Archivi del giorno: 18 agosto 2010

Blog di Beppe Grillo – Processo per l’Iraq

Blog di Beppe Grillo – Processo per l’Iraq.

Oggi, 18 agosto 2010, un attentato in Iraq, a Baghdad, una bomba in un’autocisterna, 8 morti e 50 feriti. Ieri, 17 agosto 2010, un attentato suicida in Iraq, 59 morti e 125 feriti in un centro di addestramento militare. Giorno dopo giorno, attentato dopo attentato, in Iraq si continua a morire nonostante le elezioni del 2005 salutate in Occidente come un miracolo di esportazione della democrazia. Il 20 marzo 2003 una coalizione guidata dagli Stati Uniti invadeva l’Iraq, l’Italia di Berlusconi aderì entusiasta come in seguito quella di Prodi. George Bush cercava le armi di distruzione di massa. Non le trovò per il semplice motivo che non esistevano. Ottenne il controllo dell’Iraq e di un’area strategica per il petrolio al cui domino medio orientale manca solo l’Iran.
Il conto di questa guerra che può essere paragonata a Sebrenica, una strage contro l’umanità, e il cui responsabile, George Bush, dovrebbe essere giudicato da un tribunale internazionale, è di 106.000 morti solo tra i civili. Un massacro senza interruzioni come documentato dal sito Iraq Body Count. I morti per bombe e attacchi suicidi, dopo un rallentamento, non accennano a diminuire, nel 2010 sono morte in media 6,5 persone al giorno, nel 2004, secondo anno di occupazione, erano 5,2.
Quest’anno il parlamento serbo ha approvato una risoluzione di condanna del massacro di Sebrenica chiedendo scusa per le vittime. Il Congresso degli Stati Uniti e i Parlamenti delle forze che hanno illegittimamente occupato l’Iraq, inclusa l’Italia, dovrebbero fare lo stesso. Chiedere ufficialmente scusa, almeno questo! Si discute se costruire una moschea a Ground Zero, Obama non si è opposto, sembra che i leader musulmani abbiano comunque rinunciato. In Iraq ci sono decine, centinaia di Ground Zero, da Falluja con i civili bruciati vivi dalle bombe al fosforo bianco a Abu Ghraib, moderna imitazione dei lager. Nessuno pagherà per questo. I vincitori non si fanno mai processare.

Sarò onesto, Cossiga non mi mancherà | Il Fatto Quotidiano

Fonte: Sarò onesto, Cossiga non mi mancherà | Il Fatto Quotidiano.

di Nando Dalla Chiesa

Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri

Sarò onesto: non mi mancherà. Guai se la pietà per la morte offuscasse la memoria e il giudizio che la memoria (viva, ben viva) porta con sé. Non esisterebbe più la storia. E dunque, parlando di Francesco Cossiga, rifiuterò il metodo che gli fu alla fine più congeniale: quello di ricordare i morti diffamandoli, dicendo di loro cose dalle quali non potevano difendersi. Fidando nel fatto che i familiari una cosa sapevano con certezza: che se avessero osato replicargli lui avrebbe inventato altri episodi sconvenienti ancora e poi li avrebbe dileggiati, forte della sua passata carica istituzionale e della compiaciuta docilità con cui la stampa ospitava ogni sua calunnia. Fece così con Moro, con Berlinguer, con il generale dalla Chiesa. Fece così con altri. Era nato d’altronde un autentico genere giornalistico, l’intervista a Cossiga, che consisteva nel mettergli davanti un microfono o un taccuino e ospitare senza fiatare le sue allusioni, le sue bugie.

Da trasformare in rivelazioni storiche, provenienti dal loro unico e inesauribile depositario. Mi atterrò dunque ai fatti che tutti possono pubblicamente controllare. Perché ai tempi fui tra parlamentari che ne chiesero l’impeachement, anzitutto. Perché io il sistema politico di allora, quello che chiamavo il regime della corruzione, lo volevo cambiare per davvero. Ma per renderlo conforme alla Costituzione e a un decente senso delle istituzioni. Perciò mi scandalizzavo nel vedere un capo dello Stato giocare soddisfatto al picconatore, conducendo una massiccia attività di diseducazione civica. Quando poi Cossiga si mise alla testa della lotta contro i giudici, minacciando, lui presidente del Csm, di farlo presidiare militarmente dai carabinieri avvalendosi delle sue prerogative di Capo supremo delle Forze armate, pensai che la misura era colma. Che l’uomo esprimeva una cultura golpista e che era nella posizione istituzionale per tradurla in realtà politica.

Le chiavi di casa e i giudici ragazzini
Perché titolai la storia di Rosario Livatino “Il giudice ragazzino”. Esattamente in polemica con lui, che delegittimava i giovani magistrati che in Sicilia sfidavano la mafia. A questi giudici ragazzini non affiderei neanche le chiavi di una casa di campagna, aveva detto. E Livatino, morto a trentotto anni, aveva compiuto le sue prime coraggiosissime inchieste quando di anni ne aveva ventotto. Avevo imparato dai racconti di mio padre che quando si ha a che fare con la mafia chi ha un grado superiore protegge chi sta sul posto, ci passeggia insieme in piazza perché tutti capiscano. Che non è solo, che ha dietro lo Stato. Lui, capo dei magistrati, aveva invece umiliato sprezzantemente proprio i giudici più esposti negli anni della mattanza. Perchémi astenni, unico nel centrosinistra, sulla fiducia al primo governo D’Alema. Non per oltranzismo ulivista, ma perché non ero certo entrato in parlamento per fare un governo con Cossiga e con ciò che lui rappresentava nella vita del paese e nella mia vita personale. Il testo dell’intervento pronunciato in quell’occasione è agli atti. Allora mi valse richieste di interruzione da sinistra e qualche stretta di mano (tra cui quella di Gianfranco Fini). Perché l’ho spesso citato – ma non quanto avrei voluto – nei libri, negli articoli o negli interventi che avevano per oggetto la vicenda di mio padre.


Veleni attorno a un sacrificio

Perché ho sempre trovato maramaldo quello spargergli veleno intorno dopo il suo sacrificio. Non ho mai capito se fosse il seguito dell’isolamento che il sistema aveva inflitto al prefetto dopo l’ annuncio che sarebbe andato in Sicilia per combattere la mafia per davvero. Ricordo però con certezza che Cossiga iniziò a colpirne l’immagine in vista del maxiprocesso presentandolo con naturalezza come iscritto alla P2. I giudici che avevano indagato a Castiglion Fibocchi, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, mi garantirono che loro nella lista quel nome non l’avevano trovato. Lui insisté contro ogni atto giudiziario e parlamentare (della storia ho reso i particolari su “In nome del popolo italiano”, biografia postuma di mio padre, nel 1997). Finché anni dopo ancora raccontò la sua pazzesca verità: per proteggere mio padre Colombo e Turone, giudici felloni, avevano strappato un foglio dall’elenco. Non smise mai di raccontarlo. Così come, per sminuire il lavoro di Giancarlo Caselli e di mio padre contro il terrorismo, sostenne un giorno, poco dopo l’avviso di garanzia per Andreotti a Palermo, che il vero merito del pentimento di Patrizio Peci fosse di un maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo. Costui venne da lì lanciato pubblicamente in orbita giornalistica e televisiva per seminare nuove e inverosimili calunnie su mio padre, alcune delle quali si sono ormai purtroppo depositate negli atti giudiziari (tra i quali rimane però anche, a Palermo, il testo della controaudizione da me richiesta).

Altro verrebbe da dire, dalla memoria di Giorgiana Masi uccisa in quella famigerata manifestazione del ‘77 zeppa di infiltrati in armi, al contrasto avuto con lui in Senato, dai banchi della Margherita, sui fatti della Diaz, che lui, sedicente garantista, avallò senza scrupoli. Come e più che con Giovanni Leone, che non ebbe comunque le sue colpe, avremo probabilmente un mieloso coro di elogi. Poiché l’uomo ha incarnato alla perfezione la qualità media della nostra politica questo è assolutamente naturale. Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri. Riposi in pace, e che nessuno faccia a lui i torti che lui fece alle vittime della Repubblica.

Cossiga, il clown assassino | Il blog di Daniele Martinelli

Fonte: Cossiga, il clown assassino | Il blog di Daniele Martinelli.

Maria Fida Moro: “Cossiga è il responsabile della morte di mio padre”.

Il senatore a vita ed ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga se ne è finalmente andato all’età di 82 anni. Assieme al corpo la morte di Cossiga seppellirà un torbido impostore, uno spietato e bieco massone, un eversore golpista corrotto nell’animo camuffato da cattolico, che ha coronato la sua arricchita vita da politico grazie a 50 anni di silenzi e omertà sulle più sanguinose stragi di Stato, culminate col suo ruolo di presidente del Consiglio durante i giorni del sequestro Moro, nel 1978.
Ero bambino, ricordo i servizi in bianco e nero che la tivù di regime trasmetteva nei telegiornali. Intravedevo nell’immagine dell’ancora giovane Cossiga una tracotante baldanza nelle sembianze di un uomo a forma di armadio blindato, dietro il quale si celavano, soffocate da una patina isolante, le urla di disperazione dei martiri della patria, quelli sì, veri servitori dello Stato, torturati e uccisi perché testimoni di un ideale politico espresso da una corposa fetta di cittadini italiani che esprimevano nell’urna tramite il voto il loro unico frammento di libertà.
Con Francesco Cossiga scompare un lurido sarcofago debordante di scheletri dalle ossa rotte a mo’ di picconate, che ha stazionato nei palazzi del potere assieme al prescritto per mafia Giulio Andreotti (qualcuno sa se sia ancora vivo?) alleati di una generazione di terroristi impegnati nel proteggere il segreto di Stato sotto le mentite spoglie di Paese democratico.

Un servitore della mafia prima che dello Stato, e della Loggia P2 prima che degli italiani onesti, Cossiga da ministro dell’Interno fu un autentico guru nel pilotare l’Italia verso il loro regime. Fu lui a guidare e nominare la cricca di piduisti nei gangli del potere e del controllo degli apparati di sicurezza dello Stato italiano, appositamente per depistare le indagini sul sequestro Moro. Dagli ex generali Giuseppe Santovito nel Sismi e Giulio Grassini nel Sisde, a Walter Pelosi nel Cesi e Raffaele Giudice al vertice della Guardia di Finanza. Da Pietro Musumeci capo dell’ufficio “Controllo e sicurezza” agli ex colonnelli Giuseppe Belmonte, Elio Cioppa, Domenico Scoppio dirigente del Sios (servizio informazioni dell’Esercito), Sergio Di Donato (addetto alla gestione fondi), Antonio Romano (addetto alla sicurezza) fino all’ex capitano dei Carabinieri Vincenzo Rizzuti, è grazie al loro operato se Aldo Moro non fu mai ritrovato vivo.

Il Viminale di Cossiga, subito dopo la strage del rapimento in Via Fani, incrementò la ragnatela della P2 ingaggiando in qualità di esperti gli iscritti Federico Umberto D’Amato e lo psichiatra Franco Ferracuti (uomini di fiducia della Cia) il prefetto Fernando Guccione (a capo della “cossighiana” Sala direzione globale) l’ammiraglio Antonio Geraci a capo del Sios Marina (la maggior infiltrata nella P2) e Steve Pieczenik, uomo di fiducia del Segretario di Stato americano Henry Kissinger che da tempo lamentava le simpatie per i comunisti da parte delle alleate Francia e Italia tramite Aldo Moro.
All’indomani del ritrovamento del cadavere di Moro, Cossiga si dimise dal Viminale con un comunicato che celava con cinica chiarezza la copertura offerta alla banda piduista vincitrice occulta sulla resa dello Stato. La P2 mantenne il controllo dei servizi segreti e pilotò le indagini sul sequestro e l’uccisione dello statista democristiano rendendole inconcludenti.

Cossiga mentì ai magistrati dicendo di aver conosciuto Gelli dopo la tragedia Moro tramite il segretario di Donat Cattin, Ilio Giasolli, ma Gelli al contrario, dichiarò di aver conosciuto Cossiga nel 1972. Per il suo contributo di alleato con la malavita piduista che ancora oggi governa l’Italia, Francesco Cossiga tornò alla ribalta a Palazzo Chigi guidando ben 2 governi, il primo nel 1980 tripartitico in cui diventarono ministri i piduisti Adolfo Sarti alla Difesa e Gaetano Stammati al commercio estero. Nel secondo governo dello stesso anno (settembre) Sarti finì all’Istruzione lasciando il posto alla Difesa al massone Lelio Lagorio, e al compagno di merende Enrico Manca il Ministero del commercio estero (successivamente nominato direttore della Rai).

E’ grazie a quelle nomine eversive di Francesco Cossiga se la Loggia P2 ha impiantato le radici in Italia e spianato la strada alla cricca di Berlusconi. Per questo Francesco Cossiga fu premiato con un settennato da presidente della Repubblica delle banane. Stimato dai piduisti Berlusconi e Cicchitto, riverito da terroristi e brigatisti per il suo impegno portato avanti fino al 2008 nel cercare di liberarli tutti con un’amnistia, assieme a spie ed eversori dell’ordine democratico commessi contro lo Stato italiano, si è recentemente speso “cercando di sistemare un parente in Rai“, ossia nominare direttruce del Tg3 sua nipote Bianca Berlinguer e tentato di convincere il direttore di Rai2 Mauro Masi ad affiancare un antagonista a Marco Travaglio in Annozero per “normalizzare” il programma. Fervente sostenitore dell’esame psicoattitudinale per i magistrati, Francesco Cossiga è morto con la pensione di Tenente colonnello a libro paga degli italioti senza aver mai svolto un giorno di servizio militare, grazie a una legge fascista di Mussolini.

Ricorderemo Cossiga per essere stato un dannoso, pericoloso e sovversivo massone che si porta nella bara i segreti delle più orrende stragi di Stato, per le quali ceninaia di famiglie italiane hanno versato litri di lacrime senza avere mai avuto giustizia: Bologna, Ustica, Italicus, delitti Pecorelli e Calvi, intrecci criminali tra Sindona e la banca vaticana, le stragi Falcone e Borsellino, con Cossiga muore uno dei più efferrati traditori della democrazia in giacca e cravatta che, tra una picconata e un invito a legnare a sangue gli studenti in piazza, è riuscito a tacere su quelle orrende pagine della storia italiana fino all’ultimo. Senza mai recarsi da un magistrato a denunciare ciò che sapeva, Cossiga contende all’eroe Vittorio Mangano il podio di icona del presidente del consiglio dei piduisti attuale, che ha prostrato in ginocchio – anche oggi – giornali e tivù in un unico coro stonato concentrato sulle 4 lettere indirizzate alle alte cariche intrise di fandonie populiste, degne da Repubblica delle banane. A prova di bombe che io ricorderò con 4 lettere di altro tenore: M.O.R.O.

Ecco, da ateo, rimpiango che non esista un inferno in cui possa ardere Francesco Cossiga assieme ai papi e ai porporati che oggi lo riveriscono

Piero Ricca » Francesco Cossiga

Io mi chiedo ancora perché dopo una dichiarazione del genere Cossiga non sia stato processato per istigazione a delinquere…

Fonte: Piero Ricca » Francesco Cossiga.

Il grande uomo di Stato, tutto dedito alla salute della Res Publica, ci ha lasciati. Così viene celebrato. Lo ricorderemo tutti con queste parole di saggezza, che ispireranno generazioni di ministri dell’interno.

“Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni. Gli universitari? Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì”.