Archivi del giorno: 1 agosto 2009

Benny Calasanzio Borsellino: Luciano Violante, colui che sa ma non racconta

Benny Calasanzio Borsellino: Luciano Violante, colui che sa ma non racconta.

Quando il generale Mario Mori gli chiede, non una ma per ben tre volte e sempre con maggiore insistenza, di incontrare colui che i magistrati definirono «la più esplicita infiltrazione della mafia nell’amministrazione pubblica», ossia Don Vito Ciancimino, uomo all’Avana dei corleonesi già arrestato nel 1984, lui, Luciano Violante, non sente il bisogno di dirlo a nessuno, nè ai magistrati nè alla Commissione Antimafia che presiede dall’anno prima. Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani erano già saltati in aria a Capaci, e, a quanto dice lui, anche Borsellino e la sua scorta erano stati già ammazzati in Via D’Amelio. Questo solo a quanto dice Violante, confermando la teoria, già sconfessata dal figlio di Ciancimino, secondo cui la trattativa sarebbe iniziata dopo le due stragi e non in mezzo. Il docente di Diritto Pubblico, tra i padri della nascente associazione antimafia Libera, ritenne corretto fare solo una piccola domanda a colui che gli chiedeva di incontrare l’anello tra mafia e politica: “L’autorità giudiziaria è stata informata di questa disponibilità del Ciancimino a parlare?”, chiese l’etereo Violante.”Si tratta di una cosa politica… di una questione politica”, gli risponde Mori. Poi, quando l’oscuro generale gli spiega che Ciancimino vorrebbe incontrarlo privatamente, dettaglio ancora più inquietante, Violante ritenne ancora una volta di tenerlo per sè e di liquidare Mori con un “non faccio colloqui privati”. Non pensò decoroso correre dai suoi ex colleghi che indagavano sulla strage di Capaci ed eventualmente su quella di Via D’Amelio, e non lo raccontò mai fino a quando Massimo Ciancimino lo chiama in causa direttamente nel corso di un interrogatorio ad Ingroia e Di Matteo nei giorni scorsi: Ciancimino Jr ha raccontato come suo padre volesse solo ed esclusivamente Violante come interlocutore garante. Proprio lo stesso incontrollabile legalitario che nel 2003, alla Camera, protestò per il comportamento irriconoscente di Berlusconi (già indagato come mandante occulto di quelle stragi), cui, parole sue, il centrosinistra aveva dato nel 1994 garanzia a Berlusconi e a Letta che le “televisioni non sarebbero state toccate” qualora la sinistra avesse vinto le elezioni, recriminando come “loro” non avessero mai fatto nulla riguardo al conflitto di interesse e avessero dichiarato eleggibile Berlusconi la legge sui concessionari dello Stato. Grazie a loro, proseguì Big Luciano, Mediaset aveva potuto aumentare di 25 volte il fatturato. Antimafioso peculiare il nostro Violante: la mafia lo chiama in causa per un equo scambio e lui non informa i magistrati, nè subito nè dopo 17 anni. La domanda inquietante che ci si pone è: esiste altro? Violante è contenitore di altri fattacci mai raccontati in sede giudiziaria? Si rese in seguito disponibile a quella trattativa? Non lo sapremo mai. Dovremo aspettare che qualcuno lo chiami di nuovo in causa. Nel frattempo lui continuerà a fare l’antimafioso, a presentare libri e a tenere per sè piccolissimi ed insignificanti dettagli che potrebbero fare luce su quel fondamentale passaggio che riguarda la trattativa Stato-mafia. Noi continueremo a rimanere orfani di Falcone, di Borsellino e della verità sul 1992. Un piccolo grazie va anche a te, Big Luciano.

Antimafia Duemila – Lumia: ”Con me no spazio per collusi”

Antimafia Duemila – Lumia: ”Con me no spazio per collusi”.

1 agosto 2009
Un Lumia deciso e carismatico come non lo si vedeva da tempo quello che si è visto ieri alla Focacceria San Francesco di Palermo. Il senatore democratico ha ufficialmente presentato alla stampa e ad un centinaio di cittadini la candidatura per la poltrona di segretario regionale del partito in Sicilia.

“Innanzitutto fare in modo che questo congresso non sia solo il congresso del centro nord e diventi anche il congresso del sud, poi finalmente fare del Partito Democratico siciliano una grande forza autonoma che innova che cambi radicalmente la sicilia.” Un progetto dunque di rinnovamento quello proposto dall’ex presidente nazionale della commissione antimafia, che passa attraverso un sistema federativo del Partito Democratico che lasci scegliere ai siciliani i propri rappresentanti, senza imposizioni dall’alto. “Sarà un partito dove le migliori culture riformiste potranno stare insieme per modificare la Sicilia”, ha continuato il senatore ai nostri microfoni.
Chiaro è stato anche sui temi che in questi anni lo hanno visto protagonista, “faremo la lotta alla mafia, seria, che non si limiti soltanto a combattere il fenomeno mafioso, ma che punti a liberare definitivamente la Sicilia.”
Infine guardando all’interno del suo partito, Lumia ha voluto lanciare un segnale chiaro, “sarà un partito utile ed innovativo se al suo interno si farà pulizia, e tutti sanno che da questo punto di vista sarò rigorosissimo”. “Chi all’interno del Partito Democratico ha avuto un sistema di collusioni, anche solo relazionali, al di la del fatto penale, con ambienti mafiosi, con Giuseppe Lumia e con il gruppo dirigente che con me guidera il Pd , non troverà spazi”.

E’ iniziata una raccolta firme dei sostenitori del Senatore all’indirizzo http://firmiamo.it/beppelumiasegretarioregionaledelpdsiciliano, una raccolta, dicono gli organizzatori, per un pd siciliano fatto di legalità e sviluppo e per innovare e cambiare la sicilia.

ComeDonChisciotte – MANCA LA CORRENTE

ComeDonChisciotte – MANCA LA CORRENTE.

…Le persone sanno ormai fino alla nausea cosa non va, ma non agiscono, e questo è un fatto. La regola che soffoca il 99% dei cittadini del primo mondo è l’immobilità, l’immobilità di spettatori/consumatori rassegnati a tutto. Se non li aiutiamo a mettersi in moto, è stupidamente inutile ficcargli in testa ancora un’altra manciata di denunce, di scandali, di grida ed improperi. Per mettere in moto le persone del nostro mondo la strada è solo una, e l’ho descritta nei dettagli in altri miei lavori. Ma di nuovo la sintetizzo qui di seguito:

– Studiare a fondo il Potere e come agisce per creare consenso. Cioè conoscerlo alla perfezione.

– Formarci in un esercito di attivisti compatto, disciplinato, su tutto il territorio nazionale.

– Capire che cosa, in questo periodo della Storia, innesca il cambiamento, quale vettore, quale tipo di interazione umana. Individuare queste chiavi di svolta con precisione, così come si isola una molecola benefica, e inserirle in tutto il nostro lavoro.

– Individuare i VERI pericoli per i Diritti e per le democrazie dei cittadini, mettere da parte al momento quelli marginali.

– Studiare di conseguenza una comunicazione immensamente abile per attirare l’attenzione della GENTE COMUNE, cui finalmente verranno spiegati con linguaggi elementari i meccanismi che ne condizionano – e violentano – la vita di ogni giorno: dal business sulla loro salute alla manipolazione a tavolino del mercato del lavoro; dal sistema finanziario alla creazione artificiosa di insoddisfazione perenne; dall’atomizzazione degli individui per sottrargli ogni potere ai trattati sovranazionali stipulati a loro insaputa e che ne condizioneranno ogni mossa nella vita; dall’evirazione dei parlamenti nazionali alla vera devastante funzione dell’istituto scuola; il dilagare della ‘politica della paura’ ecc. in una lunga lista. La nuova elementare chiarezza nella spiegazione fornita alla gente comune è il primo dei tre agenti nell’accensione dei cittadini inerti .

– Studiare i metodi per rendere gradevole la trasmissione alla gente di tutta quella comunicazione.

– Diffonderci nei luoghi della gente comune (treni, sale d’attesa dei medici, parchi, dopolavoro, bar, ipermercati, autobus, uff. postali ecc.), implacabili, pazienti, tutto l’anno, per tentare di creare un consenso opposto a quello oggi dominante usando quei metodi attentamente studiati. Si tratta in particolare di sottoporre ai cittadini i COSTI ESATTI che dovranno pagare per vivere in un mondo migliore per tutti, e di mostrargli però anche i VANTAGGI che gli torneranno in tasca. Dovremo dunque incaricare degli economisti di calcolare quei costi con precisione, lungo i modelli di giustizia e di sostenibilità, e noi dovremo aver ben presenti i vantaggi da esporre alle persone. La chiarezza precisa su ciò che dovranno pagare ma anche su ciò che guadagneranno nel cambiare la Storia è il secondo agente per l’accensione del loro agire.

– Indicare alle persone delle vie ad uso immediato e facile, modulate a seconda della tipologia di cittadino/a, per contrastare chi gli sta macinando la vita. Cioè, cosa può fare la sarta di 70 anni, cosa il lavoratore indebitato o quello impegnatissimo, cosa i giovani liceali, cosa il qualunquista o la donna con prole. ecc. Questa pratica facilitata ne risveglia l’autostima poiché fornisce subito un modo facile per partecipare e sentirsi per la prima volta attori e non più spettatori. E’ il terzo agente fondamentale dell’accensione dei cittadini.

– Essere molto ben finanziati, cioè cercare e ingaggiare sponsor ‘illuminati’ capaci di vedere il vantaggio di lungo termine di un mondo più giusto. Il lavoro degli attivisti deve essere pagato e avvalersi di mezzi idonei su scala nazionale, SEMPRE. Va compreso che questa è una guerra che combattiamo contro i poteri economici più colossali del pianeta; non la si può combattere con le ‘belle anime’, le feste di piazza e internet.

– Sapere che è una strada in salita, poiché si tratta di invitare milioni di persone a scelte impopolari, a rinunce, a mutazioni di stili di vita importanti, ma anche a saper vedere la assai maggiore convenienza finale – ciò che gli rientra in tasca – di un mondo più in equilibrio. Il lavoro è lungo e poco emozionante; richiede dunque attivisti dotati di costanza, non esagitati adoranti seguaci.

– Mettere da parte le differenze che separano i nostri gruppi che formano l’Antisistema, cioè rinunciare ai nostri individualismi per un fronte comune, unico, compatto, disciplinato, implacabile di attivisti al lavoro ovunque, sempre, con linee guida universali, sempre le stesse, e con i metodi di cui sopra. Rinunciare ai nostri ‘paladini’, per divenire tutti noi i singoli protagonisti attivi di questo esercito.

Questo, e solo questo darà la ‘corrente’ agli esseri umani occidentali, li accenderà mettendoli finalmente in grado di decidere se agire o no. L’alternativa a questo, è di continuare a infarcire di ‘software’ una montagna di ‘computer’ spenti. Purtroppo oggi in Italia gli attivisti hanno deciso di continuare a fare ciò, sobillati in questa demenziale condotta dagli odierni ‘paladini’ di gran moda. Una follia. Vi è chiaro?

Paolo Barnard
Fonte: http://www.paolobarnard.info
Link: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=125
1.08.2009

“Il generale Mori mi disse che la trattativa era politica”

“Il generale Mori mi disse che la trattativa era politica”.

La deposizione di giovedì scorso dell’ex presidente della Camera ai Procuratori di Palermo che indagano sulla “trattativa” fra Stato e Mafia. Violante: rifiutai di incontrare Ciancimino.

“Il generale Mori mi disse che la trattativa era politica”

“Gli chiesi se la magistratura era informata e rispose di no”

PALERMO – Per tre volte il generale Mario Mori cercò di far incontrare “privatamente” don Vito con Luciano Violante. E per tre volte il presidente della Commissione parlamentare antimafia, in quel lontano 1992, respinse l’invito. “L’autorità giudiziaria è stata informata di questa disponibilità del Ciancimino a parlare?”, chiese Violante nell’ultimo faccia a faccia con l’ufficiale dei carabinieri. “Si tratta di una cosa politica… di una questione politica”, fu la risposta di Mori.

Parola di Luciano Violante. È stata questa la sua deposizione ai magistrati di Palermo che indagano sulla “trattativa” fra Stato e Mafia. È questo un punto cruciale di quell’impasto di diciassette anni fa fra i Corleonesi e i servizi segreti. Chi aveva “autorizzato” ufficiali dell’Arma dei carabinieri a venire a patti con Cosa Nostra? Chi aveva dato il nulla osta per avviare un negoziato con Totò Riina ancora latitante? Era già stato ucciso Giovanni Falcone, il 23 di maggio. Avevano già fatto saltare in aria Paolo Borsellino, il 19 di luglio.
Quest’altro “pezzo” di verità l’ha rivelata Luciano Violante nella sua testimonianza – giovedì scorso – ai procuratori Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato. Il suo verbale di interrogatorio è stato depositato da un paio di giorni nel processo contro il generale Mori “per la mancata cattura di Bernardo Provenzano”, un altro mistero di mafia, un altro giallo siciliano con protagonisti uomini dei reparti speciali dell’Arma dei carabinieri. Quella di Violante è una testimonianza che oramai è diventata pubblica e che ricostruisce uno dei tanti momenti oscuri – secondo la versione fornita dall’ex presidente parlamentare, naturalmente – di quell’estate siciliana del 1992.

L’inizio della vicenda è nota. Massimo Ciancimino, il figlio prediletto di don Vito, ha raccontato ai magistrati che suo padre – già in contatto con l’allora colonnello dei Ros Mario Mori e il suo fidato capitano Giuseppe De Donno – “voleva che del “patto” fosse informato anche Luciano Violante”. Il resto l’ha messo nero su bianco l’ex presidente dell’Antimafia nel suo interrogatorio.

Il primo incontro. Mario Mori va a trovare Luciano Violante nel suo ufficio di presidente dell’Antimafia. “Vito Ciancimino intende incontrarla”, gli dice. Aggiunge l’ufficiale: “Ha cose importanti da dire, naturalmente chiede qualcosa”. Violante risponde: “Potremmo sentirlo formalmente”. Cioè con una chiamata in commissione parlamentare: un’audizione. Ribatte Mori: “No, lui chiede un colloquio personale”. Il presidente Violante congeda l’ufficiale con un rifiuto: “Io non faccio colloqui privati”.

Dopo un paio di settimane Mario Mori, al tempo vicecomandante dei Ros, torna alla carica. È il secondo incontro. “Il generale quella volta mi portò anche il libro di Vito Ciancimino. Il titolo era “Le Mafie”…”, dichiara a verbale Violante. “Le Mafie” era una sorta di memoriale scritto dall’ex sindaco, un dossier dove parlava dei cugini esattori Nino e Ignazio Salvo, di Giulio Andreotti, di alcuni delitti eccellenti di Palermo. Il terzo incontro nei ricordi dell’ex presidente dell’Antimafia: “Mori mi ha chiesto subito che cosa ne pensavo del libro di Ciancimino, gli risposi che non mi sembrava che lì dentro ci fosse qualcosa di particolarmente importante. Lui, poi insistette ancora e con garbo che io incontrassi Ciancimino”.

Fu a quel punto che Violante chiese se la magistratura fosse informata di questa voglia di “parlare” dell’ex sindaco di Palermo. Fu a quel punto che l’ufficiale dei carabinieri pronunciò quelle parole: “Si tratta di cosa politica… di una questione politica”.

Se le cose sono andate veramente così si rimettono in gioco gran parte delle “certezze” investigative acquisite fino al 2004 fra Palermo e Firenze, la città dove si è celebrato il processo per le stragi mafiose in Continente del 1993. Fino a quella data, il 2004, indagati per la cosiddetta “trattativa” e per aver veicolato il “papello” (le richieste dei Corleonesi per fermare le stragi) c’erano soltanto Totò Riina, il suo medico Antonino Cinà e il vecchio Ciancimino. Tutti e tre mafiosi.

Lo scenario che affiora dalle nuove testimonianze – fra Palermo e Caltanissetta non c’è soltanto quella di Luciano Violante – e dalle nuove indagini scopre l’esistenza di un patto cercato da diversi protagonisti e a più livelli. Non c’è stato solo e soltanto Mario Mori dei Ros. C’è stato anche quel “Carlo” che frequentava don Vito da almeno quindici anni, un agente segreto che il “papello” di Totò Riina l’ha avuto materialmente nelle mani. E, a quanto pare, adesso, ci sono “mandanti” politici che quella trattativa volevano a tutti i costi. La vera svolta sui massacri siciliani del ’92 ci sarà pienamente solo quando i magistrati identificheranno quegli altri nomi, i nomi di chi aveva approvato o addirittura suggerito di mercanteggiare con i boss.

ComeDonChisciotte – QUESTUA O SFASCIO TOTALE ?

ComeDonChisciotte – QUESTUA O SFASCIO TOTALE ?.

Invece, i dati economici indicano per Giulio Tremonti una strada sempre più in salita.
Il buon Giulio, ogni tanto, si ricorda d’essere (o di dover giocare la parte di) un economista: per questa ragione, è l’unico a tener d’occhio l’andamento del debito pubblico, il quale continua a salire in modo progressivo e costante, senza cedimenti.

“Sembra infatti che i conti pubblici vadano sempre peggio e che il debito italiano abbia infilato un nuovo record negativo arrivando a ben 1.752 miliardi di euro, mentre le entrate crollano a 4,5 miliardi. Secondo i dati di Bankitalia il debito pubblico aveva raggiunto nei primi 5 mesi del 2009 quota 1.752.188 milioni di euro, crescendo di ben il 5,4%.
Per avere un idea più chiara basta solo pensare che al 31 dicembre 2008 il debito pubblico si era attestato a 1.662,55 miliardi, un incremento notevole quindi che viene anche amplificato dal fatto che nei primi 5 mesi del 2009 le entrate fiscali sono anche diminuite del 3,2%, ovvero 134,8 miliardi, contro i 139,3 miliardi dello scorso anno”
[2].

Se l’UE stima un rapporto Debito/PIL superiore al 116%[3], ed “in corsa” nel prossimo anno verso il 120%, Tremonti sa che, in Finanziaria, gli interessi saliranno, che bisognerà trovare altri mezzi per taglieggiare gli italiani, ma la coperta si va facendo ogni giorno più corta.
Con i decreti dello scorso anno, riuscirono a reperire risorse tagliando 8 miliardi sulla scuola, ossia la famosa “riforma Gelmini”, scritta da Brunetta e Tremonti e poi controfirmata da Mariastella: assisa allo scranno più elevato di Viale Trastevere c’è soltanto una passacarte, null’altro.
Oggi, 2009, non basta: bisogna cercare altro sangue da spremere agli italiani.


La cultura aziendal/politica di questo governo, invece, impedisce di guardare oltre, poiché la pletora di ministri in carica – “veline” a parte – è formata da un guazzabuglio di ex socialisti craxiani ed ex missini claudicanti. I primi, ripetono come pappagalli la politica del debito che fu di Craxi (in questo, pienamente appoggiati dai pochi residuati bellici ex democristi), i secondi stanno a guardare, accontentandosi di qualche “sparata” autoritaria che li fa sentire soddisfatti, quasi come se “Lui” li adunasse ancora sotto il balcone di Palazzo Venezia.
In definitiva, vecchiume: roba da portare al mercatino delle pulci e sperare di cavarci i soldi del gasolio.

Pietro Orsatti » Blog Archive » Via D’Amelio, l’intricata trama di un massacro ancora impunito

Pietro Orsatti » Blog Archive » Via D’Amelio, l’intricata trama di un massacro ancora impunito.

Mafia – Continuano le indagini sull’estate del ’92, in particolare sull’uccisione di . Due ex colleghi del pm aspettano 17 anni per parlare, mentre scompare una carta sim di Ciancimino. Troppe domande rimangono senza risposta

Di Pietro Orsatti su Terra

Massimo Ciancimino pochi giorni fa era spaventato, soprattutto affermava di temere di “non arrivare vivo” all’udienza per ora convocata il 17 settembre sul processo di secondo grado a Marcello Dell’Utri. Ieri a , dove ha deposto in un processo sui rapporti tra e imprenditori davanti al procuratore capo di Vincenzo D’Agata e al sostituto Antonino Fanara, ostentava : «Sul papello non posso rispondere, ma come ho già detto altre volte non sarà mai per un atteggiamento di mio diniego il far mancare documenti alla magistratura». Ormai è un fiume in piena, il figlio di don Vito il sindaco del sacco di , e parla e conferma e accusa. Allo stesso tempo, in particolare sulle indagini che si stanno conducendo a Caltanissetta in coordinamento con la procura di sulle stragi del ’92 e in particolare su quella di , ogni giorno in uno stillicidio di rivelazioni compaiono nuovi elementi sempre allarmanti. Come l’ultima deposizione di due magistrati proprio a Caltanissetta da dove emergerebbe come avrebbe affidato a due giovani colleghi, un uomo e una donna, ai tempi in cui era procuratore di Marsala un elemento inquietante, un’accusa, che vista con gli occhi di oggi, apre ulteriori scenari: «Qualcuno mi ha tradito». La domanda è, oggi, perché i due ex colleghi di abbiano aspettato circa 17 anni per fornire questo elemento. Ma è una domanda finora senza risposta. Come è senza risposta in che modo sia scomparsa dall’archivio prove della Corte di Assise di , una carta sim di Ciancimino in cui erano tracciabili i collegamenti con almeno un uomo dei servizi implicato nella trattativa fra e . La trattativa che forse creò i presupposti per l’eleminazione di . E allora andiamo a ricostruire di che cosa si parla oggi, a 17 anni di distanza. Secondo Ciancimino jr, a «farsi sotto» furono i , quando a fine giugno ’92 il capitano De Donno contattò, durante un viaggio aereo da a , Massimo Ciancimino per chiedergli di convincere suo padre a incontrare il generale Mario Mori e aprire una fase di dialogo e di scambio con Riina. Questa fase iniziale ha anche dei riscontri processuali. Ciancimino accettò e anche Riina si rese disponibile. Quello che si ipotizza ora, invece, è che ci siano stati “pezzi dei servizi” che, per accelerare il processo di trattativa in corso, esercitarono pressioni su Riina per mettere in atto la strage di e uccidere che, sempre secondo una delle ipotesi di indagine, si era posto “di traverso” nel naturale svolgimento della trattiva. Poi nell’autunno si apre una seconda fase della trattativa, che dopo si era bloccata invece che essere facilitata, in cui compare un nuovo personaggio, Bernardo “Binnu” Provenzano da tempo in disaccordo con Riina e la sua strategia stragista. Un’ipotesi, sempre più accreditata, vuole che una sorta di “patto” viene siglato e che Binnu consegni di fatto Riina ai , indicandone il covo e la rete di protezione. Questa ultima ipotesi, ovvero uno scenario in cui Riina e Provenzano sono diventati non solo avversari ma addirittura nemici, è confermato dalla testimonianza di una pentita di , Giusy Vitale, che parla di un progetto anni dopo di Riina di far uccidere Binnu reo del tradimento e di una riapertura all’ala della , gli “americani”, sopravissuti alla guerra di voluta e condotta da Riina stesso. E sembra che anche oggi, con alcune dichiarazioni di Ciancimino, sia sul tavolo degli inquirenti il caso del “tradimento” di Provenzano e della sua collaborazione con chi lo catturò di lì a poco: i del generale Mori e di Ultimo, che però dimenticarono di perquisire il covo di Riina per settimane (e per questo Mori e il sui vice Obinu sono sotto processo) consentendo a Leoluca Bagarella di prelevare l’archivio del boss arrestato. Archivio che, secondo alcuni pentiti, poi andò nelle mani di e che tuttora sarebbe in custodia del boss di Castelvetrano.