Archivi del giorno: 13 novembre 2010

Blog di Beppe Grillo – Mettete dei fiori nei vostri cannoni

Soldi all’istruzione, non agli armamenti!

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Mettete dei fiori nei vostri cannoni.

In un Paese che ripudia la guerra per le armi ci sono ci sono sempre i soldi. I contribuenti italiani dovrebbero essere contenti di finanziare mortai e siluri…
“Non ci sono soldi per la scuola, per la cultura, per la ricerca, per il degrado ambientale ma..:
“Le commissioni Difesa di Camera e Senato hanno approvato in fretta e furia, e con il silenzio-assenso dell’opposizione Pd, un programma di riarmo di quasi un miliardo di euro, buona parte dei quali finiranno alle aziende belliche del gruppo industriale guidato Pier Francesco Guarguaglini. Il programma pluriennale… prevede una spesa complessiva di di 933,8 milioni di euro nell’arco dei prossimi quattro/nove anni. Vediamo il dettaglio:
– 200 milioni destinati a fornire i nostri elicotteri da guerra A-129 Mangusta
– 22,3 milioni per l’acquisto di 271 mortai da 81 millimetri di nuova generazione
– 125 milioni per la costruzione, alla Fincantieri di Genova, di una nuova unità navale della Marina militare
– 87,5 milioni per dotare i sommergibili classe U-212 di un nuovo siluro ‘pesante’
– 63 milioni di euro per realizzare, presso l’aeroporto militare di Pisa, un grande ‘hub’ aereo militare nazionale
– 236 milioni per una rete informatica militare sperimentale
– 200 milioni andranno infine all’AgustaWestland di Finmeccanica per l’acquisto di dieci nuovi elicotteri Aw-139″ (da peacereporter).” Beppe A.

ComeDonChisciotte – NORTH DAKOTA, IL MIRACOLO FATTO IN CASA

Articolo con qualche imprecisione ma che mette in evidenza ciò che dovrebbero fare tutti gli stati per liberarsi dalla schiavitù del debito verso le banche private.

Fonte: ComeDonChisciotte – NORTH DAKOTA, IL MIRACOLO FATTO IN CASA.

DI MARCELLO FOA
ilgiornale.it

Qual è lo Stato che può vantare una disoccupazione al 4,4%? E aumenti del Pil a due cifre con incrementi dei redditi delle persone fisiche pari al 23% tra il 2006 e il 2009? Uno pensa: non può essere che la Cina. Sbagliato. Anche nell’ansimante America c’è chi va alla grande. L’autore di questo miracolo è il North Dakota, ovvero uno dei piccoli e in apparenza marginali tra i 50 che compongono la federazione statunitense.

La sua fortuna? Aver dato retta, tra il 1915 e il 1920, alla Nonpartisan League, un movimento locale che l’establishment tentò di fermare bollandolo come populista, ma che in realtà era lungimirante. Quel movimento indipendente propose agli elettori del North Dakota di non aderire al Federal Reserve System ovvero al circuito finanziario imperniato sulla Fed, la Banca centrale americana. Pensavano, i contadini dello Stato, che non ci si potesse fidare dei banchieri di Wall Street e che fosse più saggio avvalersi di un Istituto indipendente. Il tempo ha dato loro ragione.

Il successo del North Dakota è tutto qui: pur usando il dollaro come valuta di scambio, oggi è l’unico Stato americano che non dipende dalla Federal Reserve. A garantire le sue riserve sono i cittadini, i quali, in caso di dissesti finanziari non potrebbero avvalersi dell’assicurazione federale sui depositi. Lo Stato corre un rischio, ma ipotetico: in oltre 90 anni di vita l’istituto non è mai stato in difficoltà ed è passato indenne attraverso ogni crisi.

Per legge lo Stato e tutti gli enti pubblici devono versare i fondi nelle casse della Banca centrale del North Dakota, che li usa non per ottenere utili mirabolanti, né per oliare indebitamente le banche private, ma per aiutare la crescita dello Stato. Di fatto agisce come un’agenzia di sviluppo economico e dunque sostiene progetti d’investimento, concede finanziamenti a tassi molto bassi, nonché un numero impressionante di prestiti agli studenti a condizioni eque.

Sarà per la mentalità contadina di quella gente o per le virtù civiche sia degli amministratori della banca che dei cittadini, ma il tasso di spreco e di inefficienza è bassissimo. Per dirla in altri termini: quegli investimenti non sono sprecati in progetti insensati o improduttivi, dunque non producono carrozzoni parapubblici con interessi e prospettive clientelari, ma producono ricchezza nel territorio e dunque nuovo gettito fiscale, nuovi fondi per la banca; insomma, generano un ciclo virtuoso.

Sembra l’uovo di Colombo, ma altro non è che il trionfo del buon senso. In ultima analisi lo scopo della banca centrale di un Paese dovrebbe essere quello di agevolare uno sviluppo economico armonioso e senza squilibri finanziari o inflazionistici. La Bank of North Dakota ci riesce a tal punto da chiudere ogni anno in utile (nel 2009 per 58 milioni di dollari), denaro che torna ai legittimi proprietari ovvero ai contribuenti. Il sistema funziona così bene che diversi Stati americani vogliono imitarlo. E mica solo staterelli, anche colossi come California, Ohio, Florida, stufi di un meccanismo che negli ultimi trent’anni ha creato una ricchezza illusoria.

La Federal Reserve, infatti, non appartiene ai cittadini americani, ma alle banche, che pertanto sono i suoi azionisti di riferimento, così come, peraltro, avviene per la Banca d’Italia. Il liberista Ron Paul da anni sostiene, inascoltato, che una Banca centrale non è nemmeno contemplata dalla Costituzione americana e che di fatto tradisce lo spirito dei fondatori degli Stati Uniti d’America. Furono gli ambienti di Wall Street, nel 1914, a indurre il presidente Wilson a creare la Fed, la quale, però, nel corso dei decenni ha assunto compiti e generato dinamiche devianti, sottraendo al popolo la sovranità finanziaria.

Contrariamente alla Fed, la North Dakota Bank non ha bisogno di considerare interventi straordinari a sostegno di un’economia asfittica, né di comprare i Buoni del Tesoro invenduti, per la semplice ragione che lo Stato non ha debiti ed è addirittura in surplus. La North Dakota Bank non ha seguito la moda dei subprime, né della cartolarizzazione dei debiti, né delle altre diavolerie finanziarie escogitate negli ultimi anni dai dissennati e avidissimi manager delle grandi banche d’affari. Ha continuato ad essere una banca centrale al servizio della comunità, capace di mettere a disposizione dei privati le risorse necessarie per avviare imprese che poi non vivono di sussidi, ma secondo le regole di mercato. È la rivincita di un’America semplice e vincente, ma di cui nessuno parla mai.

Marcello Foa
Fonte: http://www.ilgiornale.it
Link: http://www.ilgiornale.it/esteri/north_dakota_miracolo_fatto_casa/09-11-2010/articolo-id=485586-page=0-comments=1
12.10.2010

VEDI ANCHE: COME GLI STATI ASSETATI DI SOLDI POSSONO CREARE IL PROPRIO CREDITO

Antimafia Duemila – Metalli tossici e diossina, sequestrata a Milano area di 300mila mq

Fonte: Antimafia Duemila – Metalli tossici e diossina, sequestrata a Milano area di 300mila mq.

La procura di Milano ha disposto il sequestro d’urgenza di una vasta area di 300mila metri quadri a ovest di Milano nella zona del quartiere Bisceglie, dove dovrebbe sorgere, tra l’altro, anche uno dei parchi che rientrano nel progetto ‘Vie d’Acqua Expo’.
Il sequestro è motivato dal fatto che l’area, dove c’era l’ex cava di Geregnano, era in passato utilizzata come discarica e non sarebbe stata adeguatamente bonificata. In particolare, i rilievi ordinati dal pm Paola Pirrotta, avrebbero fatto emergere la presenza nella falda acquifera sottostante al terreno di sostanze pericolose per la salute, come le diossine e altri elementi potenzialmente cancerogeni. Nell’inchiesta sono indagate alcune persone con l’accusa di avvelenamento delle acque, omessa bonifica e gestione di discarica. L’area e’ di proprieta’ delle societa’ ‘Antica Acqua Pia Marcia’ riconducibile all’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone e della ‘Torri Parchi Bisceglie Srl’. La societa’ Expo non e’ coinvolta in alcun modo nella vicenda.

Tratto da:
ilfattoquotidiano.it

Blog di Beppe Grillo – I gattopardi

Fini è membro dell’European Council on Foreign Relations, l’ipotesi di Grillo regge…

Fonte: Blog di Beppe Grillo – I gattopardi.

Correva l’anno 1994 e Bottino Craxi fuggiva a Hammamet. Era diventato imbarazzante, un personaggio impresentabile per i poteri che lo sostenevano. Che si erano già riorganizzati per tempo, da almeno un anno, con la creazione di Forza Italia. Nel Paese apparivano infatti da alcuni mesi misteriosi cartelloni pubblicitari con un bambino che gridava: “Foooza Italia!“. Craxi venne sostituito dal suo compare, amico, beneficiario, Silvio Berlusconi. Un tizio ricattabile, pieno di debiti, così vicino a Bottino da essere presente nella sua stanza di albergo di Roma, il Raphael, prima del lancio delle monetine all’uscita. Craxi si prese gli insulti, Berlusconi il governo presentandosi come uomo nuovo. Tutto cambiò perché nulla cambiasse. Lo psicoporcello imbarcò nel governo i craxiani e continuò la politica precedente. I finanziamenti ai partiti aumentarono, le leggi ad hoc si moltiplicarono, i regali alla Confindustria sotto forme di concessioni statali pure, il debito pubblico continuò la sua corsa e la mafia rimase come sempre al suo posto di comando insieme alla massoneria. L’italiano andò a votare il delfino di Craxi convinto di voltare pagina. L’opposizione non si oppose, creò una gioiosa macchina da guerra e lanciò il suo ruggito del topo con la controcontrofigura di Berlinguer, un uomo chiamato Occhetto. Proporre come alternativa un comunista dopo il fallimento mondiale del comunismo, ripudiato persino da Gorbaciov, e il crollo del muro di Berlino fu una mossa di facciata. Il neocraxismo doveva vincere e vinse. La struttura di potere che lo sostenne fu, come sempre, salva.
Corre l’anno 2010 e Berlusconi non è ancora fuggito ad Antigua. E’ diventato imbarazzante per le sue frequentazioni femminili, un personaggio impresentabile per i poteri che lo sostengono. Che si sono già riorganizzati da almeno un anno con la creazione di un nuovo leader, Gianfranco Fini. Un uomo nuovo, un ex fascista sdoganato da Berlusconi nel 1993, quando lo propose come sindaco di Roma. Da allora suo alleato, esecutore dei suoi ordini, sostenitore delle sue leggi ad personam, silenzioso sui suoi processi, solidale nello smantellamento piduista della democrazia come nel caso della legge elettorale porcata di Calderoli sulla quale non emise un fiato, complice nella sua occupazione dei media. Insomma, l’alter ego politico di Emilio Fede. I giornali di sinistra lo hanno accolto come Cesare nel trionfo romano dopo la conquista delle Gallie. L’opposizione lo ha salutato come il cavaliere bianco in fez e ha messo in campo anch’essa un uomo nuovo, Nicola Vendola, parte della nomenklatura dei partiti dal 1985, quando entrò nella segreteria nazionale della FGCI, un signore che non ha alcuna speranza di vincere e per questo può essere il prescelto e ottenere le copertine sia dell’Espresso che di Chi. La somma dei voti dei partiti del cartellone del centrodestra dopo l’apparente uscita di Fini aumenterà, cresceranno la Lega e FLI che catturerà i voti di chi vuole il rinnovamento morale del Paese. Il PDL rimarrà stabile. Dopo la parentesi di un governo tecnico, indispensabile per evitare il default, si tornerà alle elezioni. Il neoberlusconismo deve vincere e rivincerà e la struttura che sosteneva Berlusconi e oggi lo scarica, sarà come sempre, salva.

Ciancimino a colloquio con Berlusconi. Gli incontri milanesi confermati dalla vedova

Emergono elementi che avvalorano l’ipotesi ancora non confermata che Berlusconi abbia costruito Milano 2 riciclando i soldi della mafia.

Fonte: Ciancimino a colloquio con Berlusconi. Gli incontri milanesi confermati dalla vedova.

L’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino incontrò l’allora imprenditore Silvio Berlusconi in tre occasioni, a Milano, dopo il ’72. A due dei colloqui, avvenuti in un ristorante di Milano, partecipò anche Epifania Scardino, moglie del politico corleonese. A confermarlo ai pm di Palermo Paolo Guido e Nino Di Matteo, durante un interrogatorio che è stato secretato, è stata la stessa vedova. La donna, sentita alla presenza dell’avvocato, ha anche ricordato che i due parlarono di affari.

E’ la prima volta che Scardino rivela ai pm la sua presenza ai colloqui tra Berlusconi e il marito. Interrogata a luglio e settembre scorsi, infatti, aveva riferito di aver saputo dall’ex sindaco che i due si erano visti tre volte, ma non aveva fatto cenno alla sua partecipazione, di cui invece aveva parlato il figlio Massimo Ciancimino durante una trasmissione televisiva su La7.

L’incontro sarebbe avvenuto in un ristorante di via Diaz a Milano. La Procura sta indagando sui presunti investimenti illeciti del tesoro di Vito Ciancimino che secondo il figlio Massimo sarebbe in parte finito nel complesso edilizio Milano 2. Epifania Scardino viene sentita anche dal pm Sergio De Montis e dall’aggiunto Antonio Ingroia sul caso del giornalista Mauro De Mauro, scomparso a Palermo nel ’70. La donna dovrebbe riferire sui rapporti di amicizia tra il marito e l’ex procuratore di Palermo Pietro Scaglione ucciso il 5 maggio del 1971.

La decisione di interrogare la vedova è stata presa dopo la consegna da parte del figlio ai pm di Palermo, che per il delitto processano il boss Totò Riina, degli appunti manoscritti del padre in cui si sostiene che l’omicidio del giornalista inaugurò una stagione di delitti in cui Cosa nostra avrebbe agito su input istituzionali. Massimo Ciancimino, poi interrogato dai magistrati, ha anche raccontato di avere saputo che il padre parlò delle sue intuizioni sul caso De Mauro al procuratore Scaglione di cui era amico. Il figlio dell’ex sindaco deporrà venerdì prossimo al processo de Mauro. Secondo indiscrezioni il boss Totò Riina, in quella sede, potrebbe fare dichiarazioni spontanee.

Massimo Ciancimino sarà sentito nel processo per De Mauro il 19 novembre. Ha riferito ai Pm, fornendo anche dei documenti, che suo padre avrebbe fatto da mediatore tra “ambienti istituzionali romani” e i corleonesi proprio per il sequestro del giornalista. (AGI)

Fonte: repubblica.it, (12 Novembre 2010)

‘Nel ’93 non ho rinnovato il 41bis e ho evitato altre stragi’

Lo stato avrebbe dovuto essere fermo contro la mafia, e invece adesso la mafia si è fatta stato.

Fonte: ‘Nel ’93 non ho rinnovato il 41bis e ho evitato altre stragi’.

Lo rivela l’ex Guardasigilli Conso in commissione Antimafia

Per fermare le stragi di Cosa Nostra dopo gli attentati di Roma, Firenze e Milano, il ministro della Giustizia Giovanni Conso il 4 novembre del ’93 decise di non rinnovare il 41 bis per 140 mafiosi detenuti. Lo ha detto ieri, con una dichiarazione clamorosa in commissione Antimafia, lo stesso ex Guardasigilli in carica dal febbraio del ’93 all’aprile del’94 nei governi Amato e Ciampi. È la prima ammissione proveniente da un uomo delle istituzioni di un collegamento diretto – durante il biennio stragista – tra la gestione dinamica del 41 bis e gli attentati di Cosa Nostra. Dalla memoria a orologeria dei protagonisti politici di quella stagione arriva, a sorpresa, la prova dell’esistenza della trattativa tra Stato e mafia?
“Non ci fu nessuna trattativa – ha tagliato corto Conso – né quella decisione fu l’effetto di un ricatto più o meno diretto”. Ai commissari, poi, l’ex ministro ha spiegato: “Non ebbi alcuna pressione o invito da alcuno, si tratta di una scelta che feci in solitudine pensando che una soluzione diversa avrebbe dato il destro ad una possibile minaccia di altre stragi. Quella proroga, del resto, non era necessaria”.

Ma come è giustificabile una simile ‘benevolenza’, come lo stesso Conso l’ha definita davanti all’Antimafia, da parte di un ministro della Repubblica nei confronti dei boss detenuti ? Qui l’ex Guardasigilli si è avventurato in un’analisi degli equilibri interni a Cosa Nostra, in quell’epoca, che solleva più di un interrogativo. Ha spiegato Conso: “Quella decisione fu presa non in un’ottica di pacificazione, ma per vedere di fermare la minaccia di altre stragi. C’era già stato l’arresto di Riina, e si parlava di un cambio di passo della mafia con il nuovo capo, Provenzano”. Ha aggiunto ancora Conso: “Il vice di Riina aveva un’altra visione: puntare sull’aspetto economico ed abbandonare le stragi. Ecco perché decisi di lasciar stare un atto che non era obbligatorio. I pm non dissero nulla. Fu solo una mia decisione non concordata con alcuno”. E la decisione, come sottolinea lo stesso Conso, funzionò a meraviglia. Difatti dopo quel mancato rinnovo del 41 bis, ha rimarcato l’ex uomo di governo, ‘’di stragi non ce ne sono più state’’.


I dubbi sulle dichiarazioni

MA È NORMALE che un governo conceda, anche solo di propria iniziativa, benefici carcerari in cambio di un’aspettativa di non belligeranza da parte dell’organizzazione criminale più potente del mondo? Non pensò il ministro che questo suo atteggiamento ‘morbido’ potesse essere scambiato per un inizio di trattativa? Glielo ha chiesto, in Commissione, il deputato di Fli Angela Napoli. E Conso ha così chiosato: “Non l’ho mai pensato. Per parlare di trattativa bisogna avere una lettera, un colloquio con un’altra persona”. E quando la Napoli l’ha incalzato, domandando se di questa sua decisione avesse parlato con qualcuno, l’ex ministro ha risposto: “Non ne ho parlato con nessuno”, anche se non ha escluso di aver informato l’ex direttore degli Affari penali del ministero Liliana Ferraro, definita “una collaboratrice importante”. E, dopo aver compiuto una dotta dissertazione sull’evoluzione normativa del 41 bis, ha concluso la sua audizione dicendo di non aver informato della cosa neppure il consiglio dei ministri: “Ciampi aveva fiducia in me”. E comunque non era il caso di “dare adito alla stampa – ha precisato – di compiere valutazioni che potevano essere arbitrarie”.
Se Giovanni Conso nega l’esistenza della trattativa, per Luigi Li Gotti, senatore dell’Idv, le parole dell’ex ministro suonano invece come la conferma del patto tra Stato e mafia. “Oggi Conso in Antimafia ha indirettamente confermato la trattativa” – dice Li Gotti, che fu il difensore del boss Giovanni Brusca – “i 41 bis nel novembre del ’93 non furono confermati perché da Provenzano era stato manifestato l’abbandono della strategia stragista”. E sull’analisi mafiologica di Conso, Li Gotti appare perplesso sottolineando che la divergenza di linea tra Riina e Provenzano, alla fine del ’93 non era ancora nota . “Dice Conso che all’epoca ne parlavano tutti i giornali – evidenzia Li Gotti – ma non è esatto, perché addirittura Di Maggio aveva detto che Provenzano era morto”. Chiede adesso il senatore, membro dell’Antimafia: “Allora chi si fece latore delle scelte di Provenzano? Questa è la trattativa, pur ignorata da Conso”.
Anche ai familiari delle vittime delle stragi del ’93 le parole di Conso provocano grande stupore. “Siamo costernati – dice Giovanna Maggiani Chelli – siamo allo scandalo più puro: chi deve, si vergogni di averci così drammaticamente ingannato”.

Il ritorno alla linea dura.

NEL GENNAIO del ’94, infine, Conso tornò ad essere un ministro intransigente e rinnovo’ il 41 bis per un altro gruppo di detenuti mafiosi. “Può apparire contraddittorio” ma, come fa notare lo stesso ex Guardasigilli, stavolta “si trattava di capi: Fidanzati, Calò e tanti altri. C’era lo stesso rapporto che c’è tra i ricchi e poveri”. Proprio sulla presunta interlocuzione, a suon di bombe, tra mafia e Stato in relazione all’iter del 41 bis, si erano accesi i riflettori investigativi della Procura di Firenze quando titolare dell’indagine era il pm Gabriele Chelazzi. L’11 aprile del 2003, pochi giorni prima di morire d’infarto, Chelazzi interrogò il generale Mario Mori (oggi indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa) e il testo di quel verbale è oggi agli atti del processo per la mancata cattura di Provenzano in corso a Palermo. Secondo Chelazzi, esisteva un rapporto diretto tra la revoca di alcuni 41 bis e il fallito attentato dello stadio Olimpico che il pm fiorentino aveva datato al 31 ottobre del 1993. Tre giorni prima della revoca per i 140 detenuti di cui oggi parla Conso.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2010)

Ass.Georgofili: ”Quando lo Stato scopri’ che mafia voleva abolito 41 bis?”

12 novembre 2010. Firenze. A questo punto è doveroso essere informati quando lo Stato scoprì che la mafia voleva abolito il 41 bis o sarebbe stata strage. Prima o dopo le stragi del 1993? Se l’informativa c’era già prima della strage di Firenze, allora non capiamo perché decisione simile a quella del Ministro Conso del 4 novembre 1993 al momento del fallito attentato all’Olimpico, non fu presa in tempo utile per evitare il massacro di via dei Georgofili. Del resto noi sappiamo che alle 23 del 14 Maggio 1993 il Ministro Mancino sapeva già che era stata la mafia e lo comunicò al Dr. Costanzo. Se l’informativa sulla mafia ormai allergica al 41 bis, viene resa nota invece dopo tutte le stragi del 93 e in prossimità di quella fallita all’Olimpico, resta incomprensibile perché quando nel processo di Firenze si parla di trattativa e in giro ormai anche i sassi sanno che i morti di Firenze sono legati al 41 bis, il Ministro Conso e tutti gli altri non hanno parlato nelle sedi giuste, e lo fanno ora con 17 anni di ritardo in una sede che non può certo condannarli neppure moralmente. Cominciamo a pensare che le nostre cause civili non dovrebbero essere orientate verso la mafia stragista, ma verso uno Stato non all’altezza della situazione mentre deve diffendere i suoi cittadini.

Cordiali saluti.

Giovanna Maggiani Chelli
Presidente
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili