare essere stata, quantomeno, favorita dagli apparati deviati dello Stato, ammesso che in quel periodo ce ne fossero di retti. La notizia che, nell’indagine sui presunti depistaggi orditi durante le investigazioni sulla strage di Via d’Amelio, sarebbero stati iscritti nel registro degli indagati uomini dei servizi segreti e addirittura poliziotti del gruppo investigativo «Falcone Borsellino», dimostra di che pasta è fatto il pool peraltro già preso di mira da alcuni corvi: buon segno. Dopo le nuove dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, ora anche Salvatore Candura sta tornando indietro, dicendo di essere stato convinto a mentire e ad accusarsi della paternità del furto dell’auto poi bomba proprio dal gruppo di poliziotti, che avrebbero agito per chiudere in fretta le indagini e il dibattimento. Dichiarazioni così pesanti da mettere in discussione tre gradi di giudizio bollati anche dalla Cassazione. Molti lo pensano, pochi lo dicono, ma il leit-motiv che gira è: bisognava aspettare che Giovanni Tinebra, ex Procuratore a Caltanissetta, fosse mandato, durante il governo Berlusconi 2001, a dirigere il Dipartimento amministrazione penitenziaria, che tra le altre cose si occupa dello svolgimento dei compiti inerenti all’esecuzione della misura cautelare della custodia in carcere (compresa l’attuazione del 41 bis), delle pene e delle misure di sicurezza detentive, delle misure alternative alla detenzione, per far ripartire le indagini a Caltanissetta? La risposta stai nei fatti che non necessitano di commenti. Lo stesso Tinebra che scrisse e chiese di firmare al giudice Tescaroli un provvedimento di archiviazione, nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri, nell’indagine sui mandanti occulti, completamente assolutorio. Provvedimento che naturalmente Tescaroli, giunto con le sue indagini a tutt’altra convinzione, non firmò, preferendo mantenere la «sua» durissima archiviazione che gli costò una probabile croce sulla carriera. A tirare in ballo Tinebra nell’ultimo periodo è anche il magistrato Alfonso Sabella, affidabile cacciatore di mafiosi. In un intervista all’Unità, Sabella solleva inquietanti interrogativi su Tinebra, per sbaglio o per dolo chiamato dai più Tenebra, in particolare riguardo la pratica adottata dai mafiosi di «dissociarsi» da cosa nostra, cioè di pentirsi singolarmente per usufruire di una minima parte di benefici ma di non fare nomi. Tinebra a Caltanissetta ne era un agguerrito difensore, un atteggiamento che certo non si addice a chi vorrebbe sfruttare i collaboratori di giustizia per scardinare i clan e per penetrare nei rapporti mafia politica. Quando Sabella si oppone alla dissociazione di Biondino, legatissimo a Riina, il suo ufficio viene soppresso proprio da Tinebra che intanto aveva sostituito al Dap Caselli. «Molto tempo dopo si scopre ed è tutt’ora oggetto di un’inchiesta della procura di Roma che il magistrato che Tinebra ha messo al mio posto al Dap collaborava proprio con il Sisde di Mori nella gestione definita anomala di alcuni detenuti e aspiranti collaboratori di giustizia» ha spiegato Sabella. Un quadro fin troppo chiaro che a distanza di anni fa rimpiangere il lavoro di Luca Tescaroli: se non ci fosse stato Tenebra forse oggi qualcosa sarebbe diverso, anche in politica, probabilmente. Ora che Tenebra non c’è più, e che con lui anche le nebbie sulle responsabilità esterne a cosa nostra si stanno diradando, vedremo cosa accadrà. Intanto a Palermo i sostituti Ingroia e Di Matteo stanno facendo un lavoro magistrale sul figlio di don Vito Ciancimino; inchiesta che va di pari passo con le indagini di Caltanissetta. Quello che tutti ci chiediamo è: cacceranno prima Ingroia e Di Matteo o Lari e il suo pool? Le scommesse serviranno a pagare il vitalizio dei primi eliminati.
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