Pietro Orsatti » Blog Archive » Via D’Amelio, l’intricata trama di un massacro ancora impunito.
Mafia – Continuano le indagini sull’estate del ’92, in particolare sull’uccisione di Borsellino. Due ex colleghi del pm aspettano 17 anni per parlare, mentre scompare una carta sim di Ciancimino. Troppe domande rimangono senza risposta
Di Pietro Orsatti su Terra
Massimo Ciancimino pochi giorni fa era spaventato, soprattutto affermava di temere di “non arrivare vivo” all’udienza per ora convocata il 17 settembre sul processo di secondo grado a Marcello Dell’Utri. Ieri a Catania, dove ha deposto in un processo sui rapporti tra mafia e imprenditori davanti al procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata e al sostituto Antonino Fanara, ostentava sicurezza: «Sul papello non posso rispondere, ma come ho già detto altre volte non sarà mai per un atteggiamento di mio diniego il far mancare documenti alla magistratura». Ormai è un fiume in piena, il figlio di don Vito il sindaco del sacco di Palermo, e parla e conferma e accusa. Allo stesso tempo, in particolare sulle indagini che si stanno conducendo a Caltanissetta in coordinamento con la procura di Palermo sulle stragi del ’92 e in particolare su quella di via D’Amelio, ogni giorno in uno stillicidio di rivelazioni compaiono nuovi elementi sempre allarmanti. Come l’ultima deposizione di due magistrati proprio a Caltanissetta da dove emergerebbe come Paolo Borsellino avrebbe affidato a due giovani colleghi, un uomo e una donna, ai tempi in cui era procuratore di Marsala un elemento inquietante, un’accusa, che vista con gli occhi di oggi, apre ulteriori scenari: «Qualcuno mi ha tradito». La domanda è, oggi, perché i due ex colleghi di Borsellino abbiano aspettato circa 17 anni per fornire questo elemento. Ma è una domanda finora senza risposta. Come è senza risposta in che modo sia scomparsa dall’archivio prove della Corte di Assise di Palermo, una carta sim di Ciancimino in cui erano tracciabili i collegamenti con almeno un uomo dei servizi implicato nella trattativa fra Stato e Cosa nostra. La trattativa che forse creò i presupposti per l’eleminazione di Paolo Borsellino. E allora andiamo a ricostruire di che cosa si parla oggi, a 17 anni di distanza. Secondo Ciancimino jr, a «farsi sotto» furono i Ros, quando a fine giugno ’92 il capitano De Donno contattò, durante un viaggio aereo da Palermo a Roma, Massimo Ciancimino per chiedergli di convincere suo padre a incontrare il generale Mario Mori e aprire una fase di dialogo e di scambio con Riina. Questa fase iniziale ha anche dei riscontri processuali. Ciancimino accettò e anche Riina si rese disponibile. Quello che si ipotizza ora, invece, è che ci siano stati “pezzi dei servizi” che, per accelerare il processo di trattativa in corso, esercitarono pressioni su Riina per mettere in atto la strage di via D’Amelio e uccidere Borsellino che, sempre secondo una delle ipotesi di indagine, si era posto “di traverso” nel naturale svolgimento della trattiva. Poi nell’autunno si apre una seconda fase della trattativa, che dopo via D’Amelio si era bloccata invece che essere facilitata, in cui compare un nuovo personaggio, Bernardo “Binnu” Provenzano da tempo in disaccordo con Riina e la sua strategia stragista. Un’ipotesi, sempre più accreditata, vuole che una sorta di “patto” viene siglato e che Binnu consegni di fatto Riina ai carabinieri, indicandone il covo e la rete di protezione. Questa ultima ipotesi, ovvero uno scenario in cui Riina e Provenzano sono diventati non solo avversari ma addirittura nemici, è confermato dalla testimonianza di una pentita di mafia, Giusy Vitale, che parla di un progetto anni dopo di Riina di far uccidere Binnu reo del tradimento e di una riapertura all’ala della mafia, gli “americani”, sopravissuti alla guerra di mafia voluta e condotta da Riina stesso. E sembra che anche oggi, con alcune dichiarazioni di Ciancimino, sia sul tavolo degli inquirenti il caso del “tradimento” di Provenzano e della sua collaborazione con chi lo catturò di lì a poco: i Ros del generale Mori e di Ultimo, che però dimenticarono di perquisire il covo di Riina per settimane (e per questo Mori e il sui vice Obinu sono sotto processo) consentendo a Leoluca Bagarella di prelevare l’archivio del boss arrestato. Archivio che, secondo alcuni pentiti, poi andò nelle mani di Matteo Messina Denaro e che tuttora sarebbe in custodia del boss di Castelvetrano.
cosa significa “sono stato costretto a confessare” perche non dice da che cosa è in che modo è stato costretto alla confessione.- A seguito di incoffessabili accordi con organi dello Stato, per convenienza o nell’ambito di un depistaggio preordinato ed organizzato contro la verità e la democrazia.- Chi ha raccolto le dichiarazioni autoaccusatorie ha firmato gli stessi verbali condividendone il contenuto. i magistrati hanno poi ricercato riscontri obiettivi ..altrimenti come potevano infliggere argastoli e decenni di detenzione? .- Uno dei primi passi che da cittadino di un paese democratico, orfano di irripetibili figure di Magistrati , mi attendo rapidi decisioni per smuovere la montagna di merda con la quale vengono nascosti i nomi degli inquirenti infedeli o collusi e ne chiedo l’immediato allontanamendo da qualsiasi incarico pubblico.- basta con l’impunità.- Chi sostiene di essere stto costretto ad accusare e ad accusarsi deve dire in primis se è stato sottoposto a tortura e che solo a seguito di ciò ha firmato rotoli di carta igienica inutili per qualsiasi ipotesi investigativa.- Ma gli autori delle torture vanno immediatamente puniti e costretti a guadagnarsi il pane.-
La tortura è l’unica capacità investigativa di chi fino ad oggi ha svolto e risolto importanti casi giudiziari.- Le capacità deduttive di Genghi sono troppo complesse da capire.- Con acqua e sale è più facile.-