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Antimafia Duemila – Fiorani da’ il listino della spesa al pm: ”Ecco i politici che ho pagato”

Fonte: Antimafia Duemila – Fiorani da’ il listino della spesa al pm: ”Ecco i politici che ho pagato”.

di Gianni Barbacetto – 25 febbraio 2010
Da Dell’Utri a Calderoli; da Brancher a Grillo: 100-200mila euro elargiti dal banchiere imputato a Milano nel processo Antonveneta.

Il banchiere che nel 2005 diede l’assalto alla finanza italiana è rilassato, nel suo completo gessato grigio. Gianpiero Fiorani, allora amministratore delegato della Popolare di Lodi, oggi imputato nel processo Antonveneta, si è lasciato alle spalle l’euforia del banchiere vincente, ma anche la disperazione dello sconfitto che tenta due volte il suicidio. “Dopo le vicende che mi hanno coinvolto, si diventa come degli appestati. Prima ero centrale nel sistema, poi c’è la morte civile, tutti quelli che hanno avuto a che fare con me e che sono stati beneficiati da me sono spariti. Come fossi un lebbroso e avessero paura del contagio”. Interrogato in aula, a Milano, dal pubblico ministero Eugenio Fusco, racconta la sua verità. Il legame fortissimo con il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. I rapporti incrociati tra il suo assalto ad Antonveneta e l’assalto dell’Unipol di Giovanni Consorte a Bnl (“Io do una mano a te, tu dai una mano a me”). Ma soprattutto gli intrecci con la politica, con gli uomini dei partiti informati sulle scalate e “oliati” con i soldi della banca.

Il politico più interno all’operazione è il senatore di Forza Italia Luigi Grillo, vicinissimo a Fazio e ufficiale di collegamento tra il governatore e Fiorani. “Gli ho dato 100 mila euro, poi altri 200 mila, poi altro ancora. Su un conto aperto alla Popolare di Lodi per operazioni finanziarie sui derivati. Un aiuto per le sue spese elettorali”. Una parte dei soldi finisce al senatore Marcello Dell’Utri. “Sì, 100 mila euro: Grillo me li chiese espressamente per il senatore”. Ma poi, chiede Fusco, gli sono effettivamente arrivati? “Certamente, perché Dell’Utri mi ha ringraziato”.

Altri soldi vanno al deputato di Forza Italia Aldo Brancher: “Mi chiese un contributo perché aveva perso dei soldi investiti in un’azienda. Gli diedi 100 mila euro, su un conto corrente intestato alla moglie. Altri 100 mila glieli diedi per Roberto Calderoli”, l’esponente della Lega nord.

I soldi servivano a rinsaldare il trasversale “partito del governatore” contro i nemici di Fazio (Giulio Tremonti, Bruno Tabacci, Giorgio La Malfa…) che volevano far passare in Parlamento il mandato a termine per il   governatore della Banca d’Italia. “Anche la Lega era acerrima nemica del governatore”, ha ricordato Fiorani, “ma poi ha cambiato idea”: dopo che Fazio e Fiorani portarono a termine il salvataggio di Credieuronord, la banca della Lega che era “sull’orlo del fallimento”. Altri soldi, ricorda Fiorani, sono arrivati a un personaggio a cavallo tra la politica e la finanza: Fabrizio Palenzona, massiccio esponente della Margherita e banchiere di Unicredit: “Due bonifici, più versamenti in contanti. Sul conto Radetzky, presso la filiale di Montecarlo della Banca del Gottardo”.

Fiorani prova a tirare le somme della sua esperienza: “Cosa non rifarei nella vicenda Antonveneta? Non ho nulla da rimproverarmi. Come si poteva rinunciare a un progetto così importante?”. Il banchiere lo racconta come una grande operazione finanziaria compiuta sotto l’ala di Fazio, fautore dell’“italianità delle banche” da strappare ai compratori stranieri: “Gli ho sempre detto tutto, se mi avesse comunicato che c’erano problemi, avrei subito consegnato le azioni Antonveneta agli olandesi, realizzando una bella plusvalenza da 280 milioni di euro. Sarei diventato il banchiere con la più alta liquidità in Italia. Invece Fazio mi ha usato e adesso scarica tutte le responsabilità su di me”. Informato di ogni passaggio, secondo il banchiere di Lodi, anche il presidente della Consob, l’agenzia di controllo della Borsa, Lamberto Cardia. E gli scalatori avevano dalla loro parte anche un giudice del Tar del Lazio, Pasquale De Lise. Alleato prezioso, perché proprio il Tar doveva decidere su un esposto degli olandesi di Abn-Amro, che i “concorrenti” di Lodi volevano a ogni costo bloccare. A un certo punto, nell’estate 2005 tra gli scalatori si diffuse la paura di essere intercettati. Chi li avvisò che i telefoni erano sotto controllo? Segnali arrivarono a un alleato di Fiorani, Stefano Ricucci, “messo in allarme dal senatore Giuseppe Valentino”, di An, ex sottosegretario alla Giustizia. Ma si allarmò anche la moglie di Fazio, Cristina Rosati. Racconta Fiorani: “Mi rivelò che il suo telefono era sotto controllo, e mi disse che gliel’aveva riferito Paolo Cirino Pomicino, che era in contatto in ambienti romani con esponenti dei servizi segreti”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Il blog di Alessandro Tauro: Uno strano scandalo tutto italiano

Il blog di Alessandro Tauro: Uno strano scandalo tutto italiano.


Nella foto l’esponente del PDL, Vito Bonsignore

Ricordate lo scandalo sulle scalate illegali alle banche Antonveneta e BNL avvenute tra la fine del 2004 e i primi mesi del 2005? E’ uno dei peggiori scandali finanziari e bancari che l’Europa potesse ricordare. E’ lo scandalo che ha tirato fuori i neologismi “Bancopoli” e “Furbetti del quartierino“.

Ricordate, inoltre, le famose accuse nei confronti dell’allora leader dell’opposizione e ora Re d’Italia Silvio Berlusconi per la presunta compravendita di senatori del centrosinistra? Era lo scandalo legato, tra le tante cose, alle intercettazioni pervenute e pubblicate tra lui e il direttore di Rai Fiction Agostino Saccà. Uno scandalo archiviato pochissimo tempo dopo la sua nascita per inconsistenza del reato.
Si pensava che Berlusconi stesse tentando di corrompere per vie non finanziarie alcuni senatori dell’Unione. Non sappiamo se il progetto è andato in porto (visto che alla fine dei fatti il governo Prodi è caduto) o se le cose non sono tra loro legate. Di certo è che quella pista non portava da nessuna parte. Perlomeno QUELLA pista.

Ricordate, quindi, la caduta del governo di centrosinistra per il mancato appoggio presentato da Clemente Mastella e Lamberto Dini nello scorso inverno? Una caduta che portò entrambi al salto di barricata verso le file del PDL (salto mancato per Mastella e ben riuscito per Dini).

Bene. Ora mettete tutto insieme e avrete di fronte la strana storia che sto per raccontarvi.

Cominciamo dal protagonista di questa storia: Vito Bonsignore, siciliano, europarlamentare PDL.
La sua storia politica comincia nella Democrazia Cristiana, dove subito dimostra il proprio talento: nel 1994, in pieno periodo Tangentopoli, viene condannato in via definitiva a 2 anni di carcere per tangenti relative agli appalti per la costruzione dell’ospedale di Asti.
Un democristiano D.O.C.G.

Entra immediatamente nel CCD di Casini, e, nella fusione con il CDU di Buttiglione, diventa un elemento di spicco del neonato UDC. Scompare però dalla politica parlamentare, almeno fino al 2004, quando viene candidato e risulta anche eletto (un applauso agli elettori e alla loro preferenza!) come parlamentare europeo.

Non fa in tempo a prendere posizione in Europa che già si invischia in un ennesimo caso ricco di reati finanziari, accordi segreti e mosse illegali: lo scandalo Bancopoli. Per farla breve, l’Amministratore Delegato della Banca Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani, arriva ad acquistare, con la complicità del governatore di Banca d’Italia Antonio Fazio, il 15% di Banca Antonveneta, ma, grazie agli accordi privati con gli altri soci, detiene segretamente il controllo del 52% della società bancaria. Chi è uno dei soci che partecipa al reato? Semplice: don Vito Bonsignore.
Nonostante con la sua società finanziaria Gefip partecipi con piccole quote, è un elemento chiave della truffa: è il legame tra Fiorani e il mondo della politica. Sarà lo stesso Fiorani, indagato dal GIP, a fare i nomi degli agganci politici necessari per l’acquisizione di Antonveneta: Luigi Grillo (FI), Aldo Brancher (FI) e Vito Bonsignore (UDC).

E’ l’unico non-berlusconiano che avrebbe a che fare con la scalata. Lo stesso Berlusconi è indirettamente coinvolto, dal momento che è uno degli azionisti di Hopa, una delle società alleate alla Banca di Lodi di Giampy Fiorani. Ma la non-berlusconeità di don Vito durerà ancora per poco.

Nel 2006 risulta eletto dall’esiguo voto popolare il governo di Romano Prodi. La spina nel fianco del governo non sarà la sinistra della coalizione, come molti temevano, bensì il piccolo partito dell’Udeur, capeggiato dallo stranoto Clemente Mastella. E’ su di lui che il centrodestra punterà tutte le sue attenzioni, non sui senatori con mogli ed amichette desiderose di notorietà televisiva, non sul “dipietrista a tempo” Sergio De Gregorio e nemmeno su ignoti senatori australiani.

La storia politica è nota: il 24 gennaio del 2008 cade il governo di Romano Prodi. I “traditori”? Due nomi su tutti: Lamberto Dini e Clemente Mastella.

Probabilmente quello che sto per aggiungere non ha nessun valore di per sè, ma inserito nel contesto un peso morale ce l’ha eccome! Durante l’anno 2007, in pieno sostegno mastelliano al governo di Romano Prodi, il leader dell’Udeur riceve un finanziamento di 50 mila euro dalla società MEC (Management Engineering Consulting).
Tutto regolare, scritto nero su bianco, se non fosse che la MEC è la società di proprietà di don Vito Bonsignore. In altre parole, un esponente dell’opposizione, Don Vito, foraggia economicamente il partito di Mastella, che sta al governo. Chissà a che scopo…
Non solo! La società MEC è la società italiana che controlla la Gefip, la società sempre di Vito Bonsignore, immischiata nei loschi affari di Bancopoli.

Un bel quadretto vero?

Bonsignore è invischiato in Bancopoli, finanzia con la stessa società indagata il partito di Clemente Mastella e Mastella, pochissimi mesi dopo, fa cadere il governo. Dite che c’è una relazione?

Intanto avviene l’imprevisto: l’UDC rompe definitivamente con Silvio Berlusconi. Non ci sarà nessuna alleanza per le imminenti elezioni politiche. Bonsignore, dopo aver fatto da “garante politico ed economico” in Bancopoli (questo secondo le accuse), con altri presunti esponenti del PDL, e dopo aver contribuito alle casse sociali del partito transfugo di Mastella, volete che rimanga con un pugno di mosche in mano, senza una ricompensa da parte dell’amico Silvio?
No di certo! Neanche un mese dopo la caduta del governo Prodi, don Vito brucia Mastella e Dini sul tempo e il 16 febbraio diventa un membro del PDL, accolto con tutti gli onori.

La storia potrebbe chiudersi qui, se non fosse che c’è un’altra faccenda ancora tutta da chiarire: i conti segreti degli italiani in Liechtenstein. Prima che i nomi dei titolari di tali conti segreti (ed illegali) venissero fuori, si vociferava di una caterva di esponenti politici legati alla faccenda. Una volta pubblicati i nomi, risulta presente un solo esponente politico oltre al reo-confesso Rocco Buttiglione. Indovinate chi? Bravi! Avete indovinato anche questa volta!
5,5 milioni di euro ancora non spiegati in un conto in Liechtenstein di proprietà di Vito Bonsignore.

Se consideriamo che sua figlia, Katia Bonsignore, è la socia di Stefano Previti, figlio di Cesare Previti, all’interno della società Azzurra 2000, che si occupa di certificare le carte delle imprese edili per i lavori pubblici, il quadretto viene anche più colorito.

Il mio post si chiude qui, con tante domande lasciate senza risposta. Mi auguro che qui non si chiuda anche tutta questa storia ancora aperta.

Fonti:
Don Vito, affari e politica dal divo Giulio a D’Alema, di Jacopo Jacoboni (La Stampa).
Vito Bonsignore nell’inchiesta Antonveneta, il Corriere della Sera.
Bonsignore, il politico-imprenditore che vota per il Contropatto, di Sergio Rizzo (il Corriere della Sera)
L’eroe delle due repubbliche, di Domenico Marcello (Diario)
Conti a Vaduz, spunta Bonsignore, di Guido Ruotolo (La Stampa).
Due anni a Citaristi, di Claudio Mercandino (La Repubblica)
Bancopoli, Wikipedia
Chi paga i partiti, di Primo Di Nicola e Marco Lillo (L’Espresso)