Archivi del giorno: 21 dicembre 2010

Antimafia Duemila – Il centro del potere mondiale

Antimafia Duemila – Il centro del potere mondiale.

ComeDonChisciotte – FONDO ORDINARIO DI RICERCA 2010 SPESE MILITARI E REGALI A ISRAELE

Questo governo è la vergogna del genere umano…

Fonte: ComeDonChisciotte – FONDO ORDINARIO DI RICERCA 2010 SPESE MILITARI E REGALI A ISRAELE.

DI MARCELLO SORDO
facebook.com

Segnalo atti del Senato del 3 e 7 dicembre sul Fondo ordinario alla ricerca:

 

Si evince che grandi somme di denaro saranno veicolate dalle casse della ricerca per scopi militari (compreso l’asse con Israele che l’Italia va rafforzando) e per l’energia nucleare (“Dà indi conto delle novità del provvedimento, prima tra tutti l’esplicitazione delle assegnazioni straordinarie tra le quali quelle finalizzate ad attività internazionali. Ciò consente a suo giudizio un’analisi più di dettaglio rispetto al passato e sottrae dalla disponibilità degli enti di ricerca dette iniziative di carattere internazionale, che ammontano a circa 40 milioni di euro.) veicolati tramite il CNR, il cui attuale vicedirettore è un acceso sostenitore del creazionismo (sic!)

 

Va notato, tra i vari punti di spesa, la ricorrente partnership con Israele e in particolare con il Progetto Europeo di Spettroscopia non Lineare (LENS), dopo che Israele è stata denunciata dalla Comunità Internazionale per l’impiego e la sperimentazione di Armamenti di Distruzione di Massa in Libano (2006) e a Gaza (tra 2006 e 2010), in particolare Armi a Energia Diretta e Laser, oltre che le più note cluster bomb e Fosforo Bianco.

Oltre al carattere puramente militare di alcune spese, va segnalato lo stanziamento di 5 milioni di euro, a decorrere dall’anno in corso, per la traduzione del Talmud, in collaborazione con il Collegio Rabbinico Italiano. Il testo sacro non è mai stato tradotto in italiano e l’urgenza dello staziamento è da collocarsi unicamente a scopi di propaganda e di alleanza militare da parte dell’attuale Governo con lo Stato di Israele, in spregio alle condanne internazionali sui crimini commessi nei Territori Occupati .

 

Oltre all’obbrobio della riforma gelmini e ai regali, in fatto di istruzione, elargiti al Vaticano, non vanno quindi sottovalutati gli usi distorti e impropri dei Fondi alla Ricerca, veicolati verso scopi altri: militari, energetici nucleari, di interesse extranazionale per rafforzare alleanze discutibili.

 

 

Resoconto sommario n. 262 del 07/12/2010

 

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=514617

 

Lavori (area Commissioni); XVI legislatura:

IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO Schema di decreto ministeriale recante ripartizione del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, per l’anno 2010 (n. 303)

(Parere al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204. Esame e rinvio)

 

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tipo=BGT&id=514605%EF%BB%BF

Marcello Sordo
Fonte: http://www.facebook.com
Link: http://www.facebook.com/notes/marcello-sordo/fondo-ordinario-di-ricerca-2010-spese-militari-e-regali-a-israele/434819153238
20.12.

La politica calabrese commissariata dalla ‘ndrangheta, fermato consigliere regionale Pdl | Il Fatto Quotidiano

consigliere PDL, chissà perchè ma la cosa non mi sorprende…

Fonte: La politica calabrese commissariata dalla ‘ndrangheta, fermato consigliere regionale Pdl | Il Fatto Quotidiano.

Si tratta di Santi Zappalà eletto il marzo scorso con oltre 11mila voti. In totale gli arrestati sono dodici. Tra questi cinque politici. L’operazione prende spunto dall’inchiesta Reale che mesi fa portò in carcere il boss Beppe Pelle

Politici in pellegrinaggio a casa del boss per contrattare candidature e in cambio pianificare favori. Tradotto: pacchetti di voti pagati a suon di appalti pubblici e privati. Dalla Calabria fino a Milano con investimenti milionari (appalti al nord già approvati) il cu volano principale sono due direttori di istituti di credito amici. Padrini che ragionano più da lobbisti che da capi mafia. Veri sovrani del voto che attendono i politici nelle proprie abitazioni. Ascoltano le loro ragioni. Non fanno promesse. Solo valutano l’opportunità di appoggiarli con il voto. Insomma, un commissariamento pressoché totale dell’amministrazione pubblica nei confronti delle cosche. A tal punto che uno dei boss più potenti della ‘ndrangheta come Giuseppe Pelle, figlio di ‘Ntoni Gambazza, può permettersi di valutare strategie future. Le elezioni regionali del marzo scorso. Ma anche quelle provinciali. Ragionando su pochi candidati su cui concentrare i voti. Il modo migliore per portarli fino a Roma Dopodiché le preferenze, oltre che con appalti, vengono pagate “con quattro, cinquemila euro”. Oppure in auto “da sessanta, ottantamila euro” o in viaggi di piacere.

Per mesi di questo si è parlato nell’appartamento di Giuseppe Pelle, boss di San Luca. E mentre si parlava, gli investigatori coordinati dalla Dda di Reggio Calabria mandavano in archivio filmati e intercettazioni ambientali. Tutto materiale confluito nelle 56 pagine di ordinanza che oggi ha portato in carcere dodici persone. Sette uomini legati a una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta e cinque politici che nel marzo scorso si sono candidati alle regionali. Cinque candidati, ma solo un eletto: Santi Zappalà, sindaco nel comune di Bagnara Calabra, spinto in regione da oltre 11mila preferenze tra le file del Pdl. Oltre a lui in carcere sono finiti Antonio Manti (Alleanza per la Calabria), Pietro Nucera (Insieme per la Calabria), Liliana Aiello (Insieme per la Calabria) e Francesco Iaria (Udc). Tutti avrebbero avuto, in misura diversa, l’appoggio della cosca Pelle. In particolare Antonio Manti del centrosinistra  si è presentato con la lista Alleanza per la Calabria che ha sostenuto per la presidenza Agazio Loiero.

La figura di Zappalà aggancia poi altri nomi noti della politica calabrese. Tra questi l’ex An Alberto Sarra che pur non indagato è indicato come politico molto vicino alla famiglia Lampada da anni residenti a Milano e definita dai Ros il braccio finanziario della cosca Condello. Ma c’è di più. Secondo i magistrati “Zappalà non rappresenta un normale candidato che si limita a chiedere l’appoggio dell’organizzazione criminale per favorire la sua elezione, ma un personaggio abituato a trattare con ambienti malavitosi”. Tanto che nelle conversazioni registrate, lo stesso Zappalà, a colloquio con Pelle, confessa di aver già cercato appoggi mafiosi. “Già si era recato a Siderno – scrive il gip – dove aveva incontrato degli esponenti della famiglia dei Commisso”. E “questi ultimi, pur essendosi già impegnati a sostenere un altro candidato, lo avevano comunque trattato con grande deferenza promettendogli anche un pacchetto di voti”.

In particolare Zappalà era legato a Giuseppe Mazzacuva, imprenditore prestanome della cosca che per conto dei boss manteneva i rapporti con i politici. Scrive il gip: “E’ stato Mazzacuva a portarlo al cospetto di Pelle”. Quella fu l’occasione “per negoziare con lui i termini dell’accordo” con il quale “la cosca Pelle si impegnava a garantire allo Zappalà un pacchetto di voti nel mandamento jonico e il politico, in cambio, prometteva l’affidamento di lavori pubblici e un trattamento privilegiato per detenuti di notevole spessore criminale come Salvatore Pelle”.

Ma Zappalà, secondo gli investigatori, sarebbe in contatto anche con Francesco Barbaro (“il ragazzo di Platì”) che gli avrebbe potuto portare “quattro…cinquecento voti là…”. Non a caso “Santi Zappalà riferiva che un tal Luca, gli aveva portato Francesco Barbaro, affermando che quest’ultimo poteva controllare un consistente numero di voti”.

A conferma di agganci importanti nella politica, lo stesso Zappalà “conferma che la sua candidatura era fortemente sostenuta da Antonio Buonfiglio attuale deputato e sottosegretario alle politiche agricole”. Racconta: “Io con Alberto Sarra, ho una vecchissima amicizia, risalente dai tempi che furono! Alberto Sarra è molto vicino ad Antonio Buonfiglio che è il suo segretario alle Politiche Agricole”

Da tutto questo emerge un quadro allarmante in cui la politica calabrese risulta totalmente commissariata alle cosche. Non a caso il gip scrive: “Erano sempre i candidati a sollecitare gli incontri con Giuseppe Pelle”. Un’allarmante dipendenza attraverso la quale “il boss riceveva tutti e a tutti manifestava la propria disponibilità a concedere l’appoggio elettorale dell’organizzazione”. Dopodiché “Pelle si riserva di verificare lo spessore politico di ogni candidato e le sue effettive possibilità di elezione nonché la disponibilità manifestata dallo stesso nei confronti del sodalizio criminale”.

La strategia del boss era chiara. “Sostenere un ristretto numero di candidati per evitare una dispersione di voti” perché “doveva essere l’organizzazione a individuare i candidati ai quali offrire il proprio appoggio”. Il tutto per arrivare a un risultato certo. Posizione che viene approvata ad esempio da Antonio Manti (uno dei cinque politici arrestati), candidato per una lista civica che nel marzo scorso appoggiavo Agazio Loiero, il candidato del centrosinistra.

Il boss della ‘ndrangheta ragiona più come lobbista della politica che come capo mafia. I punti, per lui, sono chiari: “Per il Consiglio Regionale l’organizzazione avrebbe dovuto appoggiare candidati ben precisi, scelti fra soggetti appartenenti ai diversi mandamenti in cui l’organizzazione è strutturata”. Riflette Beppe Pelle: “La politica nostra è sbagliata se noi eravamo una cosa più compatta compà”. Il padrino ragiona a lungo termine. Riflette sui numeri e sulle persone. “La prossima volta – dice – quei sei che escono dalle regionali, se si portavano bene andavano a Roma”

Il concetto di puntare su un numero ristretto viene ribadito più volte dal boss. L’idea, infatti, è quella di formare un nocciolo duro da portare fino alle provinciali del 2011. “Tutti là si portano. Ogni paese chi ne ha due, chi ne ha tre, chi ne ha quattro. Per me è una cosa che non la condivido perché poi ognuno ha le sue, voi avete le vostre, quello ha le sue, l’altro ha le sue e questi voti compare si disperdono tutti”.

Politici a disposizione, insomma. Come quel Pietro Nucera, candidato (non eletto), ma soprattutto medico all’ospedale di Melito Porto Salvo. Anche per questo, il sospetto degli investigatori è che lo stesso Nucera possa “aver favorito la lunghissima latitanza di Antonio Pelle”. Non a caso il boss di San Luca conferma, che al di là della vittoria elettorale, Nucera può essere utile. Perché “a prescindere dal fatto delle votazioni, se occorre qualche cosa, di vedere qualche malato, qualche cosa che non si può muovere e cosa”. Ecco allora che Giovanni Ficara, uomo vicino ai clan Latella ma anche allo stesso Pelle “prendeva l’impegno di far confluire verso Nucera tutti i voti dei propri familiari e conoscenti”. Anche per questo Ficara si informa per capire da che parte politica stai Nucera. “Facendo presente che, se fosse stato candidato in un lista di sinistra, ci sarebbero state maggiori difficoltà nella raccolta dei voti”.

Oltre al voto, poi ci sono gli interessi e soprattutto gli affari. Che in questo caso si traducono in appalti pubblici e non. Il tutto giocato nel campo dell’edilizia. Ne parlano ad esempio Francesco Iaria, politico dell’Udc finito in carcere, e Giuseppe Pelle. “Quei progetti vi interessano o no?”, chiede Iaria. E prosegue: “Perché di Reggio ne hanno cinque, poi vedete lo valutate e poi vi voglio dire ci sono i posti, c’è tutto là, c’è tutto il progetto, cioè quanto pure per realizzare, ovvio con i prezzi di Milano”. La Lombardia, dunque. E non è un caso. Visto che l’inchiesta di ieri, pur prendendo spunto dall’indagine Reale attinge molto dall’operazione Crimine che nel luglio scorso ha messo a segno oltre 300 arresti tra la Calabria e il Nord Italia. Scrive il gip: “Giuseppe Pelle, apparendo seriamente interessato all’affare, chiedeva allo Iaria informazioni dettagliate sul tipo di lavoro da effettuare”. Quello allora risponde: “Parliamo di sbancamento, cose, tutto”. Mentre per i finanziamenti Iaria non ha dubbi. Su Milano ci sono due direttori generali di Unicredit Uno e Ubi Banca l’altro che sono disposti.

Processo Mori, carabiniere racconta “Fu bloccato il sequestro del papello”

Fonte: Processo Mori, carabiniere racconta “Fu bloccato il sequestro del papello”.

Il capitano Angeli mi disse che, nel corso di una perquisizione a casa di Ciancimino, trovò il papello di Totò Riina, e informò della scoperta il suo superiore, il colonnello Sottili, ma che questi gli ordinò di non sequestrarlo sostenendo che già lo avevano”.

Questa la dichiarazione del maresciallo Saverio Masi, sottufficiale dei carabinieri nella deposizione al processo al generale dell’Arma Mario Mori, nella foto, accusato di favoreggiamento alla mafia.

Masi, prima in servizio al Reparto Operativo e ora nella scorta del pm Nino Di Matteo, pubblica accusa nello stesso dibattimento Mori, ha raccontato quanto gli aveva detto allora il capitano Antonello Angeli dopo una perquisizione del 2005 a casa di Massimo Ciancimino accusato per il riciclaggio del denaro del padre, l’ex sindaco di Palermo Vito.

 

In casa di Ciancimino, nascosto in un controsoffitto, ci sarebbe stato l’elenco delle richieste del boss Totò Riina allo Stato. Angeli, stupito dall’ordine del superiore di non sequestrare il papello, lo fece fotocopiare di nascosto a un collega e informò della vicenda il maresciallo Masi un anno dopo la perquisizione a casa di Massimo Ciancimino.

Gli raccontò anche di averne discusso animatamente con Sottili e con un altro ufficiale del Reparto Operativo, Francesco Gosciu. Il capitano Angeli non a caso scelse Masi per fargli queste confidenze, perché sapeva che questi aveva avuto rapporti conflittuali sia con Sottili che con Gosciu ed era quindi sicuro di trovare in lui un “alleato”.

Angeli e Masi, molto preoccupati per la decisione di non sequestrare il papello, decisero di far arrivare la notizia alla stampa. Questo, secondo loro, avrebbe “costretto” i magistrati a convocarli e gli avrebbe consentito di riferire all’autorità giudiziaria una circostanza che ritenevano inquietante.

Nel giugno del 2006 Masi contattò il giornalista dell’Unità Saverio Lodato, proponendogli un appuntamento con un collega, e riferendogli di essere in possesso di una notizia importante. A Lodato chiese però che gli garantisse la pubblicazione dell’articolo.

Masi durante il processo è stato anche controesaminato dal legale di Mori, l’avvocato Basilio Milio, che ha evidenziato che il teste ha un procedimento penale in corso in cui è accusato per falso materiale e che è stato più volte trasferito. Adesso ha cominciato a deporre Lodato.

Da Blogsicilia.it

Processo Mori: carabiniere in aula, ”Fu bloccato sequestro papello”

 

21 dicembre 2010, Palermo. Il ‘papello’ con le richieste del boss mafioso Totò Riina era stato trovato dai carabinieri il 17 febbraio 2005 nell’abitazione di Ciancimino Jr ma l’allora comandante del reparto operativo, colonnello Giammarco Sottili «ordinò di non sequestrare il papello perchè sosteneva di averlo già». A raccontarlo in aula, al processo al prefetto Mario Mori, accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, è il maresciallo dei carabinieri Saverio Masi che sostiene di avere appreso i particolari del mancato sequestro dall’allora capitano Antonello Angeli, presente alla perquisizione nella casa al mare di Ciancimino. «Il capitano Angeli trovò il ‘papello’ a casa di Massimo Ciancimino, disse che era in un controsoffitto -racconta il maresciallo Masi- chiamò subito il suo superiore, il colonnello Sottili, informandolo del rinvenimento della documentazione e gli chiese se fosse il caso che Sottili venisse e partecipasse alla perquisizione. Sottili gli rispose invece che non era il caso di procedere al sequestro perchè il ‘papellò ce l’avevano già. Angeli rimase esterrefatto del contenuto di quella telefonata». Così, come spiega sempre il sottufficiale dei carabinieri, l’allora capitano Angeli, che è indagato nell’ambito dell’indagine sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e Cosa nostra, nonostante l’ordine di Sottili «fece fotocopiare il ‘papello’. Disse che incaricò una persona fidata». Il maresciallo Masi avrebbe appreso questa circostanza soltanto molto tempo dopo. «Il capitano Angeli me lo disse molti mesi dopo l’arresto di Bernardo Provenzano». «Il capitano Angeli mi disse che attribuiva a Riina il documento che aveva trovato nell’abitazione di Massimo Ciancimino e mi disse che conteneva le richieste riferibili a Cosa nostra e che poteva ritenersi una trattativa proprio di interesse di Cosa nostra -prosegue ancora il maresciallo dei carabinieri Saverio Masi nell’interrogatorio condotto dai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo– Angeli era molto intimorito da questa situazione. Conservò una fotocopia del ‘papellò mentre rimise a posto il documento originale, ma non disse dove». È sempre il sottufficiale dei carabinieri a spiegare ai magistrati che l’allora capitano Angeli avrebbe avuto dei «grossi conflitti» con i suoi superiori, il comandante del nucleo operativo di allora, Francesco Gosciu e il comandante del reparto operativo Giammarco Sottili. «Mi disse che era in enorme conflitto con i due ufficiali, ci furono degli alterchi molto pesanti e addirittura stavano venendo in un’occasione anche alle mani. Ma Gosciu lasciò le cose come stavano. Angeli voleva togliersi questo peso dalla coscienza ma Gosciu non lo ascoltò». Sull’incontro tra lo stesso Angeli e il maresciallo Masi, il sottufficiale spiega al tribunale che doveva restare «una cosa riservata». Lo stesso Masi spiega poi dei suoi «contrasti con la scala gerarchica, una cosa nota a tutto il reparto operativo dei carabinieri. Angeli sapeva delle mie controversie, sia con Gosciu che con Sottili. Noi parlammo in diverse occasioni. Eravamo impauriti per la situazione che stavamo vivendo. Angeli era sconcertato e intimorito. Venne perfino mandato dai suoi superiori a un controllo medico perchè volevano farlo passare per pazzo, per screditarlo».Dopo poco tempo l’allora capitano Angeli venne trasferito a Roma. «Ma noi ci siamo incontrati a Palermo -racconta Masi- mi chiamò su una delle mie utenze telefoniche e mi chiese di incontrarci». Secondo Masi Angeli sarebbe stato trasferito a Roma «a causa dei suoi contrasti sulle indagini su Massimo Ciancimino. Giravano altre voci che anche altri colleghi avevano subito ripercussioni sempre sulla vicenda Ciancimino e avevano subito trasferimenti. Nel nostro incontro decidemmo che ci volevamo rivolgere ad un quotidiano nazionale per fare filtrare la notizia in modo che poi l’autorità giudiziaria ci convocasse». Così Masi incontrò il giornalista de L’Unita Saverio Lodato, che oggi verrà sentito allo stesso processo, per raccontargli quanto avvenuto nell’abitazione di Massimo Ciancimino e il mancato sequestro del ‘papello’. «Angeli mi disse che voleva essere sicuro che la notizia venisse pubblicata. Ritenevamo Lodato una persona seria e affidabile. Così ci incontrammo nella sua abitazione. Io ero in compagnia del mio collega Carmelo Barbaria». Ma non se ne fece niente perchè dopo qualche tempo Lodato avrebbe spiegato al maresciallo Masi di aver parlato con il suo direttore e che gli era stato detto che «sarebbe stato meglio che del caso si occupassero i redattori locali di ‘Repubblica’. Per noi fu una cosa scoraggiante e capimmo che non se ne voleva occupare». Lo scorso luglio il maresciallo Masi ha deciso di presentarsi spontaneamente alla Procura di Palermo per essere ascoltato. «L’ho deciso -dice- dopo avere appreso delle notizie di stampa riguardanti Massimo Ciancimino» sul ‘papello’ che poi è stato consegnato alla Dda dallo stesso Ciancimino junior. Oggi il maresciallo Masi è uno degli agenti di scorta del pm antimafia Antonino Di Matteo, uno dei due magistrati che oggi lo hanno interrogato al processo Mori. Nel controesame, condotto dall’avvocato Basilio Milio, il maresciallo Masi ha detto che è stato denunciato per falso materiale per una falsa autocertificazione. Non sono mancati i momenti di scontro tra l’accusa e la difesa durante l’esame e il controesame. Adesso verrà ascoltato il giornalista Saverio Lodato.


Adnkronos

I misteri della perquisizione a casa di Ciancimino

21 dicembre 2010. La perquisizione della casa di Massimo Ciancimino, testimone nell’ inchiesta trattativa tra Stato e mafia, il ritrovamento di misteriosi documenti fatti fotocopiare da un capitano dei carabinieri e poi spariti dal fascicolo degli atti sequestrati sono stati gli argomenti al centro della deposizione dell’appuntato Samuele Lecca, sentito al processo al generale dei carabinieri Mario Mori, accusato di favoreggiamento alla mafia. Lecca, citato dalla Procura, ha raccontato ai giudici della quarta sezione, in dettaglio, l’ispezione fatta nell’abitazione e nel magazzino di Ciancimino il 17 febbraio del 2005, quando il testimone era indagato per riciclaggio. “Nel magazzino – ha raccontato – trovai uno scatolone in cui c’era una sorta di libro scritto a mano e rilegato approssimativamente. Dentro c’erano pure foglietti volanti. Lo mostrai al mio comandante, il capitano Angeli, che lo visionò e poi fece una telefonata. Finita la conversazione mi disse di fotocopiarlo subito e riportarlo in caserma”. Lecca non ha saputo dire cosa ci fosse scritto nel “libro”. “Non lo guardai”, ha spiegato. Ma Angeli, secondo l’appuntato, avrebbe avuto molta fretta di avere le fotocopie. Di una cosa, però, il teste è certo: la documentazione non era tra quelle “catalogate” e sequestrate dopo la perquisizione. La testimonianza dell’appuntato è seguita a quella del maresciallo Saverio Masi all’epoca, come Lecca, in servizio al Reparto Operativo. Masi ha riferito di avere saputo da Angeli, un anno dopo, che tra le carte c’era il ‘papello’ di Riina e che i superiori gli dissero di non sequestrarlo sostenendo che ne erano già in possesso. All’udienza di oggi ha deposto anche il giornalista dell’Unità Saverio Lodato contattato da Masi a giugno del 2006. “Venne a casa mia – ha raccontato Lodato – insieme a un altro carabiniere per dirmi che dovevano parlarmi di una cosa importante. Mi accennarono che erano a un passo dalla cattura di Messina Denaro e che i superiori volevano bloccarli, ma dissero che ci saremmo dovuti incontrare in un altro luogo per parlarne meglio”. Il giornalista, che ha smentito Masi che aveva sostenuto di averlo cercato per raccontargli del mancato sequestro del papello, non diede credito ai due militari e lasciò cadere la cosa.

ANSA (
da livesicilia.it)

Il pm lavora troppo, Alfano chiede il procedimento disciplinare | Il Fatto Quotidiano

Si conferma il governo dell’impunità…

Fonte: Il pm lavora troppo, Alfano chiede il procedimento disciplinare | Il Fatto Quotidiano.

Manuela Fasolato da anni conduce le più importanti inchieste sui reati ambientali nel nord-est. Ora il ministero della giustizia vuole sanzionarla per le indagini condotte sulla centrale Enel di Porto Tolle

Se mai arriverà sarà la prima sanzione bipartisan, comminata per avere leso interessi che non andavano toccati: quelli dell’Enel, cui esponenti tanto del governo che dell’opposizione sembrano molto attenti. Rischia infatti un procedimento disciplinare il pm di Rovigo Manuela Fasolato, da almeno dieci anni in prima linea contro i reati ambientali compiuti nel delta del Po. Su di lei e il procuratore di Rovigo Dario Curtarello, infatti, il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha chiesto di indagare alla procura generale della Cassazione.

Il provvedimento segue l’invio in procura degli ispettori del ministero dello scorso gennaio, ma i fatti a cui si riferisce sono noti già dalla fine del 2007. Da anni, infatti, Fasolato sta lavorando a diversi filoni di inchiesta sulla centrale Enel di Porto Tolle: il pm ipotizza legami tra le emissioni della centrale e l’aumento dell’incidenza di malattie nei territori circostanti l’impianto. Intanto, però, sulla centrale pende l’iter della Valutazione d’impatto ambientale (Via) per un progetto di riconversione dall’olio combustibile al carbone che vale 4mila posti di lavoro e 2 miliardi e mezzo di investimento. Il via libera arriverà solo il 29 aprile del 2009, dopo che il ‘dl incentivi’, approvato il 6 aprile, ha modificato i vincoli burocratici e risolto i conflitti con la normativa regionale. Il ministero dell’ambiente in ogni caso non mancherà di accompagnare la scelta con un comunicato di esultanza: “Dal punto di vista ambientale – si dice – con la riconversione si ottiene una sostanziale riduzione delle emissioni rispetto al passato. Dal punto di vista economico ci sarà un vantaggio per la bolletta energetica visto che il ‘carbone pulito’ costa meno degli idrocarburi”.

Ma per qualcuno il ritardo è da imputare alla magistratura. Così il 5 gennaio 2010 Luciano Violante, nella inedita veste di presidente della associazione Italia decide, si espone in prima persona sul palco di CortinaIncontra: “Il ministro della Giustizia dovrebbe fare delle ispezioni, e capire se un’autorità giudiziaria può compiere un atto di questo genere, intimidendo sostanzialmente quelli che dovrebbero prendere la decisione”. Sarebbero solo parole in libertà, se non fosse per un dettaglio: Enel è tra i soci fondatori di Italia decide. Ma la coincidenza non impedisce al ministro Alfano di prendere in esame le doglianze di Violante. Tanto che il 22 gennaio gli ispettori partono alla volta di Rovigo, capitanati da Arcibaldo Miller. Il capo degli ispettori del ministero finirà poi nelle carte dell’inchiesta sulla nuova P2, ma questo non gli ha impedito di conservare il suo posto fino ad oggi.

Contro Fasolato e Curtarolo, invece, il ministero chiede la mano pesante. Tre in sostanza le accuse. La prima: la pm avrebbe infatti lavorato troppo, con il colpevole “consenso” del superiore. Dal 23 ottobre 2007 al 23 luglio 2009, infatti, Fasolato ha l’”esonero totale” dall’attività giudiziaria “in quanto componente della commissione esaminatrice nell’ambito del concorso per 350 posti da uditore giudiziario”. Eppure, bontà sua, continua la sua attività, sia nelle udienze che nelle indagini. Peccato che mentre Fasolato viene mandata di fronte alla procura generale della Cassazione, niente succeda agli altri otto colleghi – compreso il presidente della commissione – che hanno fatto e condiviso la medesima scelta. E a niente vale che il magistrato abbia deciso di lavorare di più per portare a termine processi importanti. Come quello Eurobic, che porterà alla condanna dei responsabili di una truffa da 3 miliardi di euro.

La seconda accusa non è meno originale. Il Guardasigilli contesta infatti la “continuativa corrispondenza” che Fasolato ha intrattenuto con il ministero dell’Ambiente e la commissione Via. Secondo Alfano, così facendo la pm ha divulgato “atti di procedimento ancora coperti da segreto”. Nel carteggio con il ministero, infatti, finiscono anche alcune relazioni svolte nelle indagini dai consulenti di Fasolato. Quale sia la violazione del segreto non è dato sapere, però, essendo vincolate alla riservatezza tutte le istituzioni coinvolte. La terza accusa è in ogni caso direttamente conseguente: avendo sollevato il problema della centrale, la procura di Rovigo perseguiva un fine “che non era di ricerca di mezzi di prova, bensì di impedire – mediante un’indebita ingerenza nelle attività degli apparati amministrativi – la commissione di reati, quando ancora non erano stati acquisiti sufficienti e concreti indizi della consumazione di fatti di rilievo penale”. Vale a dire: “Interferivano e condizionavano le attività degli organi amministrativi stessi, determinandone il rallentamento”.

Ecco il punto: il “rallentamento” del progetto dà fastidio, anche se la responsabilità è da imputare al conflitto tra le norme nazionali e quelle regionali, risolto, lo abbiamo visto, dal legislatore. Tanto fastidio che a gettare benzina sul fuoco è arrivato sulle prime pagine dei giornali locali il plauso del comitato dei lavoratori della centrale: “Da 5 anni — dice al Carlino il portavoce Maurizio Ferro — eravamo in attesa delle autorizzazioni per la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. I vari rallentamenti avevano destato perplessità sull’operato della magistratura di Rovigo nell’interferenze con il lavoro svolto dalle competenti commissioni Via ministeriali e regionali. I lavoratori Enel di Porto Tolle, che avevano denunciato la situazione sin dall’inizio — aggiunge Ferro — chiedono provvedimenti esemplari per questo grave e ingiustificato atto che è da ascrivere alla Procura di Rovigo. L’azione disciplinare dimostra che tutti i nostri timori erano fondati”, conclude Ferro, che si dichiara pronto, a nome dei lavoratori, addirittura “a chiedere i danni”.