Archivi del giorno: 23 febbraio 2010

ComeDonChisciotte – IL CASO IRAN

No secco alla guerra contro l’Iran.

Articolo 11 della costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”

Fonte: ComeDonChisciotte – IL CASO IRAN.

DI FRANCO CARDINI
diorama.it/

Qualcosa di molto grave si sta profilando in Occidente: qualcosa che forse minaccia il mondo. E’ uno scenario che purtroppo abbiamo già visto. Tra 2002 e 2003 i governi statunitense e britannico inscenarono una pietosa e vergognosa commedia cercando di far credere al mondo che l’Iraq di Saddam Hussein fosse in possesso di pericolose armi segrete di distruzione di massa. Era incredibile: e infatti chi aveva capacità di comprendere e di assumere informazioni precise si rese subito conto che si trattava di una colossale e infame menzogna. Ma i mass media insistevano, i politici – anche italiani – erano già decisi a seguire il sentiero tracciato del sinistro signor Bush: il risultato fu la guerra e un’occupazione che perdura e dalla quale gli stessi italiani non sanno come far a uscire.[1]

Sette anni dopo, siamo alle solite: analogo scenario, analoghe sfrontate bugie. La vittima designata, ora, è l’Iran. Auguriamoci che le dissennate dichiarazioni dei politici e dei mass media non preludano a qualcosa di simile al pasticcio irakeno: stavolta sarebbe molto più grave.

La Repubblica Islamica dell’Iran è una società molto complessa,[2] che non è certo retta da un regime totalitario, bensì da un sistema assembleare per certi versi paragonabile a una repubblica protosovietica controllata da un “senato” di teologi-giuristi. Nata da uno strappo violento che ha sottratto trent’anni fa agli USA il suo più sicuro e fedele alleato-subordinato e che ha fatto tabula rasa d’importanti interessi petroliferi occidentali, è strutturalmente avversaria della superpotenza americana: dal momento che essa individua in Israele il principale supporto della politica statunitense nel Vicino Oriente, essa avversa radicalmente anche quest’ultimo. Non c’è dubbio che il governo iraniano attuale abusi dei suoi poteri, a cominciare da quello che gli consente di comminare pene capitali, e che non rispetti alcuni diritti della persona umana. Non è l’unico a far certe cose (tali diritti non sono rispettati nemmeno nell’illegale campo di detenzione di Guantanamo, tenuto aperto dalla Prima Democrazia del mondo): ma le fa, e ciò dev’essere denunziato con deciso rigore.

Ciò non toglie che sull’Iran il mondo occidentale in genere, italiano in particolare, sia malissimo informato. Esaminiamo sinteticamente i quattro fondamentali capi d’accusa che vengono ormai rivolti abitualmente al governo di Ahmedinejad: si sarebbe reso responsabile di gravi brogli elettorali durante le ultime elezioni e di una pesante repressione delle proteste da parte dell’opposizione; minaccerebbe e programmerebbe un attacco contro Israele, con intenzione di distruggerlo; starebbe fabbricandosi un potenziale nucleare militare; sarebbe candidato a cedere in quanto isolato internazionalmente.

Si tratta sostanzialmente di quattro calunnie, per quanto ciascuna di essi riposi su un qualche elemento di verità. Vediamole in ordine.
Prima. In una recente intervista consultabile nella versione telematica di “Panorama” del 30.12.2010 una delle maggiori esperte di cose iraniane, Farian Sabahi,[3] non ha escluso che vi siano stati brogli elettorali, ma ha sottolineato che essi non possono aver falsato sostanzialmente il responso delle urne che è stato comunque con certezza largamente favorevole ad Ahmadinejad in quanto egli, a differenza dei suoi elettori, ha saputo guadagnarsi la fiducia della maggioranza degli iraniani non grazie alle sue tracotanti minacce contro Israele, bensì con una politica sociale che ha costantemente messo a disposizione dei ceti più deboli una massa ingente di pubbliche risorse, ha consentito a 22 milioni d’iraniani di accedere a efficaci cure mediche gratuite, ha aumentato molti stipendi (p.es. del 30% quello degli insegnanti), ha aumentato del 50% ‘entità delle pensioni. Al contrario i suoi avversari, pur abilissimi a mobilitarsi su Twitter e forti nei ceti medi specie della capitale, hanno fatto ben poca breccia nei centri minori e praticamente nessuna nelle campagne. I nostri mass media insistono sui deliri oratori hitleriani di Ahmedinejad (che peraltro riassumono sistematicamente, senza darci modo di capire che cosa effettivamente egli dica, e a chi, e in quali contesti), ma non c’informano per nulla della sua politica sociale, impedendoci di farci un’idea di che cosa realmente sia l’Iran di oggi.[4]

Seconda. Quanto all’atteggiamento di Ahmedinejad contro Israele, è indubbiamente una maldestra e odiosa misura propagandistica da parte sua la contestazione della shoah; ma, quanto alle minacce, chi non si limita al materiale scaricato da Twitter si è reso facilmente conto che il presidente iraniano non ha mai affermato che Israele vada distrutta (cioè che gli israeliani siano eliminati o cacciati), bensì che la pretesa di uno stato ebraico che si presenti come etnocratico e confessionale ma che nello stesso tempo pretenda di essere un modello di democrazia all’occidentale è evidentemente insostenibile in quanto costituisce una contraddizione in termini. Da ciò Ahmedinejad non deduce che lo stato d’Israele vada distrutto dall’esterno, ma che esso non potrà mai mantenersi sulla base dei principi proclamati. Oltretutto, nell’ormai radicato immaginario occidentale Ahmadinejad starebbe minacciando di distruzione nucleare Israele: ora, si domanda come può il leader di uno stato che non è ancora arrivato nemmeno al nucleare civile minacciare di distruzione nucleare un paese che invece dispone sul serio di un nucleare militare. Tutto ciò è assurdo. E non è difatti mai accaduto. Ahmedinejad si limita a dire che la convivenza di ebrei e di palestinesi dovrà essere rifondata su basi diverse da quelle dell’attuale stato d’Israele se vorrà avere qualche probabilità di sopravvivere.

Terza, la questione nucleare. Qui siamo al ridicolo e all’infamia al tempo stesso. L’11 febbraio scorso, trentennale della rivoluzione khomeinista, l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede Alì Akbar Naseri indiceva una conferenza stampa. Visto il momento “caldissimo” nell’opinione pubblica, si potrebbe supporre ch’essa è stata presa d’assalto dai media. Macché. Né un TG importante, né una testata di rilievo: è così che da noi si fa informazione. Tuttavia, le pacate dichiarazioni del diplomatico hanno richiamato un’ennesima volta a una verità obiettiva che ormai conosciamo. Il 4 febbraio scorso, il governo iraniano ha formulato alla authority internazionale nucleare, l’AIEA, una proposta molto flessibile e ragionevole: accettazione della prassi elaborata dal gruppo dei 5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Germania) nell’ottobre scorso, sulla base della quale l’Iran consegnerà delle partite di uranio arricchito al 3,5% alla Russia, che lo porterà al 20% e lo passerà alla Francia incaricato di restituirlo all’Iran. Date però le circostanze e il macchinoso sistema elaborato, il governo dell’Iran – temendo evidentemente che l’uranio gli venga sottratto – chiede semplicemente che lo scambio avvengo in territorio iraniano e che ad ogni cessione di partita di uranio al 3,5% l’Iran venga risarcito con la consegna di una pari quantità arricchita al 20%. Non si capisce perché il governo statunitense abbia rifiutato come “non interessante” una proposta del genere e si ostini a pretendere dall’Iran la pura e semplice cessione del minerale, senza contropartite né garanzie. Ciò corrisponde solo a un vecchio e abusato trucco diplomatico: formulare pretese assurde e irricevibili per poi accusare l’avversario, reo di non averle accettate. Bisogna al riguardo tener presente due cose: primo, per avviare la costruzione del nucleare militare è necessario un arricchimento dell’uranio all’80%, mentre l’Iran non è ancora in grado nemmeno di arricchirlo al 20%, limite indispensabile per gli usi civili. E di sviluppare un nucleare civile l’Iran ha diritto, in quanto paese firmatario del trattato di non-proliferazione (gli unici tre stati che non hanno firmato sono Israele, India, Pakistan). Il punto è che sembra proprio che i soggetti occidentali più importanti (quindi il governo statunitense e la NATO, che da esso è largamente controllata) siano ben decisi a procedere su una strada pregiudizialmente tracciata. In un’intervista concessa a Luigi Offeddu del “Il Corriere della Sera”, e pubblicata il 29.2.2010, Adres Fogh Rasmussen, segretario generale della NATO dall’agosto 2009, ha proferito affermazioni allucinanti nella sostanza non meno che nel tono: “Al momento dovuto, noi prenderemo le decisioni necessarie per difendere i paesi della NATO”, ha dichiarato.[5] Ha parlato di un sistema missilistico difensivo, risultato di una triplice collaborazione tra USA, NATO e Russia, fingendo di non sapere che in Realtà la Russia è preoccupata delle installazioni missilistiche USA-NATO in Romania e in Polonia, non è soddisfatta dei chiarimenti fornitile (secondo i quali esse sarebbero dirette contro la minaccia iraniana) e la sua richiesta di “collaborazione a tale sistema è, in realtà, una richiesta di controllo. Rassmunsen, ignorando del tutto le proposte iraniane, continua a proporre un diktat: l’Iran consegni tutto il suo uranio che verrà arricchito all’estero, senza alcuna possibilità di controllarne il destino, senza alcun controimpegno e senza alcuna contropartita. C’è da chiedersi chi mai potrebbe accettare imposizioni del genere.

Quarto. Si continua acriticamente a ripetere, da noi, che ormai l’ONU sarebbe pronta a inasprire l’embargo all’Iran e che lo stesso consiglio di Sicurezza sarebbe d’accordo: si tratterebbe solo di convincere la Cina a non usare il suo diritto di veto e a studiare sanzioni che colpiscano il governo iraniano, ma non la popolazione. Quest’ultimo proposito è manifestamente ipocrita: le sanzioni colpiscono sempre le popolazioni, e in genere rinsaldano la loro solidarietà con i loro governi (a parte l’ipocrisia del governo italiano, che sostiene di preoccuparsi per ragioni umanitarie mentre in realtà è in ansia per il grosso business iraniano dell’ENI, che potrebb’essere compromesso dalle sanzioni con un forte danno agli interessi italiani). Ad ogni modo, le sanzioni contro l’Iran non funzioneranno, perché il governo iraniano è a vari livelli in contatto positivo con molti paesi e ha stipulato o sta stipulando accordi non solo con Cina e Russia, ma anche con la Siria, col Venezuela e con la Turchia. E’ del 19.2., stando a due “lanci” AGI, la dichiarazione del viceministro degli Affari Esteri Serghiey Ryabkov, secondo la quale non solo la Russia è contraria a un inasprimento delle sanzioni contro l’Iran e indisponibile ad appoggiarle, ma si conferma intenzionata a fornire all’Iran i sistemi antiaerei S-300, come si era impegnata a fare.

Insomma, il regime iraniano può non piacere: ma non ha la possibilità e forse nemmeno l’intenzione di costruire armi nucleari e non si trova affatto in una posizione di assoluto isolamento diplomatico.
Ma allora perché gli USA sembrano preoccuparsi dell’Iran di Ahmedinejad al punto di arrivare alle esplicite minacce? L’atomica, i diritti umani e le minacce a Israele non c’entrano. C’entra invece il modesto isolotto di Kish sul Golfo Persico, che gli iraniani hanno scelto a sede di una futura rete di scambi petroliferi mirante alla costituzione di un “cartello” che si fonderebbe sull’unità monetaria non più del dollaro, bensì dell’euro. Questa è la bomba nucleare iraniana che davvero gli americani temono.

E allora, immaginiamoci un possibile e purtroppo piuttosto probabile futuro. La guerra, lo sanno tutti, è un gran ricco business: vi sono cointeressate potentissime lobbies industriali e finanziarie internazionali; è rimasta l’unica attività produttiva statunitense che davvero “tiri”; le commesse vanno rinnovate e gli arsenali debbono essere vuotati se si vogliono riempire di nuovo; poi ci sono i generali (non solo i generaloni del Pentagono, quelli che ostentano nomi da conquistatore romano, tipo Petreus; ma anche i generalucci della NATO e i generalicchi italiani, per tacer degli strateghi-peopolitici da TV…); inoltre c’è il sacrosanto spiegamento dei fondamentalisti cristiani, ebrei e musulmano-sunniti che non vedono l’ora di saltar addosso al demonio sciita; infine ci sono i poveri cristi che aspettano di venir ingaggiati come in Afghanistan e in Iraq, la folla dei portoricani in caccia della magica green card che fa di loro dei quali cittadini statunitensi, i sottoproletari che sognano di ascendere al rango di contractors. Tutte insieme, queste forze sono – non illudiamoci – potentissime.

Se non ci salva il duplice “veto” russo-cinese al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (ma anche quello non sarà sufficiente: basterà la NATO, come in Afghanistan nel 2001: poi, l’ONU sarà costretta ad avallare…), oppure, meglio ancora, un deciso “no” degli israeliani che – a differenza del loro governo – non hanno perduto il ben dell’intelletto e la voce dei quali potrebbe contare moltissimo dinanzi all’opinione pubblica mondiale , l’aggressione all’Iran probabilmente si farà. E’ molto più facile di quella all’Iraq del 2003: il sunnita e “laico-progressista” Saddam poteva contare su molti amici negli USA, in Europa e nel mondo musulmano, l’Iran fondamentalista e sciita non ne dispone. Poi, tra qualche anno, qualcuno in gramaglie verrà a dirci che no, ci eravamo sbagliati, la bomba nucleare proprio l’Iran non ce l’aveva e nemmeno i terribili missili puntati contro l’Occidente; qualcun altro sgamerà, altri ancora si rifugeranno nell’amnesia. Frattanto, nella migliore dell’ipotesi, ci saremo infilati in un pantano sanguinoso e costoso, peggiore di quelli afghano e irakeno messi insieme: un pantano nel quale sguazzeranno allegramente solo le anatre e le rane tipo gli imprenditori, i militarastri e i sottoproletari del “finché-c’è-guerra-c’è-speranza”, che ciascuno al suo livello ci guadagneranno (“produzione e consumo” in alto, patacche e promozioni a mezza tacca, “posti di lavoro” in basso) , o tipo La Russa, che già ora s’inorgoglisce dei suoi picchetti d’onore e delle sue finte uniformi militari. Se non altro, tutto ciò darà una nota comica alla vicenda. Ma non illudiamoci: quella sarà soltanto la migliore fra le ipotesi.

Franco Cardini
Fonte: http://www.diorama.it/
Link: http://www.diorama.it/index.php?option=com_content&task=view&id=178&Itemid=1
22.02.2010

NOTE

[1] I media ci hanno poi informati che le armi di distruzione di massa non c’erano: ma nessun governante nessun politico di quelli che a suo tempo avevano stragiurato sulla loro esistenza, nessun intellettuale o pubblicista di quelli che immaginavano scenari festosi (tipo i liberatori che arrivano a Baghdad in mezzo ai fiori e alle bandiere del popolo irakeno liberato…), nessun mezzobusto televisivo-opinion maker ha fatto ammenda dell’errore in cui aveva tentato d’indurci, o meglio della menzogna proferita. Anzi, a dimostrazione della longevità dei falsi miti, Tony Blair, nel corso della sua pietosa autocritica che sigilla il fallimento della sua carriera di politico (dopo i danni che ha fatto, e che purtroppo paghiamo e pagheremo noi) è tornato sulle armi di distruzione saddamiste come se fossero davvero esistite, “dimenticando” al figuraccia sua e di altri.
[2] Cfr. L’iran e il tempo. Una società complessa, a cura di A. Cancian, Roma, Jouvence 2008; A.Negri, Il turbante e la corona. Iran trent’anni dopo, Milano, Tropea, 2010.
[3] Di cui cfr. F.Sabahi, Storia dell’Iran 1890-2008, Milano, Bruno Mondadori, s.d.
[4] Cfr. il lucido commento di M.Tarchi, La lezione iraniana, “Diorama letterario”, 296, ott.-dic. 2009, pp. 1-3.
[5] L.Offeddu, “L’iran si fermi sul nucleare o la NATO dovrà difendersi”, “Corriere della Sera”, 20.2.2

Antimafia Duemila – Disastro ambientale in Campania, il silenzio dei colpevoli

Fonte: Antimafia Duemila – Disastro ambientale in Campania, il silenzio dei colpevoli.

E’ domenica, ma la campana della chiesa non canta, geme. Teresa se ne è andata.

Aveva 47 anni, e tanta voglia di portare a termine la sua missione di moglie, di mamma, di maestra.
Ha lottato, ha sperato, si è aggrappata alle bugie pietose che le raccontavano i figlioli. Teresa è morta. Di cancro. Come di cancro sono morti Salvatore, che di anni ne aveva 34, e Francesca, che è arrivata a 39. Nunzio, invece, ce l’ha fatta a superare la cinquantina, anche se solo di pochi mesi. I parroci furono tra i primi ad accorgersi che qualcosa non andava. Troppi i funerali celebrati, troppi i morti con diagnosi sempre uguali. In Campania occorre darsi da fare per realizzare il progetto della vita perché non solo si vive male, ma si vive men0. Lo avevano capito i preti, specialisti in niente, ma armati di quel buon senso che li porta a diffidare di ogni ideologia ed a mettersi in ascolto della gente vera. Avevano provveduto, com’è nel loro stile, con discrezione, a riferirlo a politici e medici locali. Niente. Ne avevano parlato dall’Altare. Avevano stampato volantini come questo: « Ci state uccidendo. Lentamente. Miseramente. Stupidamente. Morir di puzza. Che morte ignominiosa. Che morte miserabile. Che vergognosa morte…>). Niente. Qualche amministratore con il bronzo al posto della faccia informava i cittadini: «E vero, si sente il tanfo, ma è inevitabile abitando a ridosso di un cdr. Per cui, state tranquilli, è fastidioso, ma non è nocivo per la salute…», Il tempo dell’emergenza rifiuti costrinse il governo ad aprire gli occhi sulla Campania. Si prendeva atto che a livello locale il problema non sarebbe stato risolto mai. L’immondizia scomparve dalle strade e con essa fu messo a tacere anche l’allarme per la salute. Chi continuava ad insistere, venne tacciato di impaurire inutilmente la gente per chissà quali reconditi motivi. Non andava fatto. E tanti non lo fecero. C’erano, sì, voci di rifiuti tossici. Ma erano e sono tuttora solo voci, Chi possiede le mappe dei siti dove questi veleni furono occultati? Stavolta si comincia ad alzare la voce: in Campania, salute a rischio. In un convegno promosso dall’Ordine dei medici di Napoli e dai Medici per l’Ambiente lunedì scorso, scienziati italiani di chiara fama, sulla scottante materia rivelano i primi dati allarmanti: «Diossina nel latte materno; aumento delle mastectomie per cancro della mammella; aumento dei tumori nei bambini e aumento del 300% in otto anni della spesa farmaceutica presso l’istituto dei tumori di Napoli». Il coordinatore campano dei medici per l’ambiente, Gaetano Rivezzi, ha dichiarato che è stato stimato che il 24% delle patologie ha una causa ambientale. Alla fine del convegno, è stato chiesto un osservatorio presso l’Ordine dei medici con l’Associazione dei medici per l’ambiente per avviare le ricerche e tutelare la salute dei cittadini campani. Dobbiamo recuperare il nostro ruolo di educatori e promotori della salute anche dicendo la verità sui guasti dell’ambiente nella nostra regione . Verrebbe da dire: finalmente! Ritornano in mente le parole del Papa: rubare e mentire sono atti non umani. In Campania si è mentito ai cittadini tenendoli all’oscuro ed inquinando, oltre all’ambiente, anche le notizie. Si è mentito a volte per rubare: atti che di umano non hanno niente. Si è fatto di tutto per distogliere l’attenzione della gente dai veri problemi che affliggevano e affliggono la regione. Consola, e non poco, la presa di coscienza e la buona volontà della classe medica napoletana. Ci piace sperare che a quella medica si unisca la classe politica, votata da cittadini che, nonostante tutto, continuano a credere che ancora esistono persone che sanno e vogliono governare bene. Senza rubare e senza mentire. (Maurizio Patriciello, Avvenire, tratto da napolionline.org)

Tratto da: 9online.it

Blog di Beppe Grillo – Nuclearisti schizofrenici

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Nuclearisti schizofrenici.

Il nucleare in Italia lo vogliono soltanto in tre: Berlusconi, Sarkozy e la Confindustria. Le Regioni che si dicono favorevoli preferiscono che le centrali siano costruite altrove. Le Regioni contrarie si oppongono a priori alla costruzione nel loro territorio. E’ un rompicapo insolubile. Formigoni (PDL): “In Lombardia siamo vicini all’autosufficienza quindi non c’é bisogno di centrali in questo momento”. Zaia (PDL): “Il Veneto ha oggi un bilancio energetico positivo, produce più energia di quanta ne compra”. Polese (PDL): “La Puglia contribuisce in modo notevole alla produzione di energia e al fabbisogno energetico nazionale con centrali elettriche a Brindisi e Taranto. Non vi è quindi motivo né possibilità di realizzare una centrale nucleare”. Polverini (PDL): ” In tempi rapidissimi il Lazio diventerà energeticamente autosufficiente e in pochi anni andrà addirittura in surplus, esportando energia verso altre Regioni. Pertanto ritengo che nel Lazio non ci sia bisogno di istallare nuove centrali nucleari“. Rimane solo Arcore per una nanocentrale nucleare. Per le scorie c’è già il mausoleo incorporato, sembra fatto apposta.

ComeDonChisciotte – GRECIA – IL LETTO DI PROCUSTE

Fonte: ComeDonChisciotte – GRECIA – IL LETTO DI PROCUSTE.

C’è un’alternativa alla cura da cavallo: la nazionalizzazione del default

DI MORENO PASQUINELLI
sollevazione.blogspot.com

Diceva Noam Chomsky che ove un albero cadesse nella foresta ma non venisse ripreso dalle TV, è come se non fosse caduto. Ha dell’incredibile l’eccesso di zelo delle televisioni italiane (quelle che davvero plasmano il senso comune) verso Berlusconi e la sua direttiva dell’ottimismo coatto. Esse stanno operando una vera e propria censura sugli sviluppi della situazione in Grecia. Questo paese è sull’orlo di un collasso che rischia di scatenare un effetto domino su tutta Eurolandia e di trascinare nel vortice l’Italia anzitutto. Per di più la Grecia è attraversata dal più potente movimento di scioperi degli ultimi decenni. Meglio non parlarne affatto, non solo per non spaventare chi c’ha i quattrini e rischia di perdere tutto, ma per evitare che quelli che già ora non hanno più quasi niente si mettano in testa la strana idea di seguire l’esempio dei loro omologhi greci. Vedremo se questa congiura del silenzio reggerà alla prova del fuoco di domani, 24 febbraio, quando il paese sarà completamente paralizzato da quello che sarà senz’altro il più potente sciopero generale dalla caduta dei Colonnelli.

A seguito: “Il rischio del dominio della Grecia all’Italia” (Paolo Manasse, lavoce.info/); “Grecia: crisi del debito o crisi dell’euro ?” (Nicolas Benies, gauche-unitaire.fr);

Un complotto ai danni della Grecia?

Che negli ultimi anni la grande speculazione finanziaria abbia messo sotto attacco la Grecia e speculato vendendo e ricomprando i suoi titoli di stato, non pare ci sia alcun dubbio. Per smascherare “il complotto” ne stanno addirittura occupando i servizi segreti greci, spagnoli e anche francesi.

Scopriranno l’acqua calda, quello che anche un broker-mezza-tacca sa bene. Sul banco degli imputati anzitutto quattro fondi d’investimento: tre americani e un inglese (Moore Capital, Fidelity International, Paulson & Co e Brevan Howard (il maggior gestore di hedge funds d’Europa). Un primo report degli 007 greci afferma: «I quattro fondi hanno assunto posizioni corte sul debito greco vendendo massicciamente e quotidianamente i nostri bond a dicembre per poi ricomprarli una volta scese le quotazioni. Approfittando del clima sfavorevole all’economia del nostro paese e di rapporti che mettevano in dubbio la capacità di Atene di far fronte ai suoi debiti, questi fondi hanno incassato elevati utili.» (Dal quotidiano greco To Vima del 19 febbraio).
Anche il ministro dell’economia francese, Christine Lagarde conferma: “Ci sono difficoltà nella zona euro perché la Grecia è sott’attacco” (Le Monde del 20 febbraio).
Anche barbe finte spagnole, il CNI (che avrebbe addirittura costituito un dipartimento ad hoc), sta indagando sulla “cospiracion”. Si cerca di capire chi si sia arricchito quando le voci della insolvenza spagnola hanno fatto schizzare i prezzi dei Cds dagli 83 dollari del primo dicembre ai 166 dollari attuali. (El Pais del 20 febbraio). Non è escluso che a speculare sul rischio di default della Spagna essi peschino, non solo i soliti vampiri anglosassoni, ma pure qualche porcellino iberico. Gli affari, si sa, sono affari.
La Bibbia del capitalismo transnazionale, il Wall Street Journal ha risposto per le rime a queste notizie di indagine: “Parlare di una cospirazione… spaventa gli investitori più di qualsiasi editoriale critico”.
Da parte nostra non possiamo che aggiungere una banalità: che il capitalismo si fonda sulla caccia al massimo profitto, e che per ottenere il massimo bottino non si fa scrupoli di sorta. Si può ben affondare un paese se questo fa fare quattrini, tanti, maledetti e subito. La deregulation dei mercati finanziari (globalizzazione) avviata con gli anni ‘80-’90, ha trasformato la vecchia caccia al massimo profitto in un vero e proprio aggiotaggio, in un risico criminale legalizzato, ove ai grandi possessori di denaro è stato consentito di agire come una vera e propria delinquenza organizzata.

Chi possiede il debito pubblico greco ?

Avevamo già segnalato, ma vale la pena tornarci su, che sono due gli indici che la grande finanza considera come primi comandamenti per giudicare lo stato di salute delle casse e delle sorti di un paese: lo Spread e i Cds. Il differenziale (Spread) tra i titoli di Stato greci e quelli tedeschi (Bund) è diventato enorme. É passato dal 5% di fine novembre al 6,5% di questi giorni. Mentre i Credit default swap quinquennali, (le assicurazioni sui titoli di stato che coprono il rischio di insolvenza), sono praticamente raddoppiati in tutti i paesi. I Cds sul rischio di default della Grecia sono praticamente i più alti dell’Occidente (3,7% sull’ammontare del debito detenuto dall’investitore contro, ad esempio, lo 0,5% della Germania).

Questi due indici sono in verità alias o “indici ombra”, agganciati, almeno in teoria, ai loro fondamentali: il rapporto deficit-Pil (la differenza calcolata nell’arco di un anno d’esercizio tra i costi della amministrazione statale e le entrate derivanti dalle imposte dirette e indirette versate da imprese e singoli cittadini), e l’ammontare del debito pubblico —ancora una volta rispetto al Pil— che si dimostra così il bronzeo paradigma del turbo-capitalismo. Diciamo in teoria poiché l’alta finanza c’ha figli e figliastri e non considera tutti allo stesso modo. Il Regno Unito (che ha un rapporto deficit-Pil pari quasi a quello greco) e il Giappone (che ha il debito pubblico di gran lunga più alto del mondo) non sono messi sul banco degli accusati e non sono fatto oggetto di attacchi speculativi devastanti. Sospettiamo che la vera ragione non attenga solo ai “fondamentali” della macchina produttiva (che il Regno Unito infatti non possiede), quanto piuttosto al fatto che questi due paesi sono veri-stati-nazione, forti di una loro sovranità politica e monetaria e dunque in grado di proteggere le loro economie.

Tornando alla Grecia. Com’è noto, questo paese ha il debito più alto d’Europa (124,9% sul Pil) nonché il rapporto deficit -Pil più alto (12,7%). Di qui l’allarme sul rischio di default della Grecia.
Preoccupati sono anzitutto i creditori della Grecia, ovvero coloro che possiedono i suoi titoli di Stato. Se infatti questo paese dichiarasse l’insolvenza o annullasse il debito, non sarebbero i cittadini greci a lasciarci le penne, ma i creditori stranieri. Un dato è eclatante: il debito pubblico greco è per il 73% in mano a creditori stranieri. E vediamoli dunque chi sono questi creditori. Anzitutto francesi e tedeschi, soprattutto fondi pensione. Ecco spiegato l’arcano per cui Parigi e Berlino sono in prima fila nel fare pressioni sulla Bce e su Papandreu. «Nello scenario peggiore possono scegliere se far cadere la Grecia (e quindi condannare a pagare il debito i loro concittadini nati subito dopo la seconda guerra, oppure salvarla, trasferendo i costi del salvataggio sulle loro generazioni future.» (La Stampa del 21 febbraio).

E’ evidente che Francia e Germania vogliono evitare come la peste sia la prima che la seconda strada. Preferiscono la terza: che i greci si tirino fuori dagli impicci da soli, che il governo applichi la cura da cavallo e reprima con fermezza la eventuale rivolta popolare. Ma c’è un rischio nel caso il governo Papandreu cada e le masse popolari abbiano la meglio: l’effetto domino, non solo sugli altri PIGS, ma sulle grandi banche e fondi d’investimento francesi e tedeschi e a catena su tutta Eurolandia. Così in questi giorni, si fa un gran parlare di un piano da 25 miliardi di Euro per soccorrere la Grecia. E’ un fatto che un piano simile violerebbe i trattati europei e richiede che la Bce chiuda, non un occhio soltanto, ma entrambi. Staremo a vedere. Va da sé che l’eventuale piano da 25 miliardi sarebbe condizionato, appunto, all’inasprimento delle misure draconiane già adottate da Atene, ovvero a sacrifici inauditi per il popolo greco

Un’altra via d’uscita: la nazionalizzazione del default

Se un’azienda debitrice fallisce ci rimette quella creditrice che ha prestato denaro, fatta salva la facoltà di quest’ultima di fare rivalsa pignorando i suoi beni. Ma come fare rivalsa contro uno stato nazionale sovrano?
Fare rivalsa sulla Grecia, ormai espropriata in larga parte della sua sovranità nazionale, politica e monetaria, sarebbe in effetti un gioco da ragazzi.
Ma che accadrebbe se la Grecia decidesse d’un botto d’uscire dall’Euro e dall’Unione? Se decidesse unilateralmente di nazionalizzare e pilotare il default, ripristinando la sua moneta e svalutandola decisamente? O addirittura annullando il debito? Accadrebbe che i creditori sarebbero gabbati, che l’economia greca, pur restando nel quadro del capitalismo, riprenderebbe a camminare e ad esportare, attirerebbe non solo una gran massa di turisti, probabilmente anche di investimenti stranieri a causa del vantaggio rappresentato dal differenziale di cambio e dai bassi costi di produzione. Accadrebbe, questo è quel che più conta per milioni di greci, che eviterebbero la cura da cavallo.

Alternativa che non sta né in cielo né in terra? Via d’uscita giacobina? Sentiamo cosa dice Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 18 febbraio:
«Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare. Se invece la Grecia crescesse al 3% l’aggiustamento necessario sarebbe severo, ma non impossibile: circa 6 punti. Ma come fa la Grecia a ricominciare a crescere? Un modo c’è: uscire dall’Euro, svalutare del 50% e diventare il luogo più a buon mercato in cui andare in vacanza nel mediterraneo. Certo, la svalutazione raddoppierebbe il debito, che è tutto in Euro, ma sarebbe giocoforza non ripagarlo. E’ ciò che ha fatto l’Argentina, con risultati non disprezzabili».

Moreno Pasquinelli
Fonte: http://sollevazione.blogspot.com
Link: http://sollevazione.blogspot.com/2010/02/una-proposta-provocatoria.html#more
23.02.2010

Blog di Beppe Grillo – La fine della ricreazione

Fonte: Blog di Beppe Grillo – La fine della ricreazione.

Un articolo del “The New York Times” del 13 febbraio è passato quasi inosservato in Italia. Eppure è la campanella che segna la fine della ricreazione per l’economia italiana. Il titolo “Wall St. helped to mask debt fueling Europe ‘s crisis” (Wall Street ha aiutato a nascondere il debito pubblico europeo) riassume la tesi dei tre autori, L. Story, L. Thomas, N. Schwartz. Le banche americane e tra tutte la Goldman Sachs hanno permesso ad alcuni Paesi europei di nascondere il deficit di bilancio alla UE. La più esposta è la Grecia che ha sottoscritto con Goldman almeno due contratti di derivati “swaps” dai nomi mitologici Arianna e Eolo nel 2000 e nel 2001 per fare subito cassa in cambio di ipoteche sugli incassi futuri dalle tasse aeroportuali e dalle lotterie. Il governo greco classificò i contratti come vendite e non come prestiti (rischiosi) a lunga scadenza. Nessuno sa quanti di questi contratti sono stati stipulati e per quale entità.
Angela Merkel ha dichiarato che sarebbe uno scandalo se la Grecia avesse occultato il suo debito. Secondo l’agenzia Bloomberg sono almeno 15 le banche che hanno accordato prestiti sotto forma di swap nei quali il rischio di controparte è a carico della Grecia. Con gli swap in sostanza vengono anticipate dalle banche delle somme di denaro in funzione di un evento che può o non può manifestarsi e (di solito) non si manifesta. Il cliente si ritrova quindi a dover ripagare il prestito con corposi interessi come sta avvenendo per molti Comuni italiani che si sono indebitati in questi anni. Lo swap serve a spostare più in avanti un debito che però, prima o poi, va pagato. E’ come una carta di credito. Il problema si aggrava quando il debito non è dichiarato come tale e emerge all’improvviso dai bilanci degli Stati. La stessa cosa che avvenne con i subprime per le banche può avvenire con i derivati swap con gli Stati.
Le banche sono sempre alla ricerca di ottimi affari e gli Stati in procinto di affogare lo sono. Lo scorso novembre, con la Grecia in piena crisi, la Goldman Sachs è tornata ad Atene sul luogo del delitto per proporre di spostare con l’ennesimo strumento finanziario il debito della sanità nel futuro. La Grecia non ha accettato o, forse, non ha potuto accettare.
L’articolo cita anche l’Italia… “Gli strumenti sviluppati da Goldman Sachs, JP Morgan e da altre banche hanno permesso ai politici di mascherare i prestiti in Grecia, Italia e forse altrove” … “Stati come l’Italia e la Grecia entrarono nella UE con un deficit superiore a quello permesso dal trattato che creò l’euro. Piuttosto che aumentare le tasse o ridurre la spesa, questi governi ridussero artificialmente il loro deficit con i derivati“. Il debito pubblico della Grecia è di 298,5 miliardi di euro a fine 2009, un default greco trascinerebbe con sé anche molte grandi banche. L’economia greca vale comunque solo il 3% del PIL europeo. Un piano di intervento è possibile. La vera minaccia alla stabilità economica europea secondo Robert Mundell, premio Nobel per l’Economia, è l’Italia. L’Italia ha circa 1.800 miliardi di euro di debito, sei volte la Grecia, un quarto dell’intero debito europeo e potrebbe essere oggetto di attacchi speculativi. Quanti sono i derivati sottoscritti dal Tesoro e con chi e a quali condizioni? Sul debito pubblico non dovrebbe valere il segreto di Stato. Tremorti, se ci sei , batti un colpo!

Reportage: il reattore che mette paura – Mondo – l’Unità.it

Il nucleare non è sicuro neanche quando è il più sicuro del mondo…

Fonte: Reportage: il reattore che mette paura – Mondo – l’Unità.it.

Dall’inviato a Olkiluoto

Quando entriamo nel «Keskuskonttori» è mezzogiorno. Fuori sono meno sette gradi e c’è neve ovunque. Kathe Sarparanta ha già preparato tutto. Slide e proiettore. L’ufficio centrale del sito di Olkiluoto è luminoso. Ogni movimento è controllato e si passa da stanza a stanza solo col badge. In un silenzio assoluto. Ed è strano. Non si direbbe che a meno di 300 metri ci sia il cantiere della più grande centrale nucleare del mondo. Nata per essere quella tecnologicamente più avanzata, quella più sicura. Così aveva promesso Areva, che la porterà anche in Italia e che detiene i brevetti del nucleo centrale, così sostenevano i politici finlandesi al momento della stipula del contratto, nel 2002. Eppure le testimonianze dei lavoratori, le decisioni delle autorità di controllo, le tante falle che hanno caratterizzato la sua costruzione, raccontano un’altra verità. Olkiluoto 3 è un gigante fragile, tirato su in fretta e male, in spregio alle norme di sicurezza e senza un progetto chiaro.

Sarparanta è il manager che controlla la comunicazione per la Teollisuuden Voima Oyj. La Tvo (Compagnia elettrica occidentale) possiede il 90% della piccola isola di Olkiluoto. La società è privata ed è controllata da Pohjolan Voima Oy. È un’associazione di industrie capeggiata da quelle cartiere. «La Finlandia è uno dei primi produttori al mondo di carta» spiega Sarparanta mentre le foto girano sul proiettore. E trasformare il legno in cellulosa brucia energia: «Per questo serve Olkiluoto 3». Eppure il mercato negli ultimi anni è in caduta libera (il 20% solo l’anno passato). «Di carta ce ne sarà sempre bisogno» taglia corto il manager. E per evitare gap di energia ecco l’idea di Olkiluoto 3. Un Epr, appunto, francese. «Lo abbiamo scelto perché il più tecnologico e sicuro». Anche per il prezzo, in verità. 3,2 miliardi chiavi in mano. Tempo di costruzione quattro anni e messa in funzione nel 2009. Erano queste le promesse di Areva. Ma il cantiere è ancora a metà e si parla del 2012, forse il 2013, per la sua apertura. Mentre i costi sono più che raddoppiati.

Per poi avere cosa? Mostriamo al manager un documento dell’Autorità finlandese per l’energia atomica (Stuk). È una lettera resa pubblica lo scorso novembre. Porta anche la firma anche dell’autorità inglese (Hse) e di quella francese (Asn). Non ha precedenti per la sua gravità. Descrive una lacuna nel progetto che riguarda il dispositivo di emergenza dell’impianto. Stuk ha rilevato che questo ultimo non è indipendente da quello normale di controllo. Se si pianta il secondo il primo non funziona. Un errore in grado di causare un disastro due volte maggiore rispetto a quello di Chernobyl. Un bel guaio anche per Areva che lo deve progettare di nuovo.

Così come ha dovuto rifare i lavori della copertura d’acciaio, una sorta di anello gigantesco che corre attorno al reattore e che dovrebbe isolarlo dall’ambiente esterno. In questo caso ci si è accorti che l’impresa Babcock Noell di Wuzburg, vincitrice dell’appalto, quel manufatto gigantesco non l’aveva fatto con le proprie mani. L’aveva subappaltato in Polonia. Che a sua volta lo aveva subappaltato a un’industria baltica. Risultato? Crepe dappertutto. «In un progetto così grande qualche errore c’è sempre» ci dice Sarparanta. Stuk ne ha contati oltre 2mila. Ad esempio, nel suo report del terzo trimestre, reso pubblico pochi giorni fa, sempre l’autorità ha rilevato come persistano problemi con le saldature della copertura d’acciaio. Alcune di queste erano troppo sottili da non reggere una prolungata usura. Quelle stesse saldature, però, avevano superato già tre ispezioni. Ma come è possibile che gli ingegneri dell’autorità se ne siano accorti al terzo tentativo?

La risposta ce la dà Tapio Kettunen, che ha 39 anni ed è ingegnere. Dal 2005 al 2007 ha lavorato al progetto Olkiluoto 3. Dirigeva un gruppo di saldatori specializzati. O almeno così lui pensava. «Una quarantina di persone in tutto. Polacchi, per lo più. Nessuno parlava inglese». La centrale in effetti è una babele: le nazionalità diverse sono 53. Degli attuali 4mila lavoratori solo un quarto sono finlandesi. Molti polacchi (24%), e poi tedeschi, francesi, portoghesi, lituani, estoni, lettoni, inglesi, slovacchi, sloveni e spagnoli. Come il supervisore di Kettunen. Con il quale «comunicavo con le mani». E così con i polacchi. Che proprio specializzati non erano, ma costavano poco. «Nessuno sapeva qual era la temperatura giusta per la saldatura o il grado di voltaggio. Molti di loro avevano imparato a saldare da soli, a casa. Una buona parte delle saldature era difettosa. Capitava di camminare sopra l’acciaio rinforzato e romperlo». Areva, o il subappaltatore Bouygues, avrebbe dovuto provvedere a formarli, ma «non ci hanno fornito neanche le istruzioni». Il fatto è che «a loro non importava nulla di come venissero svolti i lavori». A loro «serviva solo carta». L’importante era fare in fretta e «avere i documenti a posto». Kettunen si è licenziato. «Non potevo più firmare quei progetti». I difetti sono rimasti. «Olkiluoto 3 è insicura? Posso parlare solo per le saldature. E le dico che quelle che ho visto io erano un’altra cosa».

Avere i documenti a posto è indispensabile. I controlli spesso avvengono, inevitabilmente, a cose fatte. Non sempre bene. Andrzej Miciak è polacco e ha lavorato fino al 2007 alla centrale. Saldatore e spesso semplice manovale è uscito allo scoperto grazie a Greenpeace. «Se qualche caporeparto individuava un danno, un rinforzo rotto o danneggiato, ci diceva di coprirlo col cemento». Senza ripararlo. «Dava la stessa indicazione, coprire col cemento, anche se c’erano dei pezzi mancanti, e che capitava spesso». Non si poteva aspettare e allungare i tempi di consegna. «Non ricordo più quanti errori sono stati coperti col cemento». Ma uno è saltato fuori,tanto era macroscopico. Ci si è resi conto, a un certo punto, che lo strato posato sopra la vasca del reattore non era regolare. Troppo granuloso, con qualche asperità, addirittura poroso. Non isolante, ecco.
Alle 16.00, a Olkiluoto la temperatura è scesa a -10 gradi. È quasi notte. Sarparanta si congeda. Lei sarà qui quando nascerà la centrale, ma non la vedrà morire, nel 2073. Forse neanche i suoi figli. I nipoti, si spera, ma anche per loro lo smantellamento definitivo, nel 2120, sarà un tabù. Olkiluoto 3 impegnerà tre generazioni di finlandesi a una lunga ipoteca. La stessa che fra tre anni avrà l’Italia