Archivi del giorno: 24 agosto 2010

Passera (senz’accento)? – Marco Travaglio – Voglio Scendere

Fonte: Passera (senz’accento)? – Marco Travaglio – Voglio Scendere.

L’altro giorno, tomo tomo cacchio cacchio, Corrado Passera è sceso dall’astronave che lo riportava sul suolo patrio dopo 20 anni di soggiorno su Saturno, atterrando dritto dritto sul Meeting ciellino di Rimini per tenere una dura requisitoria contro “tutta la classe dirigente italiana” che “non risolve i problemi della gente” e “suscita indignazione”. Applausi scroscianti dalla platea di Comunione e Fatturazione, anch’essa indignatissima contro questa classe dirigente che non risolve i problemi della gente, ma trova sempre il modo di risolvere quelli del Meeting di Cl, anzi Cf, finanziato negli anni dai migliori esponenti della classe dirigente: Berlusconi, Ciarrapico, Andreotti, Tanzi e altri gigli di campo; e ora da Banca Intesa, Eni e Formigoni (coi soldi della Regione Lombardia e delle Ferrovie Nord).

Naturalmente il Passera in questione non è neppure lontano parente del Passera che, già amministratore delegato di Olivetti (poi venuta a mancare all’affetto dei suoi dipendenti), di Poste Italiane (i nostri abbonati ne sanno qualcosa) e ora di Banca Intesa (socia, fra l’altro, del Corriere della Sera in pieno conflitto d’interessi e sponsor del Meeting), appartiene a pieno titolo alla classe dirigente che fa indignare i cittadini, dunque non si sognerebbe mai di sputare nel piatto in cui mangia. Anche perché, in platea, avrebbe potuto imbattersi in uno degli azionisti Alitalia che han perso tutto grazie alla mirabile operazione condotta da Passera nel 2008 per conto del governo Berlusconi, scaricando sui contribuenti la parte marcia della compagnia (un buco da 3-4 miliardi) e regalando quella sana a 15 furbetti dell’aeroplanino.
Nell’operazione Passera era contemporaneamente advisor del governo per trovare i compratori giusti e azionista della Cai, la compagnia acquirente della good company. Arbitro e giocatore. Si è guardato allo specchio e si è detto: bravo Corrado, hai vinto un posto nella nuova Cai, complimenti. Nella Cai sono entrati alcuni noti debitori di Banca Intesa di Passera, tra cui Carlo Toto, patron di AirOne, che vantava 900 milioni di debiti: ora i debiti si sono diluiti nel più grande calderone Cai e Banca Intesa di Passera non ha più nulla da temere. Ce ne sarebbe abbastanza per indignarsi contro questa classe dirigente, se per caso il Passera di Cai e di Intesa conoscesse il Passera di Rimini. Nel caso in cui lo conoscesse, due domande sorgerebbero spontanee. Che bisogno hanno questi cervelloni di rendersi ridicoli? E non sarà che, al posto dell’ometto ridicolo che ci governa, ne arriveranno altri più ridicoli di lui?

Le stesse domande scaturiscono dalla lettura delle geremiadi del teologo Vito Mancuso, il quale ha scoperto con notevole tempismo di chi è la Mondadori che pubblica i suoi libri: pare addirittura che sia di B., che l’ha recentemente favorita con la quarantesima legge ad personam della sua nutrita collezione. Figurarsi come reagirà Mancuso quando scoprirà che B. la Mondadori l’ha pure sfilata vent’anni fa a De Benedetti grazie a una sentenza comprata da Previti con soldi suoi. Potrebbe persino venirgli una punta di acidità di stomaco. Per ora il teologo ritardatario s’è limitato a scrivere due articoli su Repubblica. Inerpicandosi sulla sua prosa, il lettore si attende da un momento all’altro il grande annuncio: “…E pertanto ho deciso di abbandonare Mondadori e di pubblicare i miei libri con un altro editore”. Invece no: si arriva in fondo, non senza una certa fatica, e si constata, non senza un certo disappunto, che l’annuncio non arriva. Mancuso voleva solo aprire il dibattito con gli altri autori Mondadori di provata fede antiberlusconiana (“aspetto le reazioni”). E vedere l’effetto che fa. “Che famo, se n’annamo o restamo? Fateme sape’”. Perché o se ne va tutta la comitiva, o forse resta anche lui. Soffrendo molto, ma forse resta. Poteva chiamarli uno a uno al telefono e risparmiarsi un po’ di ridicolo, ma erano troppi. Così ha scritto due articoli. Per risparmiare sulla bolletta.

Il “Ritiro”

Fonte: Il “Ritiro”.

Il meme più in voga in questi ultimi giorni per quel che riguarda la politica estera è certamente l’abbandono, dopo 7 anni e mezzo dall’inizio della guerra, dell’Iraq da parte delle truppe americane. L’accordo siglato fra Washington e Baghdad prevede che dopo il 31 agosto resteranno in Iraq 50 mila militari senza funzioni di combattimento ma solo con ruolo di assistenza e di addestramento (concetto che evidentemente non è ancora stato assimilato dai soldati stessi); in seguito, entro la fine del 2011, l’insieme delle truppe americane sarà fuori dall’Iraq (le promesse elettorali erano di farlo con un anno di anticipo).

Sono necessarie due precisazioni. In primis le truppe che rimarranno in Iraq per un anno abbondante non sono composte da nuovi soldati, bensì si tratta semplicemente di un artificio neolinguistico, spiegato chiaramente… da Army Times:

I soldati della seconda Brigata di Combattimento, che compongono la 25^ Divisione di fanteria sono impiegati in Iraq come membri della Brigata di Assistenza e Addestramento, la designazione dell’Esercito per le brigate selezionate per assistere alle forze di sicurezza. Quindi mentre “l’ultima brigata statunitense di combattimento” ha lasciato l’Iraq, appena 50.000 soldati addestrati dalla fanteria e dalle brigate di combattimento rimarranno, analogamente a due divisioni dell’aviazione.

Risulta evidente che il ritiro sia più mediatico che reale se sei brigate equipaggiate per il combattimento e supportate da aerei da guerra che decolleranno dalle basi nel Golfo rimangono in territorio irakeno. Il ritiro non è sinonimo di un rimpatrio negli States, anzi, una brigata si sposterà in Kuwait e la maggior parte dei rimanenti verrà trasferita in Afghanistan. In secondo luogo, a queste divisioni di soldati addestrati a combattere si aggiungono i “soldati privati”. Nella lunga lista degli appaltatori c’è la Blackwater, che recentemente ha pagato una multa di 42 milioni di dollari per evitare conseguenze penali per aver violato l’embargo all’export di armi dall’Afghanistan (nascondendole in casse di prodotti alimentari destinati a finire in Iraq). Nessuno ha menzionato il destino degli 85,000 mercenari pagati dal contribuente americano. Secondo gli accordi tra i due Paesi gli Stati Uniti manterranno il controllo dello spazio aereo irakeno. Per far luce, o quantomeno tentare di comprendere le reali intenzioni degli Stati Uniti è necessario tornare indietro nel tempo di qualche anno. L’articolo che segue, tradotto dall’Independent, può esser un buon inizio:
Un accordo segreto, negoziato a Baghdad, sancirà l’occupazione militare statunitense dell’Iraq in maniera indefinita, senza alcun riguardo per le dichiarazioni durante le elezioni presidenziali di novembre. I termini di questo accordo, di cui l’Independent è venuto a conoscenza, potrebbero avere un effetto esplosivo nella politica irakena. Gli ufficiali irakeni temono che l’accordo, che stabilisce che le truppe statunitensi occuperanno permanentemente le basi militari, arresteranno gli irakeni, condurrano le operazioni militari e godranno dell’immunità dalla legge, destabilizzerà la posizione dell’Iraq in Medio Oriente e porrano le basi per un conflitto interminabile nel Paese. […]
Un ulteriore incentivo a stringere questo accordo è costituito dalla scelta del Governo americano di tenere 50 miliardi di dollari provenienti dall’Iraq nelle casse della Fed, per sollecitare l’accordo e spingere le autorità irakene ad avallare una permanenza senza limiti temporali. La fondatezza dell’esistenza di un accordo tra USA e Iraq trova riscontro non solo nel ruolo che svolgeranno le Divisioni di Fanteria, ma anche in un altro aspetto. Inizialmente gli Stati Uniti costruirono più di un centinaio di basi di diverse dimensioni e con diverse funzioni sul territorio irakeno. La domanda è, se l’intenzione di abbandonare definitivamente l’Iraq è reale, per quale motivo l’esercito sta rendendo alcune di queste basi “permanenti”?