Fonte: Antimafia Duemila – Cuffaro: affidabile per Provenzano ma a processo non entra la prova Ciancimino.
di Silvia Cordella – 10 giugno 2010
“Cuffaro ha cercato il contatto con l’organizzazione criminale per vincere le elezioni del 1991, quando era candidato alle Regionali nella lista della Democrazia Cristiana”. Per questo andò a chiedere i voti ad Angelo Siino, colui che gestiva per conto della mafia il rapporto con le amministrazioni siciliane e con gli imprenditori per l’assegnazione dei lavori pubblici.È quanto ha affermato oggi il procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, durante la requisitoria del processo per concorso esterno in associazione mafiosa che si sta celebrando in abbreviato a carico dell’ex Presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro. “Altro che ‘la mafia fa schifo’”, slogan utilizzato dall’ex Governatore nella sua campagna contro l’organizzazione mafiosa, “Cuffaro – ha detto Nino Di Matteo – ha cercato il contatto con l’organizzazione criminale per vincere le elezioni” che quell’anno lo fecero arrivare all’Ars grazie a 80 mila preferenze. L’ex deputato, ha spiegato ancora il magistrato, “non è un politico qualunque e questo non è un qualunque processo di mafia e politica. Stiamo processando un esponente politico di primo piano, attualmente Senatore della Repubblica eletto dopo una condanna per favoreggiamento a mafiosi”. Una Pena che nel 2008 aveva causato le sue dimissioni ma che non gli fu di ostacolo per giungere a Palazzo dei Marescialli. Il Pubblico Ministero ha così snocciolato in aula le parti salienti dell’inchiesta nata dalle ceneri di quella sulle “Talpe” in Procura. Le illecite “condotte dell’ex Governatore – ha spiegato – comprendono un periodo che va dal ’91 fino al 2003- 2004, cioè per tutto l’arco temporale in cui Cuffaro ha fatto politica”. Per questo il reato di concorso esterno contestato oggi sarebbe dovuto essere mosso nei suoi confronti già nel primo procedimento a suo carico. L’onorevole democristiano infatti “ha intrattenuto rapporti con mafiosi di spicco e di eterogenea provenienza per tutta la durata della sua carriera politica”. Personaggi condannati per “associazione mafiosa o reati associativi”, da Angelo Siino al boss Giuseppe Guttadauro, fino a Vincenzo Greco (cognato del capomafia), Domenico Miceli (ex assessore alla Sanità di Palermo condannato per concorso esterno), Salvatore Aragona (ex braccio destro del capomafia), ed ancora, al pentito Francesco Campanella e al maresciallo del Ros, condannato anche lui in secondo grado per concorso esterno, Giorgio Riolo. “Si deve partire da qui – secondo la pubblica accusa – se si vuole capire il patto politico – mafioso elettorale stretto da Cuffaro con Cosa Nostra”. Un patto emerso nel 2001 con la sua vittoria a capo della Regione e la contemporanea scoperta da parte del Ros, di un dialogo fra lui e il boss di Brancaccio mediato da Aragona e Miceli. Il Procuratore, citando le parole del collaboratore di giustizia Nino Giuffrè, ha poi parlato della fiducia che Bernardo Provenzano avrebbe riposto nell’ex deputato. Una volta, il pentito si era presentato al cospetto del suo capo per portargli le rimostranze di alcuni imprenditori che si lamentavano del politico. ‘Manuzza’ quella volta si sentì rispondere dal capo di Cosa Nostra: “Ricordati che dobbiamo tenere buoni i rapporti, dobbiamo farlo stare a suo agio e non lo dobbiamo disturbare”. Aggiungendo: “Cuffaro è un punto di riferimento preciso, una persona affidabile”.
Insomma, secondo Giuffrè, Provenzano, dopo l’appoggio elettorale fornito a Forza Italia, all’inizio degli anni Novanta, si preparava a puntare su un nuovo “cavallo” di razza. Stava ritornando “al suo vecchio amore, la Dc e i partiti nati dalle sue ceneri, perché pensava che gli ex democristiani sapevano rispettare i patti”. “Perciò nel 2001 Provenzano appoggiò Cuffaro alle elezioni regionali ma, come spiegherà Giuffrè, da dietro le quinte per non bruciarlo”. Un appoggio che, secondo l’ex capomafia di Racalmuto, oggi pentito, Maurizio Di Gati, arrivò anche dalle cosche agrigentine e trapanesi che contribuirono a una sicura vittoria di Cuffaro, poi eletto Presidente con un milione e mezzo di preferenze.
Durante la requisitoria il pm ha poi manifestato grande rammarico per “la legittima scelta del rito abbreviato” che “ha impedito di sviluppare ulteriormente nel processo prove come le dichiarazioni di Gaspare Romano e Massimo Ciancimino o i risultati delle indagini sui termovalorizzatori in Sicilia, che dimostrano che le gare sono state vinte da aziende i cui responsabili sono stati rinviati a giudizio per mafia”. Un capitolo questo che potrà essere approfondito forse in un’inchiesta patrimoniale appena aperta e coordinata dal capo del dipartimento mafia ed economia della Procura, Roberto Scarpinato, tesa a verificare un’eventuale sproporzione tra i redditi dichiarati da Cuffaro e i sui beni. Indagine che per ora è stata smentita dalla difesa del Senatore.