Archivi del giorno: 13 febbraio 2010

Il Patto (tra la mafia e lo Stato). Intervista a Nicola Biondo.

Fonte: Il Patto (tra la mafia e lo Stato). Intervista a Nicola Biondo.

I confini tra una parte (quanta?) dello Stato e la mafia sono sottili, spesso inesistenti. Viene persino il dubbio che l’Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale sia stata liberata dai mafiosi americani guidati da Lucky Luciano e non dagli Alleati (ma forse da tutti e due insieme alla CIA…). L’intervista a Nicola Biondo è sconvolgente, ma anche surreale. Ne emerge un gioco di specchi in cui scompare qualunque regola, ogni credibilità delle Istituzioni. Biondo descrive un girone infernale senza nessuna speranza di purgatorio o paradiso nel quale non precipitano i malvagi, ma i cittadini onesti: magistrati, poliziotti, politici, giornalisti in una mattanza nella quale la mafia è spesso il braccio armato di poteri protetti dallo Stato.

Intervista a Nicola Biondo

Il Patto tra Stato e mafia
“Mi chiamo Nicola Biondo, sono un giornalista freelance scrivo per L’Unità, con Sigfrido Ranucci, un inviato RAI abbiamo scritto un libro per Chiare Lettere, si intitola: “Il Patto. Da Ciancimino a Dell’Utri, la trattativa segreta tra Stato e mafia nel racconto inedito di un infiltrato”. Raccontiamo una storia straordinaria, molto poco conosciuta, quella di Luigi Ilardo, nome in codice Oriente.
Luigi Ilardo dal 1994 al 1996 ha smesso di essere un mafioso e è diventato un infiltrato, tutto quello che ascoltava e vedeva non era più a beneficio della sua famiglia mafiosa, ma a favore degli uomini dello Stato.
Luigi Ilardo è un caso eccezionale della lotta a Cosa Nostra, in pochi mesi fa decapitare le famiglie mafiose di tutta la Sicilia orientale, ma cosa più incredibile, inizia un rapporto epistolare con Bernardo Provenzano, Ilardo è il primo che racconta il metodo dei pizzini che consentiva a Bernardo Provenzano di comunicare all’esterno con i suoi uomini, Ilardo è il primo a raccontarcelo. Ilardo incontra Bernardo Provenzano il 31 ottobre 1995, e da infiltrato informa i Carabinieri del Ros, che però incredibilmente non arrestano il boss e soprattutto non mettono sotto osservazione il suo covo che per sei anni Bernardo Provenzano continuerà a frequentare indisturbato.
La storia di Luigi Ilardo ci ha consentito di vedere in diretta questo Patto, di farci quelle domande che ci si è sempre fatti, come mai Cosa Nostra, una banda di criminali, sia riuscita a durare così tanto, sia riuscita a imporre il proprio dominio non soltanto in Sicilia, ma nel nord Italia, ha investito, si è esportata in mezzo

Bernardo Provenzano e la pax mafiosa
La storia di Luigi Ilardo incrocia tanti misteri, tanti segreti che ormai forse non sono più né misteri né segreti, la verità è lì, basterebbe poco per poterla raccontare, per poterla vedere. Luigi Ilardo per primo fa il nome di Marcello Dell’Utri, lo definisce un insospettabile esponente dell’entourage di Silvio Berlusconi. Lo fa nel gennaio del 1994, racconta in diretta il patto politico – elettorale che il Gotha di Cosa Nostra avrebbe fatto con la nascente Forza Italia, fa i nomi e non è solo quello di Marcello Dell’Utri, noi li possiamo fare, ciò non significa che siano colpevoli queste persone di cui adesso racconterò, ma l’infiltrato Luigi Ilardo li fa, sono i nomi di Salvatore Ligresti, di Raul Gardini, fa in maniera particolare dell’entourage di Raul Gardini i nomi di famosi imprenditori a lui legati che poi saranno definitivamente processati e condannati per concorso esterno in associazione mafiosa, fa il nome di politici, a parte Dell’Utri, come quello del papà dell’attuale Ministro della difesa La Russa e di suo fratello Vincenzo e lega questo contatto che la famiglia La Russa avrebbe avuto con Cosa Nostra, insieme con la famiglia Ligresti. Tutto questo ci porta a vedere in maniera chiarissima quello che per Ilardo era normale, un patto tra Stato e mafia, quel patto che noi oggi vediamo chiaramente nei processi, la mancata cattura di Bernardo Provenzano, come la racconta Ilardo è finita in una processo che oggi abbiamo su tutte le prime pagine nei giornali, il processo al generale Mori, proprio perché quest’ultimo era l’ufficiale di più alto rango, responsabile di quell’operazione che avrebbe dovuto consentire l’arresto di Provenzano 11 anni prima di quando effettivamente è accaduto.
Il racconto di Massimo Ciancimino ci permette ancora di più di scendere nei particolari e i personaggi sono sempre gli stessi, in questo caso il generale Mori che nel 1992 incontra Vito Ciancimino, i contorni di questi incontri sono ancora sfuggenti per molti, sono chiarissimi per le sentenze, quella è stata una trattativa, l’obiettivo era di catturare alcuni capi latitanti e lasciarne altri fuori, come Bernardo Provenzano per esempio, quella mafia invisibile, affaristica che ripone nel fodero l’arma delle stragi, per portare avanti una vera e propria pax mafiosa, quindi la mancata cattura di Provenzano che raccontiamo attraverso questo racconto inedito dell’infiltrato Luigi Ilardo, non è altro che un tassello del patto tra Stato e mafia, noi ti lasciamo libero, tu non fai più le stragi, noi ti consentiamo di fare affari, anzi li facciamo insieme!

Omicidi di Stato e di mafia
Quella che abbiamo raccontato non è soltanto una storia di patti, di accordi, è anche una storia scritta con il sangue, il sangue di molti poliziotti uccisi, Ilardo racconta che un ruolo importantissimo hanno avuto i servizi segreti italiani in molti omicidi politici e non avvenuti in Sicilia, lui racconta che alcuni poliziotti sono stati traditi e uccisi da un misterioso agente dei servizi, Ilardo lo chiama “faccia da mostro” noi ci siamo chiesti: quante facce da mostro hanno girato indisturbate in Sicilia, commettendo delitti che come dice Ilardo non erano nell’interesse di Cosa Nostra? Di questi delitti adesso noi possiamo individuarli, sono il delitto di Piersanti Mattarella, il Presidente della Regione Sicilia ucciso nel 1980, il delitto di Pio La Torre, il capo dell’opposizione comunista alla Regione Sicilia, ci sono delitti di poliziotti che Ilardo individua come delitti non di mafia, ma di Stato, c’è una frase agghiacciante che Luigi Ilardo avrebbe detto nell’unico incontro avuto con il Generale Mori e la frase è questa: “Molti attentati addebitati a Cosa Nostra non sono stati commessi da noi, ma dallo Stato e voi lo sapete benissimo!”.

Il palazzo scomparso
E’ anche una storia di sangue quella dei magistrati, seguendo Luigi Ilardo, ci siamo imbattuti nell’ennesima storia incredibile, cioè quella di un palazzo che scompare, il palazzo è quello di via D’Amelio, in questo palazzo appena ultimato il 20 luglio 1992, a 24 ore dalla strage che ha ucciso Paolo Borsellino e i suoi ragazzi di scorta, due poliziotti e la Criminalpol salgono e si imbattono nei due costruttori, gli chiedono se hanno visto qualcosa, poi chiedono alla centrale via telefono se hanno precedenti penali, quei due costruttori sono due costruttori mafiosi, a quel punto sta per scattare l’arresto o quantomeno un interrogatorio in questura.Uno dei due poliziotti sale sulla terrazza e vede che il teatro della strage è lì, a due passi, c’è una visuale perfetta, nota anche delle cicche a terra, un mucchio di cicche a terra, il tempo di prepararsi a portare questi due costruttori in centrale per un interrogatorio, arriva un’altra volante, l’interrogatorio non si fa, i due poliziotti stilano un verbale e per 17 anni credono che quella pista sia stata abbattuta, invece no, oggi noi abbiamo riportato nel nostro libro la testimonianza, quel verbale di quei due poliziotti su quel palazzo gestito da costruttori mafiosi è sparito dalla Questura di Palermo. La Procura di Caltanissetta che indaga non l’ha trovato, c’è di più, i nomi di quei due costruttori finiranno da lì a poche settimane nei verbali di due importanti pentiti che accusavano Bruno Contrada n° 3 del Sisde e ex capo della Questura di Palermo, diranno questi pentiti: questi due costruttori hanno fornito a Bruno Contrada un appartamento, la loro versione ha retto in Cassazione, le indagini hanno appurato che questi due costruttori erano confidenti di Bruno Contrada e per conto di Cosa Nostra gli fornivano un appartamento. Quel palazzo di Cosa Nostra che dà su Via D’Amelio non è mai stato attenzionato dalle indagini, anzi a 48 ore dalla strage, in quel palazzo ritorna una squadra di Carabinieri, scrive un rapporto e dicono che è tutto a posto, strano, perché quel palazzo con quei costruttori era il primo luogo che si sarebbe dovuto indagare, ancora oggi, com’è noto, noi non sappiamo dove gli attentatori della strage di Via D’Amelio si sono piazzati, nessun pentito ce lo racconta, probabilmente perché davvero non è solo un segreto di mafia ma è anche un segreto di Stato.

Luigi Ilardo viene tradito, viene ucciso, i suoi racconti rimangono blindati, il colonnello Michele Riccio che li raccoglie subisce un arresto, una serie di disavventure, ma finalmente la verità di Ilardo, della mancata cattura di Bernardo Provenzano arriva in un’aula di giustizia e è quell’aula di giustizia dove oggi stanno venendo fuori tanti particolari su una trattativa tra Stato e mafia!”

Blog di Beppe Grillo – Gli inceneritori di Erode

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Gli inceneritori di Erode.

Uno studio inglese dimostra (ancora una volta) l’estrema pericolosità degli inceneritori. Nel sito della “UK Health Research” sono presenti le rilevazioni tra il 2004 e il 2008 nelle zone circostanti l’inceneritore di Kirklees nel West Yorkshire correlate alla mortalità infantile. Le zone sottovento, più esposte alle emissioni dell’inceneritore, presentano una percentuale del 9.6 per mille contro l’1,1 per mille delle zone sopravento. Rifiuti nell’inceneritore, rifiuti nei polmoni dei bambini.

Messaggio dei magistrati di Caltanissetta per il sit-in di solidarieta’ ai colleghi di Palermo

Solidarietà ai magistrati antimafia anche da parte degli autori di questo blog.

Fonte: Messaggio dei magistrati di Caltanissetta per il sit-in di solidarieta’ ai colleghi di Palermo

Riportiamo di seguito il messaggio di saluto che il dott. Giovanbattista Tona Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta, ha inviato a nome suo e di tutti i colleghi degli uffici giudiziari nisseni in occasione del sit-in di solidarietà ai magistrati di Palermo svoltosi sabato 13 febbraio 2010 davanti al palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano.

Vi prego di portare il saluto mio e di tutti i colleghi che operano a Caltanissetta a coloro che parteciperanno alla manifestazione che si svolgerà a Palermo domani 13 febbraio, per continuare a dare voce a questo grande sentimento di partecipazione e di cittadinanza che, a partire dal sit-in spontaneo di Caltanissetta del 23 gennaio, ha preso il nome di “scorta civica” e si ripromette di contagiare tutta l’Italia.

Vi siamo grati per tutto ciò che state facendo per dimostrare ai magistrati che non sono soli dinanzi ai rischi di ritorsione e di vendetta da parte della criminalità organizzata. State offrendo un conforto a giudici e pubblici ministeri ma soprattutto state rendendo un servizio al Paese che, in questo modo, mostra di sé l’immagine pulita di chi non accetta la violenza, l’illegalità e la prevaricazione.

Siamo idealmente vicini a voi e ai nostri colleghi minacciati a Palermo; e saremo insieme a voi idealmente vicini ai magistrati minacciati nel resto della Sicilia, in Calabria e via via nelle altre parti del territorio nazionale dove l’arroganza criminale cerca di prendere il sopravvento.

Caltanissetta, 12 gennaio 2010

Giovanbattista Tona

Tratto da: 19luglio1992.com

Complottisti. E popcorn

Fonte: Complottisti. E popcorn

Il 13 dicembre Massimo Tartaglia taglia come il burro la scorta di Berlusconi e riesce a colpirlo non con un fucile di precisione dalla cima di un palazzo, ma da mezzo metro con un souvenir che tiene in mano.
Prima reazione di Di Pietro: “Sono contro la violenza, ma Berlusconi con il suo comportamento e il suo menefreghismo istiga alla violenza”.
Prima reazione di Maroni, ministro dell’interno, condannato in via definitiva per aver tentato di mordere un polpaccio ad un agente durante la perquisizione alla sede della Lega: “L’episodio gravissimo di ieri trae le sue cause nel clima di contrapposizione violenta e nelle parole dettate dalla dialettica politica”. Sarà.
Primo bollettino medico: frattura del setto nasale e ferita lacero-contusa che ha richiesto punti di sutura al labbro inferiore. “E’ molto scosso, abbattuto e dispiaciuto”, dice il primario. Prognosi: venti giorni.

IL MIRACOLO

Poi, d’improvviso, succede qualcosa. Berlusconi, riporta l’Ansa il 13 dicembre, confessa a Emilio Fede: “Sono miracolato, un centimetro in più e avrei perso l’occhio”.
E il viavai al capezzale riunisce tutte le forze politiche. Condanna al gesto di violenza, “senza se e senza ma”, dichiara Bersani all’uscita dall’ospedale. Solidarietà, incontri, auguri. Tartaglia viene intanto descritto come un inventore pazzo orientato nel suo gesto dalle parole contro il premier di precisi mandanti morali: giornalisti (Marco Travaglio) e politici (Di Pietro).
Ed è un clamoroso crescere di eventi. Le condizioni di Berlusconi si fanno più serie. La prognosi, riportano le cronache, passa da 20 a 90 giorni. Una prognosi, per essere chiari, gravissima: come quella di un sudamericano cui avevano tagliato un braccio con un machete a Treviso (22/6/08), come l’operaio che si era fratturato addirittura una vertebra cadendo da tre metri in un cantiere (4/8/09), come il rumeno salvato da un carabiniere mentre bruciava vivo in un’auto a Verona (7/8/09), come l’uomo che perse un occhio nel verbano a capodanno del 2007, come il ragazzo di Oristano preso a roncolate dal fratello e finito in ospedale con ferite e fratture a rotula e femore (29/6/05), come il macedone preso a pistolettate nel torinese che rischiava la paralisi (28/05/01), come il superstite di 62 anni caduto nientemeno che da un ultraleggero a Ravenna (16/10/08), come infine la donna di 87 anni investita da un’auto a Bologna con lesioni a torace, vertebre e invalidità permanente (10/2/2003). Novanta giorni, pesantissimo. E allora, fine delle critiche. Tutti muti.
A Natale, Berlusconi, alle agenzie: “Dopo quanto accaduto in piazza del Duomo il clima politico sembra cambiato in meglio: si è certamente rasserenato”. Vero. E quando esce col cerottone ben visibile sul volto e quando poi lo toglie dopo un solo mese e non c’è alcun segno sul suo viso, di fronte a novanta giorni di prognosi su un uomo di 74 anni, è difficile non gridare al “miracolo”. E’ come se il tizio con la vertebra fratturata facesse capriole dopo un mese o se, sempre dopo un mese, l’uomo caduto dall’ultraleggero si mettesse a saltare da mattina a sera. Il professor Nicolò Scuderi, chirurgo plastico de L’Università La Sapienza di Roma, impiega mezza pagina per spiegare ai lettori stupefatti di Oggi che il tutto può essere spiegato con una “coincidenza di fattori fortuiti (nella fattispecie: sede e tipologia del trauma) e del ricorso a una serie di tecniche chirurgiche all’avanguardia. Anche il tipo di pelle, bisogna dire, ha contribuito al recupero ottimale”.
Sarà di sicuro così. Ma martedì arriva il responso della perizia medico legale chiesta dalla Procura: prognosi da venti a quaranta giorni. Non quaranta d’acchito. Da venti a quaranta. Nella migliore delle ipotesi, meno della metà del previsto. Nella peggiore, venti giorni, meno di un quarto.
E nemmeno si può ipotizzare un complotto dei medici rossi, novelli Che Guevara in mano alla Procura, perché la prognosi è addirittura più generosa della prima fatta al San Raffaele. L’aggressore è appena stato rinviato a giudizio.
E la vicenda comincia a ritornare in un alveo di normalità. Anche se una parte, quella dei “mandanti”, poteva pure essere risparmiata fin dall’inizio: bastava leggere bene il blog di Tartaglia, che pure è stato visto (www.myspace.com/elisirmus

icpicture, tornato recentemente attivo) e guardare tra le sue amicizie, per accorgersi che non c’era alcun riferimento politico o giornalistico tra queste, ma quasi esclusivamente artisti o aspiranti tali. Per vedere che Tartaglia, per il quale la difesa ha chiesto l’ infermità mentale, era tutt’altro che un inventore pazzo facilmente orientabile. Visto che aveva tra i suoi partners ingegneri elettronici (si veda il suo sito, musicpicture.it) e che il suo sistema opto-audio-elettronico è tuttora tra le 17 opere in vetrina sul “marketing delle tecnologie” (marketingdelletecnologie.it), iniziativa portata avanti nientemeno che dalla Fondazione del Politecnico di Milano.
Invece, è stato montato un enorme dibattito politico sul clima d’odio, diventato presto d’amore. E un dibattito sulla più suggestiva miracolosa guarigione, per un episodio imprevedibile ma capitato solo grazie al fatto che un uomo insospettabile era riuscito a fra breccia nella scorta. E qui, arriva Genchi.

DAL PALCO DELL’IDV
Quando arriva al congresso dell’Idv è un assalto di baci e abbracci. Sale sul palco. E racconta ciò che ha già detto su Telelombardia, in miriadi di interviste e di incontri pubblici, filmati e mandati su Youtube. Basta rivederli per capire a cosa si riferisca: sono tutti uguali. Esprime cioè tutti i suoi dubbi sull’anomalia del comportamento della scorta, che secondo qualsiasi protocollo di sicurezza, non dovrebbe mai aprirsi. Ricorda anche, come ha sempre fatto, che la scorta il premier se l’è scelta lui. E che in passato, avvalendosi di collaboratori poco validi, Berlusconi, già montò un caso clamoroso partendo da un altro fortuito episodio: il ritrovamento di una microspia nel suo studio.

Era l’11 ottobre 1996. Dall’Ansa:
”E’ stata trovata durante una bonifica fatta fare a una ditta specializzata; mi hanno spiegato che era perfettamente funzionante e che poteva trasmettere fino a 300 metri di distanza”. La microspia e’ stata trovata mercoledi’ mattina, ma Berlusconi ha spiegato di aver preferito aspettare che i controlli confermassero che quell’ oggetto fosse una microspia attualmente funzionante. ”Voglio anche denunciare alla pubblica opinione una violazione della mia persona, della mia funzione di parlamentare e di leader di Forza Italia. Dico questo anche per tutti i cittadini che si sentono minacciati ogni giorno nei loro diritti”.
Immediate le reazioni. I titoli: Casini: “Polo nel mirino”. Fini: “Servizi deviati ipotesi verosimile”. Mastella: “Clima che debilita la democrazia”. Taradash: “E’ stato potere occulto”. Dalla latitanza si fece vivo pure Bettino Craxi: “Cercare i golpisti”. Solidarietà, allarmismi e preoccupazione. Durò sette mesi. Poi il caso venne archiviato: la pericolosa microspia trovata dalla ditta specializzata nelle bonifiche e “perfettamente funzionante” era “inidonea all’ascolto”. Non andava. Nessuna spy story. La Procura indagò anzi proprio la ditta incaricata dallo staff di Berlusconi della bonifica. Ma poi, alle cronache, non è noto più nulla. Il circo mediatico aperto dal nulla si spense.

6 FEBBRAIO
E allora Genchi, dal palco, definisce, come sempre ha fatto, “pantomima”, tutto ciò che accade dopo il colpo di Tartaglia: il premier lasciato ben visibile in mezzo alla folla dolorante col “fazzolettone”, che poi è una busta, il premier messo in macchina ma poi lasciato uscire dalla scorta in una maschera di sangue, senza sapere in quel momento se ci fossero o meno altri attentatori. Lui che sale su e giù dall’auto davanti alle telecamere. E tutto ciò che accadrà anche in seguito: il cerottone e la nascita del “partito dell’amore” che, in maniera “provvidenziale” manda in secondo piano tutte le accuse cui è chiamato in questo periodo. In sala, ovazioni. Passa a parlare del suo lavoro nel processo sulle talpe nella DDA di Palermo, terminato in appello con la condanna di Cuffaro. E tutti, dirigenti dell’Idv sul palco compresi, si alzano in piedi. Oltre un minuto di applausi. Ma lascia il congresso con una frase maledettamente profetica sulle “cattiverie che vedrete anche nei prossimi giorni”. Sbaglia solo i tempi. E’ questione di ore.
Scende, e va a sedersi nel posto che gli hanno riservato in seconda fila. Di fronte ha due sedie vuote, con i cartelli indicanti due nomi che non gli tornano, due persone che arriveranno poco dopo: Bersani. E Latorre, lo stesso Nicola Latorre che appare plurime volte nel suo lungo racconto che mi ha fatto nel libro “Il caso Genchi.”
Capisce che qualcosa non funziona. Gli sussurrano che al congresso avrebbero appoggiato la candidatura di De Luca in accordo col Pd. Lo stesso De Luca per il quale nel 2005 l’allora pm di Salerno Gabriella Nuzzi aveva chiesto l’autorizzazione a procedere. La Nuzzi defenestrata per il noto decreto di sequestro e perquisizione fatto a Catanzaro.
Si alza. Saluta. Piglia un taxi. E se ne va.

Alle 11, 01. L’Agi:
CONGRESSO IDV: GENCHI, MIRACOLO QUELLA MADONNINA PER BERLUSCONI. (AGI) – Roma, 6 feb. – “Provvidenziale, quella statuetta della Madonnina. Il cui principale miracolo pare sia stato quello di salvare dalle dimissioni Silvio Berlusconi per quello che stava emergendo, dalle dichiarazioni della moglie, da qualche microfono lasciato aperto mentre Fini diceva delle verita’”. Gioacchino Genchi offre alla platea congressuale Idv la sua lettura di uno degli episodi che hanno segnato la cronaca politica recente. Genchi rilancia i dubbi sulla dinamica dell’aggressione di Tartaglia richiamandosi “a quei tanti giovani che su Youtube la stanno analizzando perche’ non poteva essere vera”. Genchi parla (raccogliera’ una vera e propria standing ovation quando rivendica il proprio impegno antimafia) e “da poliziotto che ha diretto servizi di ordine pubblico” allinea dubbi su quella serata in piazza Duomo, non senza toni molto coloriti come quando osserva che “nella protezione delle personalita’ c’e’ sempre un anello di protezione, come un preservativo, che non puo’ essere rotto, tranne per chi ama i rapporti a rischio e tra questi i rapporti non protetti”. Il funzionario di polizia critica “quella scorta fatta in casa, scelta da chi aveva un capomafia, un assassino, un trafficante come Mangano a vigilare sulla propria famiglia. Un capomafia fatto passare come stalliere e poi promosso, di fronte alle proteste della mafia, addirittura al rango di ‘eroe'”. Ancora ironie sulle scene del ferimento di Berlusconi: “Qualunque scorta porta via la personalita’ dal luogo dell’aggressione, per evitare che sia uccisa, insieme alla scorta stessa e ad altri inermi. Invece gli hanno fatto fare quello che voleva, e abbiamo visto spuntare quel fazzoletto, nero, enorme. Perche’ al nostro premier piacciono accessori di dimensioni inversamente proporzionali alla sua statura. Un fazzolettone enorme, dal quale sembrava dovesse uscire fuori il coniglio di Silvan. Enorme come il cerottone e come la macrospia che tiro’ fuori anni fa per accusare le Procure”. Ancora pesanti ironie su “quei bollettini medici da Papa morente, dopo il quale lo abbiamo visto tornare meglio di prima, se meglio si puo’ dire parlando di Silvio Berlusconi”. (AGI)

Ore 11,10, L’Apcom:
Berlusconi/ Genchi: Qualcosa di strano nell’attentato del Duomo Berlusconi/ Genchi: Qualcosa di strano nell’attentato del Duomo Statuetta provvidenziale gli ha evitato dimissioni Roma, 6 feb. (Apcom) – La statuetta che ha colpito Silvio Berlusconi in piazza Duomo lo ha salvato dalle dimissioni: lo ha detto, in un applauditissimo intervento di fronte alla platea del congresso dell’Italia dei Valori in corso a Roma, Gioacchino Genchi, il poliziotto consulente delle procure coinvolto nelle polemiche legate alla inchiesta Why not che ha portato alle dimissioni dalla magistratura di Luigi de Magistris, oggi eurodeputato dell’Idv. Fu “provvidenziale quella statuetta – ha sostenuto – miracolosa, ha salvato Silvio Berlusconi dalle dimissioni forse imminenti”. Secondo Genchi “qualcosa non poteva essere vero” nei fatti di piazza Duomo. Basandosi sulla sua esperienza di funzionario di polizia, ha spiegato che “ogni servizio d’ordine ha un anello come un preservativo a protezione delle personalità”, e se con Berlusconi non ha funzionato è perché “ama i rapporti a rischio” e ha “la scorta fatta in casa”. In particolare, inverosimile appare al vicequestore palermitano il fatto “che non sia stato portato via” dopo il lancio della statuetta, “come si fa in qualunque servizio di scorta per evitare rischi ulteriori per la personalità e la stessa scorta. Gli hanno consentito di fare quello che voleva. E allora abbiamo visto il fazzolettone, sembrava quello di Silvan, pareva dovesse uscire un coniglio, un colombo…”. Un fazzolettone, “perché al premier piace scegliere accessori inversamente proporzionali alla sua persona, come quando ha esibito la macrospia trovata nel suo ufficio accusando le procure rosse, io ne ho viste di microspie e non sono fatte così, poi si è capito – ha detto ancora Genchi – che l’aveva messa qualcuno dei suoi…”.

E fin qui le agenzie raccontano della dinamica.
Ma alle 11,10, l’Ansa va oltre:
IDV:CONGRESSO; GENCHI, FINTA AGGRESSIONE TARTAGLIA A PREMIER HA SALVATO PREMIER DA DIMISSIONI CHE SAREBBERO ARRIVATE (ANSA) – ROMA, 6 FEB – ”Nel lancio della statuetta del duomo di Milano a Berlusconi non c’e’ nulla di vero”.Lo sostiene Gioacchino Genchi, consulente informatico per diverse procure, nel suo intervento al congresso dell’Idv a Roma. Secondo Genchi ”dopo l’outing della moglie di Berlusconi e il fuorionda” di Gianfranco Fini a Pescara ”provvidenziale e’ arrivata quella statuetta che miracolosamente ha salvato Berlusconi dalle dimissioni che sarebbero state imminenti”. Genchi per sostenere la sua tesi cita: ”la mia esperienza in polizia” e i ”video che tanti giovani propongono su Youtube per capire che nel lancio non c’e’ nulla di vero”. L’ex consulente dell’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris punta il dito contro la scorta che ”e’ come un anello o un preservativo che non puo’ essere rotto,, e contro lo stesso Berlusconi che ”e’ uscito da quell’anello”. Per parla di una ”pantomima coronata da quell’uscita di quel fazzoletto nero ed enorme che sembrava quello di Silvan dal quale mancava solo che uscisse un coniglio” e ricorda anche la vicenda di diversi anni fa quando Berlusconi, all’ epoca all’ opposizione, mostro’ ”un ‘cimicione’ enorme che ritrovo’ nel suo studio accusando le procure rosse e che era chiaramente falsa”. Genchi, nel suo intervento, difende poi Di Pietro ”dagli schizzi di fango che stanno arrivano”. ”Temo – sostiene – che sia solo l’inizio perche’ Di Pietro proprio alcuni giorni fa con sofferenza ha deciso di non far mancare l’appoggio ad una alleanza di centrosinistra per un freno al governo Berlusconi”.

Non serve commentare. Ecco il video integrale: http://www.radioradicale.it/scheda/296772/lalternativa-per-una-nuova-italia-congresso-nazionale-de-litalia-dei-valori-seconda-giornata
Lo vedrete per tre settimane e conviene scaricarlo. Perché poi Radio Radicale lo toglie dalla Rete.

Ore 11,26. L’Apcom batte un’altra agenzia:

Mafia/Genchi: Non un caso arresto Graviano dopo ‘discesa in campo’ Mafia/Genchi:Non un caso arresto Graviano dopo ‘discesa in campo’ “Latitanti vengono catturati quando non servono più” Roma, 6 feb. (Apcom) – C’è un legame fra l’arresto dei fratelli mafiosi Graviano nel 1994 e la ‘discesa in campo’, ovvero l’autocandidatura di Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio. Lo ha detto il vicequestore Gioacchino Genchi, l’ex consulente delle Procure coinvolto a suo tempo nelle polemiche sull’inchiesta Why not che hanno portato alle dimissioni dalla magistratura di Luigi de Magistris, oggi deputato europeo dell’Idv. Intervenendo al congresso nazionale dell’Idv, Genchi ha offerto una sua personale ricostruzione degli ultimi vent’anni della storia d’Italia e del rapporto fra mafia e politica, di quella “trattativa di cui oggi ci sono evidenze”, ha affermato. “Non è un caso che i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano il 7 febbraio del ’94, dopo la dichiarazione di Silvio Berlusconi del 6 febbraio che si sarebbe presentato alle elezioni (in realtà Berlusconi parlò il 26 gennaio, l’arresto dei Graviano avvenne il 27 gennaio, ndr)”. “Non è un caso che i latitanti mafiosi e assassini vengano arrestati quando non servono più, vengano usati per quelle catture televisive che servono alle carriere di certi poliziotti, di certi magistrati, di certi politici”, ha detto ancora Genchi polemizzando con lo scrittore anticamorra Roberto Saviano: “Non è un caso che un anno dopo la copertina di Panorama dedicata a me come ‘scandalo’ abbia avuto la dedica della copertina dopo aver parlato di Maroni come miglior ministro dell’Interno”.

E alle 11,49 cominciano gli attacchi. Casoli. Rotondi. Ronzulli: “diffidiamo delle analisi sull`aggressione a Berlusconi dello spione telefonico Genchi”.
A loro piace attribuire reati mai provati, “spione”. Agli altri naturalmente. Quelli già confermati in Cassazione per gli esponenti del loro partito, quello è il solito complotto.
E allora sono reazioni evidenti.
Alle 13,30 arrivano al congresso Bersani e Latorre.

Poi, alle ore 15,12, passate le ovazioni, cominciano le reazioni anche dall’Idv. La prima, è di de Magistris. Alle 15,12, Adnkronos:

BERLUSCONI: DE MAGISTRIS, MAGISTRATURA APPROFONDISCA SU AGGRESSIONE TARTAGLIA Roma, 6 feb. – (Adnkronos) – “Non ho ascoltato cio’ che ha detto Genchi. La magistratura deve fare approfondimenti seri, come dissi subito ci sono aspetti che non mi convincono, ma non credo sia utile aprire una polemica politica”.

Lui, non ha ascoltato. Chi invece lo ha fatto è sicuramente Massimo Donadi, balzato sul palco subito dopo l’intervento. E’ stato l’ultimo ad abbracciarlo. E a baciarlo. Tanto che Genchi aveva avuto il suo bel daffare per alzarsi sulla punta di piedi e raggiungerne guance.
E infatti, alle 15,42, l’Apcom batte la sua nota. Ma non è quella che ci si aspetta: “È grave che Genchi abbia fatto certe affermazioni al congresso di Idv, noi rinnoviamo la nostra ferma condanna del gesto di Tartaglia. Queste tesi fantascientifiche non appartengono alla cultura della giustizia e della legalità di Idv”.

Genchi, ormai già in Sicilia, diretto a Caltanissetta, legge l’agenzia. Chiama l’ufficio stampa di Donadi e chiede conto della nota. Pensa di essere in un film. Spiega che Donadi lo sa che lui non ha mai detto che l’aggressione era una finta e non comprende perchè abbia dichiarato queste cose.
Ma l’ufficio stampa dell’Idv non chiarisce le frasi accusatorie di Donadi. No, manda un comunicato con le precisazioni di Genchi. Cioè l’ufficio stampa dell’Idv non manda una sua nota, ma, molto premurosamente, ne invia una di Genchi.
Che esce alle 18,10.
Passano venticinque minuti. Prima reazione di Di Pietro: “La teoria del finto attentato mi pare inimmaginabile e fantasiosa. Purtroppo la statuetta in faccia al presidente del Consiglio c’è stata ed è stato un atto grave ed inaccettabile.” Eppure, anche lui lo sa che Genchi non ha detto che l’attentato è falso.

Ma non serve altro. E’ uno stupendo fiorire di durissime dichiarazioni, come ai tempi della microspia. Reagiscono tutti. Sulle agenzie c’è una sola clamorosa assenza. Hanno reagito quelli del Pdl, ovviamente. Ha reagito Casini per l’Udc, ma questo è ancora più ovvio, leggendo la storia di Genchi e le montagne di condanne portate con le sue consulenze a numerosi politici dell’Udc, compresa proprio quella in appello per Cuffaro, sulla quale le ovazioni al congresso si sono sprecate.
Ha reagito l’Idv, che pure era lì ad ascoltarlo e ad applaudirlo. Mancano però, per la verità, sulle agenzie, le prese di posizione di un grosso partito. Non ce n’è proprio traccia.
Manca infatti all’appello “una parola una” detta da un esponente del Pd. Curioso.

Il giorno dopo, sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista: Finalmente, il popolo dei complottisti esce dalla riserva indiana e conquista il palco della politica. Il mondo parallelo degli adepti del cospirazionismo, dopo aver celebrato i suoi fasti nella saga di Dan Brown, dopo essersi globalizzato nell’immensa arena del web, prende il centro della scena in un congresso di partito. Il suo profeta si chiama Gioacchino Genchi, il re dei tabulati telefonici, l’archivio vivente di misteriose «tracce» che riguardano centinaia di migliaia di connazionali, che ha scatenato la standing ovation dell’Idv e ha identificato nel souvenir del Duomo l’arma letale del Grande Complotto. La fantasia al potere, anche se forse non è la stessa di quella sognata dai sessantottini.

LE FOTO DI DI PIETRO CON CONTRADA
Già. C’è naturalmente complottismo e complottismo. A Battista piace più guardare quelli, presunti, degli altri. Un vizio ormai di tanti, guardare altrove. Perché improvvisamente Battista dimentica che non un anno ma solo una settimana addietro, sullo stesso Corriere della Sera di cui lui è vicedirettore e non l’usciere, erano state pubblicate le foto di Di Pietro con Contrada del dicembre 1992, nove giorni prima dell’arresto del numero tre del Sisde. Ed era stato facile giocare su quelle pagine e su quelle foto, alla dietrologia.
Anche se qualcuno le ha tirate fuori 18 anni più tardi, e non quando, ad esempio, Di Pietro aveva nel Paese una popolarità dell’80%. Non quando quelle foto, se fossero andate in mano al sultanato della Prima Repubblica, il CAF, avrebbero potuto dare col clima avvelenato, sospettoso e giacobino che c’era, un freno al viavai di arresti di Tangentopoli che portarono alla fine dei vecchi partiti.
Così come più d’uno tentò di fare con le decine e decine di accuse portate a Brescia, dal pm Fabio Salamone, tutte rigorosamente archiviate.
Sarebbero state utili per un violentissimo attacco al simbolo del pool.
Invece quelle foto non uscirono mai per salvare la Prima Repubblica.
Anche perché, di fronte al drappo dei carabinieri e alla caserma che appaiono nelle foto, si pensò probabilmente a porre un freno all’immaginazione.
Diciotto anni più tardi, con Contrada passato ormai alla storia come il funzionario infedele, giocando sulla memoria corta, è allora molto più facile, con quelle foto in mano, giocare al complottismo per il Corriere e per tutti gli altri giornali, a ruota. Dura un po’. Poi, a spegnere le fiammate, ci pensa, manco a dirlo sullo stesso Corriere, il 4 febbraio 2010, un diplomatico editoriale di Sergio Romano alla vigilia del congresso dell’Idv, dal titolo emblematico “L’ossessione del complotto”: “E’ accaduto che la fotografia di un uomo politico, scattata negli anni in cui era magistrato e apparsa ora sul Corriere, abbia generato l’ultimo complotto italiano. Ed era accaduto anche giorni prima per le ricostruzioni sulle rivelazioni di una famosa escort, apparse anch’esse sul Corriere. Nulla di nuovo. La storia degli ultimi decenni, dalla caduta del fascismo a oggi, è una lunga lista di complotti. Non c’è avvenimento, piccolo o grande, dietro il quale non sia stata immaginata la mano di un regista occulto, di un burattinaio, di un «grande vecchio».
E sì che alla fine, in mano, il Corriere della Sera aveva solo foto scattate in una caserma dei carabinieri tra un magistrato e un poliziotto. Un pm e un tutore della legge in una struttura dello Stato.
Ma appunto c’è complottismo e complottismo. Uno vero, azionato dalle foto del Corriere della Sera di Battista. E uno di cui Battista accusa Genchi, azionato dalle parole non dette da Genchi al congresso.
Interessante.
Ma il migliore, in materia, si presentò però proprio per la vicenda della microspia trovata nello studio di Berlusconi. Mentre tutti solidarizzavano con l’attuale premier e lanciavano allarmi e suonavano sirene, il solito complottista l’11 ottobre 1996 dichiarò all’Ansa: “Le microspie vengono usate solo nei film di James Bond. Secondo me la microspia nello studio di Berlusconi è stata messa o da Berlusconi stesso o da qualcuno dei suoi per fargli fare la figura della vittima”. No, non era Genchi a parlare. Si chiama Roberto Maroni, sempre lui, quello del polpaccio e delle critiche al “clima di contrapposizione violenta”. Oggi fa il ministro dell’interno del Governo Berlusconi.
Questione di destino. Quello di Genchi invece lo profetizza ora Panorama, ottimamente informato, che anticipa la sua possibile destituzione dalla polizia. E questa volta non per aver risposto su Facebook, ma per l’intervento sulla “finta aggressione”. Quell’intervento travisato da chi lo aveva abbracciato poco prima, Donadi e Di Pietro, incoronando, poco dopo, De Luca a simbolo della nuova alleanza col Pd.

Edoardo Montolli (13 febbraio 2010)

E’ l’ora dei Bertoladri. Mazzette da Roma a Milano.

Fonte: E’ l’ora dei Bertoladri. Mazzette da Roma a Milano.

Più intercettazioni escono, più si capisce perché le vogliono abolire. Non c’è niente di meglio che ascoltare la nostra classe dirigente, anzi digerente, e i nostri imprenditori, anzi prenditori, per capire da chi siamo governati. Eppure, grazie alle inchieste di Espresso, Repubblica, Annozero, Report e Il Fatto, chi fossero Bertolaso e la sua band si poteva intuirlo.

Solo un’informazione serva e salivare poteva scambiare questo bluff semovente, travestito da calciatore della Nazionale, per “un servitore dello Stato nel mirino dei giudici” (Vespa, Pompa a Pompa), “il virgilio delle catastrofi, la straordinaria normalità, jeans&polo, voce piana e forte appeal, l’uomo che piace a tutti tranne che ai magistrati che provano a inzaccherargli la divisa” (Mario Giordano, Libero anzi Occupato), “un efficace organizzatore” (Sergio Romano, Pompiere della Sera), “un tecnico capace ed efficiente” (Littorio Feltri, il Geniale), “l’homus berlusconianus (sic), quello del ‘basta con le chiacchiere’, della politica del fare, dei metodi spicci, lo zar di tutte le emergenze” (Peppino Caldarola, Il Riformatorio), “un uomo che fa del bene e quindi viene perseguitato” (il Banana).

Ora, grazie alle intercettazioni, anche i non vedenti e i non scriventi sanno chi è e di chi si circonda: un cenacolo di stilnovisti che, molto fisionomisti, si autodefinivano “cricca di banditi”, “immersi in un liquido gelatinoso ai limiti dello scandalo”, “combriccola”, “gente che ruba tutto il rubabile”, “bulldozer”, tipi “da carcerare”. Infatti sono stati accontentati. Siccome anche la toponomastica ha un peso, l’appaltatore-elemosiniere di Bertolaso, Diego Anemone, risiede in via Regalìa: più che un indirizzo, una vocazione. Infatti, per rastrellare contanti per gli incontri con San Guido, si rivolgeva a un prete, don Evaldo, per gli amici “don Evà”. Ma le mazzette erano soprattutto in natura, ultima evoluzione di Tangentopoli: fuoriserie e aerei a sbafo, ristrutturazioni e divani gratis, escort e massaggi tutto compreso, assunzioni di figli e domestici. Ecco, la famiglia prima di tutto: Angelo Balducci, uno dei BertoBoys, tenta di piazzare il figlio: “Compie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? Un cazzo”.

Un genitore esemplare. La regola è non pagare mai il conto: quando Anemone in versione marina organizza soggiorni all’Argentario per Carlo Malinconico, segretario generale di Palazzo Chigi e poi presidente degli Editori di giornali, precisa: “Mi raccomando, non è che si distraggono e gli fanno il conto!”. Non sia mai. In altre telefonate sembra di riascoltare i furbetti del quartierino. Fazio: “Ho messo la firma”. Fiorani: “Tonino, sono commosso, io ti ringrazio… ho la pelle d’oca… ti darei un bacio sulla fronte ma non posso farlo… prenderei l’aereo e verrei da te, se potessi”. Ora un altro dei BertoBoys, Fabio De Santis, meravigliosamente definito dalla burocratjia della Protezione civile “soggetto attuatore”, dice ad Anemone: “Dammi un bacio sulla fronte”. Anemone va un po’ più in giù: “Dove vuoi, pure sul culo se mi dai una buona notizia”. Altri ingredienti ricordano i sistemi di Bancopoli, Calciopoli e Parmalat, col controllo sulle sole variabili impazzite rimaste: non il Pd, figuriamoci, ma i pochi giornalisti e magistrati che ancora fanno il proprio mestiere. Il giornalista spione riferisce quel che sta per scrivere Fabrizio Gatti sull’Espresso, mentre – secondo l’accusa – il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro spiffera notizie agl’indagati (l’avevano già pizzicato nel caso Unipol, infatti coordinava le indagini sui grandi eventi). Completano il quadro le “ripassate” di Bertolaido a Francesca e a un’altra signorina (“una fisioterapista di mezza età”, garantisce il premier, sempre informatissimo), ma a scopo di “terapia” per “riprendermi un pochettino”. E aggiungono un tocco di berlusconianitudine al tutto (il listino del Beauty Salaria include il “trattamento fango”, 65 euro tutto compreso). Ce n’è abbastanza per l’immediata nomina di San Guido a ministro, con legittimo impedimento incorporato: un Bertolodo.

da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2010

“Gasparri e La Russa non vogliono il regolamento antimafia”

Fonte: “Gasparri e La Russa non vogliono il regolamento antimafia”

L’accusa di Granata. E la Napoli dice “Renderebbe complicato fare le liste in Calabria”

di Sara Nicoli

Un bel guaio. Non si potrebbe definire altrimenti quello che sta andando in scena nella Commissione bicamerale Antimafia presieduta da Beppe Pisanu. E che si è messa in testa, sospinta dalla volontà del medesimo presidente ma con il supporto di tutti i gruppi parlamentari che la compongono, di dare il via a un regolamento antimafia sulle candidature alle prossime elezioni regionali davvero a prova di bomba. Solo che, proprio mentre si stava arrivando alle battute finali su un testo che non solo prevederebbe la decadenza di chi è rinviato a giudizio pur essendo stato eletto ma che espande – addirittura – questi vincoli anche su sindaci, assessori e pure consulenti di un consiglio regionale, ecco che in scena è entrato il capogruppo Pdl Antonino Caruso. E che, per farla breve, ha detto che quel regolamento non s’ha da fare.

Pisanu si è arrabbiato e ha rinviato tutto di un paio di settimane, ma la spaccatura dentro il Pdl è emersa con chiarezza. Perché Caruso ha tentato di vanificare un regolamento davvero incisivo sul fronte antimafia?

“Glielo spiego io il perché – tuona il vicepresidente della Commissione, l’ex aennino Fabio Granata – perché questa volta metteremmo davvero nei guai chi vuol fare il furbo, perché nel regolamento abbiamo scritto anche l’obbligo della Commissione di rivedere tutte le candidature, una volta stilate e di relazionare al Parlamento in merito a quelle posizioni che vengono considerate fuori dalle regole antimafia. Lei capisce che si tratta di una presa di posizione politica molto forte, ma Caruso è arrivato addirittura a dirci, per mettersi di traverso, che la Commissione antimafia non aveva il potere di fare una cosa del genere e ha presentato una serie di emendamenti per rendere tutto l’articolato meno vincolante. E stiamo parlando solo di cinque articoli”.

Granata svela anche al Fatto quelli che sarebbero i retroscena dell’agire del capogruppo Caruso che “ci tiene tanto – sostiene ancora Granata – ad evitare deterrenti morali per i partiti”.
“Sono Gasparri e La Russa che non vogliono che ci sia questo regolamento – dice ancora Granata – perché hanno una sensibilità politica diversa”.

Solo questo? Angela Napoli, pidiellina in Commissione antimafia, mette il dito direttamente nella piaga: “Gasparri sta sovrintendendo in prima persona alla stesura delle liste in Calabria, visto che Scopelliti è il suo pupillo, e a quanto ne so stanno anche deviando alcuni candidati su liste collegate a quella del presidente in modo che non appaiano direttamente collegati al Pdl, questo almeno si dice; e il regolamento renderebbe tutto molto più complicato. Ecco perché Gasparri difende Caruso”.

A questo scontro assiste, al momento silente, l’opposizione: “Mi sembra – spiega la senatrice Pd, Silvia Della Monica – che siano beghe in casa Pdl, ma se la questione dovesse precipitare faremo la nostra parte”.
E’ chiaro che la questione del regolamento antimafia per le regionali è solo la punta dell’iceberg. Berlusconi, infatti, è tornato a chiedere una lesta revisione della legge sui pentiti subito appoggiata (anche questa) da Maurizio Gasparri. Che ieri, confermando tutte le voci che lo riguardano soprattutto nel Pdl, ha dichiarato: “Non vogliamo abolire la figura dei collaboratori di giustizia, che spesso danno contributi importanti, bisogna però fare più verifiche sulle loro dichiarazioni”.

In questo modo, il presidente dei senatori Pdl ha dato man forte a chi nel suo stesso partito e nello stesso entourage di Berlusconi, vorrebbe ritirare fuori dal cassetto al più presto il ddl Valentino.
Cosa che Anna Finocchiaro, tanto per mettere un punto, ha subito respinto al mittente: “Non c’è nulla da cambiare”. Ma si corre davvero questo rischio? Granata non ci crede. “Contro questa normativa abbiamo la voce contraria sia di Maroni sia di Alfano“.

Conferma Angela Napoli. “Entrambi i ministri non ne vogliono sapere nulla, speriamo che Alfano non si faccia convincere a cambiare idea, ma non ci credo perché sarebbe devastante per tutto il Pdl, che non si potrebbe più lamentare se poi esce un collaboratore di giustizia e fa certe dichiarazioni; sarebbe questo sì un caso lampante di legge ad personam, altroché!”.

Da il Fatto Quotidiano del 12 febbraio

Pubblici ministeri e pentiti, la storia si ripete

Fonte: Pubblici ministeri e pentiti, la storia si ripete

Qualche giorno fa ho postillato col titolo: “Non c’è pace per chi si occupa di mafia” poi ne ho scritti altri dal titolo “Le verità di Massimo Ciancimino”, “Massimo Ciancimino e l’isolamento: anticamera della solitudine” e infine “Tre domande per Silvio Berlusconi”.

Ebbene, su Facebook e sulle pagine di BlogSicilia, centinaia di lettori si sono sbizzarriti nei commenti: alcuni hanno dimostrato avversità, qualcun altro mi ha accusato di essere fazioso, ma la maggior parte ha condiviso il mio punto di vista. Il mio intento era far rilevare lo stato in cui operano i Pubblici Ministeri di Palermo, non molto dissimili dal periodo di Giovanni Falcone, giacché è in atto una strisciante delegittimazione. L’altro mio scopo era far risaltare le peculiarità e il dramma che sta vivendo Massimo Ciancimino nel raccontare la sua “verità”, con annessa solitudine. Infine, ho posto tre domande a Silvio Berlusconi, relative alla sua impossibilità a governare per colpa dei Giudici.

Ora chiedo. Che differenza operativa e concettuale c’è sull’operato dei PM Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, rispetto alle parole di Giovanni Falcone estrapolate dal libro Cose di Cosa Nostra di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani?

Parole di Giovanni Falcone:

“I motivi che spingono i pentiti a parlare talora sono simili tra loro, ma più spesso diversi. Buscetta durante il nostro primo incontro ufficiale dichiara: “Non sono un infame. Non sono un pentito. Sono stato mafioso e mi sono macchiato di delitti per i quali sono pronto a pagare il mio debito con la giustizia “. Mannoia: “Sono un pentito nel senso più semplice della parola, dato che mi sono reso conto del grave errore che ho commesso scegliendo la strada del crimine”. Contorno: “Mi sono deciso a collaborare perché Cosa Nostra è una banda di vigliacchi e assassini”.

Mannoia è quello che più ha risvegliato la mia curiosità. Avevo avuto a che fare con lui nel 1980, in seguito a una indagine bancaria che indicava come sia lui sia la sua famiglia tenessero grosse somme di denaro su diversi libretti di risparmio. Mannoia al termine del processo fu condannato a cinque anni di carcere, il massimo della pena previsto allora per associazione a delinquere. Non ero riuscito a farlo condannare per traffico di droga. Durante gli interrogatori mi era sembrato un personaggio complesso e inquietante. Non antipatico, dignitoso e anche coerente. Nel 1983 evase di prigione e fu arrestato di nuovo nel 1985.
Nel frattempo Buscetta mi aveva parlato di un certo Mozzarella – era il soprannome di Mannoia -, “killer di fiducia di Stefano Bontate”. Nel 1989 al Mannoia uccidono il fratello, Agostino, che adorava. Capisce che il suo spazio vitale nell’ambito di Cosa Nostra si sta restringendo. Perché o hanno ucciso suo fratello a torto – e deve chiederne conto e ragione -, oppure lo hanno ucciso a ragion veduta; in entrambi i casi significa che anch’egli sarà presto eliminato. Fa una lucida analisi della situazione e decide di collaborare.
Le cose sono andate così.
Nel settembre 1989 il vicequestore Gianni De Gennaro mi chiama per avere informazioni sull’attuale situazione giudiziaria di Francesco Marino Mannoia. Una donna, che si era qualificata come la sua compagna, era andata a trovarlo per dirgli che Mannoia era pronto a collaborare, ma che voleva avere a che fare solo con due persone: con lui e con Falcone dato che, diceva la donna, “non si fida di nessun altro”.
Con l’aiuto del Dipartimento penitenziario del ministero di Grazia e Giustizia, Mannoia viene trasferito in una speciale struttura carceraria, allestita a Roma appositamente per lui. Ufficialmente è detenuto a Regina Coeli, dove peraltro viene condotto per i suoi incontri. Per tre mesi abbiamo parlato in tutta tranquillità. Poi, diffusasi la notizia della sua collaborazione, Cosa Nostra gli uccide in un colpo solo la madre, la sorella e la zia. Il pentito reagisce da uomo e porta a termine le sue confessioni…

Sono stato pesantemente attaccato sul tema dei pentiti. Mi hanno accusato di avere con loro rapporti “intimistici”, del tipo “conversazione accanto al caminetto”. Si sono chiesti come avevo fatto a convincere tanta gente a collaborare e hanno insinuato che avevo fatto loro delle promesse mentre ne estorcevo le confessioni. Hanno insinuato che nascondevo “nei cassetti” la “parte politica” delle dichiarazioni di Buscetta. Si è giunti a insinuare perfino che collaboravo con una parte della mafia per eliminare l’altra. L’apice si è toccato con le lettere del “corvo”, in cui si sosteneva che con l’aiuto e la complicità di De Gennaro, del capo della polizia e di alcuni colleghi, avevo fatto tornare in Sicilia il pentito Contorno affidandogli la missione di sterminare i “Corleonesi”!
Insomma, se qualche risultato avevo raggiunto nella lotta contro la mafia era perché, secondo quelle lettere, avevo calpestato il codice e commesso gravi delitti. Però gli atti dei miei processi sono sotto gli occhi di tutti e sfido chiunque a scovare anomalie di sorta. Centinaia di esperti avvocati ci hanno provato, ma invano.
La domanda da porsi dovrebbe essere un’altra: perché questi uomini d’onore hanno mostrato di fidarsi di me? Credo perché sanno quale rispetto io abbia per i loro tormenti, perché sono sicuri che non li inganno, che non interpreto la mia parte di magistrato in modo burocratico, e che non provo timore reverenziale nei confronti di nessuno. E soprattutto perché sanno che, quando parlano con me, hanno di fronte un interlocutore che ha respirato la stessa aria di cui loro si nutrono.


Sono dunque diventato una sorta di difensore di tutti i pentiti
perché, in un modo o nell’altro, li rispetto tutti, anche coloro che mi hanno deluso, come in parte Contorno. Ho condiviso la loro dolorosa avventura, ho sentito quanto faticavano a parlare di sé, a raccontare misfatti di cui ignoravano le possibili ripercussioni negative personali, sapendo che su entrambi i lati della barricata si annidano nemici in agguato pronti a far loro pagare cara la violazione della legge dell’omertà.
Provate a mettervi al loro posto: erano uomini d’onore, riveriti, stipendiati da un’organizzazione più seria e più solida di uno Stato sovrano, ben protetti dal loro infallibile servizio d’ordine, che all’improvviso si trovano a doversi confrontare con uno Stato indifferente, da una parte, e con un’organizzazione inferocita per il tradimento, dall’altra.
Io ho cercato di immedesimarmi nel loro dramma umano e prima di passare agli interrogatori veri e propri, mi sono sforzato sempre di comprendere i problemi personali di ognuno e di collocarli in un contesto preciso. Scegliendo argomenti che possono confortare il pentito nella sua ansia di parlare. Ma non ingannandolo mai sulle difficoltà che lo attendono per il semplice fatto di collaborare con la giustizia”.

Io, voglio chiudere con una riflessione: le stesse accuse allora fatte a Falcone oggi vengono fatti ai PM palermitani: eccessivo divismo con apparizione televisive, eccessivo protagonismo, manipolazione dei pentiti. Da allora è cambiato qualcosa? Si! Abbiamo avuto le stragi, ma l’ipocrisia è rimasta.

Pippo Giordano da BlogSicilia.it (13 febbraio 2010)

Antimafia Duemila – Intervista a Daniel Estulin e al suo “club Bilderberg”

Antimafia Duemila – Intervista a Daniel Estulin e al suo “club Bilderberg”.

di Francesco Bevilacqua – 17 dicembre 2009
Dal 26 al 29 novembre 2009 Daniel Estulin è stato in Italia per presentare “Il club Bilderberg”. Il suo tour ha avuto un grande successo, richiamando più di 500 persone nelle tappe di Bologna, Milano, Cesena e Roma. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per parlare con lui del libro e tracciare un’ampia panoramica sui segreti del Bilderberg.
Dal 26 al 29 novembre 2009 Daniel Estulin è stato in Italia per presentare “Il club Bilderberg”Daniel Estulin, il tuo libro ha avuto un enorme successo nel mondo, è stato pubblicato in molti paesi e in molte lingue. Cosa ci puoi dire in proposito?
Prima di tutto grazie mille per avermi portato in Italia, è bellissimo essere qui, la risposta della gente è stata eccezionale: a Bologna, Milano, Roma e Cesena c’erano tantissime persone molto interessate alla tematica del club Bilderberg e delle società segrete. Sì, il libro ha avuto un grandissimo successo, è stato pubblicato in 74 paesi e tradotto in 49 lingue ed è presente in tutti e cinque i continenti, quindi possiamo proprio dire che è di stringente attualità e il club Bilderberg e le società segrete non possono più nascondersi dalla verità.
È vero che Hollywood sta addirittura pensando a una pellicola basata sul tuo libro?
Assolutamente sì, anzi in realtà non lo stanno pianificando ma sono già intenti a lavorare sulla sceneggiatura, che vedrà la luce come film nel novembre del 2011. È una produzione da 120 milioni di dollari realizzata da una compagnia indipendente; la veridicità non sarà massima ma la cosa più importante è che il pubblico sentirà finalmente parlare di una società segreta chiamata club Bilderberg e le persone più intelligenti ovviamente vorranno sapere di più sui suoi membri e penso che questo sarà il modo migliore per interessare la gente comune su chi sono e cosa fanno i membri di questo club.
Parlando del club Bilderberg, se volessimo definirlo, quale sarebbe il termine più appropriato?
Penso che “oscuro” sarebbe un buon inizio, ma anche “globalista” o “imperialista” sarebbero degli ottimi modi per descrivere questo gruppo. Immaginate come vi potreste sentire se centoventi delle più eminenti personalità italiane, centoventi degli attori più famosi o dei giocatori di calcio più conosciuti, decidessero di incontrarsi segretamente in un albergo a cinque stelle, protetti da forze speciali e servizi segreti.
La società del Bilderberg è un gruppo di centoventi persone e una cinquantina di questi sono degli habitué, cioè frequentano il club da anni come David Rockfeller Pensate forse che i mass media, se venissero a conoscenza di questo ritrovo, non riuscirebbero a sapere di cosa parlano queste persone? Credo che la risposta a questa domanda sia “sì”! Quando avete centoventi fra le persone più potenti del mondo che si incontrano sotto lo stesso tetto, sembra che nessuno sia interessato ai movimenti di questa vera e propria élite e penso che questo sia un esempio molto chiaro per descrivere la natura cospiratoria del club Bilderberg: centoventi potenti, i padroni dell’universo – così potremmo chiamare l’élite europea e nord-americana – che si incontrano e decidono il modo migliore per comandare il pianeta.
Come fanno le persone a essere ammesse alle riunioni del club Bilderberg, chi sceglie gli ospiti da invitare?
Prima di tutto nessuno può comprare la sua partecipazione; non importa quanto soldi possiedi, finché non sei invitato non puoi prendere parte ai meeting. La società del Bilderberg è un gruppo di centoventi persone – per la maggior parte appartenenti alla NATO e provenienti da America settentrionale, Europa, Stati Uniti e Canada – e una cinquantina di questi sono degli habitué, in altre parole frequentano il club da anni e in alcuni casi – come per esempio quello di David Rockefeller – da generazioni.
Se andiamo a guardare fra queste centoventi persone possiamo vedere che i presidenti di tutti i paesi europei sono dei membri, così come lo sono il Primo Ministro del Canada, il Presidente degli Stati Uniti, i cinquanta dirigenti e amministratori delegati delle corporations più potenti del mondo; partecipano anche tutti i rappresentanti delle case reali europee, i banchieri più importanti provenienti dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale e ovviamente, insieme a queste persone favolosamente ricche e potenti, allo stesso tavolo siedono i rappresentanti dei mass media.
Alcune delle personalità del “club Bilderberg”Dicevamo del modo in cui viene deciso chi partecipa: il Bilderberg è molto “buono”, lo si potrebbe quasi considerare come un’agenzia di collocamento; loro guardano al futuro e scelgono potenziali politici di successo che in prospettiva potrebbero essere utili ai loro interessi e li invitano. La maggior parte delle persone non sa cosa si nasconde dietro alle iniziative del Bilderberg, sono contente di partecipare, di stare spalla a spalla e passare un fine settimana insieme a individui potenti come può essere David Rockefeller ma, ribadisco, quasi nessuno capisce che c’è uno strutturato e complesso disegno dietro ogni incontro del Bilderberg.
Quindi stiamo parlando delle persone più potenti e meglio conosciute del mondo. Perché allora è così difficile avere notizie sui loro incontri?
Qui occorre fare una precisazione: queste sono le persone più importanti che tu conosci e che la gente che sta leggendo questa intervista conosce. Ci sono persone molto ma molto più potenti di David Rockefeller o dei Rothschilds, perché il solo fatto che tu sia al corrente dei loro nomi li squalifica dall’essere potenti. I veri potenti sono sconosciuti al grande pubblico perché non appaiono mai nel circuito mediatico del mainstream.

Intervista a Daniel Estulin e al suo “club Bilderberg” (Seconda parte)
di Francesco Bevilacqua – 17 dicembre 2009
Vi proponiamo la seconda parte dell’intervista realizzata qualche settimana fa a Daniel Estulin, autore del libro “Il club Bilderberg”, di cui ci ha svelato i segreti più nascosti.

Ogni decisione presa negli ultimi quaranta o cinquant’anni è condizionata dalla partecipazione del club BilderbergPotresti fare qualche esempio di eventi politici, economici o militari degli ultimi venti o trent’anni collegato alle decisioni del Bilderberg?
Praticamente ogni decisione presa negli ultimi quaranta o cinquant’anni – i meeting sono cominciati nel 1954 – è condizionata dalla partecipazione del club Bilderberg. Per molte persone è difficile credere che delle società segrete controllino attualmente il mondo e la ragione di ciò è che esse hanno una visione illusoria di una ristretta cerchia che aziona le leve del potere, quando in realtà si dovrebbe analizzare questa cospirazione sistemica attraverso i secoli.
Così, se la si inquadra da un punto di vista storico, è facile capire perché le persone potenti vogliano avere il controllo del mondo. Ma se si parla di decisioni esplicite non dobbiamo andare molto in là; ad esempio nel 2002, in occasione del meeting di Chantilly, negli Stati Uniti, il club ha deciso di portare il prezzo del petrolio a 100 $ al barile intorno alla fine del 2007; infatti, il greggio ha toccato i 100 $ al barile il 2 gennaio 2008. Nel 2005 poi, il Bilderberg ha deciso che a metà del 2008 il prezzo del petrolio sarebbe dovuto arrivare a 150 $ al barile e nel luglio di quell’anno ha toccato quota 147,5 $.
Nel 2006 hanno concordato di distruggere non solo la finanza statunitense ma anche il mercato immobiliare nord-americano ed europeo e naturalmente noi abbiamo diffuso la notizia un anno e mezzo prima della crisi dei mutui americana ed europea. Quindi, lo ribadisco, è necessario comprendere cosa si cela dietro queste decisioni: la distruzione degli stati nazionali e la creazione di grandi fratture mondiali, non più nazioni ma organismi sopranazionali come l’Unione Europea che esiste ora in Europa o la North American Union americana o l’Unione Asiatica che è in questo momento in fase di creazione in Asia.
È probabilmente il penultimo passo verso la creazione non tanto di un governo unico mondiale quanto piuttosto di una compagnia mondiale dai poteri e dalle risorse illimitati, in cui le corporations possano letteralmente impartire ordini ai governi su come guidare il mondo.
Tu sei anche in possesso di diversi documenti che provano che le politiche del club Bilderberg sono effettivamente connesse a questi eventi.
Ovviamente quando si ha a che fare con persone così potenti e influenti è difficile trovare editori che ragionino chiaramente e siamo costretti a pubblicare questi libri senza prove definitive. Per esempio in Spagna nel 2005, quando il mio libro è uscito per la prima volta, due importantissimi studi legali hanno offerto una loro analisi del testo e hanno detto che il 90% di esso sarebbe potuto essere oggetto di azioni legali da parte di diverse persone citate nella trattazione.
La cosa curiosa, come ho detto all’inizio dell’intervista, è che questo libro è stato pubblicato in 74 paesi, tradotto in 49 lingue ed è presente in cinque continenti ma nessuna delle persone che chiamo in causa, citandone esplicitamente nome e cognome, ha mai deciso neanche una volta di portarmi in tribunale contestando le mie accuse. Noi abbiamo bisogno di documenti e di prove definitive e questo è quanto tutti gli editori con cui ho lavorato a proposito del gruppo Bilderberg hanno chiesto; comunque, tutti i consulenti legali coinvolti sono stati soddisfatti del lavoro che sto compiendo per dare un fondamento a quelle che ogni tanto potrebbero sembrare affermazioni un po’ folli.
Quali azioni può intraprendere la società civile per limitare l’influenza del club Bilderberg, cosa può fare la gente?
Per prima cosa smettete di guardare la televisione, spegnetela! È solo un modo per istupidire le persone, se volete essere stupidi guardate la televisione, se volete essere intelligenti non guardatela. Secondariamente, non votate più per gente che fa parte di queste organizzazioni e di queste società. Se volete ottenere un mondo diverso, dovete capire che le persone per cui votate hanno ovviamente un ruolo molto importante nel processo decisionale, quindi eleggete chi si adopera per il miglioramento delle condizioni della vita degli uomini, non per questi criminali. Inoltre, un suggerimento molto importante che vi do, è di capire come funziona il denaro. Un caro amico – per non comprometterlo non dirò neanche se è un uomo o una donna – che è un membro di spicco della cerchia iniziale del Bilderberg e che mi ha fornito per anni delle dritte sui piani del club, mi ha detto: «se un giorno vorrò imparare come combattere queste persone, dovrò imparare prima come funziona il denaro», perché solo attraverso il denaro noi gente comune possiamo distruggerli. Un buon esempio è quella della banca inglese Northern Rock, dove le nonne hanno letteralmente distrutto da un giorno all’altro l’intero sistema bancario inglese prelevando i propri risparmi dalle banche.
Cosa pensi dell’Unione Europea, di Van Rompuy [il nuovo Presidente permanente del Consiglio Europeo], di Lady Ashton [il nuovo Alto rappresentante per la politica estera e di difesa] e di tutti i recenti avvenimenti concernenti la politica europea. Cos’hanno in comune con le decisioni del gruppo Bilderberg?
Quello che hanno in comune è che sono una parte del processo attuativo del Bilderberg. Quello che c’era prima era erano le nazioni, le carte costituzionali, le bandiere, le monete, i confini, insomma repubbliche di stati nazionali. Adesso abbiamo questo mostro pan-europeo, in seno al quale a un paese non è più consentito provvedere al sostentamento della sua popolazione e le nazioni hanno perso la possibilità di attuare politiche monetarie per aiutare il paese a sopravvivere e a reggersi in piedi.
Tutto ciò ovviamente fa parte del piano del club Bilderberg, volto a creare queste unioni planetarie con un semplice obiettivo: distruggere gli stati nazionali, distruggere il diritto naturale, distruggere lo stato sociale, che ci ha dato negli ultimi seicento anni tutto quello che abbiamo come cittadini.
Negli Stati Uniti, il club ha deciso di portare il prezzo del petrolio a 100 $ al barile intorno alla fine del 2007Questo è ciò che possiamo chiamare immortalità: un sistema di welfare che ci consente di lasciare qualcosa di realmente importante per le generazioni future. Ma possiamo fare questo solo se la gente lavora per il bene comune e questo è ciò che l’impero [del Bilderberg] vuole evitare, perché un impero fondato sul denaro non pensa al bene comune, pensa solo ai propri interessi economici e c’è una grande differenza fra un sistema sociale rivolto a tutti gli abitanti del pianeta e un impero del denaro.
Parlando di uomini chiave della scena politica internazionale come Hugo Chavez, Ahmadinejad o Vladimir Putin, che sembrano essere degli oppositori degli interessi che fanno capo al club Bilderberg, secondo te qual è la loro posizione e il loro ruolo in questa situazione?
Dei tre uomini che hai citato – il Presidente dell’Iran, il Presidente del Venezuela e il Primo Ministro della Russia – il solo veramente importante è Putin. Ma il punto è che ciò che conta non sono gli individui quanto piuttosto gli stati nazionali che collaborano gli uni con gli altri. La Russia ovviamente riveste un’importanza fondamentale e Putin e l’attuale Presidente Medvedev hanno il compito di assicurarsi che gli uomini che comandano la Russia rivestano il loro incarico combattendo contro gli interessi del club Bilderberg, che è una cosa che Eltsin, quando era Presidente, non fece assolutamente, lui anzi consegnò il paese nelle mani di questa gente e distrusse la Russia come nazione. Dovete capire che finché la Russia intralcerà il cammino del gruppo Bilderberg e dei suoi alleati, non ci saranno un ordine mondiale né una compagnia globale perché la Russia, insieme alla Cina, ha degli interessi che sono completamente differenti da quelli perseguiti dal club Bilderberg e questo è il motivo per cui lavorano tanto alacremente per distruggere la Russia. Guardando indietro agli anni ’90, possiamo vedere come abbiano provato a demolirla sul piano economico e ora ci stanno provando di nuovo, quindi dobbiamo assicurarci che i russi e i cinesi ma anche gli indiani, gli americani uniscano le forze, è così che possiamo salvare il mondo.
Finché la Russia intralcerà il cammino del gruppo Bilderberg e dei suoi alleati, non ci saranno un ordine mondiale né una compagnia globale Quali sono le osservazioni più comuni che ti vengono mosse da chi non crede a ciò che dici e come rispondi a esse?
La maggior parte delle persone è disinformata su quasi tutto e non è in grado di fornire un’opinione, quindi la gente non crede a quello che dico o dubita delle posizioni espresse nel mio libro. C’è una spiegazione molto semplice per tutto questo: i mass media ci hanno detto che quasi tutto ciò che appare nei telegiornali dei canali americani piuttosto che di quelli italiani o sulle prime pagine del Corriere della Sera o del New York Times deve essere la verità perché esce su una pubblicazione appartenente al circuito dell’informazione ufficiale e conseguentemente tutto ciò che viene detto di opposto deve essere una cospirazione.
La loro visione è: «questo libro [Il club Bilderberg] è vero, ma allora perché le notizie che riporta non compaiono sulle prime pagine di tutti i giornali?». Ovviamente c’è una spiegazione semplicissima: i mass media sono parte integrante di questa elite mondiale e non pubblicheranno mai notizie come quelle riportate nel mio libro perché loro sono dei custodi, il loro lavoro consiste nel fare in modo che tali notizie siano oscurate, sono lì per fuorviarvi, per intontirvi, per darvi delle informazioni errate e per farvi interessare alle persone sbagliate. Questo è il loro lavoro perché, lo ripeto, appartengono a queste società segrete e organizzazioni private.

Tratto da: terranauta.it

Antonio Di Pietro: Si scrive centrodestra, si legge nucleare

Antonio Di Pietro: Si scrive centrodestra, si legge nucleare.

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Ieri la Polverini, candidata presidente alla regione Lazio per il Pdl, ha giocato sulle parole per infinocchiare gli elettori: “Ricordo che si sta ultimando la riconversione della centrale di Torrevaldaliga Nord a carbone pulito (da olio combustibile). Pertanto ritengo che nel Lazio non ci sia bisogno di installare nuove centrali nucleari“. Ci sono due menzogne in sole tre righe.

La prima nelle parole “carbone pulito” che non esiste, è come chiamare termovalorizzatore un inceneritore.

La seconda è che lei non si è detta contraria al nucleare, si è limitata a esprimere l’opinione che “non ce ne bisogno del nucleare nel Lazio”, quindi se Scajola o Berlusconi gli dicono il contrario, anche senza alzare i toni, allora una centrale in riva al Tevere potrebbe anche mettercela?

Anche il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, ha finto di dargli man forte: lo ha fatto consapevole che quelle parole avrebbero ingannato i cittadini e magari destato l’ammirazione del presidente del Consiglio per la loro scaltrezza.

Per impedire al nucleare l’ingresso nel Paese servono azioni concrete. Il referendum proposto dall’Italia dei Valori è l’unica strada per fermare il nucleare di Berlusconi. Solo se tutti i cittadini ci aiuteranno a promuovere la raccolta firme e a fare una corretta informazione sui rischi di questa scelta energetica scellerata avremo la concreta possibilità di farcela.

Ogni regione in mano al Pdl e alla Lega renderà esecutivo il decreto del Governo ostacolando il referendum: questa è una certezza. Ogni regione sottratta alla maggioranza di Governo sarà un passo verso la riaffermazione del referendum dell’87 che vietava l’impianto di centrali nucleari in Italia. I governatori di Sardegna, Sicilia e Abruzzo sono fantocci del centrodestra capitolino e per quanto fingano il contrario sanno già che apriranno le porte ai reattori. Mentre il referendum compie il suo percorso, solo la determinazione delle Giunte regionali potrà rappresentare l’ultima ancora di salvezza.

L’Italia dei Valori garantirà un’adeguata ed efficace azione di contrasto al nucleare, poiché è una priorità nel nostro programma insieme a altri temi per il rispetto della vita e del territorio come l’acqua pubblica, la raccolta differenziata e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Non ha senso dire che il nucleare non entra in una regione se poi ce lo ritroviamo nella regione confinante, l’obiettivo quindi deve essere raggiunto regione per regione, nessuna esclusa. Non fatevi ingannare qualora sentiate in campagna elettorale candidati come Formigoni, Zaia, Cota e Caldoro che si dichiarano contrari al nucleare. Magari lo sono, ma non alzeranno un dito per non farlo entrare in regione.

L’Italia dei Valori è contraria al nucleare e si batterà con tutte le forze affinché venga archiviato. E non sarà isolata nella difesa dei cittadini, anzi questo obiettivo sarà condiviso dalla coalizione di centrosinistra nelle singole regioni in cui si vota, Campania compresa. Scusate se è poco.

Antimafia Duemila – I libellisti del Terzo Millennio e Massimo Ciancimino

Antimafia Duemila – I libellisti del Terzo Millennio e Massimo Ciancimino.

di Giorgio Bongiovanni – 11 febbraio 2010
Nell’epoca antecedente la rivoluzione francese si aggirava per le corti d’Europa un personaggio straordinario, un precursore che, noto anche per le sue doti di alchimista e spiritualista, si batteva per le idee di liberté, fraternité, égalité.
Era il conte Alessandro di Cagliostro.

Chiaramente inviso al potere politico e religioso gli venivano scagliati contro i libellisti, i giornalisti del tempo, corrotti e mercenari i quali, per screditare le sue opere a favore dei poveri e dei derelitti, lo spacciavano per un losco figuro, tale Giuseppe Balsamo da Palermo.
Che c’entrano Massimo Ciancimino e le sue dichiarazioni a Palermo con il Conte di Cagliostro?
C’entrano e vi spiego perché.
Certamente Ciancimino non è Cagliostro, in questo caso è la verità a venire attaccata. Una verità che scandalizza, disturba e, piaccia o non piaccia, passa attraverso Massimo Ciancimino. Il quale per ragioni etiche ha deciso di parlare e lo sta facendo con tanto di documenti alla mano. Certo quel che ci racconta, riportato negli articoli pubblicati dai miei colleghi (link correlati), apre a scenari drammatici, diabolici, violenti… tra papelli, trattative, corruzioni e stragi, tutto quel mondo nel quale si muoveva suo padre e nel quale è, volente o nolente, cresciuto lui.
Se è vero che a livello giudiziario ogni sua parola deve trovare riscontro e deve essere valutata dai giudici, a livello giornalistico ce ne è a sufficienza per avviare ben più di una riflessione.
E invece come si comporta il potere oggi, quello rappresentato dal signor Berlusconi e dalla sua corte, quello feudale del ritorno del Principe, come lo ha definito il giudice Scarpinato nel suo libro?
Come sempre! Sguinzaglia i libellisti, i Morande (questo il nome del principale accusatore di Cagliostro) del Terzo Millennio, i vari Vespa, Minzolini ecc.. ecc.. per intenderci, all’arrembaggio della verità. Non scrivono nulla nel merito, non hanno da fornire nessuna controprova, mentono, attaccano, calunniano, avvelenano e niente altro.
Così è sempre stato.
Tuttavia il tempo è galantuomo e prima o poi restituirà alla verità il suo giusto trionfo.

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di Monica Centofante – 9 febbraio 2010
Palermo.
Potrebbe tornare a deporre Massimo Ciancimino. Questa volta al processo che vede imputato il senatore Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni di reclusione, per concorso esterno in associazione mafiosa.

Nella serata di ieri i pm di Palermo Antonio Ingroia e Nino Di Matteo hanno trasmesso alla procura generale, che sceglierà se chiederne l’acquisizione a dibattimento, due fogli di appunti scritti da don Vito nel 2000.
Almeno secondo la versione fornita dal figlio Massimo, che racconta di quando il padre raccoglieva vecchi documenti e prendeva nota di una serie informazioni che sarebbero poi confluite in un libro di memorie: la sua verità su una vita di rapporti, relazioni, interessi e affari.
“Berlusconi – Ciancimino” – si legge nel primo documento messo a disposizione dei magistrati – “Marcello Dell’Utri, Milano – truffa bancarotta, Ciancimino Alamia, Dell’Utri Alberto”.
Parole chiave che sembrano riportare a vecchie vicende degli anni Settanta, quando un giovane Marcello Dell’Utri lasciava temporaneamente la residenza di Arcore, dell’amico Silvio, e veniva assunto insieme al fratello Alberto alla corte di Filippo Alberto Rapisarda. In quel tempo assurto al vertice del terzo gruppo immobiliare italiano e costretto a fare quelle assuzioni, racconterà ai giudici, perché il favore gli fu chiesto da Gaetano Cinà “che non rappresentava solo se stesso, bensì il gruppo in odore di mafia facente capo a Bontate e Teresi”. I capi di Cosa Nostra. Gli stessi che avevano finanziato la vertiginosa ascesa imprenditoriale del Rapisarda.
È il 1977, si legge nella sentenza Dell’Utri, e all’imprenditore fanno capo tre società: la Bresciano spa, la Cofire spa e la Inim spa – poi andata in bancarotta – nella cui compagine sociale figura appunto Francesco Paolo Alamia “soggetto notoriamente in rapporti con Vito Ciancimino”. Così come avrebbe ricordato, tra l’altro, il giudice Paolo Borsellino in un’intervista rilasciata al giornalista  Zagdoun Jean Claude: “Che Alamia fosse in affari con Ciancimino – sono le sue parole – è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato”.
Ma Alamia sembra non essere l’unico ad avere rapporti con l’ex sindaco di Palermo. Angelo Siino, alias “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” racconterà ai magistrati di un suo colloquio con Stefano Bontade che parlando del Dell’Utri gli aveva accennato appunto ai suoi rapporti con “un certo Alamia” e con Vito Ciancimino. In merito a quest’ultimo ”mi disse che stava… il Dell’Utri curava problemi finanziari del Ciancimino, inerenti a questa società di costruzioni con l’Alamia”.
E a confermare la sua versione saranno, tra gli altri, lo stesso Rapisarda, che parlerà di Berlusconi e Dell’Utri come riciclatori dei soldi di Bontade e il pentito Francesco Di Carlo che ricorderà i miliardi guadagnati con la vendita della droga e ripuliti sulla piazza milanese.
Accuse che non troveranno un definitivo riscontro, ma che lasceranno diverse zone d’ombra. Sulle quali forse Ciancimino Jr. potrà contribuire a fare luce.
Aggiungendo particolari contenuti nel secondo foglio consegnato ieri al procuratore generale Gatto e sempre redatto nel 2000 che riguarderebbe rapporti economici di Ciancimino padre con costruttori mafiosi palermitani e una ricostruzione di flussi finanziari che viaggiavano sull’asse Palermo-Milano2.
In anni più recenti, nel ’94/95, Vito Ciancimino avrebbe redatto una missiva indirizzata al neo-eletto onorevole Dell’Utri e all’allora Presidente del Consiglio Berlusconi al suo primo mandato. Una lettera in parte suggerita da Bernardo Provenzano o da uomini di sua fiducia nella quale l’ex sindaco di Palermo annuncia: “Se passa molto tempo ed ancora non sarò indiziato del reato di ingiuria, sarò costretto ad uscire dal mio riserbo che dura da anni”. Una rottura del riserbo che Massimo Ciancimino, nel corso dell’ultima udienza al processo Mori-Obinu, spiega  con l’eventuale possibilità prospettata dal padre di raccontare che “quella era stata la nascita della coalizione che poi aveva dato vita al gruppo Forza Italia”. E che rientrava nella famosa trattativa tra Cosa Nostra e la mafia che sarebbe durata fino al giorno della scomparsa dell’ex sindaco di Palermo e che nella sua idea e in quella di Bernardo Provenzano doveva avere uno sbocco politico con personaggi affidabili. Gli stessi con i quali i rapporti erano consolidati sin da quei lontani anni Settanta.

Antimafia Duemila – Ciancimino: ”Boss investivano su Milano attraverso Dell’Utri”

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I boss mafiosi Mimmo Teresi e Stefano Bontade negli anni Settanta avrebbero investito ingenti somme di denaro a Milano “attraverso Marcello Dell’Utri”. E’ quanto sostiene, in un interrogatorio del 14 gennaio scorso, Massimo Ciancimino parlando ai magistrati della Dda di Palermo. “C’era stato tutto un giro di denaro – spiega Ciancimino junior – praticamente a mio padre vengono dati soldi che venivano da Buscemi (Antonino, imprenditore in odor di mafia ndr), e soldi che venivano dall’investimento di Bontade e Teresi attraverso Dell’Utri”.

Nello stesso interrogatorio, Massimo Ciancimino sostiene che il padre si sarebbe servito del banchiere Roberto Calvi, l’ex Presidente del Banco Ambrosiano. “Calvi – racconta Ciancimino junior – era un soggetto che era stato presentato a mio padre da Buscemi, come persona molto influente nel settore bancario? lo stesso si era messo sempre a disposizione per quelle che erano ‘swap’ di denaro, compensazioni di denaro, avvenute ed esercitate da mio padre con personaggi legati al gruppo Buscemi”. E parlando ancora del padre Vito Ciancimino, aggiunge che “si era servito del Calvi per prendere dei soldi che provenivano da quello che era anche il gruppo appartenente a Marcello Dell’Utri e per il quale Marcello Dell’Utri aveva investito somme di denaro all’interno di questi investimenti immobiliari. L’unico collegamento che ricordo… e’ proprio che mio padre ritira dei soldi… erano quasi 5 miliardi, 4 miliardi e mezzo, che non erano tutto il suo frutto dell’investimento e lo ritira attraverso Calvi in territorio elvetico e una parte la ritira? viene compensata perche’ serviva a mio padre in Italia per ridarla a Zummo (Un imprenditore ndr)? ah, ora non so se era il frutto totale o parziale investimento”.

Alla domanda del pm se Vito Ciancimino avesse “fatto congiuntamente a Dell’Utri degli investimenti”, Massimo Ciancimino replica secco: “No, no, non me ne ha mai parlato, anzi mi ha detto: penso di non averli mai fatti investimenti insieme a Dell’Utri perche’ era un personaggio che non? non aveva motivo cioe’ di? e’ come se mio padre si metteva a fare investimenti con Enzo Zanghi’ (segretario di Vito Ciancimino ndr), cioe’ per lui era un altro, per carita’. Senza nulla togliere, era il giudizio di mio padre, non aveva motivo neanche di parlare con Dell’Utri mio padre, se aveva bisogno di parlare con qualcuno o qualche situazione parlava con Bontade, mio padre?” “Cioe’, ad esempio mi dice: ‘se Lima deve parlare con me, non parla con Zanchi’, se qualcuno ha bisogno di mandarmi a chiamare, parla se ci sono disponibile io, non parla? non ne vedeva motivo? purtroppo era questo il personaggio”.

Adnkronos

Ciancimino jr: ”Per mio padre Berlusconi era ricattabile”

12 febbraio 2010
Palermo.
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dopo la realizzazione di Milano 2, sarebbe stato – secondo il giudizio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino – “un soggetto ricattabile”. E’ quanto dice Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco, in uno dei verbali depositati oggi al processo d’appello al senatore Marcello Dell’Utri, accusato di concorso esterno in associaizone mafiosa. Una circostanza che il teste avrebbe appreso dal padre Vito, quando era ancora in vita “tra il 2000 e il 2002”.

Nell’interrogatorio del 7 gennaio 2010, Massimo Ciancimino spiega ai magistrati che lo interrogano sulla nascita di Milano 2: di aver fatto al padre “la domanda: ‘mi racconti come nasce, perche’ dicono che sei socio nel Milano 2?'”. “E mio padre – dice il figlio dell’ex sindaco ai pm – mi racconta tutta questa storia. E dopo dovevo capire, perche’ poi fondamentalmente mi appassionava anche un po’ il soggetto Berlusconi, volevo capire, ‘Ma se sei socio di Berlusconi, l’hai mai visto'” e a questo punto, ricorda Massimo Ciancimino,”mio padre mi ricostruisce tutta la serie di rapporti”.

“Ma fa di piu’ pure, fa una specie di difesa di Berlusconi – aggiunge Ciancimino parlando ancora del padre Vito – perche’ fondamentalmente dice: ‘Guarda che quando questi soggetti investono appunto in questa situazione, rappresentano il massimo dell’imprenditoria palermitana’. Quando Dell’Utri fondamentalmente, che dalla Cassa di Risparmio dove mio padre era pure Consigliere di Amministrazione, propone a questi suoi amici investimenti nell’area Nord? nell’area di Milano, non e’ che porta gentaglia”.

Adnkronos

Antimafia Duemila – Moro: Ciancimino, ”Mio padre impedi’ sua liberazione”

Antimafia Duemila – Moro: Ciancimino, ”Mio padre impedi’ sua liberazione”.

12 febbraio 2010
Palermo.
Secondo Massimo Ciancimino suo padre Vito conosceva il luogo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro ma impedi’ la sua liberazione.

E’ una delle ultime rivelazioni rese da Massimo Ciancimino ai pm di Roma confluite nel processo al senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. ”Nel 2000 – ha raccontato Ciancimino – mio padre mi disse che i cugini Salvo e l’onorevole Rosario Nicoletti, ex segretario della Dc siciliana, si erano rivolti a Salvo Lima dicendo di essere in grado di dare indicazioni sul luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro. In seguito a mio padre era stato chiesto di impedire la liberazione dello statista dal segretario della Dc Zaccagnini attraverso Attilio Ruffini. Analoga richiesta gli era giunta da appartenenti a Gladio, nella cui struttura mio padre era inserito, e dai servizi segreti”.

Antimafia Duemila – ”Marcello Dell’Utri e’ il garante di una mafia non stragista”

Antimafia Duemila – ”Marcello Dell’Utri e’ il garante di una mafia non stragista”.

di Beatrice Borromeo – 11 febbraio 2010
“Mio padre Vito diceva sempre che Berlusconi prima o poi sarebbe caduto sul DPF. Che cos’è ? Sono i suoi punti deboli: Dell’Utri, Previti e le Femmine”.

Massimo Ciancimino è arrabbiato per le dichiarazioni rilasciate dal senatore Marcello Dell’Utri al Fatto, in cui il figlio dell’ex sindaco di Palermo viene descritto come “lo scemo di famiglia”, che viene “gestito dai pm” in cambio di sconti di pena. “Faccio causa a Dell’Utri – annuncia Ciancimino – perché ho già sopportato anche troppo le sue intimidazioni. Ogni volta che parla mostra la sua vera natura”.

Si è offeso perché Dell’Utri le ha dato dello scemo?

Pensi che uno degli elementi per cui sono stato condannato è che mio padre mi ha nominato suo unico erede. Evidentemente non mi considerava così stupido. Dell’Utri vuole solo screditarmi.

Cos’ha pensato leggendo l’intervista?
Che questo è un Dell’Utri in grande difficoltà.

Secondo il senatore lei è manovrato dai pm.
Non mi è mai stato chiesto di dichiarare nulla che non fosse vero. E non lo farei mai.

Quindi il pm Antonio Ingroia non è il regista occulto dei pentiti?
Questa la chiamo “sindrome da procura”. Vogliono creare un caso. E magari Ingroia, per certe sue esternazioni, si presta. Ma io non sono mai stato spinto a dire nulla.

Secondo Dell’Utri lei lo accusa per guadagnare sconti di pena.
Falso. Mi hanno solo applicato le attenuanti generiche perché ero incensurato e ho collaborato.

Allora lo fa per salvare il tesoretto che, secondo il senatore, nasconde all’estero?
E’ illogico pensarlo. Vivo sotto scorta, blindato, questo tesoro potrei solo guardarlo. E poi il mio patrimonio è già stato sequestrato. Mi hanno confermato il sequestro anche di una barca e di un appartamento.

Di cosa vive allora Massimo Ciancimino?
Lavoro per un’agenzia di crediti. Faccio il trader, vivo con quei soldi.

Come mai lei è l’unico nella sua famiglia a parlare?
Io parlo perché so le cose, ho i documenti.

Dell’Utri dice che lei ha un fratello “dignitosissimo, che infatti non parla”.
Dell’Utri riconosce la dignità a chi sta zitto. I miei fratelli non conoscevano l’attività lavorativa e politica con cui nostro padre si arricchì. Mio fratello è certamente una persona dignitosa, come dice il senatore, ma è d’accordo con me e supporta la mia scelta di parlare”.

Cosa pensava suo padre di Dell’Utri?
Lo vedeva come un subalterno.   Pensava che era troppo istintivo. La grande differenza comunque è stata che mio padre non ha avuto nessuna immunità.

Dell’Utri ha detto che è entrato in politica per non finire in carcere.
Mio padre ha subìto tutti i suoi processi. Dell’Utri ha goduto dell’immunità che la sua carica, e una serie di conoscenze, gli hanno dato.

Suo padre le parlava   mai dello “stalliere di Arcore” Vittorio Mangano?
Certo. Papà trovava allucinante che un imprenditore come Berlusconi, nel momento in cui i figli erano a rischio attentati, si rivolgesse a uno come Mangano!

Perché?
Questi erano i classici “metodi accerchiativi”, come diceva mio padre, di personaggi come Dell’Utri, per rendersi indispensabili a Berlusconi: fai le minacce per accreditarti sempre di più, e poi dai le soluzioni.

Lei ha affermato che Dell’Utri, a un certo punto, ha preso il posto di suo padre come mediatore con la politica.
Io non faccio una colpa a Dell’Utri di aver sostituito mio   padre nei rapporti tra mafia e politica. Però è successo: lo dice mio padre, lo scrive mio padre. Io lo confermo in aula.

Il 2 marzo lei verrà sottoposto al contro-esame nel processo Mori.
Dimostrerò il tassello mancante: che non c’è stata nessuna contrapposizione dello Stato in quegli anni, come sempre accade nelle regioni del sud. Lo Stato, tra i mali, ha scelto il minore. La criminalità organizzata nasce e cresce negli spazi vuoti lasciati tra cittadini e istituzioni. Per questo capisco il ruolo che hanno dato a Dell’Utri.

Sarebbe?
Dell’Utri era una nuova faccia su cui contare, capace di reggere questo equilibrio. Si voleva una mafia fondamentalmente meno dannosa per lo Stato. Una mafia non stragista. E infatti in 10 anni ci saranno stati solo una decina di omicidi.

Berlusconi ieri ha detto che “siamo alla giustizia spiritica, con qualcuno – lei – che riferisce parole di qualcuno – suo padre – che è morto da diversi anni”. Parole   che “non hanno nulla a che fare con la realtà”.
A Berlusconi risponderò il 2 marzo con i fatti, quando produrrò in aula tutti i documenti. Non sono come uno Spatuzza qualsiasi che parla de relato. Io antepongo al racconto il documento cartaceo che lo prova. Documentazione che mio padre ha scritto. Se mio padre scrive ‘Dell’Utri, Milano 2, Berlusconi’, io quel foglio lo porto in aula.

Ma cosa ci guadagna a parlare?
Nulla. Anzi, ho capito molto tempo fa che il mio comportamento costituisce un pericolo per me. Pensi che io vengo iscritto nel registro degli indagati lo stesso giorno in cui muore mio padre, il 19 novembre 2002. Era un avvertimento: se prima c’era mio padre che garantiva   questo tipo di silenzio, ora toccava a me.

Poi sono arrivate le prime minacce.
Ho ricevuto visite spiacevoli di carabinieri e di uomini appartenenti ai servizi. Mi sono arrivati a casa pacchi bomba. Persino una lettera intimidatoria   indirizzata a me, a mio figlio e a mia moglie. Da quel momento mia moglie ha cominciato a chiedermi: “Chi te lo fa fare?”. Poi, quando ho continuato a collaborare, ha chiesto la separazione.

Ha ripensamenti?
È chiaro che chi si fa i cazzi suoi ha solo vantaggi. I miei fratelli sono stati tutti prosciolti. Oggi sono preoccupato.

Cosa teme?
È chiaro che c’è un processo di cambiamento nell’aria che fa paura. C’è chi lavora per il dopo Berlusconi. Ho paura che qualche entità esterna voglia accelerare questo processo di cambiamento, come è avvenuto nel 1992 quando Tangentopoli stava sgretolando il sistema e la politica stragista di Cosa Nostra ha accelerato il cambiamento. Oggi   c’è la stessa aria. E io spero di non esserne vittima.

Ha un ruolo la Sicilia di oggi in questa ricerca dell’erede?
No. La Sicilia, come diceva mio padre, è solo il luogo dove si fa il lavoro sporco. Ma non ci nasce mai realmente qualcosa. Le cose nascono a Roma e a Milano.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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Antimafia Duemila – Appello di Alex Zanotelli: ”Mobilitiamoci! Sull’acqua ci giochiamo tutto”.

di Alex Zanotelli – 10 febbraio 2010
Questo è l’anno dell’acqua, l’anno in cui noi italiani dobbiamo decidere se l’acqua sarà merce o diritto fondamentale umano.

Il 19 novembre 2009, il governo Berlusconi ha votato la legge Ronchi, che privatizza i rubinetti d’Italia. E’ la sconfitta della politica, è la vittoria dei potentati economico-finanziari.
E’ la vittoria del mercato, la mercificazione della «creatura» più sacra che abbiamo: «sorella acqua». Questo decreto sarà pagato a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, che, per l’aumento delle tariffe, troveranno sempre più difficile pagare le bollette dell’acqua [avremo così cittadini di serie A e di serie B!]. Ma soprattutto, la privatizzazione dell’acqua sarà pagata dai poveri del Sud del mondo con milioni di morti di sete. Per me è criminale affidare alle multinazionali il bene più prezioso dell’umanità [«l’oro blu»], bene che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici [scioglimento dei ghiacciai e dei nevai] sia per l’incremento demografico.
L’acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestito dai Comuni a totale capitale pubblico, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile. Purtroppo il nostro governo, con la legge Ronchi, ha scelto un’altra strada, quella della mercificazione dell’acqua. Ma sono convinto che la vittoria dei potentati economico-finanziari si trasformerà in un boomerang.
E’ già oggi notevole la reazione popolare contro questa decisione immorale. Questi anni di impegno e di sensibilizzazione sull’acqua, mi inducono ad affermare che abbiamo ottenuto in Italia una vittoria culturale, che ora deve diventare politica. Ecco perché il Forum italiano dei Movimenti per l’acqua pubblica lancia ora il Referendum abrogativo della Legge Ronchi, che dovrà raccogliere, fra aprile e luglio 2010, circa seicentomila firme. Non sarà un referendum solo abrogativo, ma una vera e propria consultazione popolare su un tema molto chiaro: o la privatizzazione dell’acqua o il suo affidamento ad un soggetto di diritto pubblico. Le date del referendum verranno annunciate in una grande manifestazione nazionale a Roma il 20 marzo, alla vigilia della Giornata mondiale dell’acqua [22marzo].
Nel frattempo chiediamo a tutti di costituirsi in gruppi e comitati in difesa dell’acqua, che siano poi capaci di coordinarsi a livello provinciale e regionale. E’ la difesa del bene più prezioso che abbiamo [aria e acqua sono i due elementi essenziali per la vita!]. Chiediamo a tutti i gruppi e comitati di fare pressione prima di tutto sui propri Comuni affinché convochino consigli monotematici per dichiarare che l’acqua è un bene di non rilevanza economica. Questo apre la possibilità di affidare la gestione dell’acqua ad un soggetto di diritto pubblico. Abbiamo bisogno che migliaia di Comuni si esprimano. Potrebbe essere questo un altro referendum popolare propositivo. Solo un grande movimento popolare trasversale potrà regalarci una grande vittoria per il bene comune. Sull’acqua ci giochiamo tutto, anche la nostra democrazia. Dobbiamo e possiamo vincere. Ce l’ha fatta Parigi [la patria delle grandi multinazionali dell’acqua, Veolia, Ondeo, Saur che stanno mettendo le mani sull’acqua italiana] a ritornare alla gestione pubblica. Ce la possiamo fare anche noi. Mobilitiamoci! E’ l’anno dell’acqua!

Tratto da: carta.org