Archivi del giorno: 7 dicembre 2010

ComeDonChisciotte – SE L’EURO VA VERSO L’ESTINZIONE, CHE FINE FA IL DOLLARO ?

Quest’articolo evidenzia un fatto ovvio ma di cui la stampa non parla: con questi prestiti a tassi elevati, non è possibile salvare nessun paese, si posticipa solo il momento della bancarotta mettendo i paesi in una lunga agoinia. Meglio uscire dall’euro e svalutare.

Fonte: ComeDonChisciotte – SE L’EURO VA VERSO L’ESTINZIONE, CHE FINE FA IL DOLLARO ?.

DI GONZALO LIRA
gonzalolira.blogspot.com

L’Eurozona sta per crollare – chiunque dica il contrario viene lapidato, lavora a Bruxelles, oppure non ha controllato il mercato obbligazionario europeo di recente: si sta scatenando l’inferno lì.

E se, come ho sostenuto qui , il Parlamento Irlandese decidesse di non approvare il piano di austerity il prossimo 7 dicembre – ossia, se decidesse di non accettare il salvataggio della Banca Centrale Europea – allora si scatenerà l’inferno in Europa giusto in tempo per il Natale: Satana e Babbo Natale potrebbero scontrarsi sulla Rue Belliard prima della fine dell’anno.

Perciò gli “smart money” incominciano a pensare a quello che succederà dopo che ci sarà stato il picco della crisi dell’euro.

In altri termini, cosa succederà al dollaro, una volta che l’euro si sarà estinto.

Per prima cosa, dobbiamo capire come siamo arrivati a questo punto, per prevedere quello che succederà dopo.

Le Repubbliche delle Banane d’Europa

Negli anni ’70 e ’80, varie repubbliche latino americane hanno stupidamente ancorato la loro valuta al dollaro Americano.
È andato a meraviglia – all’inizio. Dapprincipio, questi “pesci piccoli” hanno tratto vantaggio dal tasso di cambio valuta fisso per indebitarsi in dollari, e per darsi alle spese alla grande.

È tutto finito in lacrime, naturalmente, quando è arrivato il conto. Il Cile, l’Argentina, il Perù, l’Uruguay, tutti, in vari periodi, hanno avuto la propria valuta ancorata al dollaro. E in ciascuna di queste situazioni, una volta che il legame valutario è diventato insostenibile, le loro economie sono crollate.

E questo è esattamente ciò che hanno fatto le economie più piccole dell’Europa. Come ho scritto ad aprile, se si pensa all’euro come semplicemente ad un legame valutario molto complesso, allora la crisi di solvibilità cui stiamo assistendo in Europa era inevitabile.

Proprio come le repubbliche delle banane in America Latina, i paesi PIIGS dell’Europa si sono indebitati fino al punto dell’insolvibilità.

Cosa stanno facendo gli Europei? Cercano di salvare gli arti cancrenosi al posto del paziente.

Quando le economie latino americane e i loro obbligazionisti hanno capito – con le brutte maniere – che il loro legame valutario con il dollaro era insostenibile, questi paesi hanno svalutato la loro moneta locale ed hanno iniziato a ricostruire la loro economia.

E gli obbligazionisti? Ossia, quella gente sciocca abbastanza dare prestiti ai paesi che avevano ancorato la loro valuta al dollaro? Se gli è andata bene, hanno scontato il valore di mercato delle obbligazioni. Altrimenti, se ne sono tornati a casa con un ciambellone grande e grosso – un enorme zero.

Cosa ha fatto la BCE in merito al fallimento delle economie dell’eurozona della Grecia e dell’Irlanda? Ha cercato di sostenerle con i salvataggi – ma mantenendo tali economie legate all’euro.

Cosa sono i salvataggi? Beh, sono prestiti. In altre parole, questi euro-imbecilli stanno prestando denaro a queste economie fragili per consentire loro di ripagare gli altri prestiti che hanno contratto. Gli euro-parassiti di Bruxelles non permettono alla Grecia e all’Irlanda di essere inadempienti e una ristrutturazione: insistono al contrario sul salvarli e sull’imporre misure di austerity, senza costringere gli obbligazionisti a fare sconti sul valore di mercato delle obbligazioni.

Pertanto, mentre le economie della Grecia e dell’Irlanda continuano a deteriorare, hanno una valuta oltremodo forte per la loro economia, e sono costrette a pagare 100c sull’euro, su prestiti che non possono realisticamente ripagare.

Gli effetti sono ovvi:

Già il salvataggio della Grecia della scorsa primavera – che doveva essere ripagato nel 2014 e nel 2015 – è stato prolungato al 2017. E gli osservatori casuali della situazione irlandese si rendono conto che, con un salvataggio che costa 85 bilioni di euro al 5,8% di interesse, non c’è modo che l’Irlanda sia mai in grado di uscire dal debito. La Grecia e l’Irlanda saranno schiave del debito per sempre, persino quando il peso schiacciante dell’euro distruggerà le loro economie.

Nel frattempo i mercati obbligazionari hanno compreso che i salvataggi della Grecia e dell’Irlanda stanno solo procrastinando il problema – i burocrati a Bruxelles stanno semplicemente dando alla Grecia e all’Irlanda più prestiti per saldare vecchi debiti. Quindi i mercati obbligazionari stanno semplicemente saltando al prossimo punto di crisi a venire:

la Spagna.

Come ho sostenuto qui (trad.italiana), la Spagna rappresenta il campo di battaglia dove l’Eurozona potrà sopravvivere come una partnership molto più ristretta di stati membri, oppure dove l’Euro sarà letteralmente distrutto — possibilmente insieme all’Unione Europea.

Allora cosa succederebbe all’euro?

Ci sono due possibilità:

La prima, è che gli euro-testa-di-merda di Bruxelles cercheranno di fare in Spagna quello che hanno già fatto con così straordinaria incompetenza in Grecia e in Irlanda – sorreggere il debito sovrano con ulteriori prestiti. I mercati obbligazionari – proprio come nel caso della Grecia e dell’Irlanda – capiscono che questo è futile, o nella migliore delle ipotesi un palliativo, e pertanto vanno alla prossima economia debole nella lista: l’Italia.

Proprio come hanno fallito la Grecia e l’Irlanda, cade la Grecia, cade l’Italia, finché i mercati obbligazionari decidono per la Francia – membro finale dell’eurozona. Le obbligazioni francesi vengono attaccate, la Germania si ritira del tutto –

– in breve, un gran caos, con l’euro moribondo abbandonato a lato della strada e tutti i paesi che ritornano alle loro valute originarie, ma con tassi d’interesse a doppi zeri, mentre il mercato obbligazionario europeo viene cancellato.

Questo è il peggiore scenario.

La seconda possibilità – la possibilità che avrebbe dovuto essere attuata nel caso della Grecia, e che credo gli eurocrati attueranno quando sarà la volta del disastro di Spagna e Italia – è di far uscire gli stati dall’eurozona.

Questa è la cosa sensata da fare. Credo anche quella più probabile: le economie deboli e insolventi – la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna, l’Italia, il Belgio – vengono eliminate dall’eurozona e ritornano alle loro valute locali, con la ristrutturazione del loro debito.

Per come la vedo io, far uscire le economie più deboli è l’unico modo per curare questa cancrena valutaria che sta uccidendo l’intera eurozona. Per fermare la cancrena, la devi aspirare e amputare l’arto. Per fermare quello che sta succedendo nell’eurozona? Stessa cosa.

Se si permette alla cancrena di diffondersi – se l’EU e la BCE insistono sui salvataggi per tutte le economie dell’eurozona, mentre insistono che rimangano tutte nell’euro e ripaghino 100c sull’euro – allora l’unione monetaria europea non ha speranze, come pure l’Unione Europea stessa.

Pertanto le nazioni deboli e insolventi dovranno essere espulse dall’eurozona, per salvare le economie più forti e fiorenti.

Ci sono svariati stati nell’Unione Europea che hanno una propria valuta, diversa dall’euro – tagliare fuori le economie che sono ovviamente lese dall’euro è la cosa razionale da fare.

Ma del resto, con quegli euro fessi di Bruxelles non si sa mai.

Che ne sarà del dollaro?

Bisogna capire una cosa dell’eurozona, prima di poterne capire qualunque altra: che è grande.

Certamente, l’eurozona è più piccola della zona del dollaro – ma non di molto: il suo PIL nel 2009 è stato di €8,5 trilioni di euro ($11 trilioni di dollari), approssimativamente il 78% del PIL degli Stati Uniti.

I PIL combinati degli [stati] “PIIGS” + quello del Belgio nel 2009 sono stati di circa €2,5 trilioni di euro – perciò se venissero buttati fuori, la ridotta eurozona rimarrebbe con un [PIL] molto rispettabile di €6 trilioni di euro.

Qualunque grande mossa sull’euro avrebbe un impatto massiccio sul resto dell’economia mondiale, Stati Uniti e dollaro compresi – e non lasciatevi dire il contrario da nessuno.

Perciò – sia che si verifichi (nel peggior caso) un completo crollo dell’euro, oppure (nel miglior caso) un’espulsione ordinata delle economie deboli e insolventi dall’eurozona – i grandi vincitori saranno i metalli preziosi, i prodotti (industriali, agricoli e il petrolio), il franco svizzero, la sterlina inglese, le obbligazioni di stato britanniche, il dollaro, e i buoni del tesoro USA. In questo preciso ordine.

Gli Europei hanno una storia che li guida: sanno che in tempi difficili i metalli preziosi sono il rifugio più sicuro. Per di più, molti di loro – giustamente – non hanno fiducia nei pazzi che dirigono la Federal Reserve: credono che QE e varie ripetizioni siano pazzesche.

Quindi fuggiranno dall’euro ai metalli preziosi. Anche i prodotti aumenteranno, per approssimativamente le stesse ragioni.

Il franco svizzero e specialmente la sterlina inglese aumenteranno – di molto – con un terremoto dell’euro. Gli Svizzeri sono un tradizionale porto sicuro – ma i Britannici sotto Cameron stanno vincendo i kudos per le loro misure di austerity. Indipendentemente dal fatto che si creda o meno che siano mezze misure, c’è la percezione in Europa che il Regno Unito sia fermamente sull’Austerity di Sua Maestà: questo rende la sterlina molto allettante per gli Europei.

Molto più del dollaro americano: anche il dollaro salirà con il crollo dell’euro, ma non perché è così allettante – non lo è. Come ho detto, gli Europei non hanno fiducia nei pazzi dell’Eccles Building. Ma se tutti usciranno dall’euro, inevitabilmente una parte di loro andrà al dollaro, anche se solo come protezione dalle mosse improvvise del franco e della sterlina. Lo stesso vale per i buoni del tesoro americani. I loro redditi assurdi diventeranno ancora più assurdi – ma i buoni del tesoro saranno una classe di asset di ultima risorsa per il capitale europeo che fugge dall’euro.

Quindi indipendentemente da come finirà l’euro – o con un totale crollo valutario, o con un esodo degli stati membri più deboli e insolventi – il dollaro si rafforzerà in qualche modo, ma sarà niente a confronto con la sterlina inglese e il franco svizzero.

E il dollaro si indebolirà – sostanzialmente – contro i metalli preziosi o i prodotti di tutte le classi, quando crollerà l’euro.

Come molti di voi sanno, sono un teorico dell’iperinflazione . [I’m a Hyperinflation Boy] Quindi su questo argomento, un crollo dell’euro – totale o parziale – accelererà l’arrivo dell’iperinflazione del dollaro.

Il motivo per cui lo credo è che anche se il dollaro si rafforzasse contro le altre maggiori valute, cadrebbe contro i metalli preziosi e prodotti, sia industriali che agricoli, compreso il petrolio. L’aumento del prezzo di tutti i prodotti per effetto degli Europei che usciranno dal fallimento della loro valuta, metterà pressione sul dollaro, che spingerà l’economia americana ancora di più nella direzione verso cui sta già andando.

Quindi un crollo dell’euro non è una buona notizia per il dollaro – al contrario: accelererà la caduta del dollaro stesso.

Gonzalo Lira
Fonte: http://gonzalolira.blogspot.com
Link: http://gonzalolira.blogspot.com/2010/11/as-euro-goes-way-of-dodo-where-does.html
30.12.2010

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

SHALE GAS VS SOUTH STREAM. LA CAMPAGNA DEL CORSERA

Fonte: ComeDonChisciotte – SHALE GAS VS SOUTH STREAM. LA CAMPAGNA DEL CORSERA.

DI DANIELE SCALEA
eurasia-rivista.org

Il “Corriere della Sera”, quotidiano di Mediobanca e della famiglia Agnelli-Elkann, sta dando ampio spazio alla pubblicazione di stralci dei documenti diplomatici statunitensi resi pubblici da “ Wikileaks“. È però evidente come ci sia una ben precisa logica nella selezione degli estratti da pubblicare. Tutti i passaggi critici verso le relazioni Italia-Russia hanno trovato spazio ed ampio rilievo nelle pagine del quotidiano. Ampiamente citato è stato pure il cablogramma inviato dall’ambasciatore statunitense Spogli, datato 26 gennaio 2009. Troverete un riassunto cliccando qui.

Stranamente il “Corriere della Sera” ha però evitato di citare un passaggio fondamentale del cablogramma.Per comodità del lettore lo riportiamo in traduzione italiana; le sigle si riferiscono a particolari uffici dell’Ambasciata: Pol = Ufficio Politico; PA = Ufficio Affari Pubblici; Econoff= Ufficio Economico:

Per attaccare frontalmente il problema, Post ha messo in campo una vigorosa strategia diplomatica e d’affari pubblici diretta a figure chiave, interne ed esterne al Governo [italiano]. Il nostro scopo è duplice: educare più profondamente gl’interlocutori circa le attività russe e dunque sul contesto della politica statunitense, e costruire a mo’ di contrappeso un’opinione dissenziente sulla politica russa, specialmente dentro il partito politico di Berlusconi. Dall’inizio dell’estate, col ritorno di Berlusconi al potere e la crisi georgiana, abbiamo coinvolto dirigenti del Governo italiano, aggressivamente e a tutti i livelli. Pol, PA e Econoff hanno coinvolto membri di partito, contatti nel Governo italiano, pensatoi ed anche la stampa, al fine di fornire una narrazione alternativa all’insistenza di Berlusconi che la Russia sia un paese stabile e democratico, provocato dall’Occidente. Lo sforzo sembra stia pagando. L’opposizione ha cominciato ad attaccare Berlusconi accusandolo d’aver scelto la parte sbagliata. Alcuni nel PdL hanno cominciato a rivolgersi a noi privatamente, per dirci che gradirebbero un maggiore dialogo con noi sulla questione russa, ed hanno rivelato il loro interesse a sfidare l’infatuazione di Berlusconi per Putin.

Sarebbe interessante sapere dal “Corriere” perché non voglia portare a conoscenza dei suoi lettori anche questo brano fondamentale. Essi hanno il diritto/dovere d’interrogarsi sui fatti rivelati da “Wikileaks” – su tutti i fatti, non solo su quelli accuratamente selezionati dai media. È degno d’un paese sovrano ed indipendente che esponenti della classe politica si rivolgano ad un’ambasciata straniera, ancorché alleata, per contrastare l’azione del proprio Governo? Non è prerogativa irrinunciabile, per uno Stato realmente sovrano ed indipendente, che i problemi di politica interna siano risolti, per l’appunto, internamente, senza l’ingerenza di potenze straniere?

Ma il quotidiano di Mediobanca e degli Elkann pare interessato ad altre domande, come quelle rivolte da Massimo Mucchetti, nell’edizione del 3 dicembre scorso, e rievocate dai suoi colleghi nei giorni successivi. In buona sostanza, la tesi di Mucchetti è che la scelta dell’ENI di partecipare alla costruzione del gasdotto South Stream sia economicamente insensata, in quanto bisognerebbe semmai investire nel gas di scisto (“shale gas“). Invitiamo i lettori a consultare il breve articolo di Mucchetti, che commenteremo di seguito.

Spieghiamo rapidamente cosa sia questo shale gas, cui Mucchetti pare attribuire virtù taumaturgiche. Si tratta di un gas contenuto in rocce scistose (cioè che si sfaldano secondo piani paralleli) nel sottosuolo, generalmente a più di mille metri di profondità. Lo sfruttamento del gas di scisto ha un impatto ambientale nient’affatto trascurabile. Per ottenere il gas bisogna fratturare le rocce, e la tecnica è quella di sparare nei pozzi acqua mista a sabbia e sostanze chimiche. Ciò significa che, in un’epoca in cui l’acqua sta divenendo un bene raro e prezioso, se ne dovrebbero utilizzare ingenti quantità per fratturare delle rocce nel sottosuolo. Inoltre, nel processo sono immessi nel terreno anche sostanze chimiche: negli USA si sono già verificati casi di contaminazione di falde acquifere. Consigliamo la visione del documentario GasLand di Josh Fox.

Un’altra problematica connessa al gas di scisto è che, per estrarlo capillarmente, gli strati vanno perforati orizzontalmente. Ciò significa che, laddove un giacimento di gas convenzionale richiede un singolo pozzo verticale, un giacimento di gas di scisto richiede numerosi fori orizzontali. In un continente densamente popolato come l’Europa è difficile trovare ampie zone spopolate, e l’idea di radere al suolo intere città, deportare gli abitanti ed avvelenare le falde acquifere non è neppure contemplata, o così almeno ci auguriamo.

Queste sono le ragioni per cui ben pochi credono davvero che in Europa si possa raggiungere un livello di sfruttamento del gas di scisto pari a quello degli USA. Inoltre, non si sa di preciso se vi siano giacimenti significativi in Italia. Vale davvero la pena di rinunciare a mettere in sicurezza e potenziare la propria principale via di rifornimento energetico – quella proveniente dalla Russia – per investire tutto in un’intrapresa dall’esito assai dubbio? L’ENI di Scaroni, va sottolineato, si sta già impegnando nel campo del gas di scisto, e ciò da prima dell’articolo di Mucchetti. Ma, con senso del realismo, l’ENI non rinuncia al gas russo per puntare tutto su solo ipotetici giacimenti italiani di gas di scisto, il cui sfruttamento, per giunta, comporta gravissimi danni ambientali (oltre a quelli già citati, numerosi scienziati ritengono che la produzione del gas di scisto avveleni l’atmosfera e contribuisca al riscaldamento globale più della combustione del carbone).

A meno che la proposta sia quella d’importare il gas di scisto da chi già lo produce in grandi quantità: gli USA. Ma perché rinunciare ad un fornitore vicino, affidabile (sono decenni che il gas naturale russo arriva in Italia), già ampiamente connesso alle reti energetiche italiane, per affidarci ad un fornitore che sta dall’altra parte dell’oceano? Per riecheggiare la domanda che si pone Mucchetti in chiusura del suo articolo, chi ci guadagnerebbe da un simile cambiamento? Davvero ci guadagnerebbe l’Italia, che semplicemente scambierebbe la sua dipendenza dalla Russia con quella dagli USA? Oppure a guadagnarci sarebbe esclusivamente il nuovo fornitore, ossia gli USA? Gli stessi USA che, nella loro corrispondenza diplomatica, criticano aspramente l’amicizia tra Italia e Russia, e la cui ambasciata a Roma ha lavorato per sabotarla…

Daniele Scalea
Fonte: http://www.eurasia-rivista.org
Link: http://www.eurasia-rivista.org/7227/shale-gas-vs-south-stream-la-campagna-del-corsera
5.12.2010

LEGGI ANCHE: DANIELE SCALEA – I RAPPORTI ITALIA–RUSSIA, L’AMBASCIATA USA E IL DECLINO DI BERLUSCONI

“È colluso con cosa nostra” Ma può tenersi i suoi beni

Fonte: Il Fatto Quotidiano » “È colluso con cosa nostra” Ma può tenersi i suoi beni.

La nuova legge evita il sequestro dell’impero di Zummo. Se prima la confisca poteva avvenire sulla base di “sufficienti indizi” oggi è necessario che i beni “risultino” frutto di attività illecite

La questione è semantica. Ma non è un particolare. Il vero significato di questa storia, infatti, si traduce in un favore alle cosche da parte del governo Berlusconi. In tempi di polemiche antimafia (vedi la querelle Saviano-Maroni) la notizia stride e non poco. Il dato, però, risulta oggettivo e sta scritto in calce alla legge 125 del 24 luglio 2008 (il Cavaliere era in sella da tre mesi) che ha in parte modificato l’articolo 2 della normativa antimafia. Il tema è spinoso: la confisca dei beni alla criminalità organizzata. Tema, tra l’altro, caro al ministro Bobo Maroni che da settimane ripete: “È la vera priorità del governo”.

L’obiettivo è giusto. Lo strumento però risulta spuntato per colpa di quello stesso governo che a detta del Cavaliere “ha fatto più di tutti contro la mafia”. In sintesi: se prima la confisca poteva avvenire sulla “base dei sufficienti indizi”, oggi è necessario che i beni “risultino” frutto di attività illecite. Fuori dai tecnicismi: se prima serviva solo un indizio, adesso si richiede la prova. Ma trovare la prova non è sempre facile. E in molti casi l’interpretazione dei giudici rischia di essere troppo severa.

Risultato: gli avvocati dei boss ingolfano i tribunali di ricorsi per riottenere indietro i beni. Il rischio è alto. Ecco allora che il due novembre scorso, per la prima volta, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, in base alla modifica dell’articolo due, non dispone la confisca dei beni a un signore come Francesco Zummo, il cui casellario (giudiziario) presenta diversi inciampi. In sostanza i giudici ritengono che “Zummo non abbia formato il proprio ingente patrimonio grazie al sostegno di Cosa Nostra”.

Una storia italiana
Eppure la storia di questo imprenditore nato a Palermo nel 1932 racconta altri fatti. Condannato per favoreggiamento in secondo grado con l’accusa di essere il prestanome di Vito Ciancimino, da sempre Zummo è un imprenditore edile che viaggia con il vento in poppa. Di lui parla il pentito Paolo Francesco Anzelmo, già vicecapo della famiglia mafiosa della Noce. “Zummo – dice – l’avevamo nelle mani noialtri!”. Dopodiché aggiunge: “Si era intestato disponibilità economiche riconducibili alla famiglia della Noce”. E che le ricchezze dell’imprenditore siano legate a doppio filo alla mafia, lo conferma anche Salvatore Cucuzza, già reggente del mandamaneto di Porta Nuova. È lui a raccontare ai giudici come Zummo riuscisse a vendere gli appartamenti in regime di monopolio “grazie all’appoggio di Cosa nostra”. Nel 2009, però, la corte d’Appello di Palermo lo assolve dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (in primo grado era stato condannato a cinque anni), facendo una precisazione: “Francesco Zummo è certamente un imprenditore colluso con Cosa Nostra”.

Il recuperodelle proprietà
Nonostante questo, Zummo intravede la possibilità di riavere tutto il suo patrimonio. Perché in tasca all’imprenditore, assolto sì, ma ritenuto “partecipe di un meccanismo finanziario” offerto “a Cosa Nostra” per “conservare in modo occulto ingenti risorse monetarie”, rischiano di tornare non solo gli immobili, ma anche il denaro. Tesori finanziari appoggiati tra la Ubs di Montecarlo e la Arner delle Bahamas, filiale di Nassau. La stessa banca d’affari che nella sua sede milanese custodisce parte dei soldi della famiglia Berlusconi.

In corso Venezia 54, oltre ai conti del premier, risulta anche il 387-20 della Flat Point Development e sul quale sono passati 25 milioni di euro in tre anni, subito trasferiti in Svizzera. La Flat sta costruendo i resort di Antigua dove il Cavaliere ha acquistato una residenza principesca. Ma gli interessi di Zummo toccano anche il Principato. Qui il costruttore fa transitare 20 milioni di euro. Cifra suddivisa in conti presso la Ubs e la Banca del Gottardo. Altri nove milioni atterrano sulla Credit Suisse Private Banking di Locarno. Tutti i beneficari sono società del Liechtenstein. Non è finita. L’annullamento della confisca riguarda anche i 12 milioni di euro appoggiati presso la Arner di Nassau. Del conto è beneficiario il fondo d’investimento Pluto, la cui titolare è Teresa Macaluso, moglie di Zummo. Oggi la signora è indagata con il marito per aver riciclato denaro in nome di Cosa nostra.

Grazie, dunque, alle modifiche volute dal governo del Cavaliere il tesoretto sta per ritornare nella disponibilità dell’imprenditore “colluso”. Non subito, però. Sulla decisione del Tribunale pende il ricorso della Procura generale. Stando però così le cose, sembra solo una questione di tempo. Eppure il ministro dell’Interno ripete: “In due anni di governo sono stati sottratti più di 22.000 beni”. La realtà è un’altra. Perché tra le pieghe di tanta gloria, le ricchezze dei padrini restano pressoché intatte. Oltre alle modifiche semantiche, infatti, il governo ha deciso di destinare i beni alle spese ministeriali tramite aste pubbliche, dove possono infiltrarsi i clan. Eppure il premier va avanti. E per bocca di Maroni annuncia: “Ridurremo la mafia a fenomeno rurale”.

da Il Fatto Quotidiano del 7 dicembre 2010