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Quell’apocalisse annunciata

Fonte: Quell’apocalisse annunciata.

Una catastrofe ambientale sotto casa. I rifiuti che martedì sono andati in fumo nel rione Casacelle di Giugliano in Campania erano distesi su una superficie di oltre 200 metri quadri. Pochi passi più in là, ed ecco spuntare una palazzina occupata da 45 famiglie, costrette a respirare i fumi tossici sprigionati dalle fiamme. Perché a bruciare non erano solo semplici sterpaglie: pneumatici, automobili, persino l’eternit, materiale contenente fibre d’amianto e per questo potenziale causa di tumori polmonari.

A specificarlo è la denuncia presentata al sindaco di Giugliano Giovanni Pianese da parte dell’associazione per la tutela di cittadini e ambiente La Terra dei Fuochi (che ha lanciato anche le “denunce collettive”). L’istanza fu spedita al primo cittadino ben due mesi fa, il 5 luglio.

Da allora… nessun provvedimento è stato preso dall’amministrazione comunale. “Il sindaco sapeva – scrive Angelo Ferrillo, patron dell’associazione, sulla sua pagina Facebook – c’è una denuncia presentata all’ufficio protocollo del Comune di Giugliano”.

ROGHI VICINI ALLE COLTIVAZIONI – “Al momento via Bosco a Casacelle è completamente bloccata da una piramide di pneumatici – si legge nella denuncia del 5 luglio – i roghi sono finalizzati sia per lo smaltimento-occultamento, sia per il recupero illecito di vari materiali come svariati metalli, in particolare il rame”. Inoltre, come più volte specificato da Ferrillo, “Questi reati avvengono spesso vicino alle coltivazioni dei prodotti agroalimentari, arrecando danni incalcolabili a tutta la cittadinanza(non solo locale).

PNEUMATICI E AMIANTO – Già due mesi fa, la denuncia lamentava un generale lassismo delle autorità competenti in materia di pubblica salute: “Nonostante tutte le segnalazioni e proteste, la situazione permane inalterata da diversi anni, anzi peggiora sempre più”. Il fumo nero che lentamente sale verso il cielo e appesta i polmoni dei vicini residenti proviene da materiali non certamente innocui: “Pneumatici, diverse auto, addirittura l’eternit, contenente il micidiale amianto, la cui esposizione è causa certa di tumori polmonari”.

LA DENUNCIA – Questa la richiesta finale dopo l’esposizione dettagliata della precaria situazione di via Bosco a Casacelle: “In base ai fatti sopraccitati si denunciano seri danni già conclamati per la salute dei cittadini (…) Inoltre la contaminazione di tutta la catena agroalimentare dovuta a diossine, furani, policlorobifenili, nonché danni biologici, morali, economici e all’immagine dell’intero territorio”. Danni che ieri hanno raggiunto un picco estremo. Sono servite otto autobotti dei pompieri per domare le fiamme.

LEGGI IL TESTO INTEGRALE DELLA DENUNCIA

La Voce dell’EmergenzaCampaniasuWeb

Blog di Beppe Grillo – I partiti rumenta contro la Corte Costituzionale

Fonte: Blog di Beppe Grillo – I partiti rumenta contro la Corte Costituzionale.

Non passa settimana senza che qualche giunta non sia indiziata per appalti illeciti per lo smaltimento dei rifiuti. I rifiuti sono l’oro nero dei partiti, il loro salvadanaio. In effetti tra loro si assomigliano. La cosa più odiosa è però il menefreghismo dei partiti verso le sentenze quando sono a favore dei cittadini, anche nel caso dei rifiuti. La cui raccolta dovrebbe essere a profitto zero per le municipalizzate trattandosi di un servizio sociale essenziale, ma così non è, la spazzatura si quota in borsa e paga ricchi stipendi ai dirigenti nominati dai partiti. L’ultima schifezza (siamo in tema trattandosi di partiti e di rumenta…) è l’applicazione dell‘Iva del 10% nonostante il parere contrario della Corte Costituzionale che ha imposto il rimborso agli utenti dell’Iva pagata negli ultimi anni. L’Iva non può essere pagata su una tassa e lo smaltimento rifiuti è considerato tale. Il costo dello smaltimento rifiuti dovrebbe tendere a zero con politiche di riciclo e di diminuzione degli imballaggi, ma i partiti, per usare un termine metaforico, se ne fottono.
“Lo scorso anno una sentenza della Corte Costituzionale decretò che l’Iva del 10% sulla bolletta dei rifiuti era illegittima e che andava rimborsata. Il Parlamento dei “nominati” dalle segreterie di partito, senza una sola voce contraria, ha deciso di fregarsene con il decreto legge numero 78 del 31 maggio 2010, converitto in legge numero 122 del 30 luglio scorso. Con il solito gioco di parole, il decreto ha precisato “che la Tia non ha natura tributaria, per cui ai corrispettivi del servizio deve essere applicata l’Iva di legge (il 10%)”. Una beffa diventata realtà, che il Movimento 5 Stelle aveva denunciato lo scorso 22 aprile con il consigliere comunale di Reggio Emilia Matteo Olivieri.
I partiti della finta opposizione hanno votato contro il decreto Tremonti. Opposizione di facciata, perchè non si è levata alcuna voce contraria sull’argomento relativo all’illeggitimità dell’ Iva del 10% dalla tassa rifiuti e sul mancato rimborso di quanto versato in passato dai cittadini. Il perchè è presto detto. Tutti i partiti nominano i loro uomini all’interno delle ex municipalizzate come Hera Spa o la appena nata Iren Spa. Quando pagherete il 10% in più in bolletta e non vi verrà rimborsato quanto avete già pagato sapete chi ringraziare: Pdl, Lega e la finta opposizione”.
Andrea Defranceschi e Giovanni Favia, consiglieri regionali Movimento 5 Stelle Emilia Romagna

Antimafia Duemila – Paul Connett, un mondo a ”rifiuti zero”

Fonte: Antimafia Duemila – Paul Connett, un mondo a ”rifiuti zero”.

di Andrea Degl’Innocenti – 5 giugno 2010
Paul Connett, ideatore della strategia “zero waste” adottata con successo in molte città americane, canadesi e neozelandesi, è da poco tornato in Italia per un ciclo di conferenze.

Dalle nostre parti però le sue teorie vengono spesso viste con diffidenza, ed il business degli inceneritori continua ad ostacolare ogni altro tipo di smaltimento.

Gli inceneritori sono un grosso affare, si sa. Un business enorme che fa gola a molti, attira gli investimenti della criminalità organizzata – si veda il caso siciliano – e di imprenditori senza scrupoli. Ergo gli inceneritori si devono fare. Poco importa se emettono diossine e polveri sottili, contaminano i terreni circostanti, causano ovunque aumenti di tumori, linfomi e leucemie. In Italia, i prossimi due dovrebbero sorgere uno a Parma e l’altro nel sud di Milano.

C’è però un signore d’oltreoceano che da anni propone una soluzione alternativa ed è da poco tornato in Italia per un ciclo di conferenze. Si chiama Paul Connett ed è l’ideatore della strategia “rifiuti zero”.

Così raccontava la sua esperienza in una intervista andata in onda su Radio Popolare nel 2006: “21 anni fa hanno cercato di costruire un inceneritore nella nostra contea nel nord dello stato di New York vicino al confine con il Canada.”

“All’inizio credevo fosse una buona idea, pensavo: ci sbarazziamo di tutte quelle orrende discariche e produciamo energia dai rifiuti in una struttura che può essere monitorata. Poi leggendo ho scoperto che bruciando i rifiuti domestici si producono le sostanze più tossiche che l’uomo abbia mai prodotto e inoltre, ogni 3 tonnellate di spazzatura, resta una tonnellata di cenere molto tossica che da qualche parte andrà pur messa; quindi ho capito che l’inceneritore era la strada sbagliata.

Da allora Connett, professore emerito di chimica ambientale all’Università St Lawrence di Canton, New York, si è messo all’opera assieme ad una equipe di cittadini e ricercatori, per sviluppare e mettere in pratica la teoria del “zero waste”, rifiuti zero. Si tratta di un metodo che mira a raggiungere il riciclaggio del 100 per cento dei rifiuti, ritirando dal commercio tutti quei prodotti che non sono riciclabili.

È un metodo che ha come presupposto necessario la combinazione di tre livelli di responsabilità: quella della classe politica, che fa le leggi, quella della comunità, nella fase finale del processo, e quella industriale che invece avviene all’inizio del processo.”

È un metodo, soprattutto, che funziona. E non, come in molti pensano, solo nei piccoli centri e nei paesi. Negli Stati Uniti infatti è stato applicato con successo in alcune delle maggiori città. A San Francisco, come illustra il video qui di seguito, si è superata in breve tempo la soglia del 75 per cento di differenziazione dei rifiuti.

A San Diego si mira perfino al 90 per cento entro la fine dell’anno. Esperimenti simili sono stati fatti anche in Canada e Nuova Zelanda, mentre in Italia solo Capannori, un comune di quasi 50 mila abitanti in provincia di Lucca, ha adottato il metodo “rifiuti zero”.

È un sistema, infine, che conviene anche da un punto di vista economico, come illustra lo stesso Connett. “Certo, si può nascondere il problema come fanno in Italia, parlando di termovalorizzatori invece di inceneritori, ma il problema resta: se bruci qualcosa poi devi ripartire da zero nel processo produttivo, devi sempre spendere nuovi soldi per l’estrazione delle materie prime, per la produzione e così via; se invece ricicli e riutilizzi non devi incominciare da capo e risparmi il quadruplo di energia.

Connett è da poco tornato in Italia, chiamato da coloro che si oppongono alla costruzione dei nuovi inceneritori. È stato a Lucca il 19 maggio, a Capannori il 20 – qui ha presieduto l’Osservatorio verso rifiuti zero del comune, ed ha partecipato alla prima riunione ufficiale del Centro Ricerca Rifiuti Zero –, a Pietrasanta il 21.

Il 22 ha partecipato alla manifestazione regionale di Montale. Il 24 si è recato a Verona, il 25 a Desio (MI), il 27 a Calcinaia (PI), il cui Comune sta aderendo ufficialmente alla strategia rifiuti zero. Infine, il 28 e il 29 ha concluso la sua tournée a Firenze presso lo stand “verso rifiuti zero” nell’ambito di Terra Futura.

Ma nonostante i ripetuti viaggi e gli sforzi evidenti, la filosofia dei rifiuti zero stenta a prendere piede dalle nostre parti. Lo scorso 27 aprile, ospite a Parma in una trasmissione televisiva, Connett si è preso perfino del “cretino” da Allodi, presidente di Enia, la ditta che dovrebbe costruire l’inceneritore. E buona parte della classe politica, fra cui lo stesso Ministro dell’ambiente, Stefania Prestigiacomo, si spertica in lodi per quelli che loro chiamano “termovalorizzatori”.

Pare, insomma, che due dei tre livelli indicati da Connett come necessari all’attuazione della sua strategia siano a questa piuttosto restii, per non dire contrari. Resta il terzo livello, i cittadini. Solo questi, impegnandosi per primi, potranno provare a fargli cambiare idea.

Tratto da: terranauta.it

Benny Calasanzio Borsellino: “Ecoballe” di Paolo Rabitti

Fonte: Benny Calasanzio Borsellino: “Ecoballe” di Paolo Rabitti.

Devo le mie scuse alla camorra. Sono stato tra quelli che l’hanno indicata come causa principale dell’emergenza rifiuti in Campania. Avevo sottovalutato l’efficenza delle istituzioni. Dover ammettere che la camorra c’entri davvero poco con l’emergenza in sè per sè e che in realtà essa si sia nutrita solo delle inefficienze della pubblica amministrazione e dei privati, rendendosi responsabile di oscenità successive, quali gli smaltimenti illegali, è frustrante.

Ci si consola solo scoprendo cosa hanno fatto gli altri attori protagonisti del disastro, un cast davvero inaspettato che è riuscito per 15 anni a farla franca aggirando leggi, regolamenti e ordinanze. A raccontare la vera storia dei rifiuti a Gomorra è stato Paolo Rabitti, ingegnere e urbanista mantovano, consulente per le procure nei più importanti processi sui “disastri” ambientali, come il Petrolchimino di Marghera, l’Enel di Porto Tolle, il Petrolchimico di Brindisi, nel suo libro Ecoballe, edito da Aliberti. Il timore di trovarsi di fronte al libro di un tecnico svanisce dopo poche pagine; grazie alla sua abilità di scrittura, Rabitti rende accessibile, anche a chi non ha alcuna preparazione specifica, il tema dei rifiuti, degli inceneritori e delle discariche.

Un racconto surreale che parte dal 1994, quando viene proclamato lo stato di emergenza rifiuti in Campania, al 1998, quando l’allora ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, con un’ordinanza dà inizio al progetto di realizzare in Campania una moderna filiera dei rifiuti, disponendo l’attivazione della raccolta differenziata. Un disegno così innovativo e funzionale che già nel bando di gara per affidare i lavori, il progetto originale viene stravolto, e a favore di chi? La risposta, in questo libro, è sempre la stessa, qualunque sia la domanda: la celebre Impregilo, che presto costruirà il ponte tra ‘ndrangheta e mafia, o se si preferisce, tra Calabria e Sicilia. A bando aperto, ecco la prima ecoballa di tutta la vicenda: dopo aver letto il bando di gara, il ministro dell’ambiente, Edo Ronchi, resosi conto che quegli impianti avrebbero smaltito l’intera produzione di rifiuti solidi urbani della Regione, dunque l’opposto del progetto che doveva favorire la raccolta della differenziata, scrive al commissario Rastrelli, presidente della Regione Campania, una nota di contestazione. Il giorno dopo, con una lettera, scende in campo l’Associazione Bancaria Italiana. Cosa c’entrano le banche con i rifiuti ed in particolare con gli inceneritori? Il senso della lettera è: o fate come diciamo noi o non finanziamo il progetto di finanza.

Le condizioni poste da Abi, tra le altre, prevedono che nel caso in cui i comuni non conferissero la quantità minima di rifiuti fissata, fossero obbligati a pagare anche per la quantità non apportata e che il CIP6, il contributo pagati dai contribuienti in bolletta per le energie rinnovabili, fosse riconosciuto all’energia producibile con il combustibile derivato dai rifiuti proveniente da tutta la Campania. Questo è davvero il top della nostra storia. Le banche mentre il bando è ancora aperto entrano a piè pari permettendo ad Impregilo di formulare un prezzo richiesto per il trattamento e smaltimento dei rifiuti molto inferiore rispetto ai concorrenti, dunque di vincere la gara anche con un bassissimo punteggio attribuito al progetto. Un progetto, quello di Impregilo, considerato il peggiore e soprattutto irrealizzabile: prevedeva di produrre più materiale organico stabilizzato rispetto alla quantità di organico presente nei rifiuti. Come se uno presentasse un impianto per produrre più vino rispetto all’uva pigiata.

In tutto ciò l’ex presidente della Regione Antonio Bassolino merita una nota a parte: è lui che in contrasto con il bando di gara, recepisce quasi integralmente i desideri dell’Abi, primo fra tutti quello di far saltare nel contratto la frase dell’ordinanza, del capitolato e del bando, che disponeva che il combustibile ricavato dai rifiuti prodotto dagli impianti fosse smaltito in inceneritori esistenti in attesa dell’entrata in funzione degli inceneritori previsti dal bando. Gli impianti Cdr sono entrati in funzione nel 2000, l’inceneritore di Acerra sta praticamente partendo adesso. Questo ha provocato l’invasione della Campania da parte di oltre dieci milioni di tonnellate di ecoballe, stoccate in piazzole che in realtà erano vere e proprie discariche non autorizzate e infatti sono state sequestrate. Capito il sindaco della Primavera?

E’ sempre lui ad ammettere candidamente di aver firmato i contratti per lo smaltimento dei rifiuti nella provincia di Napoli e nel resto della Regione senza leggerli. Il resto è cronaca, con l’incriminazione della Regione Campania, Bassolino in testa, dei piani alti di Impregilo, a cui sono stati sequestrati 260 milioni di euro e dei prestigiosi tecnici incaricati dei collaudi in corso d’opera (in gran parte arrestati per i falsi collaudi) portati alla sbarra grazie alla consulenza di questo tecnico con la voce di Francesco Guccini, che termina la sua analisi con un’amara riflessione: “cinque incenitori bruceranno i rifiuti della Campania, milioni di ecoballe e, presumibilmente i rifiuti di altre regioni. La storia si chiude come da copione, con l’ordinanza Napolitano definitivamente cancellata”.

Blog di Beppe Grillo – Nulla si crea, nulla si distrugge.Il centro di riciclo di Vedelago

Fantastico questo impianto di riciclaggio…

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Nulla si crea, nulla si distrugge.Il centro di riciclo di Vedelago.

Nulla si crea e nulla si distrugge. I rifiuti sono una risorsa, se da un diamante non nasce nulla dalla raccolta differenziata può nascere qualunque cosa, dalle sedie, ai materiali edili, alla pavimentazione per interni e prefabbricati. Il Centro Riciclo di Vedelago è la dimostrazione che lo smaltimento rifiuti può diventare gratuito con la raccolta differenziata. Se gli inceneritori producono malattie, il riciclo dei rifiuti produce occupazione. Vedelago crea un indotto di 9.200 persone. E’ necessario un Centro Riciclo come Vedelago in ogni provincia. Il blog darà visibilità alle nuove iniziativa. La bolletta della spazzatura va incenerita, non i rifiuti.

Intervista a Carla Poli del Centro Riciclo di Vedelago.

Come funziona il Centro Riciclo Vedelago
Blog: “Dott. Carla Poli siamo venuti qui nel centro di riciclo di Vedelago, cosa fate in questo impianto? ”
Carla Poli: “Noi riceviamo le raccolte differenziate dei comuni e delle aziende, escludendo solo la parte umida e provvediamo a fare dapprima una selezione per ricavare i materiali che hanno già un mercato, i materiali che non hanno un mercato immediato, vengono riciclati, ne facciamo una materia prima e seconda, che ha un suo mercato di riferimento.
Blog: “Tutto questo partendo da cosa? ”
Carla Poli: “Partendo dai materiali di scarto che non hanno un utilizzo immediato, mentre le bottiglie e i flaconi trovano collocazione in un mercato di vendita nelle fabbriche per fare altri flaconi o pile, queste sarebbero tutte le plastiche miste anche con un po’ di carta, con tutti i materiali di scarto che si portavano una volta a discarica o inceneritore. Qua hai un esempio di una pavimentazione fatta con il nostro granulo più gli scarti del legno da riciclo, quindi pavimentazione per prefabbricati, per interni e per pavimentazione per esterno antiscivolo, quindi le tecniche ci sono, gli studi sono stati fatti, noi abbiamo investito i nostri soldi derivanti dalle attività perché aiuti non ne abbiamo avuti finora nella ricerca, nella sperimentazione, insieme a università… ”
Blog: “Quindi questo materiale viene fuori da qui? ”
Carla Poli: “Non lo facciamo noi, lo fa un’altra azienda, noi mettiamo in moto un’altra filiera che è quella di fare i manufatti! Oltre a pavimentazione, le sedute, gli schienali delle sedie, questa poltroncina invece di avere legno o plastica vergine, poi diventa quella. Queste sedie hanno bisogno solo di essere foderate o questi sono i camminamenti per le spiagge, si usano moltissimo, sono fatti 100% con il nostro materiale. ”
Blog: “Anche dissuasori? ”
Carla Poli: “Sì, qua ce ne è una percentuale, lo studio e la sperimentazione serve a dire: come faccio questo manufatto? Quanto posso usare del mio granulo? Insieme a cosa, prendo qua c’è la gomma che deriva dal riciclo del rame dai cavi di rame, quindi il campo è vasto, bisogna studiare, applicarsi, sperimentare. Pallet, quelle sono per le costruzioni, vanno annegate nel cemento per dare areazione e antisismicità alle costruzioni, quell’azienda aveva chiuso qua in Italia, è un’azienda di Ancona, grazie a questo nuovo studio – applicazione, ha riaperto, perché altrimenti non era più competitiva sul mercato visti i costi e dentro a questa igloo c’è l’80% del nostro grano, fino all’80%, quindi anche un parziale utilizzo di un manufatto, consente un abbattimento dei costi, l’importante nel nostro sistema perché non è che noi abbiamo un impianto che si può replicare, si può portare, funziona là, facciamo anche noi… no, abbiamo un sistema che parte dall’organizzazione del territorio, quindi ci vuole l’aggancio con l’ente pubblico perché al pubblico è demandata per legge la raccolta e la gestione del rifiuto urbano, poi l’industriale è tutta un’altra cosa, le aziende fanno una bellissima raccolta differenziata perché risparmiano, non c’è bisogno di tante storie, capito? Imparano tra gruppo San Pellegrino, Gruppo Vera, Gatorade, tutto il gruppo Benetton hanno la mensa e la fanno tutti la raccolta differenziata per il semplice motivo che risparmiano nella gestione. Un metodo del genere si riesce a esportare in Campania, dove c’è una situazione ai limiti della sopportazione. In Campania bisogna mettere in moto gli impianti, gli impianti ci sono, solo che sono fermi!”
Blog: “Perché li hanno trasformati non fanno più il Cdr. ”
Carla Poli: “Va portato in discarica, va portato all’inceneritore? Bene, o va là o va al riciclo, il materiale o va in un posto o va in un altro! ”
Blog: “Una montagna di ecoballe che non si sa cosa c’è dentro… ”
Carla Poli: “L’ecoballe è tutto un altro problema, bisogna sapere cosa… non tratto materiale che viene tutto alla rinfusa, se si vuole fare questo percorso, guarda che è la terza volta che te lo dico, bisogna fare a monte una raccolta che sia adeguata, perché nel casino non ci mette le mani nessuno, invece se ci arriva la raccolta della frazione secca non deve esserci umido, se non il 4, 5% come noi verifichiamo, allora l’errore noi correggiamo, la percentuale di errore, non la mescolanza… se non si vuole fare questo, allora si porta a discarica, ci sono delle regole ben precise è una cosa talmente ovvia… se un’azienda mescola i suoi scarti di produzione che sono sfridi plastici, con il materiale che gli proviene dalla mensa, capisci che nessuno ci può mettere le mani, noi ci mettiamo le mani sul materiale, ma deve arrivare materiale, non rifiuto! Chi fa la raccolta differenziata deve capire questa differenza che è sostanziale. Partiamo da questo che è il riciclo, trasformo in una materia prima e seconda, puoi vedere, qua si vede bene, questo è… vedi la frazione secca? Qua non senti odore, senti odore qua? Molto meno che nell’imballaggio perché se non c’è l’umido è logico, però questa sarebbe stata destinata tutta a discarica, almeno per l’80% si vede, vedi la racchetta… è plastica, quindi con queste considerazioni noi siamo partiti… ”
Blog: “Voi mettete le mani in questa… ”
Carla Poli: “No, questa va direttamente in lavorazione, ma la controlliamo e vediamo se è divisa correttamente. Questi invece sono imballaggi plastici che non hanno mercato, il consorzio nazionale del Conai usualmente mi destina a discarica l’inceneritore, noi abbiamo la possibilità e li ricicliamo, tutto questo materiale viene ricontrollato, va sull’impianto, c’è una calamità, se c’è il ferro… qui c’è ulteriormente recupero di ferro e di alluminio… recupera perché nella frazione secca, per esempio qualcuno dimentica la lattina e noi facciamo il recupero, ma proprio anche le parti più piccole, queste noi la vendiamo, è alluminio, quindi le macchine ci sono per fare questi lavori, trova impiego proprio… “


Un’industria virtuosa

Blog: “Secondo lei da materiale compromesso come la questione delle ecoballe a Napoli, si riesce a fare questo lavoro? ”
Nelle ecoballe non so cosa c’è, se c’è la parte umida… se sta andando in fermentazione, vuole dire che c’è dell’umido dentro, allora la fase di base è che deve essere tolto l’umido, altrimenti qua non è che vuoi trasformare in… ”
Blog: “Altrimenti qui non potremmo respirare, invece… ”
Bravo, invece vedi che non ti provoca problemi, adesso dobbiamo saltare avanti dopo questo entra macchina che stanno cambiando le lame, per sfregamento si scioglie, si riscalda, dopo che va in raffreddamento raggiunge una temperatura di circa 160/180° per cui non c’è combustione, ma c’è solo lo scioglimento del materiale plastico che ingloba un po’ anche tutti gli altri materiali, un po’ di legno… a norma di legge, perché le leggi ci sono, i regolamenti ci sono, le norme Uni ci sono, una volta che è avvenuta la densificazione va al raffreddamento perché uscendo a quella temperatura, va in quel macinatore che è un granulatore, si chiama, poi va nel vaglio per dividere la parte fine dalla parte grossa e va all’insaccamento. ”
Blog: “Quindi dentro questi sacchi c’è il materiale miracoloso! ”
Carla Poli: “Questo è un tipo di materiale, questo è densificato, come esce, esce molle e guardi, poi si solidifica e poi va in granulazione, o questo oppure… perché noi non è che facciamo un prodotto e quello è, noi facciamo il prodotto per il cliente.”
Blog: “C’è chi lo vuole un po’ più grezzo… ”
Carla Poli: “Non ho materiale che è qua, tutto il materiale è ordinato, prenotato, noi produciamo sempre il cliente, c’è un cliente che lo vuole più addensato, meno addensato, più cotto, più crudo, più fine o meno fine e noi glielo produciamo, non è che siamo il supermercato che poi magari facciamo una svendita 3 x 2, qua dobbiamo produrre per vendere, perché se 100 tonnellate mi entrano al giorno, 100 tonnellate mi devono uscire! ”
Blog: “Quante persone lavorano in un impianto come questo? ”
Carla Poli: “Noi abbiamo 64 dipendenti, però per alcuni materiali diamo da lavorare a altre aziende, ci sono molte aziende in Provincia di Treviso che si occupano di riciclo, per esempio queste cassette vanno consegnate a un’azienda che le lava, le tritura, fa le scagliette e poi questa azienda le vende a un’altra azienda che rifà magari cassette o fa le bacinelle. “
Blog: “C’è un indotto anche. ”
Carla Poli: “C’è un indotto, è stato calcolato da un istituto di ricerca in circa 9.200 persone addette all’indotto dalla nostra azienda, quindi sono tutti quei calcoli che fanno, potremmo farlo anche noi, però dovremo dotarci di una macchina apposta, ma così noi facciamo il nostro lavoro che è il lavoro base! Sopra c’è la piattaforma dove fanno la selezione, tutte queste camere si riempiranno una di bottiglie bianche, una di azzurra, una di colorate, quando è piena la camera, si spinge il materiale e va su in pressa, attraverso questi nastri viene caricata la pressa che è quel macchinario verde e viene fatta la balla di materiale e portata nel deposito produzione. Invece questo è un polmone di accumulo perché se si rompe la prima parte di impianto, la seconda parte può lavorare. Questo vaglio fa un grande lavoro, suddivide le plastiche leggere che non hanno un mercato, i pezzettini piccoli, quindi si chiama sottovaglio, le bottiglie e i flaconi li manda sulla piattaforma, quindi è una prima sgrossatura del materiale plastico di modo che c’è una produttività ottima, se dovessimo farlo a mano ci vorrebbe un’altra piattaforma. Senti il rumore perché è materiale con il vetro, organizziamo tutti i vari settori, sappiamo già dalla settimana prima quali saranno i conferimenti, quindi vengono organizzate le produzioni per i tipi di materiali che arrivano. Quindi le squadre di operatori… sapendo già cosa ci portano e che cosa dobbiamo fare, allora noi siamo informati di tutte le tipologie di imballaggi, di materiali… che entrano sul mercato perché prima o dopo ci arrivano, quindi dobbiamo già sapere cosa, come si possono recuperare, quindi mettiamo in moto dalla produzione al recupero dei materiali, quindi torniamo alla produzione, questo è un ciclo chiuso come la natura, non è un ciclo aperto. Tu vedi, queste raccolte provengono dalle scuole e noi dalle scuole partiamo, perché li abituiamo a fare una raccolta, questi sono sacchi di frazione secca, vedi che non c’è il sacco nero? Noi non vogliamo perché la responsabilità di quello che conferiscono, quindi non devono avere l’idea che bisogna nascondere, la si vede che è frazione secca, quindi stanno attenti perché altrimenti si vede, perché l’operatore del camion ha subito la visione e quindi dice: no, questo non va bene, me lo riselezioni e stai più attento, se invece è sacco nero non si vede niente. Il costo che facciamo pagare per la raccolta di questo… è zero, capito? Quello invece… gli imballaggi, le lattine, plastiche… le scuole lo fanno, vedi com’è divisa la roba? Qua basta che lo metto in linea e è a posto, passa sotto una macchina, se è ferro, se è alluminio perché anche adesso le lattine le fanno in acciaio, quindi se è acciaio va diviso dal… però il grosso del lavoro me l’ha fatto la scuola e non gli è costato niente perché invece di mettere lì, mettono là, quindi un gesto di consapevolezza perché loro vedono perché vengono in visita e vedono cosa facciamo del materiale. ”
Blog: “Quanto costa mettere so un impianto così? ”
Carla Poli: “Dipende da quanta roba devi lavorare, se vuoi fare il primo impianto solo o anche il secondo, noi abbiamo investito circa 5,5/6 milioni di euro, perché di macchine ne compriamo sempre, non è che… adesso hanno appena caricato un camion di un determinato materiale, quindi… ma vedi la selezione com’è? Vedi i flaconi, le bottiglie colorate, quelle bianche, quelle azzurre, questo è il mercato italiano, quelle nere sono le cassette, gli altri lasciano i nylon, mentre la roba ci arriva sciolta, la puoi vedere, quindi i conferimenti sono quelli, noi da là partiamo, mentre quelle bianche, quei sacchi sono tutti sacchi di polistirolo di un’azienda che li ha suddivisi, quel polistirolo però ci sono anche cartoni, toglieremo i cartoni da avviare alla cartiera, mentre il polistirolo va nel secondo impianto. Quindi dopo questa attività c’è tutto il lavoro, quindi l’indotto fatto nascere e crescere proprio dalle tipologie di materiali. Per esempio in Sardegna dove inaugureremo a breve il nuovo impianto, inaugureremo ufficialmente nel senso che sta già operando, lì è nata una cooperativa per utilizzare il granulo nel settore edilizio, perché loro la sabbia la comprano in continente, quindi gli costa un sacco di soldi, ne vanno a riutilizzarla, però stanno nascendo varie attività per utilizzare questi materiali e per far nascere un’attività devono studiare, quindi il collegamento anche lì con le università, con l’istituto di ricerca, Cagliari, Sassari, ci sono ottimi ricercatori, non dobbiamo noi andare a ricercare ricercatori all’estero, perché ne abbiamo, anzi i nostri vanno all’estero! Quindi l’abbinamento con i diversi laboratori universitari, perché un’università è specializzata in una cosa e una nell’altra, quindi bisogna andarsele a ricercare, quindi è un lavoro di pazienza, costanza, è un lavoro! ”
Blog: “Però possibile.”
Carla Poli: “Ma certo che è possibile, non è che siamo qua dall’anno scorso, sono decenni, all’inizio era più difficile trovare delle soluzioni, adesso si trovano perché si è aperto anche… quando c’è la normativa, le regole che stabiliscono, tu basta che corri sulla strada!

Antimafia Duemila – Ecomafie. Nel 2007 18 miliardi e 400 milioni di euro

Antimafia Duemila – Ecomafie. Nel 2007 18 miliardi e 400 milioni di euro.

di Mimmo Scarmozzino – 6 maggio 2010
Scarti delle attività umane,  divenire risorsa se riciclati o se irresponsabilmentre smaltiti o gestiti in modo illegale e accumulati in siti abusivi, causando inquinamento ambientale e veleni con conseguenze sulla salute.

In alcune regioni di Italia, non solo meridionali in testa veneto, puglia, campania, Calabria.

Questa risorsa è legata anche ad attività criminali di stampo mafioso. Ospitante significative quantità di rifiuti prodotti o importati da Croazia, Serbia, Albania ecc. l’ Italia inoltre, esporta all’estero: Hong Kong, Tunisia, Pakistan, Cina e Senegal ecc..(chissà se ilbilancio è attivo!).

Tanto per cambiare, vediamo il ruolo delle ecomafie nella terra di nessuno, la ‘ndrangheta ha fiutato (il puzzo dei rifiuti) e investe con l’ indegna e solita complicità degli enti locali in questo sporco affare, (puzzo..anzi, pozzo senza fine), spesso collaborando con la camorra molto più esperta.

Legambiente nel rapporto sull’Ecomafia,richiamando relazione del CENSIS sulle sicurezza di fine 2006 scrive: “una ‘ndrangheta in sistematica infiltrazione nel tessuto imprenditoriale, soprattutto nei settori alimentari e della grande distribuzione, immobiliare, turistico-alberghiero, edile, sanitario e nello smaltimento dei rifiuti”.

La stessa Commissione Antimafia conferma!

Un giro di affari appetibile perchè porta enormi profitti a tutti coloro che partecipano allo spartimento della torta:dagli atti dell’operazione “Ronin”,
nell’ambito della quale il Gip del tribunale di Reggio Calabria ha emesso ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 13 persone indagate per associazione mafiosa, estorsione, corruzione di amministratori locali e frode nella gestione di pubblici servizi legati allo smaltimento di rifiuti e alla gestione delle discariche.

Solo nel 2007 un volume d’affari di 18 miliardi e 400 milioni di euro (1/5 degli introiti delle mafie), 22.000 persone denunciate, 56 procure al lavoro, 30.000 illeciti accertati.

In Italia e dall’Italia, passaggio e deposito in mare, in terra e in ogni luogo di rifiuti di ogni genere, tossici, speciali, inerti, ceneri di inceneritori, tutto tramite il “porto dei mali e dei beni” quello di Gioia Tauro.

I rifiuti crescono, spariscono dietro le montagne, nei fondali, come crescono malattie tumorali nelle zone coinvolte (per mafiosi e parenti inclusi).

Invasi da pericolosi fustacchioni, magari nei parchi dove giocano i bambini, dove spesso nascono dall’oggi al domani delle collinette di amianto, o nuotando in uno splendido mare dove misteriosamente sul fondo si intravede qualche nave carica di morte.

Tratto da: gliitaliani.it

Antimafia Duemila – Un anno dopo. Le Ecoballe di Bertolaso

Fonte: Antimafia Duemila – Un anno dopo. Le Ecoballe di Bertolaso.

di Pietro Orsatti – 24 aprile 2010
A quasi un anno di distanza da quando è stato realizzato, riproponiamo questo reportage. La ragione è evidente. La situazione nella “terra dei fuochi” non è cambiata una virgola.

Come non è cambiato il pudore di gran parte dei media nazionali nel parlare di un territorio che è totalmente sfuggito fuori dal controllo dello Stato e dove a volte (troppo spesso) lo stesso Stato diventa una parte, e non piccola, del problema. Quel giorno eravamo in quattro. Francesco Piccinini, Nello Trocchia, un fotografo napoletano di cui non ricordo il nome e io. Stravolti, anche se ci aspettavamo in gran parte quello che poi ci siamo trovati davanti, a sera ci ritrovammo a mangiare dagli amici di NCO (Nuova Cucina Organizzata) a Casale: si cercava di ridere, ma a fatica. Non è facile far scattare l’interruttore che ti consente di tornare alla normalità dopo una giornata del genere. Non so gli altri. Io i vestiti che indossavo quel giorno li ho buttati.

p.o.

REPORTAGE – Un milione di metri cubi di rifiuti. Abbandonati e senza controllo nella discarica di Ferrandelle, dove il percolato cola nei canali dell’acqua destinata a irrigare immensi campi di grano e rifornire i tre caseifici della zona

La terra dei fuochi è in piena attività. Un vulcano in eruzione. Ribolle di puzza, liquami, immondizia e fiamme. L’emergenza rifiuti in Campania, e in particolare nella provincia di Caserta feudo dei Casalesi, è scomparsa e risolta solo nei Tg nazionali e nei proclami dei commissari e degli accondiscendenti emissari di governo. Non serve leggere rapporti, perizie e lanci di agenzia per accorgersene. Non serve fare anticamera dall’assessore di turno e meno che mai chiedere “permesso” alle forze dell’ordine. Basta andarci, nella terra dei fuochi, per scoprire questo ennesimo, raccapricciante e pericolosissimo inganno messo in piedi dal Titanic mediatico che fa capo all’attuale maggioranza di governo e in particolare al premier e al suo braccio armato Bertolaso. Basta salire in auto e fare una manciata di chilometri dall’uscita della Domiziana cercando di dimenticare cosa si rischi a prendersela con gli affari dei Casalesi.

A Casal di Principe è morto lo Stato per suicidio. Se qualcuno vi dice il contrario o è spaventato a morte o è un complice. Peppe è uno che lavora nel sociale, si batte da anni contro la camorra e il degrado. Ed è spietato nel suo giudizio: «Prima, quando ci battevamo contro la “monnezza” smaltita irregolarmente dalla camorra ci dicevano “bravi, andate avanti così”, oggi che ci battiamo contro la “monnezza” smaltita sempre irregolarmente, ma dallo Stato, ci danno dei camorristi».
Che vuoi dire? «Vatti a vedere che cos’è Ferrandelle». E andiamo a vedere. Ferrandelle è il più grande sito di smaltimento (provvisorio, si diceva) dell’era Bertolaso bis, quella della rinascita del governo Berlusconi terzo. Sta in un’area posta a metà strada fra Santa Maria la Fossa e Casal di Principe. In un’azienda agricola confiscata a Sandokan, Francesco Schiavone, il boss che più di altri capì anticipatamente che la “monnezza” è oro. Un milione di metri cubi di rifiuti, ecco cosa conterrebbe questo sito “di interesse strategico nazionale” (di conseguenza vincolato a segreto di Stato per non avere rompiscatole che vadano a ficcare il naso). E ad aprile scorso il blocco per raggiunti limiti.

Discarica immensa, a cielo aperto, parzialmente abbandonata. Se c’è una vigilanza all’ingresso principale, di lato si arriva quasi a toccarle le montagne di rifiuti e non risulta alcun controllo neppure a distanza. Ci si rende conto immediatamente che sono saltate, se mai sono state attuate, tutte le norme di sicurezza e di contenimento degli inquinanti. Il percolato cola nei canali di scolo mischiandosi con l’acqua (se è possibile chiamare acqua il liquame maleodorante che scorre in quei fossi) che andrà a irrigare gli immensi campi di grano della zona. Le coperture sono saltate. Molte delle piscine (fatte di teli impermeabilizzanti) hanno ceduto e i rifiuti sono a contatto direttamente con il terreno. Come del resto anche nel sito limitrofo, a ridosso di una base militare praticamente in disuso, dove si lavora per preparare le strutture non per ricevere i rifiuti ma per consentire lo svuotamento di Ferrandelle, ormai collassata. Ma anche in questo sito già ci sono rifiuti smaltiti irregolarmente senza alcuna barriera di contenimento del percolato. «Andatevene che arrivano i militari». Anche se siamo per strada, non in zona militare. Perché anche questo è un sito militarizzato, anche se di soldati non se ne vedono.
La situazione diventa paradossale davanti l’ingresso principale di Ferrandelle. Dall’altra parte della strada una serie di capannoni e di aree di stoccaggio di ecoballe. In uno di questi, allagato, le ecoballe galleggiano. Lo stesso spettacolo al quale si assiste nell’area limitrofa all’aperto, senza neppure la provvisoria copertura garantita dalle tettoie. I teli a terra sono posizionati in modo che il percolato (che si riforma inevitabilmente a contatto dell’acqua) defluisca all’esterno del sito. Anche questo posizionato a pochi metri da terreni coltivati e dai tre caseifici presenti nell’area.

Il mostro è lì sotto gli occhi di tutti, ma nessuno vede. Pomeriggio di festa, Casal di Principe. Il sabato di giugno da queste parti sembra essere destinato ai matrimoni. Fa un certo effetto vedere la sposa con il suo vestito avanzare verso l’ingresso della chiesa con sullo sfondo cumuli di immondizia e un branco di cani randagi ansimanti per il caldo. Fa effetto a noi, non agli invitati con il vestito della festa. Potere dell’abitudine. Perché vivere “co a munnezza” per strada ormai è consuetudine. Altro che raccolta differenziata ed emergenza rientrata. Qui, la “monnezza” da schifo è diventata panorama. “Monnezza” e ville di boss piccoli e grandi, pacchiani monumenti alla camorra più mafiosa, nella sua declinazione tecnica tradizionale.
Identità, capacità di differrenziare attività lecite e illecite, controllo uniforme e militare dell’intero territorio. E infiltrazione, a ogni livello, di amministrazioni, organi tecnici ed elettivi e di interi comparti economici. Altro che mafietta tamarra e gratuitamente violenta.

I Casalesi assomigliano, e tanto, a Cosa nostra. E il bello è che lo sanno talmente tanto bene da imitarne anche i comportamenti “accomodanti” dei clan siciliani. «Siete proprio sicuri che quel pazzo sanguinario di Setola sia stato preso senza il consenso, anche se passivo, delle famiglie?». È uno dei tanti investigatori a parlare, anonimamente. Uno di quelli senza giubba blu che danno la caccia a boss latitanti da decenni. Ride e accende una sigaretta. «Anche qui, come in Sicilia per Provenzano, dovrete seguire “un sacchetto di mutande” per prenderli?». La risata è più eloquente di una risposta. «Speriamo non ci vogliano trent’anni per seguirlo sto sacchetto». Una mezz’ora dopo l’ultimo lancio di riso sul sagrato di una chiesa, si alza una colonna di fumo a poche centinaia di metri. All’incrocio di due vie, in mezzo alle case basse protette da muri da fortino spagnolo, in un pezzo di terreno incolto una discarica “estemporanea” (identica alle altre centinaia presenti sul territorio) ha preso fuoco. Incendio spontaneo coatto con tanto di aiutino in forma di benzina. Sotto gli occhi di una piccola folla tre uomini, uno anziano con un secchio gli altri più giovani con pompe da giardino, bagnano il perimetro per impedire che il fuoco si allarghi fuori dalla discarica. Amianto, frigoriferi, copertoni, spazzatura “semplice”, barattoli di vernice: tutto brucia velocemente e il fumo avvolge tutto, denso, irrespirabile. «Avete già chiamato i pompieri?», chiediamo all’uomo con il secchio. «No». «E perché no?» Con uno sguardo che scioglierebbe anche un carrozziere: «Perché no». Ma i pompieri, comunque, qualcuno li ha chiamati lo stesso. E appena arriva l’autopompa la strada si svuota. Dei tre uomini e delle decine di spettatori nessuna traccia.

VISITA: orsatti.it

Tratto da: gliitaliani.it

Blog di Beppe Grillo – Le navi dei veleni

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Le navi dei veleni.

Gianni Lannes è un giornalista pugliese che si occupa di inchieste sul traffico d’armi e di esseri umani, e di ecomafie. Il meetup di Genova lo ha incontrato.
“Caro Beppe, di recente abbiamo conosciuto e ospitato Gianni Lannes.
E’ venuto a Genova per operare delle verifiche nelle capitanerie di Porto nell’ambito delle indagini per un documentato-dossier sugli affondamenti delle “navi dei veleni”.
Ci ha raccontato le difficili condizioni di vita in cui si ritrova oggi. Da dicembre vive sotto scorta a causa delle intimidazioni che lui e la sua famiglia continuano a ricevere: auto incendiate, freni manomessi, minacce telefoniche o al citofono di casa. I suoi spostamenti devono avvenire in totale riservatezza.
Tra i molti che potrebbero essere interessati a ostacolare il suo lavoro, Lannes denuncia di temere in modo particolare proprio lo Stato Italiano e alle attività dei servizi segreti.” Giacomo

Antimafia Duemila – Il cielo sopra Gomorra

Fonte: Antimafia Duemila – Il cielo sopra Gomorra.

di Stefano Fantino – 12 aprile 2010
Inchiesta di Rainews 24 sulla presenza dei rifiuti tossici in Campania e sulla conseguenza sul territorio e sulla popolazione.

Una terra ridotta in poltiglia, ammorbata, avvelenata. Lo stupro ambientale che la camorra, nella fattispecie il clan dei Casalesi, ha operato per decenni nei territori campani con lo sversamento e l’interramento di sostanze tossiche è riuscito finalmente in questi anni ad avere una certa risonanza mediatica. Documentari, inchieste e dossier hanno mostrato lo sfacelo perpetrato ai danni di una terra in nome del denaro, i danni ambientali ingentissimi causati dal traffico di rifiuti, spesso dal Nord, che nelle terre dei Casalesi trovava il suo capolinea. Eppure tutto quanto era visibile non può ancora dare la dimensione totale del danno causato.

Un’inchiesta curata da Angelo Saso per Rainews 24, “Il cielo sopra Gomorra”, prova a dare un taglio differente e raccontare anche ciò che non appare così evidente. I giornalisti del canale all-news hanno sorvolato quei territori con un elicottero e seguito Forestale e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia alla ricerca di anomalie termiche nei terreni con speciali telecamere termiche. Ma la visione è già impressionante ad occhio nudo: crateri che prima erano montagne e ora sono cavi e riempiti di rifiuti, laghi e terreni che secondo gli strumenti mostrano segni di rialzi di temperature anonimi. Come a Maddaloni, comune del Casertano, dove il terreno mostra picchi di temperatura che arrivano fino a 70 «Il cielo sopra Gomorra» Inchiesta di Rainews 24 sulla presenza dei rifiuti tossici in Campania e sulla conseguenza sul territorio e sulla popolazione. Terreni che a vedere bene fumano proprio. Fumi tossici ci spiegano gli esperti. Il loro lavoro è coordinato da Donato Ceglie, magistrato della procura di Santa Maria Capua Vetere, che da più di dieci anni ha perseguito le ecomafie campane, a partire dall’inchiesta Cassiopea del ’99. «Il nostro lavoro di contrasto consiste in prima battuta nel bloccare i flussi di rifuti, in seconda nel bonificare la zona» dice Ceglie. Cosa molto difficile. Nei tanti laghetti diffusi nella provincia, frutto del massicio recupero di inerti per uso edile, le anomalie termiche si sono dimostrati essere fusti con rifiuti tossici, “mangiati dall’ossido” e ormai quasi totalmente sversati nelle acque e nei terreni circostanti. Un business da miliardi: colline, laghi, terrapieni per la costruzione di autostrade.

«Il traffico di rifiuti è stata una manna dal cielo per i clan» racconta Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania che dal ’94 porta avanti la sua battaglia civica e informativa sul tema delle ecomafie. Solo nel quadriennio 2005-2008 si parla di 13 miliardi di rifiuti speciali gestiti dai clan per un affare totale di oltre 5 miliardi di euro. Centinaia di Tir che, da quando la rotta verso la Somalia è caduta in disuso, ha optato per una soluzione più interna, percorrendo centinaia di chilometri per poi giungere alla destinazione finale in Campania. E dietro agli affari cominciano a spuntare gli effetti, indesiderati e perversi, sulla popolazione. Una camorra che per fare soldi non guarda in faccia nessuno tanto meno la salute della popolazione e la salubrità dei territori. Ne è prova la storia di Pasqualino Capasso, un signore di Casaluce, colpito a 45 anni da un tumore, in questa terra dei fuochi, dove bruciano costantemente materiali tra i più disparati. Una tendenza che i medici di base di Casaluce hanno anche segnalato: un numero sospetto di carcinomi, probabilmente relegato alla presenza di sostanze tossiche nel cibo e nell’acqua. Una diretta conseguenza dello sversamento dei rifiuti, in un territorio non industriale ma agricolo, quindi teoricamente scevro da problematiche di questo tipo.

E invece anche i militari statunitensi, di stanza a Gricignano d’Aversa, hanno ritenuto opportuno analizzare acqua, aria e terra delle zone in cui vivono. La presenza di tetracloroetilene e di altre 17 sostanze tossiche hanno portato allo spostamento di un terzo delle famiglie americane che risiedevano in zona. Zona che dall’agro aversano giunge fino alla provincia di Napoli, dove vicino a Nola, il cantiere della superstrada ha mostrato tracce di amianto nel terrapieno. Un terribile deja-vù rispetto a quei cantieri dell’Asse Mediano costruito dai Casalesi sotto il quale rifiuti speciali sono con gran probabilità stipati. Un ultimo grande quesito chiude il servizio. Dopo i grandi affari fatti coi rifiuti, finiranno ancora in mano ai clan anche gli 800 milioni di euro stanziati per decontaminare le zone?

Tratto da: liberainformazione.org

Antimafia Duemila – Rifiuti: consulenze, Bassolino a giudizio

Fonte: Antimafia Duemila – Rifiuti: consulenze, Bassolino a giudizio.

Il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, e’ stato rinviato a giudizio con l’accusa di peculato.
Lo ha deciso il gup di Napoli Alabiso al termine dell’udienza preliminare per la vicenda delle cosiddette ‘consulenze d’oro’ al commissariato straordinario per la gestione dei rifiuti in Campania. Il gup ha accolto parzialmente le richieste del pm Novelli. Bassolino e’ stato prosciolto in relazione dal reato di falso.

Antimafia Duemila – Il rapporto dell’Onu che da ragione a Ilaria Alpi a 16 anni dalla morte

Fonte: Antimafia Duemila – Il rapporto dell’Onu che da ragione a Ilaria Alpi a 16 anni dalla morte.

“Gli sforzi per riportare la pace e la sicurezza in Somalia sono minati in maniera determinante da una corrosiva economia di guerra che corrompe ed indebolisce le istituzioni statali”.
É questo uno dei passaggi cruciali dell’ultimo rapporto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul Paese del Corno d’Africa. Pirateria, traffico d’armi, industria dei rapimenti, mercato dei visti per l’Occidente, ma anche l’utilizzo degli aiuti umanitari per finanziare la guerriglia islamista sono fra le componenti più perniciose dell’economia parallela di uno Stato senza Stato in guerra con se stesso dal dicembre 1990.

Economia di guerra che ha reso miliardari un gruppo ristretto di uomini d’affari somali, alcuni dei quali con legami ben saldi con l’Italia e che utilizzano uno schema rodato sul quale indagava Ilaria Alpi prima di essere uccisa 16 anni fa: usare i soldi della cooperazione per comprare armi e sostenere la guerriglia.

Il rapporto del Monitoring Group sulla Somalia non è piaciuto a nessuno. Non è andato a genio perché il suo relatore, il canadese Matt Bryden, ha esposto in maniera eloquente una realtà che era da anni sotto gli occhi di tutti. Se il traffico d’armi, la pirateria – mercoledì è stato ucciso il primo pirata da una compagnia di sicurezza privata – ed i rapimenti sono una triste consuetudine, meno lo è l’idea che la macchina degli aiuti umanitari finanziata dal contribuente globale – solo per la Somalia si spendono 850 milioni di dollari ogni anno – serva ad arricchire un ristretto gruppo di individui che rivendono il cibo sui mercati locali senza farlo arrivare ai più bisognosi e che, con quei proventi, finanziano il fondamentalismo terrorista. “Il Programma Alimentare Mondiale (Pam) e il gruppo di Eel Ma’aan” è il titolo del paragrafo dedicato alle gesta di quello che è stato definito dalle Nazioni Unite “un cartello di contractors somali”. Ne fanno parte Abukar Omar Addani, Abdulqadir Mohamed Nur detto “Enow” e Mohamed Deylaaf. Addani è un anziano signore su una sedia a rotelle con la barba rossa tipica dei vecchi somali. Il suo aspetto non deve trarre in inganno. Nel 2006 fu lui uno dei principali finanziatori dell’ascesa su Mogadiscio dei Tribunali delle Corti Islamiche. Quando gli etiopi entrarono in Somalia nel dicembre di quell’anno, Abukar Omar Addani fuggì alla volta del Kenya con le valigie piene di dollari. Arrestato alla frontiera per immigrazione clandestina, fu messo in un carcere comune per essere processato. Alla sua udienza nel gennaio del 2007 entrò in aula sputando sui giornalisti accorsi in massa a vedere una delle eminenze grigie del fondamentalismo somalo. Ad aspettarlo in aula c’era anche il suo socio, Abdulqadir Mohamed Nur detto “Enow”.

“Enow” gestisce anch’egli il porto di Eel Ma’an con una milizia stimata di duemila uomini. Abdulqadir Mohamed Nur utilizzava una società di trasporti nominata Deeqa per ottenere   gli appalti del Programma Alimentare Mondiale. Sua moglie, Khadijia Ossoble Ali, invece, usava un’organizzazione non governativa che fungeva da partner dell’Onu. Il meccanismo era semplice: il marito trasportava, la moglie distribuiva. Soltanto che, secondo il rapporto Onu, almeno la metà degli aiuti non arrivava mai a destinazione. Il risultato è che non solo il cartello gestiva 200 milioni di dollari in aiuti (cifra del 2009), ma che lucrava anche sulla parte non consegnata che era poi rivenduta sui mercati locali.

C’è poi la storia del porto di Eel Ma’ann. L’approdo fu costruito nella prima metà degli anni ’90 da Giancarlo Marocchino, il faccendiere italiano primo sulla scena nel delitto Alpi-Hrovatin e finito nel mirino per traffico d’armi e rifiuti verso la Somalia. Marocchino voleva costruire le banchine con dei container cementati pieni zeppi di rifiuti tossico-radioattivi. Quando il faccendiere lasciò la Somalia – caso vuole che anch’egli gestisse il trasporto degli aiuti del Pam – il molo fu preso in gestione nel 1999 da Enow e Addani. Per la cronaca, l’avvocato di Enow in Italia è l’ex parlamentare del Msi, Stefano Menicacci: lo stesso di Giancarlo Marocchino. Proprio il binomio armi-rifiuti-aiuti della cooperazione era una delle piste su cui lavorava Ilaria Alpi prima di essere uccisa con l’operatore Miran Hrovatin il 20 Marzo del 1994 a Mogadiscio. A pagare quel duplice omicidio un capro espiatorio portato con l’inganno in Italia: Hashi Omar Hassan. Oggi però il processo sull’omicidio Alpi-Hrovatin potrebbe essere ad una svolta. Il 17 Marzo scorso il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura e disposto l’imputazione coatta per calunnia nei confronti del teste chiave dell’accusa responsabile della condanna definitiva a 26 anni di carcere del somalo Hashi Omar Hassan. “Questa è l’anticamera per la revisione del processo”, ha detto il suo avvocato Douglas Duale. Hashi è stato l’agnello sacrificale necessario a chiudere le indagini sui reali motivi e sui mandanti dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Tratto da: Il Fatto quotidiano

Antimafia Duemila – La verita’ nascosta

Antimafia Duemila – La verita’ nascosta.

di Mariangela Gritta Grainer* – 19 marzo 2010
Mariangela Gritta Grainer ricostruisce 16 anni di bugie, carte false e silenzi dopo l’esecuzione di Ilaria e Miran. Per non dimenticare anche a fronte delle ultime notizie.

“Io so.  Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano…
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato…e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove……”
(Pier Paolo Pasolini)

Queste parole, lette da Ilaria, sono l’incipit del film “Il più crudele dei giorni”.

Era il 20 marzo del 1994, il più crudele dei giorni: la vita di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin veniva stroncata a Mogadiscio in un agguato.
Dopo sedici anni lunghissimi e dolorosi si sa quasi tutto di quel che accadde quella domenica di marzo e perché.
Si sa che si è trattato di un’esecuzione. E’ ciò che è stato confermato in tutti questi anni dalle inchieste giornalistiche, dalle commissioni parlamentari e governative che se ne sono occupate, dalle sentenze della magistratura. E’ quanto ha sostenuto il dottor Emanuele Cersosimo respingendo la richiesta di archiviazione del procedimento penale presentata dalla Procura di Roma:
“…la ricostruzione della vicenda appare essere quella dell’omicidio su commissione, assassinio posto in essere per impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica…”

Dunque traffici illeciti, che solamente organizzazioni criminali come la mafia, l’ndrangheta e la camorra possono gestire, come negli ultimi mesi indagini di procure, specialmente calabresi, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia hanno riconfermato a partire dalle “navi dei veleni”.
Organizzazioni criminali che possono crescere ed estendere le loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati perché godono di coperture, silenzi e complicità nelle strutture di potere pubbliche e private.

“Probabilmente stiamo parlando di un qualcosa che riapre anche la vicenda dell’uccisione di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin. Stiamo parlando di uno dei fenomeni criminali più sofisticati e inquietanti della nostra storia recente” (ha dichiarato Walter Veltroni dopo l’incontro con Bruno Giordano, procuratore di Paola, a fine settembre 2009).

”Abbiamo avuto segnalazioni che consideriamo attendibili sui luoghi nei quali potrebbero essere nascoste queste scorie radioattive e così il 10 marzo andremo a fare delle verifiche in Calabria. Una parte di queste sostanze radioattive sulle cui tracce sarebbe stata anche la giornalista Ilaria Alpi, sarebbe stata sepolta in Italia, mentre un’altra parte in Somalia” (da una dichiarazione all’ANSA di Gaetano Pecorella, presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti).
Una delegazione della commissione suddetta ha programmato anche un altro incontro con Francesco Fonti le cui dichiarazioni sono state alla base della riapertura del caso delle navi dei veleni e del probabile collegamento con l’uccisione di Ilaria e Miran.

«Per scoprire una delle navi di cui si è tanto parlato sono stati necessari 17 anni, ma alla fine si è venuti a capo di questa vicenda, quindi non c’è da scoraggiarsi». Lo ha detto il procuratore di Paola, Bruno Giordano, dopo che Luciana Alpi, in un’intervista pubblicata dal Manifesto aveva detto: “è ora che facciano veramente le indagini, noi non ne possiamo più, questo Stato ci ha trattato malissimo”.

Nei mesi scorsi su queste rivelazioni c’è stato un gran baccano: ne hanno parlato Procure, esperti, commissioni parlamentari, governo; giornali, interviste, trasmissioni televisive e poi?
E’ caduto un silenzio “agghiacciante”  e assordante . E non è la prima volta che accade.
In tutti questi anni appena ci si avvicinava alla verità ecco che si costruiva un depistaggio, un occultamento, bugie, carte false…
Per restare ai traffici illeciti basta ricordare che Francesco Fonti non è una scoperta del 2009. E’ un pentito di ‘ndrangheta che dal 1994 ha collaborato con la DDA di Reggio Calabria e che nel 2005 rende noto un “memoriale” con le informazioni ritornate alla ribalta di recente.
Si tratta di informazioni che aveva già rese note davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi (e anche a quella sul ciclo dei rifiuti) dopo che l’Espresso del 2 giugno 2005 pubblicava parti consistenti del memoriale con un titolo forte: “Parla un boss: così lo stato pagava la ‘ndrangheta per smaltire i rifiuti tossici”.
Il 5 luglio 2005 Fonti racconta alla commissione: delle due navi della Shifco (una carica di rifiuti compresi fanghi di plutonio, l’altra di armi) che dall’Italia vanno in Somalia tra Mogadiscio e Bosaso (fine gennaio 1993); di un altro carico stessa destinazione nel 1987/1989; di Giancarlo Marocchino come persona che ha fornito gli automezzi da Mogadiscio a Bosaso; di altri nomi “interessanti” per l’inchiesta compresi quelli di chi ha trattato con lui (italiani e somali) e di chi si è occupato dell’occultamento dei carichi.
Ma tutto è stato messo in segretezza. E mettere il segreto, si sa, è un modo per occultare, impedire di indagare o peggio fare carte false.

Francesco Neri nell’audizione del 18.1.2005 davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi ha raccontato della sua indagine sui rifiuti tossici e sulle navi, iniziata nel 1994. Dice il dottor Neri ” Mi sono occupato dell’affondamento della “Rigel perché si legava a Comerio; durante la perquisizione che io feci a Garlasco nel suo studio, nel 1995, trovai nella sua agenda del 1987, nello stesso giorno in cui fu affondata la nave (il 21 ottobre 1987 n.d.r.), la scritta lost the ship, la nave è persa. L’unica nave nel mondo che era affondata quel giorno, accertai, era proprio la Rigel. Quindi, lui aveva avuto contezza dell’affondamento della Rigel. Alla Rigel poi si aggiunse la Jolly Rosso” (che il 14 dicembre 1990 si arenò sulla spiaggia di Amantea dopo un fallito tentativo di affondamento n.d.r.)
Il Pm Neri prosegue raccontando più dettagliatamente della perquisizione a casa di Comerio indicando i siti di affondamento per i quali Comerio dichiarava di aver ottenuto l’autorizzazione, tra i quali la Somalia, e dirà:
“Nella perquisizione trovammo queste due carpette: e la cosa che ci incuriosì più di ogni altra fu il ritrovamento del certificato di morte di Ilaria Alpi proprio nella carpetta della Somalia.”
Dice poi di aver inoltrato, per competenza, alla procura di Roma copia della parte relativa all’inchiesta sull’omicidio di Ilaria e Miran. Alla Procura di Roma non è arrivata, si è persa…..?

Le notizie rivelate sull’Espresso del 17 aprile 2008 sono clamorose
Il Pm Francesco Neri denuncia, infatti, la violazione del plico dove erano protetti i documenti scoperti da Natale De Grazia, il capitano di corvetta morto il 13 dicembre 1995 in circostanze mai chiarite, e la sparizione “di documenti di undici carpette numerate” compreso il certificato di morte di Ilaria Alpi rinvenuto durante quella perquisizione a casa di Giorgio Comerio, definito noto trafficante di armi, e coinvolto secondo gli investigatori nel piano per smaltire illecitamente rifiuti tossico nocivi che prevedeva la messa in custodia di rifiuti radioattivi delle centrali nucleari in appositi contenitori e il loro ammaramento. Il certificato era contenuto in una cartella di colore giallo intitolata “Somalia” insieme a corrispondenze sulle autorizzazioni richieste al governo somalo e con Ali Mahdi, ad altre informazioni su siti e modalità di smaltimento illegale di rifiuti radioattivi.

“Fatti gravissimi che richiedono l’intervento di magistrati e istituzioni;….chi ha avuto accesso a quella preziosa documentazione?” commentano con allarme Luciana e Giorgio Alpi.
Si può aggiungere che la commissione d’inchiesta presieduta dall’avvocato Taormina (che ha sostenuto che i due giornalisti sono forse eroi del giornalismo ma morti per caso mentre erano in vacanza!!) ha avuto accesso a tale documentazione, acquisendola anche, tramite alcuni consulenti che hanno riferito di non aver trovato il certificato di morte di Ilaria e altri documenti di cui il dottor Neri e altri magistrati avevano riferito in audizione. Anche questo aspetto va approfondito perché qualcuno poteva aver interesse a non trovare quei documenti …..o a farli sparire.

Sarebbe lunghissimo l’elenco degli indizi e anche delle prove che sono stati accumulati in questi anni e sorge spontaneo fare delle domande:
perché alla verità giudiziaria non si è ancora arrivati? Chi non vuole questa verità e quindi giustizia e perché?

Notizia recentissima: si può riaprire il processo per la morte di Ilaria e Miran.
Il dottor Maurizio Silvestri ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm Giancarlo Amato della Procura di Roma disponendo invece l’imputazione coatta per il reato di calunnia per Ali Rage Hamed detto Jelle, testimone d’accusa chiave nei confronti di Hashi Omar Hassan in carcere da dieci anni dopo la condanna definitiva a 26 anni. Un procedimento controverso per la diversità delle sentenze (innocente colpevole) e che forse dà ragione a chi ha scritto (anche in una sentenza) che si è voluto costruire in Hashi un capro espiatorio. Ci sono testimoni che hanno dichiarato che Jelle non era presente sul luogo del duplice omicidio; Jelle non ha testimoniato al processo (era già “irreperibile”) e dunque non ha riconosciuto in aula Hashi; c’è una conversazione telefonica registrata in cui Jelle dichiara di essere stato indotto ad accusare Hashi ma di voler ritrattare e raccontare la verità.

Ci sono documenti, testimonianze, informative, inchieste: un materiale enorme, accumulato in 16 anni dalle inchieste giornalistiche, della magistratura, delle commissioni d’inchiesta parlamentari e governative, che “custodisce” le prove. Cercarle con determinazione è un dovere della magistratura e delle istituzioni.

Ilaria. nel film “Il più crudele dei giorni” ad un certo punto con sullo sfondo la strada Garoe Bosaso, costruita con i fondi della cooperazione italiana dice:

“Per darvi un’idea di quanto sia utile spendere centinaia di miliardi della cooperazione in Somalia ecco…questa è la strada Garoe Bosaso una strada…che almeno è servita per coprire ogni sorta di porcherie tossiche e radioattive che l’occidente ha la buona abitudine di affidare a questi poveri disgraziati del terzo mondo, tutto con la complicità di politici, militari, servizi segreti, faccendieri italiani e somali….
“Io so. Io so e so anche i nomi e adesso ho anche le prove”.

*Portavoce Associazione Ilaria Alpi

Tratto da: ilariaalpi.it

“Un’arma puntata alla tempia del governo” il j’accuse di Saviano contro Cosentino – Repubblica.it

…”Tutta la vicenda Cosentino è interna all’emergenza rifiuti. Infatti l’emergenza ha portato valanghe di denaro in Campania, i consorzi sono diventati strumenti di prebende, di gestione economica e occupazione del territorio. I clan e la politica si incontravano nei consorzi. Ci si chiede come mai un politico con queste pesanti accuse sia così tanto ascoltato da un primo ministro. Un politico che per tutti sarebbe pesante da tenere vicino. Ma la lettura che io faccio della vicenda è molto chiara. Nicola Cosentino ha un’arma che punta alla tempia del governo: i rifiuti. Cosentino ha il potere di far saltare l’equilibrio che ha permesso al governo di eliminare i rifiuti dalla Campania”…

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Antimafia Duemila – Disastro ambientale in Campania, il silenzio dei colpevoli

Fonte: Antimafia Duemila – Disastro ambientale in Campania, il silenzio dei colpevoli.

E’ domenica, ma la campana della chiesa non canta, geme. Teresa se ne è andata.

Aveva 47 anni, e tanta voglia di portare a termine la sua missione di moglie, di mamma, di maestra.
Ha lottato, ha sperato, si è aggrappata alle bugie pietose che le raccontavano i figlioli. Teresa è morta. Di cancro. Come di cancro sono morti Salvatore, che di anni ne aveva 34, e Francesca, che è arrivata a 39. Nunzio, invece, ce l’ha fatta a superare la cinquantina, anche se solo di pochi mesi. I parroci furono tra i primi ad accorgersi che qualcosa non andava. Troppi i funerali celebrati, troppi i morti con diagnosi sempre uguali. In Campania occorre darsi da fare per realizzare il progetto della vita perché non solo si vive male, ma si vive men0. Lo avevano capito i preti, specialisti in niente, ma armati di quel buon senso che li porta a diffidare di ogni ideologia ed a mettersi in ascolto della gente vera. Avevano provveduto, com’è nel loro stile, con discrezione, a riferirlo a politici e medici locali. Niente. Ne avevano parlato dall’Altare. Avevano stampato volantini come questo: « Ci state uccidendo. Lentamente. Miseramente. Stupidamente. Morir di puzza. Che morte ignominiosa. Che morte miserabile. Che vergognosa morte…>). Niente. Qualche amministratore con il bronzo al posto della faccia informava i cittadini: «E vero, si sente il tanfo, ma è inevitabile abitando a ridosso di un cdr. Per cui, state tranquilli, è fastidioso, ma non è nocivo per la salute…», Il tempo dell’emergenza rifiuti costrinse il governo ad aprire gli occhi sulla Campania. Si prendeva atto che a livello locale il problema non sarebbe stato risolto mai. L’immondizia scomparve dalle strade e con essa fu messo a tacere anche l’allarme per la salute. Chi continuava ad insistere, venne tacciato di impaurire inutilmente la gente per chissà quali reconditi motivi. Non andava fatto. E tanti non lo fecero. C’erano, sì, voci di rifiuti tossici. Ma erano e sono tuttora solo voci, Chi possiede le mappe dei siti dove questi veleni furono occultati? Stavolta si comincia ad alzare la voce: in Campania, salute a rischio. In un convegno promosso dall’Ordine dei medici di Napoli e dai Medici per l’Ambiente lunedì scorso, scienziati italiani di chiara fama, sulla scottante materia rivelano i primi dati allarmanti: «Diossina nel latte materno; aumento delle mastectomie per cancro della mammella; aumento dei tumori nei bambini e aumento del 300% in otto anni della spesa farmaceutica presso l’istituto dei tumori di Napoli». Il coordinatore campano dei medici per l’ambiente, Gaetano Rivezzi, ha dichiarato che è stato stimato che il 24% delle patologie ha una causa ambientale. Alla fine del convegno, è stato chiesto un osservatorio presso l’Ordine dei medici con l’Associazione dei medici per l’ambiente per avviare le ricerche e tutelare la salute dei cittadini campani. Dobbiamo recuperare il nostro ruolo di educatori e promotori della salute anche dicendo la verità sui guasti dell’ambiente nella nostra regione . Verrebbe da dire: finalmente! Ritornano in mente le parole del Papa: rubare e mentire sono atti non umani. In Campania si è mentito ai cittadini tenendoli all’oscuro ed inquinando, oltre all’ambiente, anche le notizie. Si è mentito a volte per rubare: atti che di umano non hanno niente. Si è fatto di tutto per distogliere l’attenzione della gente dai veri problemi che affliggevano e affliggono la regione. Consola, e non poco, la presa di coscienza e la buona volontà della classe medica napoletana. Ci piace sperare che a quella medica si unisca la classe politica, votata da cittadini che, nonostante tutto, continuano a credere che ancora esistono persone che sanno e vogliono governare bene. Senza rubare e senza mentire. (Maurizio Patriciello, Avvenire, tratto da napolionline.org)

Tratto da: 9online.it

Antonio Di Pietro: Processo Bassolino: veleno al posto del concime

Hanno inondato i terreni della Campania con tonnellate di rifiuti spacciandoli per frazione organica stabilizzata. Il veleno al posto del concime. E tutto a spese dei contribuenti italiani.

Un’altra udienza illuminante del Processo Bassolino, che si celebra a Napoli nell’aula bunker del carcere “Poggioreale”, fa capire come l’intreccio tutt’altro che virtuoso tra imprese e apparati burocratici con poteri illimitati abbiano provocato danni irreversibili al territorio di una delle regioni più vaste d’Italia.

Un sistema messo a punto grazie all’ormai consolidato “metodo dell’emergenza” che pone i “commissari straordinari” figure fuori da ogni controllo, mentre le imprese più forti si dividono la torta dei finanziamenti in ballo.

Fonte: Antonio Di Pietro: Processo Bassolino: veleno al posto del concime.

Antonio Di Pietro: Processo Bassolino: l’inceneritore illegale

Ma ad Acerra, nonostante il progetto originario prevedesse di bruciare il CdR, ovvero rifiuti al netto di compost e differenziata attraverso una accurata raffinazione, almeno teorica, per disposizione del commissario straordinario Bertolaso viene bruciato il cosiddetto “tal quale”. Rifiuti non differenziati senza sottoporli ad alcun trattamento.

Il tutto a dispetto di una famosa lettera che Bertolaso si premurò di inviare alla popolazione di Acerra nella quale assicurava che sarebbe stato incenerito solo il Combustibile derivato da Rifiuti conforme alle prescrizioni. Salvo poi ordinare di bruciare i sacchetti di immondizia “tal quale” così come raccolti dai cassonetti.

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Antimafia Duemila – Traffico rifiuti tossici, parla pentito Sigma: ”So come funziona il sistema”

Fonte: Antimafia Duemila – Traffico rifiuti tossici, parla pentito Sigma: ”So come funziona il sistema”.

di Nerina Gatti – 17 gennaio 2010
“Dietro allo smaltimento illegale dei rifiti tossici c’è un “sistema” che va avanti tutt’ora. Io conosco come funziona. Conosco i fatti, –svela per la prima volta Sigma- se qualcuno mi vorrà ascoltare parlerò, ho sempre raccontato la verità.”

Da quanto ci riferisce il suo avvocato, Claudia Conidi, il pentito Sigma fu sentito anche dalla Procura di Potenza per le indagini sull’interramento dei rifiuti tossici in alcune zone del potentino.
Il pentito ci racconta di aver fatto anche dei sopralluoghi vicino Potenza, indicando agli inquirenti  i terreni dov’erano stati interrati i rifiuti nocivi. “Ma poi non è successo nulla”, conclude amareggiato Sigma. Forse troppe persone avevano interesse a che i rifiuti non si trovassero. Sigma ha dato la sua disponibilità ad essere ascoltato. Sulla sua attendibilità non ci dovrebbero essere dubbi, le sue testimonianze sono servite in passato a far luce su importanti segreti della ‘Ndrangheta in processi che hanno fatto la storia del contrasto alle ‘ndrine.

Le nuove rotte dei rifiuti

Fonte: Le nuove rotte dei rifiuti.

di Alessandro Iacuelli

Potrebbe sembrare un controsenso, quanto appare da alcune indagini condotte dalla magistratura e dalle autorità doganali del nostro Paese. Eravamo abituati a vedere i rifiuti industriali italiani, in particolare quelli tossici, prendere la via dell’Africa, a fare compagnia a quelli di quasi tutto il resto d’Europa, invece il nuovo quadro che emerge, alla soglia del secondo decennio del XXI secolo, indica una inaspettata inversione di tendenza: dall’Italia all’Africa, e poi di ritorno nel nostro Paese. E’ questo il nuovo affare (economico) che circonda gli scarti velenosi del nostro mondo produttivo. Quei rifiuti tossici tornano in Italia.

Si tratta per lo più di scarti industriali e rottami ferrosi contaminati con sostanze nocive, o a volte radioattive. Sostanze che per legge non sono più riutilizzabili nei cicli di produzione industriale, ma sono destinate ad essere smaltite come rifiuti speciali. Invece succede che vengano riutilizzate, e non si tratta certo di riciclaggio o riutilizzo di materie prime seconde, ma di avvelenamento pericoloso di nuovi prodotti che finiscono sul mercato. Il percorso dei rifiuti si fa più accidentato: viene imbarcato via mare in porti già noti per questo tipo di attività, in particolare quelli di Liguria, Toscana e Campania, in misura minore anche in Calabria e Sicilia. Spesso, sfuggono ai controlli doganali, con tecniche già note: sulle bolle di accompagnamento c’è scritto che si tratta di generi alimentari, veicoli, materiali edili e, nel caso di rifiuti elettronici, addirittura come materiale informatico per lo sviluppo e la cooperazione con i Paesi del Terzo Mondo.

L’Agenzia delle Dogane, notevolmente sottodimensionata rispetto alle esigenze del Paese, fa quel che può, ma in Italia ci sono porti che movimentano oltre trenta milioni di container l’anno, il che significa una media di un container al secondo: impossibile controllarli tutti senza paralizzare le operazioni di imbarco e di sbarco dei mercantili. Vengono usate alcune tecniche di campionamento, per selezionare i container da sottoporre a controlli, ma molti sfuggono lo stesso. Nonostante ogni mese nei porti italiani vengano sequestrate diverse tonnellate di merci che merci non sono.

Una volta usciti dal nostro Paese, dopo un po’ ritornano. Nel 2008, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Dogane hanno individuato 4.000 tonnellate (una quantità modesta, rispetto al totale) di rifiuti pericolosi provenienti dall’Africa, dall’America e dal Nord Europa, oltre che centinaia di tonnellate di rifiuti speciali provenienti dall’Albania e dalla Croazia. Di che materiali si tratta, e perché arrivano da noi? Si tratta di catalizzatori esausti, contaminati con sostanze tossiche, prodotti chimici e soprattutto pet coke, un sottoprodotto del petrolio che si ottiene dal processo di condensazione di residui petroliferi pesanti e oleosi, viene usato come combustibile economico, ma ha un problema: è altamente cancerogeno in quanto contiene zolfo al di la dei livelli previsti dalla legge. Ma costa pochissimo, trattandosi di un rifiuto, pertanto se lo si riesce a far entrare in Italia per vie traverse, il guadagno è assicurato. Un carico di pet coke è stato bloccato, nei mesi scorsi, nel porto di Gela.

Le indagini condotte dal sostituto procuratore catanese Antonio Nicastro hanno consentito di ricostruire tutta la filiera di (falso) smaltimento e riuso: il carico proveniva dal Venezuela e arrivato nel porto di Gela ed era destinato ad un cementificio di Siracusa, che l’avrebbe usato come combustibile, rilasciando in atmosfera tutti i suoi pericolosi prodotti di combustione.

Invece a Salerno, la Guardia di Finanza ha sequestrato nel porto un bel numero di containers provenienti dall’Irlanda e da alcuni paesi dell’Africa centrale, contenenti sostanze tossiche e materiali elettronici di scarto: questo materiale era destinato ad una società romana, assolutamente fittizia, che era stata incorporata da anni da un’altra società con sede a Milano. Si trattava degli stessi rifiuti che avevano lasciato illegalmente l’Italia ed avevano preso la via del del Benin. Tornati in Italia per essere riutilizzati nei processi produttivi di molte industrie italiane, per risparmiare a discapito della nostra salute. Combustibili altamente tossici che ci mostrano, in tutta la loro cruda realtà, quando in Italia siamo lontani dalle logiche industriali che tutelano la salute e l’ambiente.

E si risparmia non solo sul combustibile, ma anche in un altro modo: importando illegalmente le sostanze tossiche, eludendo le dogane, si froda anche il fisco. Nelle scorse settimane, un’indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Bergamo ha portato alla luce un traffico illecito di rifiuti realizzato attraverso società filtro, create appositamente e successivamente trasferite in altre regioni e avviate alla liquidazione, per gestire un’enorme quantità di rifiuti di origine ignota e di qualità chimico-fisiche sconosciute.

Le società fantasma servivano anche a mantenere immacolate e preservare dai controlli della polizia ambientale altre società sempre riconducibili agli indagati, alle quali erano poi rivenduti i rifiuti ripuliti. L’organizzazione usava fare pagamenti fittizi a mezzo di denaro contante, espedienti finalizzati a celare vere e proprie distrazioni di fondi societari, quantificati in circa 7 milioni di Euro, canalizzati principalmente verso la Repubblica di San Marino, e utilizzando anche nominativi di fantasia.

Il 16 ottobre scorso, era toccato alla Guardia di Finanza di Brescia scoprire una triangolazione societaria, anche questa fatta con la Repubblica di San Marino. Ad essere movimentati erano i materiali ferrosi che compongono gli scarti delle acciaierie, di cui è pieno una parte del territorio bresciano. Anche in questo caso, il fisco veniva eluso tramite un giro di fatture false: decine di milioni di euro venivano spostate a San Marino mediante meccanismi tali da disperdere le tracce dei pagamenti delle transazioni illecite.

Sul fronte “tecnico” della sparizione dei rifiuti, il comitato Seagull, associazione con sede a Molfetta, dedita alla tutela degli interessi dei marittimi, che prende il nome dall’omonima nave naufragata nel 1977, lancia una pesante quanto importante accusa: la presenza di marinai extracomunitari a bordo delle navi, spesso sotto ricatto. Non solo lavorano in scarsa sicurezza e con stipendi al ribasso, ma il ricatto che subiscono è l’obbligo, pena il licenziamento, di sversare in mare i rifiuti tossici che non possono essere rivenduti a nessuno, ma che vanno per forza smaltiti.

In pratica, il 2010 inizia con un quadro preoccupante. E ancora si attende una presa di posizione seria da parte delle potenti organizzazioni degli industriali italiani. Così, mentre Confindustria lamenta presso il governo le deboli strategie per uscire dalla “crisi” e tace sui suoi stessi smaltimenti illeciti, l’Agenzia delle Dogane ipotizza per il nuovo anno un boom delle importazioni illegali di pet coke. Si tratta chiaramente di un riciclo illegale, e pericoloso. Ma l’industria italiana, perennemente in crisi, pur di risparmiare qualcosa sui combustibili appare addirittura disposta ad avvelenare il territorio.

Il bilancio, sempre del 2008, poiché i dati del 2009 non sono ancora stati resi noti, parlano chiaro: l’Agenzia delle Dogane ha sequestrato in tutto l’anno 106.000 tonnellate di pet coke. La cosa che fa venire i brividi è che molto di questo veleno era destinato a fare da combustibile nei forni d’industrie alimentari, italiane, soprattutto produttori di zucchero e di prodotti dolciari. E i rifiuti arrivano nei nostri piatti.

I rifiuti speciali di Brescia

Fonte: I rifiuti speciali di Brescia.

Due persone sono state denunciate dai Carabinieri del Noe di Brescia a Castel Mella per deposito incontrollato di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in un’area destinata a opere di urbanizzazione. Sono il presidente del consiglio di amministrazione e il procuratore delegato per la sicurezza e l’ambiente di una società di costruzioni. L’area interessata, di 68mila metri quadri, è stata sequestrata dai militari, così come un cumulo di rifiuti di circa 800 metri cubi.

Sembra la solita notizia riguardante un reato ambientale circa lo smaltimento dei rifiuti speciali, una fattispecie di cui l’Italia detiene il record in Unione Europea. E non è più vera la solita diceria che c’entrano le mafie, visto che il fenomeno dello smaltimento illecito di rifiuti di provenienza industriale riguarda oramai tutto il Paese, con punte elevatissime nel ricchissimo Nord Est e il Lombardia, e non nella solita Campania.

Dietro la semplice e solita notizia… dell’ennesimo sequestro di un’area inquinata abusivamente, c’è però nascosto un fenomeno molto più ampio, che proprio nel bresciano sta raggiungendo proporzioni allarmanti: la diffusione di smaltimenti irregolari di rifiuti speciali. Non solo irregolari, ma spesso pericolosi per la salute umana. Nella sola provincia di Brescia, il costo annuo dello smaltimento dei rifiuti pericolosi raggiunge i 5 miliardi di euro. Una cifra spaventosa, se la si raffronta ai 20 miliardi spesi dall’intera Lombardia. Si tratta di una cifra che va oltre l’immaginazione del comune cittadino. Per dare un valore di confronto utile, si pensi che il bilancio della Regione Lombardia é di 24 miliardi di euro l’anno.

E’ chiaro che essendoci in ballo cifre così importanti, che sono a carico di chi deve smaltire i propri rifiuti speciali (quindi le industrie stesse) diventa troppo spesso appetibile il disfarsi degli scarti produttivi attraverso metodi illegali, ma molto meno costosi. D’altronde, non dimentichiamo che secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti, solo il 22% dei rifiuti prodotti annualmente in Italia sono rifiuti solidi urbani. Il resto sono rifiuti delle attività produttive, non assimilabili agli urbani, che superano ormai da tempo i 100 milioni di tonnellate l’anno.

Nonostante questo, si assiste allo sviluppo di politiche di raccolta, di recupero e di smaltimento per i soli rifiuti urbani, cioè per la parte più piccola. La fetta più grande è quella dei rifiuti speciali, tra i quali c’è una discreta percentuale di materiali che rientrano nella categoria di quelli tossico-nocivi, categoria che ogni anno si espande in quantità. Rifiuti che per la maggior parte sono destinati all’estero, principalmente verso la Germania, ma senza trascurare la cara vecchia Africa, i Balcani ed il Sud Est Asiatico.

Proprio a proposito dei rifiuti pericolosi, il 30% di tutti quelli prodotti in Lombardia, oltre due milioni di tonnellate l’anno, vengono smaltiti nel bresciano, ovviamente non in tutta la provincia, poichè è scomodo smaltire nelle valli alpine, mentre la zona bassa, oltre ad una presenza record di discariche per rifiuti industriali ha anche un altro record: quella della pioggia di richieste di autorizzazione per nuove discariche e impianti di trattamento.

Così, quella che in Italia, dove si pone sempre l’accento sui rifiuti urbani, appare come una provincia virtuosa in materia di rifiuti, si rivela essere il più grosso ripostiglio di rifiuti speciali, pericolosi, tossici, del nostro Paese. A lanciare l’allarme è stato, per ora, solo Osvaldo Squassina, consigliere regionale, che dati alla mano sostiene che: “è chiaro il rischio di creare sul nostro territorio un business legato al ciclo dei rifiuti”.

Brescia detiene il record pro capite non solo della produzione di rifiuti speciali – ben 1,9 milioni di tonnellate – e pericolosi – 500.000 tonnellate all’anno – ma anche della maggiore produzione pro capite di rifiuti urbani: 735mila nel 2007, ovvero 608 chili per ogni abitante della provincia, con un picco di 722kg per ogni residente in città, a fronte di una media regionale di 512 chili e di una nazionale inferiore ai 500 chili a testa. “La Regione sta redigendo una bozza di piano per lo smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi, ha dichiarato Squassina, indicando una serie di progetti all’avanguardia; ma, nello stesso tempo, continua ad autorizzare discariche nella nostra provincia. Serve un’inversione di tendenza e una drastica riduzione nella produzione dei rifiuti sia urbani che industriali – aggiunge Squassina – il rischio è quello di far pagare in futuro alla collettività dei costi inimmaginabili in termini di ambiente e salute”.

Il caso più lampante è quello della vicenda riguardante l’amianto. In Lombardia sono da bonificare 2,7 milioni di metri cubi, ma in realtà almeno il doppio secondo i tecnici che considerano anche infissi e coperture interne delle case, di questi, in provincia di Brescia ce ne sono circa 500.000 metri cubi. Ma la Regione Lombardia sta contemporaneamente autorizzando ben 3 discariche per amianto, tutte a Brescia, in particolare a San Polo, Travagliato e Montichiari, per una cubatura totale di stoccaggio di oltre 1,5 milioni di metri cubi.

Ovviamente non c’è solo amianto. Il bresciano è anche in vetta alle classifiche per le lavorazioni dell’acciaio, e l’effetto collaterale è la produzione di rifiuti speciali costituite da scarti di fonderia, scorie di seconda fusione, polveri di abbattimento fumi, tutte sostanze ricche di metalli pesanti, spesso polverizzati, pericolosi sia per inalazione sia per ingestione. Ma c’è anche la chimica, con l’azienda Caffaro che torna spesso agli onori delle cronache.

“Tenendo conto che smaltire un metro cubo di amianto costa 110 euro – dichiara Squassina – se ne deduce quali sono i ricavi per un gestore di discarica. Siamo consci dei rischi inerenti l’amianto ma questo non è assolutamente il modo di procedere. Chiediamo per questo una moratoria su tutte le aperture di nuove discariche e nel frattempo la messa in sicurezza e il controllo della dispersione delle fibre”.

Al di là delle richieste del consigliere, la considerazione importante, che travalica i confini del bresciano, è che l’Italia non ha ancora un proprio piano per la riduzione e lo smaltimento dei rifiuti speciali, cioè di quei rifiuti che sono a monte del consumo, sono generati durante la produzione delle merci, frutto di processi industriali che spesso sono vecchi, e basati sul massimo profitto, senza guardare ai costi ambientali e – è bene ricordarlo – sanitari degli scarti produttivi.

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L’epidemia che non fa notizia

Fonte:L’epidemia che non fa notizia.

Quanti di noi conoscono in maniera abbastanza precisa il numero di morti causati dall’influenza A? Probabilmente un gruppo di persone decisamente rilevante data la “gara alla notizia” in corso in pratica su ogni mezzo di comunicazione nazionale e locale. Ogni decesso causato (in maniera quasi sempre indiretta e per colpa di patologie pregresse) viene infatti meticolosamente e solertemente monitorato e posto all’attenzione dei cittadini. Anche la stampa, dunque, cade colpevolmente nel retino del terrore indotto e della sovracomunicazione; preoccupandosi, con fare ossessivo, di seguire un’epidemia influenzale come tante che, a differenza delle tante, ha anche visto una copiosa, celere (e dispendiosa) fornitura di vaccini.

Tralasciando tutte le questioni legate alle tesi complottiste e alle accuse nei confronti della case farmaceutiche, in questo articolo, ci interessa prendere in analisi un’altra epidemia, più silente, “bastarda” edifficile da monitorare rispetto a quella influenzale. L’epidemia in questione è quella cangerogena da anni denunciata da Angelo Ferrillo, da centinaia di “volontari della salute pubblica” e dal loro sito www.laterradeifuochi.it. Del resto un tumore se la prende comoda quando ti ghermisce: non ti uccide nel giro di qualche giorno ma, con fare cinico e sordido, può comparire e toglierti la vita anche dopo 10 o addirittura 15 anni; magari quando ti trovi da diverso tempo lontano dalla zona nella quale l’hai contratto.

Ma cosa fa della Campania la regione d’Italia con il più alto tasso di PM10 ed agenti tossici e cancerogeni d’Italia? Secondo le testimonianze (e sono centinaia) raccolte da Ferrillo e da tutti i cittadini che si sono preoccupati di registrare oltre 400 video di denuncia, il grosso dell’inquinamento è determinato dalle decine di roghi abusivi che vengono appiccati giornalmente in oltre 40 comuni tra Caserta e Napoli. Si incendiano copertoni, elettrodomestici e diversi generi di rifiuti altamente tossici in pratica tutti i giorni; con un danno ambientale incalcolabile ed annualmente denunciato anche da Legambiente. In fondo non è difficile intuire quanto questo tipo di incendi riescano ad inquinare in un solo colpo tutti gli elementi naturali: acqua (con la contaminazione delle falde) terra (con l’inquinamento dei terreni che vengono poi usati per le coltivazioni) aria (con lo sprigionamento di diossina ed altre sostanze altamente nocive).

Dietro i roghi, manco a dirlo, c’è la criminalità organizzata. Bruciare i copertoni comporta infatti il recupero e la vendita del rame, mentre eliminare rifiuti speciali e rifiuti ingombranti usando le fiamme, permette di abbattere i costi di smaltimento. L’infausto lavoro viene poi in prevalenza “appaltato” ai gruppi di Rom presenti nell’hinterland casertano e napoletano con un duplice effetto: aumento del sentimento d’odio razzista e peggioramento della qualità della vita delle popolazioni nomadi.

Del resto si sa: dove c’è ignoranza e miseria attecchisce con gran vigore e profondità la camorra. Così, mentre le istituzioni si impantanano tra promesse, dichiarazioni, annunci, indignazioni di convenienza e interrogazioni parlamentari di dubbia utilità, il signor Piero Rossi respira la sua dose quotidiana di diossina mentre accompagna i suoi bimbi a scuola, gioca a calcetto, va in bicicletta ecc… tra 10 anni si accorge di avere un “problema ai polmoni” senza però aver mai fumato.

A questo punto sorge spontanea una domanda-considerazione: e se, da domani, si cominciasse a monitorare con lo stesso fare certosino che si utilizza con i deceduti per l’influenza A anche il numero di persone uccise dal cancro e residenti in Campania? Certo: determinare le cause precise che hanno causato un tumore è alquanto difficoltoso ma, se venissero giornalmente presentati i numeri allarmanti di questa epidemia, diffusa quanto sottaciuta, magari la dormiente e disinformata coscienza collettiva sarebbe spinta a mobilitarsi… magari, insieme ad Angelo Ferrillo, manifesterebbero per il diritto alla salute non centianaia ma decine di migliaia di persone. Di certo, da quanto si sa, le chiacchiere dei politici come cura per il cancro sono e saranno sempre piuttosto inefficaci; o no?