Archivi del mese: dicembre 2010

Ganzer e narcotraffico Quelle dimissioni necessarie

Fonte: Ganzer e narcotraffico Quelle dimissioni necessarie.

Sul generale condannato per aver favorito i criminali il silenzio imbarazzante di Pd e Pdl

Il generale Giampaolo Ganzer non può restare al suo posto. Le dimissioni sarebbero una conseguenza naturale dopo le motivazioni della sentenza di condanna contro il comandante del Ros, il Reparto operativo speciale dei carabinieri. E invece da due giorni, con l’eccezione dell’Italia dei valori, zero richieste di dimissioni dal centrodestra e – fatto ancora più sorprendente – dal resto del centrosinistra.

Eppure Ganzer, secondo i giudici di Milano che lo hanno condannato a 14 anni, era “in scandaloso accordo con i trafficanti ai quali è stato consentito vendere la loro droga in Italia e arricchirsi con i proventi delle vendite con la protezione dei carabinieri del Ros”. La condanna è del luglio scorso ma le motivazioni sono state rese note solo lunedì. Per i giudici, da Ganzer “il traffico di droga non solo non è stato combattuto, ma addirittura incoraggiato e favorito”. La sentenza potrebbe essere ribaltata in appello e la presunzione di innocenza deve essere riconosciuta, ma si è creata una gigantesca anomalia con il comandante del Ros condannato per narcotraffico.

Dopo la condanna di luglio il coordinatore del Pdl Sandro Bondi trattò i magistrati come se fossero le Brigate rosse: “Non possiamo accettare senza reagire il rischio di una vera e propria disarticolazione dello Stato”. Ma in fondo è il solito Bondi. Dopo la pubblicazione delle motivazioni Iole Santelli, vice-capogruppo del Pdl alla Camera, ha detto: “È incredibile la motivazione con cui hanno condannato Ganzer”. Per una volta compatto, il Pd ha ignorato i giudizi terribili del Tribunale sul comandante Ganzer, nominato nel 2002 durante il governo Berlusconi ma lasciato al suo posto dal governo Prodi dopo l’avvio del processo nel 2005. Anche la stampa, con la lodevole eccezione del Corriere della Sera, ha evitato di mettere il dito nella piaga del Ros. Solo Antonio Macaluso sul quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli ha posto con garbo “il terribile dubbio sull’opportunità che il generale resti al suo posto”.

Il comandante del Ros ha evitato commenti dimostrando di volersi difendere solo nel processo di appello. Decisione opportuna che però dovrebbe essere seguita da dimissioni che non rappresentano un’ammissione di colpevolezza, ma una scelta obbligata. I casi che hanno coinvolto Ganzer e il precedente comandante Mario Mori, sotto processo con accuse gravissime a Palermo per il mancato arresto di Provenzano, sono un fardello troppo pesante anche per il Ros.

Ganzer facendosi da parte tutelerebbe gli uomini che sotto la sua guida hanno collezionato decine di successi nella lotta alla criminalità. Certo anche il Ros non è immune da errori. E non sono mancati scivoloni come l’inchiesta fuori misura del 2007 contro una presunta cellula di anarchici a Perugia o quella che ha cercato di fare le pulci, con un eccesso di foga, alle indagini calabresi di Gioacchino Genchi e Luigi De Magistris. Eppure la serietà del Ros, nonostante i guai dei suoi vertici, non è in discussione ed è testimoniata dall’elenco delle inchieste nell’ultimo anno. Sono del Ros le intercettazioni che hanno messo nei guai Guido Bertolaso, il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, Fastweb e Finmeccanica, il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo e il faccendiere fascista Gennaro Mockbel. Sono del Ros le indagini che hanno portato al sequestro dei beni del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, del tesoriere della Fondazione del ministro, ex An, Altero Matteoli e dell’ex segretario del ministro Franco Frattini. Sono del Ros le informative contro l’assessore alla sanità della giunta Vendola in Puglia: il senatore Alberto Tedesco del Pd. Sono del Ros anche le indagini sui carabinieri ricattatori nella vicenda costata la presidenza del Lazio a Piero Marrazzo. E sono del Ros le inchieste sui legami tra ‘ndrangheta e economia del Nord raccontate da Roberto Saviano in tv, come anche le informative recenti che hanno portato all’arresto di un assessore della Giunta regionale di centrodestra in Calabria.

Eppure questo elenco di politici indagati, arrestati, intercettati e condannati che in altri tempi avrebbe potuto rappresentare una medaglia al petto del comandante, oggi rappresenta la principale ragione che dovrebbe consigliare le dimissioni. Al di là della volontà di Ganzer, le inchieste aperte e quelle ancora segrete, come le portentose banche dati del reparto e la capacità dei suoi uomini, somigliano a tante pistole puntate sul malandato corpo politico di questo Paese. Il silenzio unanime del Pd e del Pdl su Ganzer è la migliore prova della necessità di un cambio. Anche perché quel silenzio potrebbe essere dettato dalla fiducia nell’operato passato del Ros, ma anche dalla paura per le sue indagini future.

Marco Lillo

Dal Fatto Quotidiano del 29 12 2010

Quest’Italia sempre piu’ Gomorra

Fonte: Antimafia Duemila – Quest’Italia sempre piu’ Gomorra.

di Nicola Tranfaglia – 28 dicembre 2010
Quattro libri indagano come oggi le mafie prosperino in «convergenza obiettiva» con la politica della destra.
La domanda centrale che si pongono oggi tanti italiani di fronte alla «convergenza» obiettiva, che si sta realizzando ormai tra mafia e politica di destra nell’Italia contemporanea, è sicuramente: perché la mafia cresce ancora? Questa è anche la mia preoccupazione da molto tempo.

Qualcuno ricorderà che nel 1991, qualche mese prima delle stragi che uccisero tra maggio e luglio 1992 Falcone e Borsellino e le loro scorte, scrissi un libretto pubblicato da Vito Laterza e intitolato La mafia come metodo.
Ora, nell’Italia berlusconiana, mi piacerebbe scrivere un piccolo saggio intitolato più o meno: 150 anni di Italia unita ma la mafia c’è sempre, anzi cresce ancora. Sono sicuro che nessun editore (tra i grandi o i medi editori), vorrebbe pubblicare il mio libro. Questo è inevitabile, purtroppo, in un Paese in cui ormai, da quasi tre anni, si stanno uccidendo – con appositi provvedimenti politici e legislativi – la scuola, l’università e la ricerca scientifica.
Un esempio recentissimo di questa mia preoccupazione? Proprio oggi, in Calabria, sono state arrestate dodici persone per associazone mafiosa e corruzione elettorale aggravato. Sono stati fermati un consigliere regionale del Pdl e quattro candidati dello stesso partito a un’elezione comunale nella stessa regione. E potrei citare centinaia di altre notizie giornalistiche arrivate negli ultimi mesi. Ma il problema della lotta alle mafie, diceva Giovanni Falcone, non è soltanto quello della repressione di polizia e dei giudici (pur necessaria) ma ci vuole una forte educazione civile che spetta allo Stato democratico (che in questo periodo, mi pare, si occupi di altro).
Ora tra i tanti libri che si continuano a pubblicare sulle mafie vorrei segnalarne almeno quattro, che sono arrivati sul mio tavolo di lavoro nelle ultime settimane: anzitutto quello di Nando Dalla Chiesa che non a caso si intitola Convergenza Mafia e politica nella seconda repubblica ( Melampo), Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo (Aliberti) e Nel labirinto degli dei di Antonio Ingroia Il Saggiatore, Potere criminale intervista di Salvatore Lupo (Laterza).
Che cosa emerge da questi libri che sono opera di magistrati e studiosi che da molto tempo si occupano, in maniera quasi esclusiva, del fenomeno mafioso? Mi pare di poter dire che una serie di elementi offerti all’attenzione degli italiani sono confermati dal lavoro scientifico e culturale in corsocomeda testimonianze di particolare rilievo di magistrati e di politologi. Cercherò di mettere in fila gli elementi che mi sembrano di maggior interesse storico e attuale nello stesso tempo.
Il primo riguarda sicuramente i rapporti passati e presenti delle classi dirigenti e del ceto politico di governo con le associazioni mafiose. Salvatore Lupo, ad esempio, che da storico studia da alcuni decenni il fenomeno mafioso, afferma, nella sua intervista a Gaetano Savatteri, che in Italia «i poteri palesi lasciano ai poteri occulti uno spazio vergognosamente grande. Le mafie (e i servizi segreti, per intenderci) usano questo spazio per mettere in piedi un gioco di segnali, pressioni, intimidazioni e ricatti che essenzialmente appartiene al loro mondo». A sua volta, Nando Dalla Chiesa che è stato in passato parlamentare emembrodella commissione Antimafia, sottolinea la convergenza oggettiva che si è creata di nuovo tra alcuni politici (o addirittura forze politiche?) e le associazioni mafiose. E a pagina 82 del suo bel libro sugli ultimi vent’anni in Italia scrive testualmente: «La strage di via d’Amelio (19 luglio 1992) non conclude la Svolta, che termina quasi due anni dopo, con le elezioni vinte da Silvio Berlusconi nel marzo 1994. Però il 19 luglio 1992 appare sempre più essere, verosimilmente, il luogo di incrocio profondo tra la Svolta e la trattativa tra Stato e mafia, tra politica e mafia. Il punto a partire dal quale Svolta e trattativa si intrecciano, procedendo insieme, e influenzandosi a vicenda. Fino a pesare insieme co meun nuovopeccato originale, dopo quello del ’43, sulla natura della Seconda Repubblica».
Ma la storia non finisce qui perché, a leggere il libro di Ingroia e quello di Bongiovanni e Baldo, si fanno inquietanti deduzioni. Antonio Ingroia, che pure non esce dal suo riserbo investigativo, sottolinea dati importanti oggi sottoposti ad indagini giudiziarie come la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, i dubbi sul luogo in cui venne premuto il telecomando della bomba che fece saltare in aria il giudice e la sua scorta, i retroscenadella falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino, i numerosi e ormai accertati depistaggi istituzionali su quella terribile strage.

Un’alternativa al nucleare!

Fonte: YouTube – Un’alternativa al nucleare!.

vedi anche: Antimafia Duemila – Un’alternativa al nucleare.

Un’alternativa al nucleare

Fonte: Antimafia Duemila – Un’alternativa al nucleare.

di Pino Cabras – 27 dicembre 2010
Va smontata, la propaganda nuclearista che vuole violentare la mente di milioni di persone per rifilare la spazzatura atomica: che è poi spazzatura economica, monnezza veterotecnologica di Sarkozy, affarismo per caste di saccheggiatori di pubblico denaro.

Va smontata pezzo per pezzo e rovesciata sui poteri che vorrebbero perfino che ci piacesse, che vorrebbero imporci la più smaccata delle manipolazioni di massa. Iniziamo a reagire per vincere. Qui vi proponiamo un controspot, prodotto da MegaChannelZero.

Potete diffondere il controspot come il virus della verità, perché la Rete raggiunge milioni di persone. Potete anche produrre voi i controspot, fare i vostri video, studiare anche voi lo spot dei nuclearisti e rovesciare sulle loro teste quel che i nuclearisti hanno prodotto: un vaso da notte pieno di merda ricoperto con foulard di seta. Togliamo il velo e seppelliamo i nuclearisti di risate e di ragionevolezza, prima di non riuscire mai a sepellire le loro scorie radioattive. Pubblicheremo gli spot più belli ed efficaci.

Caricateli su YouTube o altri canali e segnalateceli a redazione@megachip.infoIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo .

Oltre a vedere più sopra il nostro videoclip, qui di seguito potrete leggere due articoli che analizzano in dettaglio tutti i trucchi della réclame radioattiva. È un ottimo spunto per costruire le vostre brevi sceneggiature. E poi radioattivare tutto il web.

Ma prima di queste brevi letture vogliamo ricordare anche che l’alternativa c’è. Il 21 dicembre 2010 sono state consegnate alla Camera dei deputati le firme a sostegno della proposta di legge d’iniziativa popolare“Sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima”. Perfino la stessa Confindustria ritiene che nei prossimi 10 anni le energie pulite genererebbero 1,6 milioni di posti di lavoro contro i 10mila che genererebbe il vaso da notte pieno di merda ricoperto dai foulard di seta di Chicco Testa e Umberto Veronesi.
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Nucleare, spot in TV: le pedine sono i telespettatori ingenui


di Maurizio Maria Corona da mainfatti.it.

Per accendere di entusiasmo nucleare le tavole degli italiani nei giorni di festa, Chicco Testa e il suo Forum Nucleare Italiano ha pensato bene di irradiare le TV di uno spot che, per gli addetti ai lavori, anche senza audio, sa di propaganda.

La propaganda è un’arte sottile e scientifica. L’inventore moderno della propaganda e il suo affinatore e canonizzatore è stato sicuramente Edward Louis Bernays che scrisse il libro omonimo (Propaganda) nel 1928 (un classico da studiare per chiunque voglia occuparsi o decifrare la comunicazione moderna).

E’ quindi un compito doveroso, da tecnici della comunicazione, riflettere su come in Italia la lobby del nucleare si stia muovendo per convincere la popolazione della necessità di costruire centrali nucleari. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in diverse occasioni affrontando il tema del nucleare ha detto “che ‘oggi le centrali nucleari sono assolutamente sicure’, annunciando di volerlo spiegare ai cittadini italiani anche attraverso campagne televisive” (La Stampa).

Così, non si sa se collegati alla volontà del Presidente del Consiglio e del Governo, arrivano in TV degli spot che parlano di nucleare. Sembrano “spot di prospezione” per un pubblico che ancora si ricorda di Chernobyl, che accoglie ancora i suoi bambini vittime delle radiazioni (i bambini di Chernobyl, appunto), e che fortunatamente ha ancora paura di questa energia sottoprodotto militare.

Il primo spot “nucleare” che va in televisione è quello trasmesso su Rai e Mediaset e che va a “colpire” il telespettatore italiano medio, alle prese con i cenoni di Natale e Capodanno. Lo spot si presenta come “neutrale” ed è molto semplice e allo stesso tempo estremamente studiato fin nei minimi particolari.

Nel complesso, nella mente distrattamente conscia del telespettatore, rimarrà una partita a scacchi con due uomini che fanno delle affermazioni sul nucleare e che fermano un orologio (tipico dei tornei di scacchi). L’uomo al termine dello spot si rivela essere “se stesso”, ovvero la partita è stata tra le due parti di sé, le parti del “dubbio nucleare”, del si o del no. Lo spot si chiude con il quesito (rivolto allo spettatore) “E tu sei a favore o contro l’energia nucleare? O non hai ancora una posizione?” E si vedono poi, mentre la camera “allarga”, decine di “partite a scacchi” sul nucleare dove uomini e donne sfidano se stessi (http://www.youtube.com/watch?v=R29l7GkBl64).

Lo spot porta la firma di forumnucleare.it, sito di un’associazione il cui presidente è Chicco Testa, alfiere convinto del ritorno al nucleare in italia e forte della sua conversione (prima era un “verde” che ha contribuito a smantellarlo).

Ovviamente chi conosce la questione e le parti in campo non può che condividere l’opinione dei senatori Roberto Della Seta e Francesco Ferrante: “Partirà sui canali televisivi, Rai e Mediaset compresi, una campagna pubblicitaria istituzionale del Forum Nucleare italiano che, ammantandosi di neutralità, tenterà di presentare il nucleare come un’alternativa energetica pulita e conveniente. Tenendo presente che del Forum Nucleare fanno parte in qualità di soci fondatori aziende direttamente coinvolte nel business dell’energia atomica quali Westinghouse, Enel, Ansaldo Nucleare, Areva e Edf, è davvero difficle credere che non si tratti di una vera e propria operazione propagandistica”.

Ma in questo articolo parliamo dello stile di comunicazione dello spot, molto interessante anche per tutti gli studenti di Scienze delle Comunicazioni, che possono divertirsi ad analizzarlo, a prescindere dalle parole e dai dialoghi.

Per ora solo alcune osservazioni:

Il “contro” usa le pedine nere mentre il “pro” usa le pedine bianche;

La voce del sé “contro” l’energia nucleare è cupa mentre quella “pro” è suadente;

Il “contro” trascina le pedine e fa mosse “banali” (sembra anche incerto nei movimenti) mentre il “pro” è deciso, fa mosse da “chi sa giocare a scacchi” e poggia con fermezza i pezzi sulla scacchiera;

Il “contro” usa sempre e solo l’alfiere nero, mentre il “pro” usa il cavallo (tranne una volta l’alfiere bianco) il pezzo più riconoscibile (che ispira libertà, nobiltà, forza, natura, ecc);

Nel fermo immagine il se stesso a sinistra (quello “pro” bianco) e quello a destra (quello “contro” nero) anche se sono “la stessa persona” sono leggermente diversi, difatti quello a sinistra (“pro”) è più “bello” che quello a “destra” (con naso a gobba e leggermente più basso del “buono”, è un classico).

Potremmo continuare per decine e decine di punti ricordando i simbolismi nucleari quali la scacchiera, l’uso strumentale del gioco degli scacchi, l’orologio “atomico” fermato e fatto ripartire, le mosse specifiche, il maglione a collo alto, la sala utilizzata, le finestre, la predominanza del bianco, la postura, la proporzione di uomini e donne, di vecchi e giovani, ecc.

Ma preferiamo lasciare il nostro paziente lettore con un video musicale dei Kraftwerk che risponde con liriche ispirate quali “Chernobyl Harrisburg Sellafield Hiroshima. Radioactivity, is in the air for you and me”.

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NUCLEARE: anche gli industriali sono divisi

da blogeko.it.

Sorpresa: gli industriali sono divisi sull’atomo. Un vicepresidente di Confindustria è il primo firmatario dell’appello al Governo “Invece del nucleare” sottoscritto da (finora) 740 fra imprenditori, manager e professionisti.

Dicono in sostanza che la scelta nucleare avvantaggerebbe solo poche imprese, mentre molte ne risulterebbero penalizzate.

Dunque il fervente zelo atomico di Confindustria non è poi così unanime, anche se sta svolgendosi una massiccia campagna pubblicitaria finanziata da grandi gruppi industriali a favore dell’energia nucleare.

L’appello “Invece del nucleare” è stato lanciato dal Kyoto Club. Primo firmatario Pasquale Pistorio, presidente onorario di Kyoto Club ma soprattutto vicepresidente di Confindustria per innovazione e ricerca.

La seconda firma è quella di Catia Bastioli, CEO di Novamont e presidente del Kyoto Club. La terza è di Gianluigi Angelantoni, presidente dell’Associazione Imprenditori della Media Valle del Tevere (Confindustria Perugia) nonchè anch’egli vicepresidente di Kyoto Club.

La costruzione delle centrali nucleari, dice l’appello, interesserebbe “una piccola minoranza di società italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero”.

La produzione di energia elettrica avvantaggerebbe “pochi comparti industriali energivori” e “sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare”, che è una fonte di energia molto costosa.

Gli industriali stimano che l’intero programma nucleare del Governo costerebbe almeno 80 miliardi, con conseguente inevitabile sottrazione di risorse “ai più promettenti settori dell’efficienza e delle rinnovabili” che invece possono generare “ricadute economiche e occupazionali immediate”.

Lo dicono gli industriali, non gli ambientalisti: ci siamo limitati ad aggiungere i link. Ecco il testo di Invece del nucleare con, in calce, le firme.
Tratto da: megachip.info

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ComeDonChisciotte – I SICARI DELL’ECONOMIA GLOBALE

ComeDonChisciotte – I SICARI DELL’ECONOMIA GLOBALE.

DI BRUNO AMOROSO
ilmanifesto.it

Nel suo editoriale su La Repubblica del 19.12.2010 Eugenio Scalfari ci informa sull’esistenza di una Cupola finanziaria che gestisce le principali speculazioni mondiali. La sua fonte è il New York Times, che conferma quanto aveva già letto in Marx tempo prima. Da qui alcune sue deduzioni – di Eugenio Scalfari s’intende – sulle quali è bene soffermarsi. La prima, sulla quale concordo, è che le speculazioni non riguardano solo singoli faccendieri e neanche gli Hedge Fund, ma un sistema organizzato il cui cervello è costituito dalle maggiori nove banche mondiali. È vero, come sostiene, che è contro queste ultime che si è appuntata la critica della sinistra per decenni sfociata nella richiesta della nota Tobin Tax. Una visione miope che evade l’ampiezza del problema e che purtroppo resta comune sia agli amici che agli sciocchi.

Che la finanzia mondiale costituisca oggi un sistema di potere globale è stato ampiamente descritto negli ultimi 10 anni da numerosi studi e autori. Basti ricordare il bel testo di J. Perkins – Confessioni di un sicario dell’economia – che illustra come la rete di esperti e di centri di studio internazionali falsifichino i dati economici dei singoli paesi per spingerli ad indebitarsi e poi provocarne una crisi che mette i governi e l’economia nelle loro mani.

Processi che hanno modificato i rapporti di potere nei paesi capitalistici. Ne dà conto per gli Stati Uniti James K. Galbraith (The Predator State, 2008), che spiega molto bene come il governo di Bush fu costituito da ministri ed esperti proprietari o rappresentanti delle principali industrie energetiche e dell’industria militare sostenuti dai centri finanziari come la Goldman Sachs, e simili. Una struttura di potere che continua intatta con la nuova presidenza Obama. Siamo, quindi, non in presenza di speculatori ma della trasformazione dell’economia capitalistica da una economia di produzione in un sistema basato sulla rendita e lo sfruttamento delle altrui risorse. Una scissione definitiva tra capitalismo e mercato che per gestire questo potere rioccupa lo spazio della politica.

La seconda osservazione di Scalfari è che la Cupola italiana esiste ma è piccola e provinciale. Concordo ma per ragioni diverse dalle sue. Il «provincialismo» è dato dal fatto che la finanza e il potere dei grandi gruppi globali non è ancora riuscito a penetrare fortemente nel tessuto economico del nostro e di alcuni altri paesi dell’Europa del Sud. Cioè mentre Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale sono dentro il sistema della «Triade» (la vera Cupola di cui parla Scalfari) l’Italia riesce ancora a difendersi sia con parte della sua economia per nostra fortuna non globalizzata sia per una maggiore autonomia del sistema politico. Ma la pressione è certamente forte. I ricorrenti conflitti tra governo e Banca d’Italia, questa sì occupata dai poteri della «Triade», sono noti. I tentativi di mettere il paese in riga con il sistema della globalizzazione sono sempre stati attuati insediando «governi tecnici» per neutralizzare la politica ed espropriando i cittadini oltre che della loro sovranità dei loro redditi. Un tentativo oggi di nuovo in atto e credo che Scalfari farebbe bene a difendere l’Italia dai «governi tecnici» che si cerca di creare con l’aiuto di Fini, Amato e i noti personaggi dell’antipolitica invece che prendersela con Moffa o la Chiesa Romana.

La terza osservazione riguarda l’Euro, minacciato secondo Scalfari, dai poteri della Cupola. È vero il contrario. L’euro fu introdotto con il sostegno dei centri finanziari della Triade spiegando ai governi ed agli scettici che doveva costituire l’ombrello a difesa della diversità dei sistemi produttivi e sociali europei. Non tutti hanno creduto alla favola, ovviamente. Come dimostrano gli ultimi atti della Commissione a proposito del Piano di stabilità, chdi fronte alla speculazione finanziaria e alla grave crisi sociale e economica da questa prodotta non si interviene con misure di controllo sui centri finanziari ma ponendo vincoli ai governi nazionali ed ai bilanci pubblici, impedendo iniziative rivolte a limitare i danni della speculazione finanziaria sui sistemi produttivi locali, sull’occupazione e sui sistemi di welfare europeo. Questo accompagnato da misure della Bce che fanno di questa lo strumento di equilibrio a favore dell’economia tedesca e delle speculazioni finanziarie dei centri finanziari di Londra e Francoforte. La Germania sta facendo passare come una politica di suoi aiuti ed impegno ai paesi colpiti dalla crisi quello che in realtà è un modo di far pagare agli europei ed ai cittadini di Grecia e Irlanda le speculazioni finanziarie delle banche tedesche verso questi paesi, e le misure di rigidità di bilancio e di tagli ai settori sociali con il mantenimento del livello delle spese militari di questi paesi per garntire forniture dalle industrie tedesche.

Ultima considerazione: le cose non stanno come sostiene Scalfari; non è la Cupola che vuole dividere l’euro, ma il contrario. L’euro, dall’essere l’ombrello protettivo dei paesi europei, si è trasformato nella sua camicia di forza saldamente protetta, anche in questo caso, dal ricorso all’autonomia della Bce. Autonomia dai governi e dai cittadini e non dai centri finanziari che ne occupano le posizioni di potere. I paesi che sono restati fuori dell’euro proteggono la loro autonomia di intervento politico sia rispetto alle proprie Banche centrali che da quella europea. Parlo della Danimarca, della Svezia e della Gran Bretagna. Se l’euro è divenuto la moneta tedesca e dei centri finanziari globali è ovvio che altri paesi europei, a difesa dei propri sistemi produttivi e delle loro scelte di società, si diano una propria moneta a questi corrispondente. D’altronde lo stesso Scalfari esprime tutto il suo pessimismo nella possibilità di trasformare l’Euro e l’Ue in qualcosa di diverso.

La ripresa economica e produttiva da tutti richiesta è possibile solo se si restituisce ai governi ed ai cittadini la sovranità sulle politiche economiche e si riporti il sistema monetario dentro queste scelte. Non si può pensare che ogni stato esca oggi singolarmente dall’euro ma l’unico modo per evitarlo è che l’Europa ritrovi una sua dimensione confederale a livello istituzionale e monetario. L”istituzione di una moneta sud-Europea (Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo) è l’unica via di uscita positiva dalla crisi attuale se si vuole impedire la frammentazione totale dell’Ue.

Bruno Amoroso
Fonte: http://www.ilmanifesto.it
28.12.2010

via http://www.dirittiglobali.it

Complotti CIA, rivelazioni a prova di Bomba

Fonte: Antimafia Duemila – Complotti CIA, rivelazioni a prova di Bomba.

di Giulietto Chiesa Megachip – 27 dicembre 2010
New York. Avviso ai lettori di questa nota. Vorremmo inaugurare una nuova serie di commenti e analisi, dedicata interamente ai “negazionisti del complotto”. Cioè a quei signori che, per incultura politica totale, ovvero per introiettata, supina acquiescenza alle fonti ufficiali (il riferimento è, in questo caso, ai giornalisti mancati) si affannano, ogni volta che qualcuno cerca una spiegazione ai fatti che occorrono nella vita reale, ad accusarlo di “complottismo”.
Categorie, le sopra elencate, assai numerose, oltre che oltremodo dannose per la convivenza umana. Salvo che per un aspetto: che allietano la nostra esistenza con inaspettate capriole, gag, involontaria esibizione di comica insipienza, della qual cosa siamo loro moderatamente grati.
E veniamo al dunque. Il giornale più complottista del mondo – così ci pare di poterlo definire dopo la rivelazione dei nove banchieri nove che si riuniscono una volta al mese a South Manhattan, nei pressi di Wall Street, per decidere i destini, finanziari e non, del pianeta – (s’intende il New York Times), appena messo piede nella Grande Mela, mi gratifica di un altro episodio principe di complottismo al quadrato. Con un titolo in prima pagina che è tutto un programma, il New York Times ci aiutava a trascorrere in pace il Natale e il Capodanno: «I segreti della CIA potrebbero affacciarsi in un procedimento penale svizzero».

Ohibò, dico io. Sarà mica un altro episodio della saga di Wikileaks?

No, state tranquilli. Wikileaks non c’entra. C’entra un magistrato svizzero, nome Andreas Müller, Carneade che vuol mettersi nei guai, che ha scoperto, dopo due anni d’indagini, i seguenti, succulenti retroscena (leggi complotti).

Retroscena uno: c’era un gruppetto di operatori economici, composto da padre, e due figli, tali Friedrich Tiller (padre) e Urs e Marco (figli), che aiutarono, per anni, l’architetto della bomba nucleare pakistana, A.Q.Khan, a smerciare i suoi segreti verso la Corea del Nord, verso l’Iran, verso la Libia, insomma impiegati per conto della nota sequela di “stati canaglia” come ebbe a definirli, a suo tempo, George Bush Junior.

Impiegati si fa per dire, perchè presero decine, probabilmente centinaia di milioni di dollari per questi servigi.

Va bene, direte, ma che c’entra la CIA? Ecco il retroscena due. I Tiller lavoravano anche per la CIA. E, s’intende, prendevano decine di milioni anche per questo secondo servigio. Ma come? – direbbero Pier Luigi Battista, o Ferruccio Bello, vuoi forse affermare che era la CIA che controllava lo smercio di tecnologie nucleari? Risposta difficile a darsi. Forse che sì, forse che anche.

Fatto sta che la CIA pare abbia fatto fuoco e fiamme per impedire che l’inchiesta del signor Andreas Mueller andasse in porto. Scrive il New York Times che “l’Amministrazione Bush ha fatto pressioni straordinarie per proteggere i Tiller da ogni investigazione, arrivando al punto di persuadere le autorità svzzere a distruggere equipaggiamenti e informazioni che erano state scoperte nei loro computers”.

In effetti pare che ci siano riusciti solo in parte, ma quanto basta per fare sbottare il detto Mueller:

il governo svizzero – ha detto il giovedì prima di Natale, illustrando ai giornalisti un rapporto di 174 pagine – “ha interferito massicciamente sul corso della giustizia, distruggendo quasi tutte le prove”.

Così abbiamo conferma di un piccolo complotto dentro un grande complotto: il governo svizzero è sovrano, su certe questioni, come Gianni Riotta è un frate francescano, o Augusto Minzolini un agente di viaggi nel Mar dei Caraibi.

E veniamo al retroscena principale (come lo chiameremo se non complotto, visto che avveniva, ma fuori da ogni legge e, soprattutto, fuori da ogni pubblicità?): com’è che la CIA usava i Tiller?

Lasciava che passassero i disegni delle bombe a chi li aveva commissionati, ma ogni tanto – senti senti l’astuzia ! – infilavano in quei disegni, o in quelle apparecchiature, dei “difetti”, o dei bugs, che avrebbero potuto sia provocare disastri in corso di fabbricazione, sia fornire informazioni circa la prosecuzione dei “lavori” di costruzione delle bombe. Naturalmente, in questo modo, la CIA poteva ostacolare il procedimento. Ma resta il fatto che la CIA sapeva tutto in anticipo di quanto stava avvenendo. A quanto risulta al magistrato svizzero, in molti casi disegni e documentazione essenziale sono stati lasciati “passare” con il beneplacito del servizio segreto americano. Il che spiega perfettamente, adesso, perchè gli Stati Uniti non vogliono che la verità venga a galla, e proteggono i Tiller.

Questo è il punto. Se si scoprisse la verità, ogni volta che si alza l’allarme atomico, sia esso in Nord Corea, sia in Iran, potremmo subito ringraziare gli Stati Uniti d’America per il cospicuo contributo da essi dato alle bombe atomiche dei paesi canaglia.

Ma c’è un altro punto da far emergere, ad uso e consumo dei “negazionisti dei complotti”. Questa storia ci dice, a chiare lettere, che non c’è azione eversiva, gruppo terroristico, atto terroristico vero e proprio, operazione di diversione, complotto, crisi di governo, che non sia monitorato accuratamente dai servizi segreti americani.

Onnipotenti? Niente affatto, perchè non si può essere contemporaneamente onnipotenti e stupidi. Ma molto presenti, e molto ricchi, questo sì, lo si può affermare. Quindi, quando scoppiano le bombe, siano esse atomiche o al plastico, chiedetevi sempre, voi che non siete “negazionisti del complotto”, quanto di ciò che sarebbe accaduto probabilmente sapevano in anticipo i servizi segreti americani. Naturalmente tutto questo non c’entra nulla con l’11 settembre del 2001.

Tratto da: megachip.info

Antonio Di Pietro: Accordo FIAT: una lesione alla Costituzione

Fonte: Antonio Di Pietro: Accordo FIAT: una lesione alla Costituzione.

In questi giorni molti hanno applaudito l’accordo firmato dalla Fiat e da alcune organizzazioni sindacali per lo stabilimento di Mirafiori, che è il più grande d’Italia. Altri, fra cui la Fiom che è la più grande organizzazione sindacale dei metalmeccanici, hanno invece rivolto molte critiche a quell’accordo.

Noi dell’Italia del Valori pensiamo che quell’accordo ponga prima di tutto un enorme problema di legittimità costituzionale. Sui singoli punti si può discutere, si può essere o non essere d’accordo. Ma sulla Costituzione repubblicana non si può discutere. Va rispettata senza se e senza ma.

Invece è proprio la Costituzione repubblicana che viene negata e cancellata quando si dice che d’ora in poi non varrà più la reale rappresentanza dei sindacati ma solo il loro aver firmato o meno un accordo. Così l’Italia diventa un Paese dove le aziende possono scegliere quali sindacati hanno o no il diritto di trattare, ignorando l’elemento fondamentale in una democrazia che è la reale rappresentanza dei lavoratori.

Io sto ai fatti, non alle ideologie. La Fiat, per uscire dalla sua crisi, ha deciso di scommettere sull’aumento dell’orario di lavoro oltre le 40 ore settimanali e sulla riduzione delle pause e del salario. Il più grande sindacato industriale, la Fiom, pensa che questa prospettiva sia sbagliata e che invece per rilanciarsi la Fiat dovebbe puntare su altro, a cominciare dalla creazione di modelli di auto innovativi.

La Fiom può avere torto o ragione. Io qui non entro nel merito. Dico però che se, sulla base di questo dissenso del più grande sindacato del settore, l’azienda decide che d’ora in poi tratterà solo con sindacati che per sua stessa ammissione sono assolutamente minoritari ma che sono d’accordo con lei, l’Italia torna a una situazione molto simile a quella del ventennio fascista, quando c’erano i sindacati corporativi. Allora si diceva che per lavorare dovevi avere la tessera del sindacato corporativo in tasca, ed era così proprio perché quel sindacato garantiva l’azienda e non certo i lavoratori.

Però non è questa la funzione che la Costituzione repubblicana assegna alle organizzazioni dei lavoratori. La Costituzione nata dall’antifascismo garantisce la libertà di associazione dei lavoratori e l’indipendenza delle associazioni dei lavoratori dall’azienda. Questi non sono particolari che se ci sono o non ci sono cambia pochissimo. Sono i pilastri costituzionali della libertà sindacale e della democrazia nei posti di lavoro, e noi dell’Italia dei valori non possiamo accettare in silenzio il fatto che siano stati spazzati via con la firma di un solo accordo.

L’ho detto e lo ripeto: è questo il problema principale. Riguarda la legalità costituzionale e la Libertà di pensiero e di critica nel nostro Paese. Però non voglio fare l’ipocrita e negare che anche nel merito quell’accordo crea fortissimi dubbi, per una questione non di parte ma di dati di fatto.

Un dato di fatto dice che nel costo complessivo della costruzione di un’automobile il valore del lavoro incide tra il 7 e il 9%. Le operazioni di Marchionne servono a ridurre proprio il costo del lavoro. Però, bene che gli vada, il massimo che potrà risparmiare sarà più o meno dell’1%. Significa che alla fine della fiera, una macchina che costava 10mila euro ne costerà ora 9.900.

Ma si può davvero pensare che un’azienda con un calo di vendite che in questi ultimi due anni è stato doppio rispetto alle aziende concorrenti in Europa possa tirarsi fuori dai guai con un risparmio simile, che costa moltissimo ai lavoratori e garantisce pochissimi vantaggi all’azienda? Non dovrebbe invece, per vendere di più, puntare sulla creazione di modelli nuovi, che consumino di meno, più sicuri e anche più belli?

La giustificazione di Marchionne e anche di molti economisti per spiegare l’aumento dei ritmi lavorativi è che gli operai italiani producono la metà di quelli delle fabbriche delocalizzate in Brasile e in Polonia. Però nemmeno questi dati sono tanto convincenti. Marchionne non aggiunge, infatti, che mentre le fabbriche brasiliane e polacche, negli ultimi due anni e nei programmi del prossimo, hanno funzionato a tempo quasi pieno, gli impianti italiani sono rimasti fermi per il 50% del tempo, non per l’assenteismo dei lavoratori ma per lo scarso numero di auto vendute.

Bisogna pure dire un’altra verità. E cioè che in Brasile e in Polonia, a differenza dell’Italia, solo gli operai che lavorano alle catene di montaggio sono ufficialmente dipendenti Fiat, mentre tutti gli altri compaiono come lavoratori del circuito indotto e dunque nelle comparazioni non si vedono. E’ ovvio che così sembra che per costruire una macchina in Brasile e in Polonia ci vogliano molti meno lavoratori che in Italia!

C’è un solo modo scientifico per valutare la produttività dei lavoratori, ed è la rapidità con cui le auto passano sulla catena di montaggio perché gli operai aggiungano dei pezzi. In Italia passa sulla catena un’automobile al minuto. In Polonia pure, e in Brasile anche. E allora di cosa stiamo parlando? Il problema vero della Fiat è che non sa fare macchine che si vendono!

Anche senza tenere conto di quello che è e rimane il problema principale, la lesione gravissima alla Costituzione, questo accordo conferma secondo me quanto siano giuste le domande che io e il responsabile del lavoro dell’Italia dei valori Maurizio Zipponi abbiamo già più volte rivolto a Marchionne senza mai ottenere risposte in merito alle operazioni finanziarie e alla strategia della famiglia Agnelli.

1. La Fiat, da azienda unica che era, dal 2011 sarà divisa in due aziende distinte, una per la produzione di automobili, l’altra per quella di camion e trattori (IVECO e CNH). Ad accumulare debiti è stato sinora il comparto auto, però al momento della divisione quei debiti sono stati caricati per la maggior parte tutti sull’altro, che era invece sano. Si capisce che la Fiat ha preferito fare così. La borsa non avrebbe certo gradito molto l’arrivo di una Fiat auto carica di debiti che non può pagare.
Solo che adesso IVECO e CNH, le aziende che producono camion e trattori, dovranno pagare gli interessi del debito, non potranno più fare investimenti e smetteranno presto di essere aziende sane. Dal punto di vista finanziario è stata certamente un’ottima mossa che porterà agli azionisti un sacco di dividendi, ma dal punto di vista industriale è una strada molto pericolosa, che secondo noi nel medio periodo potrebbe portare alla cessione di queste aziende oggi sane. Per questo chiediamo a Marchionne se la sua strategia non stia mettendo a rischio la proprietà italiana anche di IVECO e CNH.

2.Per avere il 51% della Chrysler, la Fiat dovrà partecipare alla restituzione del prestito di almeno 7 miliardi, che il governo USA ha dato per evitarne il fallimento. La nostra domanda è semplice: dove li va a prendere questi soldi, che al momento non ha? Non è che Marchionne pensa di farseli dare dal sistema bancario italiano a spese dell’intero paese, come la Fiat ha già fatto pochi anni fa per evitare il fallimento?

Quando dice che la Fiat non prende un soldo dallo Stato italiano, Marchionne racconta una favoletta. Quei soldi, in passato, la Fiat li ha presi dalle banche italiane, le quali hanno recuperato la perdita col sistema produttivo italiano e cioè sulla piccola e media impresa, sugli artigiani e i risparmiatori. Alla fine di questi giri di valzer, la Fiat ha quindi drenato una quantità di finanziamenti dal sistema italiano che sono poi venuti a mancare al sistema italiano stesso. Cioè a tutti noi.

3.Noi siamo convinti che la Fiat debba restare italiana tenendo aperti gli attuali 5 stabilimenti presenti sul nostro territorio. Vediamo che oggi tutti i nuovi modelli vengono prodotti all’estero e quello più innovativo di tutti, la 500 elettrica, la si produce direttamente negli Usa. Nel 2011 lo stabilimento di Termini Imerese verrà chiuso, in tutti gli altri ci sarà la cassa integrazione. Allora io chiedo agli italiani se il governo e i mass media, non stanno applaudendo l’uscita della Fiat dall’Italia.

Ma ci pensate cosa farebbero i francesi o i tedeschi se la loro azienda più importante si preparasse a lasciare quei paesi? Non farebbero le barricate alle frontiere? I governi non userebbero qualsiasi mezzo di pressione per impedirlo? Da noi invece tutti applaudono a quello che sarà un disastro per l’intera economia italiana, e il governo invece di impedirla la facilita.

Io capisco che Marchionne, da bravo manager, sta facendo gli interessi degli azionisti Fiat, cioè della famiglia Agnelli. Però mi chiedo e chiedo a tutti a partire da quelli che stanno al governo: non è che oggi la realtà è l’opposto di quello che diceva Gianni Agnelli quando affermava che il bene della Fiat era il bene dell’Italia e viceversa? Non sarà che oggi il bene degli azionisti della Fiat equivalga al male dell’Italia?

l’italia dei Valori è un partito che con tutte le proprie forze vuole affermare ciò che è praticato in tutta Europa e cioè che si può mantenere nel proprio Paese l’industria dell’auto vendendo macchine ad alto valore aggiunto senza distruggere i principi fondamentali della libertà e della democrazia, mentre la strada imboccata, purtroppo, con il consenso di questo sciagurato governo, ci farà perdere il settore dell’auto in quanto la testa tecnologico-finanziaria sarà negli USA e il corpo produttivo nell’Europa dell’est, in Turchia e in Brasile.

E’ per questa ragione che alziamo la voce, facendo quello che fa la Merkel in Germania, Sarkozy in Francia e Obama negli Usa.

Noi invece abbiamo Berlusconi.

Il Cile e lo sterminio del popolo Mapuche

Solidarietà al popolo Mapuche

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Il Cile e lo sterminio del popolo Mapuche.

Il popolo Mapuche rivolge un appello al blog e più in generale agli italiani. Lo Stato cileno sta espropriando le terre dei Mapuche e applicando leggi contro il terrorismo a chiunque si opponga in maniera non violenta, anche agli adolescenti, con condanne fino a 50 anni. Chi difende la propria terra in questo mondo globalizzato, schiavo degli interessi economici e dominato dalle multinazionali è un TERRORISTA. Parlando con Jorge, il portavoce dei Mapuche, ho pensato a Terzigno, a Vicenza con la base militare del Dal Molin, alla Tav in Val di Susa, a Terzigno, alla secretazione dei siti dove costruiranno a nostra insaputa le centrali nucleari. Il Cile del dopo Pinochet assomiglia al Cile di Pinochet. Il mapuche di oggi è l’italiano di domani. La mia totale solidarietà al popolo Mapuche.

Testo dell’intervista Jorge Huenchullan portavoce dei Mapuche

“Il mio nome è Jorge Huenchullan , sono “werken” (portavoce) della Comunità Autonoma di Temucuicui, sono anche portavoce dei prigionieri politici mapuche che sono nel carcere di Angol. Personalmente ho un fratello che è stato processato con la “legge anti-terrorista”, il suo nome è Felipe Huenchullan, è un prigioniero politico e ha trascorso più di un anno in carcere a seguito di processo indebito. Attualmente è sotto processo per quattro “delitti” definiti “terroristi”, è per questo che noi riteniamo sia sproporzionato applicare questa legge ai Mapuche,

Storia dei Mapuche
La lotta Mapuche è una lotta storica, che dura da secoli. Dall’arrivo degli spagnoli nel 1540 in poi, ci furono personaggi molto importanti, leader mapuche di spicco: Lautaro, Caupolicàn, Galvarino che condussero una lotta dura, non si sottomisero a nessun dominio e dimostrarono alla corona spagnola che i Mapuche, presenti nel territorio del Cile, in nessun modo sarebbero stati conquistati.
Durante questo processo di conquista, molto lungo, il nostro popolo fece trattati di territorio, trattati di pace, trattati stipulati tra due nazioni sovrane che erano: la corona spagnola e la nazione Mapuche.
Tra i trattati più importanti stipulati, risulta il trattato di territorio in cui la corona spagnola riconobbe al popolo Mapuche i territori dal fiume Bio-Bìo fino al sud del Cile: da quel fiume in giù era stata riconosciuta la sovranità Mapuche. Dal 1850 in poi, dopo che il popolo Mapuche si era liberato della corona spagnola, e anche l’esercito del (neo costituito) Cile si era ribellato al dominio spagnolo, l’esercito cileno diede inizio ad una invasione militare per conquistare il territorio Mapuche, che con la propria sovranità si estendeva dal fiume Bio-Bìo fino al Sud.
Quel periodo è stato chiamato dall’esercito cileno la cosiddetta “Pacificazione della Araucania”, un periodo tra i più sanguinari, in cui lo Stato cileno ha condotto un vero e proprio genocidio della popolazione Mapuche. In questo periodo cominciarono a sottrarci il nostro territorio.
Le comunità Mapuche sono state costrette a vivere in spazi sempre più ristretti, di cui non hanno nemmeno la sovranità: è stato perso tutto il territorio ancestrale, che a seguito dell’occupazione è passato ad essere dello Stato cileno. Allora il governo cileno per legittimare l’usurpazione, l’espropriazione della terra ha promosso e ha avallato la presenza dei coloni europei nelle nostre terre.
La maggior parte delle terre che i Mapuche rivendicano, sono oggi nelle mani dei coloni di origine europea, delle imprese forestali, spesso multinazionali di cui la maggioranza sono europee.

Il legame con la Terra
La terra, il territorio, per i Mapuche è la base della vita e dell’esistenza.. è la base dello sviluppo della nostra cultura, è la continuità storica della nostra gente e della nostra conoscenza. Nella biodiversità troviamo il compimento della forza mapuche e il compimento della vita stessa, per questo noi rispettiamo molto il nostro territorio, la nostra natura e la biodiversità. Questo ovviamente non solo dal punto di vista economico o del profitto, ma piuttosto come la base stessa della vita.
Senza la nostra “mapu” (terra), il mapuche non potrebbe esistere e sarebbe condannato a scomparire: è per questo che la nostra gente, le nostre comunità hanno intrapreso un processo di lotta e di mobilitazione perché ci venga restituito il nostro territorio.
Per questo è fondamentale la lotta mapuche in questo momento, altrimenti non potremmo proseguire la nostra esistenza, visto che siamo continuamente invasi da imprese forestali che in modo lampante ci stanno letteralmente saccheggiando: ci spogliano delle nostre terre e delle nostre medicine, le nostre erbe medicinali, i nostri alimenti. Stiamo praticamente perdendo tutto con questa invasione forestale, che per di più introduce delle specie esotiche che non rispettano l’equilibrio della natura stessa del nostro territorio.

La “Ley antiterrorista” e la criminalizzazione
La lotta apuche è sempre stata non violenta, ciò significa che noi facciamo occupazioni pacifiche delle terre che sono nelle mani delle imprese forestali, e nelle terre che sono oggi nelle mani dei coloni, non abbiamo mai usato violenza contro la popolazione, contro i privati o contro la Forestale o contro gruppi di persone che consideriamo non-mapuche.

Bambini “terroristi” (espandi | comprimi)
Qui, nelle nostre terre lo Stato cileno ha ucciso dei mapuche, come Jaime Mendoza Collio, Alex Lemun, Matias Catrileo, che sono alcuni “peñi” fratelli mapuche morti negli ultimi cinque anni nelle “azioni di recupero” della terra.
In questo modo lo Stato cileno ha risposto alle richieste mapuche. Invece di cercare una soluzione. Ha risposto con morte e repressione per una richiesta legittima del nostro popolo. E in questa cornice, con questo tipo di lotta, lo Stato cileno non ha solo perseguitato la nostra gente di maggior età, i nostri leader, ma ha anche perseguitato i nostri bambini e adolescenti, accusando anche loro di essere terroristi.
Bambini di 12, 13 anni, di 15 anni di età: un esempio è Luis Marileo Cariqueo che appartiene alla comunità di José Guiñon, nipote del Lonko (dirigente) José Cariqueo, il quale si trova in carcere ed è stato per più di 80 giorni in sciopero della fame perché considera che le sue accuse sono tutte infondate, che lo Stato cileno ha infranto tutti i suoi diritti di bambino e di adolescente e perché non è stato rispettato come Mapuche e come minorenne. Per questo ha portato avanti per così tanto tempo lo sciopero della fame.
Egli ha soltanto 17 anni, ed ha già quttro capi d’accusa per “delitti terroristi”. Questa è una barbarie.. non è possibile che lo Stato cileno continui a vessare e a reprimere in modo così selvaggio la nostra gente, non è possibile che i bambini siano vittime di accuse di questa portata: ci hanno paragonato a gruppi armati esteri come Al-kaeda, come l’ ETA, come le FARC… ma la nostra lotta, i nostri bambini, non possono essere considerati in questa maniera.
Essere considerati terroristi ad una così tenera età, è questo ciò che fa lo Stato cileno ed è evidente. Ci sono dei precedenti, delle denuncie di organismi internazionali in cui si evince che lo Stato cileno ha effettivamente applicato queste pratiche, perseguitando i nostri bambini.
E’ una situazione terribilmente estenuante, vivere in uno stato simile di incertezza, senza sapere quello che succederà domani, se finiremo in carcere o vivremo in libertà.
E’ difficile per una famiglia vivere in questo modo, è dura per una autorità mapuche o un gruppo di famiglie unite pensare che il proprio unico destino è il carcere, e questo solo perché stiamo lottando per rivendicare il territorio ancestrale e i nostri diritti politici.

Appello al popolo italiano
E per finire faccio un appello al popolo italiano, un richiamo alla lotta sociale che esiste nel vostro Paese. Così come in Italia, nemmeno il nostro popolo, e noi come Mapuche, vogliamo essere divorati, né sopraffatti dal sistema imperialista – capitalista,
un sistema con il quale siamo condannati a morire.
Vogliamo che le nostre idee, la nostra lotta sia libera, vogliamo essere delle persone che pensino in libertà e crediamo che in questo mondo si deve vivere in una maniera più umana, diciamo più “comunitaria”, in modo che tutti abbiano il diritto di manifestare la propria opinione, di vivere liberi, di vivere senza pressione, di vivere in modo da non dipendere da un’impresa, senza dipendere da un capitale o da un potere economico.
E se lasciamo che questa situazione vada avanti, sicuramente i Mapuche smetteremo d’esistere e i popoli indigeni pian piano scompariranno, smetteranno di esistere.
Io credo che noi abbiamo molte capacità, molto da dare ancora ai popoli non-mapuche, alla gente europea, a tutte le nazioni.. abbiamo molte conoscenze culturali sulla cosmo-visione, su molti argomenti che la scienza non è in grado di affrontare.
Ritengo questa un idea fondamentale che anche gli italiani dovrebbero condividere con noi.” Jorge Huenchullan

Gelmini, 5 milioni per tradurre il Talmud

Fonte: Gelmini, 5 milioni per tradurre il Talmud.

Nel pomeriggio del 14 dicembre, il giorno della fiducia a Berlusconi, mentre Roma bruciava e gli studenti assediavano i palazzi della politica, la commissione Cultura del Senato approvava a maggioranza lo ‘schema di decreto ministeriale recante ripartizione del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, per l’anno 2010‘.

Tra gli stanziamenti previsti da questo decreto a firma del ministro Mariastella Gelmini – che all’inizio di gennaio verrà sottoposto al parere della commissione Cultura della Camera – figurano ben 5 milioni di euro ”a sostegno del progetto pluriennale ‘Talmud’, che vede il Cnr collaborare con l’Unione delle comunità ebraiche italiane – Collegio rabbinico italiano (Ucei-Cri) per la traduzione integrale in lingua italiana, con commento e testo originale a fronte… del Talmud, opera fondamentale e testo esclusivo della cultura ebraica”.

Mentre con una mano la Gelmini cala la pesante scure dei tagli sulla scuola pubblica e sull’università, con l’altra mano dà dieci miliardi delle vecchie lire a un’équipe di trenta traduttori specializzati che lavoreranno per cinque anni alla traduzione italiana del testo sacro ebraico. Un lavoro monumentale, visto che il Talmud consta di seimila pagine divise in quaranta volumi. L’anziano rabbino di Gerusalemme, Adin Steinsaltz, ci ha messo cinquant’anni per tradurre in ebraico moderno il testo originale in aramaico.

Un lavoro certamente importante per la comunità ebraica italiana, che evidentemente sulla Gelmini esercita un’influenza ben maggiore di quella del mondo scolastico e accademico nazionale.

La ‘ndrangheta vota Lega – La fermata – Voglioscendere

Fonte: La ‘ndrangheta vota Lega – La fermata – Voglioscendere.

Il pentito Di Bella racconta gli incontri fra il boss Coco Trovato e un ex ministro leghista.
I capoclan calabresi fecero la campagna elettorale al partito del Carroccio

Quando abbiamo scritto Metastasi, con Claudio Antonelli, il capitolo più difficile che abbiamo dovuto affrontare insieme Giuseppe Di Bella (pentito della ‘ndrangheta) è stato quello relativo ai legami fra i clan e la politica. Da questo capitolo emerge un tracciato dei rapporti politici iniziali, negli anni 80-90, fra la ‘ndrangheta e le forze politiche emergenti. La malavita calabrese ha sempre avuto una grande attenzione sul territorio per tutto ciò che è nuovo, in termini di politica. Di Bella ci racconta come i boss dicevano di votare Lega Nord: un dato molto sorprendente. Un’indicazione strana: meridionali che votano e fanno votare per il partito padano.

Giuseppe Di Bella indica i nomi delle persone che i boss incontravano, dà delle indicazioni sui luoghi dove questo è avvenuto, dà delle indicazioni sui testimoni che hanno partecipato a questo incontro e immaginare la Lega con esponenti della ‘ndrangheta combacia poi con le risultanze delle indagini che stanno conducendo le Procure di Reggio Calabria e di Milano sulla nuova ‘ndrangheta (nell’estate scorsa sono stati compiuti 300 arresti a Milano, non a Teheran, in Italia, non in Cile).

Tra i vari personaggi politici che il nostro pentito indica c’è anche un ex ministro (e anche un ex Premier). L’ex Ministro oggi è ancora nella compagine governativa. Nel libro è coperto con la lettera in codice Gamma. Proprio Gamma è la persona che Coco Trovato incontra fuori dal bar Wall Street, che era il suo quartiere generale. Ma non a Bovalino, a Platì o a Reggio Calabria. Ma a Lecco, quindi nella florida e prosperosa Brianza.

E’ giusto evidenziare che il pentito che parla di Lega è ‘ndrangheta non è un uomo che accusa e basta. Ma si autoaccusa. E’ ritenuto credibile dalle procure che lo indicano come una voce importante per combattere la ‘ndrangehta nel Nord. Giuseppe Di Bella sa benissimo di essersi esposto, con queste confidenze, a nuovi rischi. E credo che finirà di nuovo sotto protezione. Il suo sogno di tornare ad essere una persona normale, fuori dalla ‘ndrangheta, si è allontanato. Perché la ‘ndrangheta non perdona. Puoi uscirne solo coi piedi d’avanti.

Il sequestro dei pastori sardi

Che vergogna…

Fonte: Blog di Beppe Grillo – Il sequestro dei pastori sardi.

La Polizia ha sequestrato 200 pastori sardi sbarcati nel porto di Civitavecchia. Alcuni sono stati manganellati. Si sono invertite le parti. Anni fa i sequestri avvenivano in Sardegna, ora si fanno alla luce del sole nel Continente. Sembra che il blocco sia dovuto a una possibile manifestazione non autorizzata. I pastori affermano che volevano tenere solo una conferenza stampa. Ormai si manganellano anche le intenzioni. FORZA PARIS!
“Gli allevatori sardi sono stati bloccati dalla celere al porto di Civitavecchia. Protestano perché il prezzo di vendita del latte, impostogli, non consente loro di vivere. Che ignoranti che sono. Non sanno che, nella quota di plusvalore dei rivenditori, è incluso il costo della manganellata. Cari allevatori. Fate il contrario! Diventate autarchici e fate che siano loro ad essere costretti a venire a comprare il vostro latte. Il prezzo lo stabilirete voi, magari restituendo qualche calcio in culo, a conguaglio delle manganellate ricevute. Pace e Bene.” Luca Popper, Milano

Antimafia Duemila – L’Aquila, l’ultima beffa

Fonte: Antimafia Duemila – L’Aquila, l’ultima beffa.

La città è ancora piena di macerie, ed edifici pericolanti. Ma il governo ha pensato bene di mandare via (dal primo gennaio) i Vigili del fuoco che da un anno e mezzo aiutavano la popolazione. E la gente protesta.

La notte del 6 aprile 2009, quando lo scossone ha devastato L’Aquila, in città erano di servizio 13 vigili del fuoco: dieci in pattuglia e tre alla base. Del tutto insufficienti, com’è ovvio, per far fronte alla catastrofe. Poi però arrivarono pattuglie da tutta Italia per estrarre dalle macerie decine di superstiti sepolti sotto tonnellate di cemento e mattoni. E i morti, 308.

A L’Aquila ora li chiamano “gli angeli del terremoto”. Sì, perché in un anno e mezzo sono stati il braccio operativo più flessibile e più vicino alla gente. Dal puntellamento degli edifici pericolanti alla rimozione delle macerie. Hanno scortato nelle case inagibili i residenti per recuperare mobili e oggetti utili o cari. Il rosso delle vetture, il verde e il giallo delle divise per gli aquilani sono sinonimo di assistenza, cortesia, sicurezza. Una gentilezza molto meno presente in altri uomini mandati in Abruzzo dalle istituzioni.

Adesso, però, i Vigili del fuoco se ne devono andare: se non ci saranno proroghe al decreto del commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi, infatti, da gennaio tutte le unità non aquilane ora di stanza nella zona colpita dal terremoto, torneranno nelle zone di provenienza, lasciando l’emergenza in mano al solo comando abruzzese. Una metà delle 125 unità di appoggio ora presenti nel cratere ha già fatto le valigie. Entro la fine del mese se ne andranno tutti. Come se in Abruzzo ormai fosse tutto a posto.

«Già non bastano il personale e i mezzi che ci sono ora», spiega un vigile del fuoco aquilano che accetta di spiegare la situazione a patto di mantenere l’anonimato , «perché siamo gli unici autorizzati a rimuovere e trasportare le macerie assieme all’esercito. Inutile dire che va molto a rilento. Se se ne vanno le unità esterne come si fa? Rimarremmo 88 per tutto il cratere, divisi in quattro turni».

Nonostante il piano presentato a marzo dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo per liberare i comuni dalle macerie, L’Aquila e i centri storici del cratere sismico attendono ancora. Oltre due milioni di tonnellate di materiale da selezionare, dividere, smaltire. Ma questa è purtroppo la stima più rassicurante.

Legambiente, in un dossier redatto proprio su una valutazione di Vdf e Cnr, a ottobre ha azzardato 70 anni, il tempo che ci vorrà per liberare il territorio. «All’inizio si andava spediti, ma era solo un’operazione di facciata. Ora conferiamo in discarica meno della metà del materiale rispetto alla scorsa primavera». Solo i pochi mezzi disponibili dell’esercito e dei Vigili del fuoco sono autorizzati a scaricare materiali nell’unico sito disponibile, una cava dismessa in via di saturazione. E allora chi rimarrà per liberare L’Aquila dalle macerie, primo passo per avviare la ricostruzione? «Non so», risponde il pompiere mentre mostra una pila di fogli «ma io ho qui una montagna di ordini di esecuzione che non ho idea di come evadere».

Così i Vigili del fuoco in Abruzzo sono in subbuglio. Quando se ne ne andranno i colleghi, sarà un caos infernale, per la popolazione e ovviamente per loro. In un comunicato sindacale lamentano «la totale incertezza in cui è lasciato tutto il personale e, soprattutto a causa del senso di abbandono che lo pervade». Aggiungono: «Nulla, infatti ci è dato sapere su cosa accadrà dal 1° gennaio 2011 per quanto concerne il dispositivo di soccorso della struttura emergenziale».

Tra le rivendicazioni avanzate al Comando nazionale di Roma (accusato in una lettera alla cittadinanza di fare solamente passerella) e al governo c’è anche un altro problemuccio: ìn un anno di straordinari arretrati mai pagati. Ma questa è solo l’ultima “carineria”.

Nel corso dell’emergenza Abruzzo ne hanno viste di tutti i colori a cominciare dal sito del comando a L’Aquila, posizionato sopra una discarica tossica: «A giugno di quest’anno la stessa storia, ci hanno lasciati appesi fino all’ultimo, senza informarci di quello che sarebbe stato il futuro. Sembra abbiano paura di noi, in occasione della cerimonia di conferimento delle onorificenze i Vigili del fuoco che hanno lavorato qui non hanno avuto nemmeno un posto riservato, si sono portati dietro delle comparse da Roma».

E poi la beffa delle medaglie. La benemerenza meritata per il coraggio la competenza e l’abnegazione. Solo che il kit medaglia, fornito da una società privata, era a pagamento: 140 euro. «Le abbiamo lasciate tutte dove stavano», spiega un pompiere. Pagare per un attestato, anche nell’Italia berlusconiana, è un po’ troppo.

Lettera aperta da Gaza: due anni dopo il massacro pretendiamo giustizia | Informare per Resistere

Lettera aperta da Gaza: due anni dopo il massacro pretendiamo giustizia | Informare per Resistere.

Gaza assediata, Palestina
27 dicembre 2010

Noi palestinesi della striscia di Gaza sotto assedio, oggi, a due anni dall’attacco genocida di Israele alle nostre famiglie, alle nostre case, alle nostre fabbriche e scuole, stiamo dicendo basta passività, basta discussione, basta aspettare – è giunto il momento di obbligare Israele a rendere conto dei suoi continui crimini contro di noi. Il 27 dicembre 2008 Israele ha iniziato un bombardamento indiscriminato della striscia di Gaza. L’attacco è durato 22 giorni, uccidendo, secondo le principali organizzazioni per i diritti umani, 1417 palestinesi di cui 352 bambini. Per 528 sconvolgenti ore, le forze di occupazione israeliane hanno scatenato i mezzi provenienti dagli Stati Uniti: F15, F16, Carri armati Merkava, il fosforo bianco proibito in tutto il mondo, hanno bombardato ed invaso la piccola enclave costiera palestinese dove risiedono 1.5 milioni di persone, tra le quali 800.000 sono bambini e oltre l’80% rifugiati registrati alle Nazioni Unite. Circa 5.300 feriti sono rimasti invalidi.

La devastazione ha superato in ferocia tutti i precedenti massacri sofferti a Gaza, come per esempio i 21 bambini ammazzati a Jabalia nel marzo 2008 o i 19 civili uccisi mentre si rifugiavano nella loro casa durante il massacro di Beit Hanoun del 2006. La carneficina ha addirittura superato gli attacchi del novembre1956 nei quali le truppe israeliane hanno indiscriminatamente radunato ed ucciso 274 palestinesi nella città di Khan Younis (sud della striscia) ed altri 111 a Rafah (nord).

Fin dal massacro di Gaza del 2009, cittadini del mondo si sono assunti la responsabilità di fare pressione su Israele perchè rispetti la legge internazionale, attraverso la strategia già collaudata del boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Come è stato fatto nel movimento globale BDS che fu così efficace nel porre un termine al regime di apartheid sudafricano, chiediamo con forza alle persone di coscienza di unirsi al movimento BDS creato da oltre 170 organizzazioni palestinesi nel 2005. Come in Sudafrica lo squilibrio di forze in campo e di rappresentazione in questa lotta può essere controbilanciata da un potente movimento di solidarietà internazionale con il BDS in testa, portando i responsabili dell’atteggiamento israeliano a rendere conto delle proprie azioni, cosa in cui la comunità internazionale ha ripetutamente fallito. Allo stesso modo, sforzi civili e fantasiosi come le navi del Free Gaza che hanno rotto l’assedio cinque volte, la Gaza Freedom March, la Gaza Freedom Flotilla, e i molti convogli via terra non devono smettere di infrangere l’assedio, evidenziando la disumanità di tenere 1,5 milioni di cittadini di Gaza in una prigione a cielo aperto.

Sono passati ora due anni dal più grave degli atti di genocidio israeliani, che dovrebbe aver lasciato la persone senza alcun dubbio sulla brutale vastità dei piani di Israele per i palestinesi. L’assalto assassino verso gli attivisti internazionali a bordo della Gaza Freedom Flotilla nel mar mediterraneo ha reso palese al mondo il poco valore che Israele ha dato alle vite palestinesi finora. Il mondo ora sa, ed adesso dopo 2 anni nulla è cambiato per i palestinesi.

Il rapporto Goldstone è arrivato e passato: nonostante il suo elencare una dopo l’altra le contravvenzioni alle legge internazionale, “crimini di guerra” israeliani e “possibili crimini contro l’umanità”, nonostante l’Unione Europea, le Nazioni Unite, la Croce Rossa, e tutte le più grosse associazioni per i diritti umani abbiano fatto una chiamata per una fine a un’assedio medievale e illegale, esso continua con la stessa violenza. L’11 novembre 2010 il capo dell’UNRWA John Ging ha dichiarato: “non ci sono stati cambiamenti concreti per la popolazione sul terreno per quanto riguarda la loro situazione, la loro dipendenza da aiuti, l’assenza di ogni risarcimento o ricostruzione, nessuna economia…le distensioni, come sono state descritte, non sono state nulla di più che una distensione politica nelle pressioni verso Israele ed Egitto”

Il 2 dicembre 22 organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty, Oxfam, Save the Children, Christian Aid, e Medical Aid for Palestinian hanno prodotto il report “Dashed Hopes, Continuation of the Gaza Blockade (Speranze in polvere, la continuazione del blocco)”, chiamando per un’azione internazionale che forzi Israele ad abbandonare incondizionatamente il blocco, descrivendo come i palestinesi di Gaza sotto l’assedio israeliano continuino a vivere nelle stesse disastrose condizioni. Solo una settimana fa l’Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto dettagliato “Separate end Unequal (separati e diseguali)” che denuncia gli atteggiamenti israeliani come pratiche di apartheid, facendo eco ad affermazioni simili da parte degli attivisti sudafricani anti-apartheid.

Noi palestinesi di Gaza vogliamo vivere in libertà e incontrare amici palestinesi o famiglie da Tulkarem, Gerusalemme o Nazaret, vogliamo avere il diritto di viaggiare e muoverci liberamente. Vogliamo vivere senza la paura di un’altra campagna di bombardamenti che lascia i nostri bambini morti e molti più feriti o con cancro proveniente dall’inquinamento da fosforo bianco israeliano ed armi chimiche. Vogliamo vivere senza essere umiliati ai check point israeliani o la vergogna di non poter provvedere alle nostre famiglie a causa della disoccupazione portata dal controllo economico e dall’assedio illegale. Chiediamo una fine del razzismo che è a fondamento di quest’oppressione.

Domandiamo: quando i Paesi del mondo si comporteranno secondo le fondamentali premesse che gli esseri umani debbano essere trattati in maniera equa, senza differenze di origine, etnia o colore – è così esagerato affermare che i bambini palestinesi abbiano gli stessi diritti di ogni altro essere umano? Sarete capaci un giorno di guardarvi indietro e dire che siete stati dalla parte giusta della storia o avrete supportato l’oppressore?

Noi, inoltre, chiamiamo la comunità internazionale ad assumersi le sue responsabilità e proteggere il popolo palestinese dalle feroci aggressioni di Israele, finire immediatamente l’assedio con un risarcimento completo della distruzione di vite ed infrastrutture di cui siamo stati afflitti da quest’esplicita pratica di punizione collettiva. Assolutamente nulla può giustificare pratiche internazionali feroci come l’accesso limitato all’acqua e all’elettricità a 1,5 milioni di persone. L’omertà internazionale nei confronti della guerra genocida che ha avuto luogo contro più di 1,5 milioni di persone rende palese la complicità in questi crimini.

Facciamo anche un’appello a tutti i gruppi di solidarietà palestinesi ed alle organizzazioni della società civile internazionale per esigere:

  • La fine dell’assedio che è stato imposto alla popolazione palestinese della West Bank e della striscia di Gaza come conseguenza dell’esercizio della loro scelta democratica.
  • La protezione delle vite civili e proprietà, come stipulato dalla legge umaitaria internazionale e dalla legge internazionale riguardo i diritti umani, come la quarta convenzione di Ginevra.-Il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici
  • Che i rifugiati palestinesi nella striscia di Gaza siano immediatamente riforniti di supporto materiale e finanziario per affrontare le immense avversità che stanno vivendo
  • Fine dell’occupazione, apartheid ed altri crimini di guerra
  • Immediati risarcimenti e compensazioni per tutte le distruzioni portate avanti dalle forze di occupazione israeliane nella striscia di Gaza

Boicotta, disinvesti e sanziona, unisciti a molti sindacati in tutto il mondo, università, supermercati, artisti e scrittori che rifiutano di intrattenere l’apartheid di Israele. Parla della Palestina, per Gaza, e soprattutto AGISCI. Il tempo è adesso.

Gaza assediata, Palestina

Passaparola – Le bande dei mona

Fonte: Antimafia Duemila – Passaparola – Le bande dei mona.

Buongiorno a tutti, questo è uno dei due passaparola che abbiamo registrato prima di Natale e quindi mentre vi sto parlando non so quale sarà la situazione nel lunedì in cui questo passaparola va in onda, vorrei però approfittarne per fare memoria, su un fatto tragicomico.

La sicurezza della Lega
Sappiamo benissimo tutte le polemiche che sono state fatte sulla sicurezza, violenze di piazza, proposte più o meno repressive per arginare il ritorno agli anni di piombo etc., è una buona cosa che si sappia che questo governo ha, un paio di mesi fa, depenalizzato il reato di associazione militare con finalità politiche, la cosiddetta banda armata, direte: sono impazziti?
No, non sono impazziti, c’è un processo a Verona per questo reato contro una trentina di attivisti e dirigenti leghisti che coinvolgeva inizialmente i massimi vertici della Lega per avere fondato 14 anni fa le Camice verdi, un’organizzazione paramilitare, con finalità politiche, completamente illegale visto che non si possono creare bande armate a sostegno di questo o quel partito, milizie private a sostegno di questo o quel partito e quindi l’allora Procuratore Papalia avviò questo processo, processo che ne ha viste di tutti i colori per cercare di salvare i leghisti beccati con il sorcio in bocca in intercettazioni etc. a parlare di armi e di organizzazione militare, gli eventi di contrasto contro lo Stato che pretendeva addirittura di tutelare la propria unità contro la secessione vaneggiata da questi squilibrati!
Non sapendo più come salvare i loro attivisti dalle conseguenze penali di questa milizia, la Lega ha costretto il Governo a depenalizzare il reato di cui questi signori erano accusati e lo ha fatto con la frode, ragione per cui, si spera, che presto il Parlamento voterà la mozione di sfiducia che è stata sollevata dall’Italia dei valori, contro il Ministro Calderoli che si è segnalato per un notevole attivismo in questo senso, quindi dobbiamo sapere che questo governo che a parole dice da contrastare la violenza, ha depenalizzato uno dei reati chiave per punire la violenza di chi si organizza in armi per fare violenza a scopo politico.
Per salvare sé stessi hanno disarmato lo Stato di uno strumento giuridico, penale fondamentale per reprimere eventuali fenomeni di questo genere.
Partiamo dall’inizio, il 9 ottobre è entrato in vigore il Decreto Omnibus (perché dentro c’era di tutto) che contiene il nuovo codice dell’ordinamento militare, è il Decreto Legge 15 marzo 2010 N. 66 che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’8 maggio, con il titolo “Codice dell’ordinamento militare, in questo decreto ci sono 2272 articoli, più sono meno i parlamentari quando devono approvarli in due minuti possono verificare cosa stanno facendo, come si fa a leggere e a capire 2272 articoli? Uno degli ultimi, l’articolo 2268 ha centinaia di commi, il comma 297 dell’Art. 2268 di questo decreto, abolisce un altro decreto che era stato varato nel febbraio 1948 alla vigilia delle famose elezioni del 1948, fronte popolare contro Democrazia Cristiana e i suoi alleati, momento di altissima tensione, erano le prime elezioni politiche dopo la Costituente. Il Decreto quindi che viene abolito è il Decreto 14 febbraio 1948 N. 43 e era il Decreto che puniva con il carcere da 1 a 10 anni chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono anche indirettamente scopi politici e si organizzano per compiere azioni di violenza o minaccia.
Il trucco l’avete capito, si fa un provvedimento che abroga una miriade di vecchie norme, anche spesso inutili, e che viene usato per nascondere, camuffare la depenalizzazione di un grave reato che è purtroppo attualissimo, il Capo dello Stato ha regolarmente firmato questo Decreto e di chi è l’idea? Ufficialmente il nuovo codice dell’ordinamento militare, è responsabilità del Ministro della Difesa, La Russa, ma può La Russa pensare di depenalizzare il reato di banda armata di fatto? No, non è stato lui, a attivarsi in questo senso è il Ministro della semplificazione normativa leghista Roberto Calderoli, cosa gli è venuto in mente a questi che sollevano sempre allarmi sulla rinascita del terrorismo, di depenalizzare le bande militari e paramilitari di stampo politico? Quello che vi dicevo prima, l’esistenza di questo processo che è in corso di 14 anni a Verona, a carico di politici, dirigenti e attivisti della Lega del Piemonte, della Liguria, della Lombardia e del Veneto e dal 1996 sono accusati di avere organizzato una formazione paramilitare, la guardia nazionale padana, quella che si vestiva con le camice verdi, i guardiani della secessione, nelle intercettazioni si sentono questi signori, compreso Bossi, parlare di armi. Il processo fino a qualche mese fa vedeva imputati anche Bossi, Maroni, Borghezio, Speroni, tutti parlamentari italiani o europei e 5 alti dirigenti della Lega in aggiunta a quelli che ho citato che nel 1996 erano parlamentari, tra questi Calderoli.
All’inizio i capi di imputazione formulati dal Procuratore Guido Papalia erano 3: attentato alla Costituzione, attentato all’unità e integrità dello Stato, costituzione di una struttura paramilitare fuori legge in virtù di quel Decreto.
Ma i primi due reati con un’altra legge ad legam, sono già stati di fatto depenalizzati nel 2005, sono stati modificati e quindi l’attentato alla Costituzione e l’attentato all’unità e integrità dello Stato sono reati soltanto quando concretamente viene usata la violenza, mentre quando uno si propone di fare queste cose, ma non ha ancora messo in campo comportamenti violenti, non è più reato e quindi i due reati, il primo e il secondo contestati da Papalia sono stati cancellati dal Parlamento per salvare gli imputati di questo processo nel 2005, uno degli ultimi atti del Governo Berlusconi 2.
Restava in piedi il terzo, quello di costituzione di una formazione paramilitare con scopi politici fuori legge e è proprio il reato che viene depenalizzato con il decreto di maggio che è entrato in vigore a ottobre, il Decreto La Russa – Calderoli. I leader leghisti rinviati a giudizio, i Bossi, i Maroni etc. erano già stati salvati dal processo perché il Parlamento li aveva protetti con insindacabilità parlamentare, sostenendo che persino il reato di banda armata, attentato alla Costituzione, all’integrità e un’unità dello Stato, fossero coperti dal diritto dei parlamentari di esprimere le loro opinioni, come se l’organizzazione di una banda paramilitare fosse un’opinione.
E’ un reato che salva le opinioni dei parlamentari e che in realtà l’istituto dell’insindacabilità nasce per difendere le opinioni dei parlamentari e invece è stato applicato, abusandone, per salvarsi dalle conseguenze di avere fondato o cofondato una banda armata, ok? Quindi improcessabili per grazia ricevuta del Parlamento.
Papalia è ricorso alla Corte Costituzionale facendo due conflitti di attribuzione contro il Parlamento che aveva impedito che venissero processati questi parlamentari, ma non è riuscito a ottenere ragione, a quel punto sono rimasti gli altri imputati, quelli che non avevano avuto la prontezza di rifugiarsi in Parlamento per farsi proteggere dai loro colleghi che erano comunque 36, tra i quali anche Giampaolo Gobbo, segretario della Lega Veneta e Sindaco di Treviso e il Deputato Matteo Bragantini che era arrivato dopo in Parlamento e che quindi quando i reati secondo i PM erano stati commessi, non era ancora parlamentare.
Ma a ottobre nella prima udienza del processo davanti al Tribunale di Verona, dopo tutto quell’andirivieni di conflitti, attribuzioni etc., gli avvocati dei leghisti si sono alzati e hanno detto ai giudici: ma lo sapete che il reato non c’è più? Anche il reato di formazione paramilitare fuori legge è stato appena cancellato dal Decreto voluto da Calderoli, da uno degli ex imputati di questo processo, i giudici allibiti non se ne erano neanche accorti che era passato dal decreto con tutte quelle norme, quindi sono andati a verificare e hanno scoperto che era vero e quindi ne hanno preso atto e hanno rinviato il dibattimento in attesa di dichiarare praticamente chiuso perché è sparito il reato, l’ultimo anche dopo gli altri due, grazie all’ennesima legge ad legam.
Esce un pezzo su Il Fatto Quotidiano, lo scrivo io a ottobre, panico, il governo si accorge di avere depenalizzato un reato così grave, La Russa tramite gli uffici del suo Ministero fa sapere che è stato un errore materiale, sapete che quando c’è un errore materiale in un decreto può essere corretto con una procedura breve, non è che bisogna rifare tutto l’iter parlamentare, ma dal Ministero della semplificazione normativa arriva l’alto là, si dice: no, non è stato un errore, era voluto, naturalmente Calderoli non dice: l’ho voluto io, altrimenti si capirebbe perché l’hanno fatto, dice: questo suggerimento di cancellare questo decreto e quindi questo reato, ci è arrivato da una Commissione ministeriale che era stata istituita a suo tempo per riformare il Codice dell’ordinamento militare dal governo Prodi, è il solito discorso, è colpa del governo precedente, sono loro che ci hanno detto: cancellate quella norma e noi l’abbiamo cancellata, ma i responsabili di quella Commissione, tra cui un generale fanno sapere che non è vero niente, loro non avevano affatto detto di cancellare quella norma, sono stati gli uffici di Calderoli a aggiungerla, quindi non si provassero a dare la colpa alla Commissione istituita dal Governo Prodi perché l’hanno fatto loro surrettiziamente, cercando poi di attribuirlo a quella Commissione.

Calderoli mente al suo stesso governo
Noi siamo di fronte a un governo che è stato raggirato, se tutte le cose che ci siamo detti sono vere. E secondo l’Italia dei valori che ha sollecitato e ha aperto la richiesta di sfiducia individuale del Ministro Calderoli, quest’ultimo ha mentito al Parlamento e al suo governo, addirittura, impedendo che venisse corretto quello che era talmente assurdo da far pensare a un errore materiale.Sostenendo che invece non era un errore materiale ma era giusto fare così e che a fare così era stato indotto da una Commissione, mentre in realtà quella Commissione non l’aveva indotto, era stato lui a prendere l’iniziativa, e sappiamo con quali conseguenze il salvataggio dei 36 imputati a Verona. Adesso bisognerà vedere quando viene fissata la votazione e la discussione in Parlamento della sfiducia individuale a Calderoli, perché quest’ultimo ha già detto: se ci fossero le prove che ho mentito al Parlamento me ne andrei io per primo, la posta in gioco l’ha sintetizzata Massimo ?Donadi?, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera che ha fatto degli accertamenti sull’iter di questo strano codicillo che è stato aggiunto all’ultimo momento nel Decreto sull’ordinamento militare e che è molto interessante, soprattutto in questo periodo in cui il Governo fa la faccia feroce e finge di essere il tutore dell’ordine pubblico.
Donadi ha scritto una lettera al Presidente della Camera Fini che è stata pubblicata da Il Fatto Quotidiano che aveva tirato fuori per primo questa depenalizzazione di questo reato innescando poi tutto quello che è successo dopo, sono cose gravissime, non le avete mai sentite raccontare in televisione, sui giornali etc., ma sono cose gravissime, proprio per questo non ve le hanno raccontate! “Gentile Presidente fini – le è ben noto, scrive Donadi – che a ottobre è stata illegittimamente abrogato il reato di associazione militare con scopi politici e che di questo ritengo essere responsabile il Ministro per la semplificazione normativa – Calderoli – il Ministro che ci accusava di averlo attaccato ingiustamente, le ha scritto in una lettera che mentire al Parlamento è un fatto di tale gravità e se mai lo avesse fatto si sarebbe prontamente dimesso. Nel corso della discussione sulla mozione il Ministro ha mostrato il testo di uno schema di Decreto Legislativo, affermando che si trattava del “testo prodotto dal Comitato scientifico, la Commissione istituita da Prodi, inviato alle concertazioni interministeriali con lettera dell’aprile 2009 e che già riporta il Decreto Legislativo del 1948 tra quelli da abrogare, colpa del Comitato Prodi”. Ciò appare in netto e inconciliabile contrasto sia con la lettera inviata a me e allo stesso Ministro dal Magistrato che ha presieduto il Comitato scientifico – il quale dice: noi non abbiamo mai fatto niente di tutto questo – sia con un’altra lettera datata 6 ottobre inviata dallo stesso magistrato al Ministero per la semplificazione e al Ministero della difesa, in cui c’è scritto “il Comitato ha chiuso i lavori di collazione dell’intero corpus normativo, in vista della consegna al Signor Ministro della Difesa prevista per il successivo lunedì 30 marzo 2009, alla data di sabato 28 marzo, hanno chiuso i lavori di assemblaggio di queste norme che mandavano al Ministero perché fossero abrogate o modificate alle 21,30 del 28 marzo 2009, dopo avere scrupolosamente controllato quale ultimo adempimento l’elenco delle fonti abrogate e che a quella data l’abrogazione in questione non era presente in alcun modo negli schemi.
Già da queste due lettere emerge che o ha mentito il Ministero, o hanno mentito un magistrato del Consiglio di Stato che presiedeva quel Comitato scientifico e altri 4 magistrati di quel Comitato scientifico che non hanno mai smentito le affermazioni del Presidente della Commissione tecnica che dice “noi non abbiamo mai indicato quella norma tra quelle da abrogare”. Ci sono tuttavia altri documenti in grado di dimostrare che il testo dello schema di Decreto Legislativo che il Ministro Calderoli ha fornito ai deputati, è falso, la prova di ciò si trova nei 3 seguenti documenti protocollati presso il Ministero della difesa: 1) il verbale della riunione plenaria e del Comitato scientifico insieme con i tecnici del Ministero coinvolti, 18 febbraio 2009, nella quale si è deciso il calendario futuro delle riunioni del Comitato; 2) il verbale della riunione plenaria svoltasi dal 26 al 28 marzo 2009, nel corso della quale si è proceduto al controllo formale delle norme primarie abrogate e si è chiusa la bozza dello schema da consegnare al Ministero – non c’è l’abrogazione del decreto del 1948 -; 3) il file informatico sorgente contenente la bozza dello schema su cui ha lavorato il Comitato scientifico che è un file legale che conserva le tracce delle modifiche che si sono succedute, delle persone che le hanno apportate e dell’ora in cui sono state fatte, in questi documenti vi è la prova che il Ministro per la semplificazione normativa, Calderoli, ha mentito al Parlamento italiano e che sua è la responsabilità dell’illegittima abrogazione del reato di associazione militare con scopi politici. Ritengo che il Ministro per la semplificazione normativa debba mettere a disposizione del Parlamento i documenti che ho indicato per permettergli di valutare i fatti nella loro successione e completezza.
Le ho scritto questa lettera con grande rammarico per la gravità che i fatti accaduti hanno per le istituzioni democratiche e ho fiducia che questa vicenda, per l’importanza che riveste non venga ridotta a una mera polemica politica strumentale, mi auguro che in tutti sia forte il senso dello Stato e della difesa delle istituzioni”.
A questo punto o Donadi sta mentendo o i 5 magistrati del Comitato scientifico hanno mentito o gli uomini del Ministero della Difesa hanno mentito dicendo: noi non abbiamo proposto niente del genere, oppure noi non sapevamo niente del genere è stato un errore materiale e allora si devono dimettere il Ministro La Russa, Donadi, bisogna cacciare questi magistrati contabili che hanno formato la Commissione del Governo Prodi, oppure ha mentito Calderoli, nel qual caso se ne deve andare non dal governo, dalla politica, deve sparire perché un Ministro che mente al Parlamento presentando carte false, non può semplicemente lasciare il governo, deve lasciare la politica, secondo voi così a naso chi ha mentito? E perché l’informazione non parla di questo scandalo che se è possibile, è ancora più grave di tanti altri scandali che occupano le pagine dei giornali? Mistero ma noi di Passaparola, noi de Il Fatto, del blog di Beppe Grillo serviamo a questo, a dare le notizie che gli altri non danno e quindi sappiate che tutti quelli che pontificano, contro il ritorno agli anni 70 hanno abolito un reato fondamentale per punire eventuali comportamenti tipo anni 70, quelli che loro evocano continuamente, vogliono la galera per gli studenti e hanno abolito la galera per le bande paramilitari, per salvare dalla galera i loro amichetti della Guardia nazionale padana e questo è sicuro, chi ha mentito lo deciderà il Parlamento e speriamo che quando verrà scovato chi ha mentito, venga cacciato dal governo e dal Parlamento.

Leggeteci ancora su Il Fatto, buone feste ancora una volta, vi ricordo che c’è la possibilità fino all’Epifania di regalare a qualche amico un abbonamento de Il Fatto e essendo un abbonato che regala un altro abbonamento al suo amico, per il secondo abbonamento ci sono forti sconti sul sito de Il Fatto trovate tutto, passate parola e buon inizio di anno!

AGGIORNAMENTO.
Dopo la registrazione del Passaparola, il 22 dicembre la Camera dei deputati ha votato la mozione di sfiducia proposta dall’Idv contro il ministro Calderoli per lo scandalo della depenalizzazione del reato di associazione paramilitare con finalità politiche. E l’ha respinta grazie ai voti di Pdl e Lega, alle astensioni di Fli, Udc e dei 6 radicali eletti col Pd, ma anche grazie alle abbondanti assenze tra le file del Pd.
Tutti presenti i deputati della Lega (100%) e dell’Idv (100%), quasi tutti quelli del PdL (91,4%), mentre il Pd schierava solo l’82,9%, con ben 35 assenti. Eccoli: Bersani, Bobba, Bossa, Bressa, Bucchino, Causi, Cavallaro, D’Alema, De Micheli, De Torre, Duilio, Fadda, Fedi (malato), Ferrari, Fioroni, Garavini, Garofani, Gentiloni, Ginoble, Grassi, Letta Enrico, Lulli, Marini Cesare, Marroccu, Mastromauro, Mecacci, Melandri, Merloni, Mogherini (ha appena partorito), Nicolais, Piccolo, Pizzetti, Rigoni, Sanga. Altri 5 del Pd, quelli provenienti dal Partito radicale, han fatto di peggio e si sono astenuti insieme al Terzo Polo: Beltrandi, Bernardini, Coscioni, Turco, Zamparutti.
Risultato finale: presenti 545, votanti 481, astenuti 64, maggioranza 241, favorevoli (alla sfiducia) 188, contrari 293. Mozione respinta, Calderoli salvo.

Antimafia Duemila – “Ganzer si accordo’ con pericolosi trafficanti”

Fonte: Antimafia Duemila – “Ganzer si accordo’ con pericolosi trafficanti”.

“Il generale Gianpaolo Ganzer non si è fatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimi trafficanti ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di droga garantendo loro l’assoluta impunità. Ganzer ha tradito per interesse lo Stato e tutti i suoi doveri tra cui quello di rispettare e fare rispettare la legge”.

Con queste parole i giudici del Tribunale spiegano perché il 12 luglio scorso condannarono il capo del Ros dei carabinieri Gianpaolo Ganzer a 14 anni di reclusione per traffico internazionale di droga in riferimento a operazioni sotto copertura.

“Il generale Gianpaolo Ganzer non si è fatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimi trafficanti ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di droga garantendo loro l’assoluta impunità. Ganzer ha tradito per interesse lo Stato e tutti i suoi doveri tra cui quello di rispettare e fare rispettare la legge”.

Con queste parole i giudici del Tribunale spiegano perché il 12 luglio scorso condannarono il capo del Ros dei carabinieri Gianpaolo Ganzer a 14 anni di reclusione per traffico internazionale di droga in riferimento a operazioni sotto copertura.

Via d’Amelio, di strage in mistero. La recensione di MicroMega

Fonte: Antimafia Duemila – Via d’Amelio, di strage in mistero. La recensione di MicroMega.

Proponiamo due estratti da “Gli Ultimi Giorni di Paolo Borsellino. Dalla strage di Capaci a via d’Amelio” di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo (Aliberti editore).
Nel libro i retroscena inediti dei giorni che hanno preceduto la strage di via d’Amelio del ‘92.
PREFAZIONE – di Antonio Ingroia

Non è il primo libro dedicato a Paolo Borsellino e non sarà l’ultimo. Almeno lo spero. Perché la copiosa letteratura che si è formata spontaneamente intorno alla sua vicenda umana e professionale testimonia il crescere di interesse per la figura di questo eroe moderno della nostra democrazia. Un vero modello di vita da proporre ai nostri giovani, davvero alternativo rispetto ai modelli devianti spesso imposti dall’imperante semplicismo mediatico, tutti imperniati sulla furbizia, la prevaricazione, l’indifferentismo etico e l’egoismo morale. E non solo. Perché l’abbondanza della letteratura sulla morte di Paolo Borsellino attesta anche quanto sia urgente l’aspettativa di verità, inappagata la sete di giustizia, diffusa l’esigenza di chiarezza su una vicenda ancora troppo oscura, gravida di ombre, schiacciata dai buchi neri dei silenzi e dei depistaggi istituzionali.
Il principale merito di questo bel libro di due giornalisti franchi e coraggiosi come Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo è quello di essere riuscito a essere diverso dagli altri, dai tanti libri – anche pregevoli – dedicati al tema. Perché non è un libro come gli altri. In primo luogo, perché non sposa tesi precostituite o ipotesi più o meno congetturali. Certo, non è del tutto imparziale. Perché è un libro partigiano, nel senso che fa le sue scelte di campo. Ma sono scelte di campo chiare, le stesse di Paolo Borsellino. Sta dalla parte della Verità e della Giustizia. A qualsiasi costo. In secondo luogo, perché lo fa con uno stile originale e complesso. Perché usa lo stile narrativo, ma non è solo il racconto drammatico degli ultimi giorni di vita di Borsellino.
Usa lo stile del reportage giornalistico, ma non è soltanto un’inchiesta giornalistica. È l’uno e l’altro. È la cronaca appassionata degli ultimi giorni di Borsellino. Giorni drammatici, dalla strage di Capaci, dove Borsellino perdeva, nello stesso momento, l’amico più grande e il collega più prezioso, fino a via D’Amelio, suo tragico epilogo, attraverso un itinerario irto di ostacoli, sempre più in salita. Una specie di calvario di iniziazione, alla fine del quale Borsellino forse trova la verità della strage di Capaci o ci arriva così vicino da rimanere vittima di quella stessa scoperta. Ma il libro è anche una preziosa e aggiornata guida per il lettore fra le più importanti informazioni e acquisizioni sulla verità di quella stagione stragista.
È per questo motivo, per questa struttura, che nella prima parte del libro funziona bene il racconto in forma narrativa, che riproduce molto efficacemente l’atmosfera da tragedia greca di quella vicenda umana, con quel senso immanente di morte che trasuda dalle pagine, attorno a temi eterni come il sacrificio, il martirio, la verità, l’altruismo etico.
E quando la storia sembra finire, con la tragica morte di Borsellino, ecco che ricomincia, riprende il suo cammino sulle gambe di altri uomini. Perché è questa la novità del libro. Prima il racconto di quei giorni, che non è quasi mai narrazione individuale, in soggettiva, ma è storia corale, attraverso i testimoni, i familiari, gli amici, i colleghi più cari di Borsellino che raccontano i momenti più intensi di quelle giornate di passione, e che da testimoni e da cittadini si propongono come prosecutori dell’opera dei caduti di cui hanno raccolto il testimone. Ed esaurito il racconto, inizia la vera propria inchiesta giornalistica, che ha il merito di essere l’ultimo e il più aggiornato quadro dello stato delle indagini su quella strage, terribile e ancora oggi oscura. Con i suoi depistaggi, deviazioni dalla verità, dubbi, ombre e buchi neri.
Tutte vicende non ancora concluse, alcune delle quali mi vedono protagonista, o testimone dei fatti accaduti nel 1992, accanto a Paolo Borsellino – il mio maestro, il magistrato col quale ho iniziato la mia carriera di pubblico ministero antimafia – o come investigatore che oggi si trova a indagare su vicende collaterali, ma verosimilmente collegate alla strage. Per esempio la cosiddetta trattativa che si sarebbe sviluppata fra Stato e mafia proprio a cavallo delle due stragi palermitane.
Senza poter entrare, per ovvie ragioni di riserbo investigativo, nel merito delle vicende narrate nel libro, non posso non rilevare quanto minuziosa, precisa, distaccata e obiettiva sia la ricostruzione dei fatti e delle inchieste ancora aperte che qui viene fatta, parlando di tutti i misteri: dalla trattativa, alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, ai dubbi sul luogo dal quale venne premuto il telecomando dell’autobomba, ai retroscena della falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino, fino ai tanti sospetti sui depistaggi istituzionali su cui sta indagando l’autorità giudiziaria di Caltanissetta.
Insomma, una storia aperta che non ha, non può ancora avere una sua conclusione fin quando non verrà scoperta tutta la verità su una delle stragi di mafia più anomale della storia della nostra Repubblica, e che perciò trova la spiegazione più plausibile della sua anomalia nella sua matrice verosimilmente non solo mafiosa, come sospettammo tutti fin dalla stessa sera della strage. Un’intima consapevolezza di tanti che ora sembra diventare concretezza investigativa, e forse si appresta a trasformarsi in certezza probatoria.
Un importante contributo alla chiarezza in un momento di grande confusione nel nostro Paese, all’emergere della verità in una fase molto delicata della storia d’Italia. Con l’augurio che coloro che quella Verità la vogliono fortemente riescano a prevalere sui Nemici della Verità e della Giustizia.


DI STRAGE IN MISTERO – 

di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo

Un carabiniere avanza spedito nell’arena insanguinata di via D’Amelio. Il capitano Giovanni Arcangioli regge in mano la borsa in cuoio di Borsellino. Scavalca brandelli di carne e pozzanghere rosse. Scansa i mattoni caduti a terra come coriandoli. Lo sguardo è distaccato. E’ concentrato su quello che deve fare. Un fotografo riesce a immortalare quell’immagine. Anche le telecamera di due Telegiornali nazionali riprendono la scena. Ma in pochi istanti Arcangioli si allontana da via D’Amelio. Scompare dalla visuale di qualsiasi apparecchiatura fotografica e di video riprese. Inizia così il mistero della sparizione dell’agenda rossa del magistrato appena assassinato. Quell’agenda che Paolo Borsellino portava sempre con sé all’interno della valigetta tenuta in mano da Arcangioli. Poco dopo lo scoppio dell’autobomba il primo ad arrivare sul posto è Giuseppe Ayala che abita a 200 metri di distanza. Si avvicina al punto dell’esplosione di via D’Amelio, riconosce per terra Paolo Borsellino. Dopo lo choc iniziale si guarda intorno. Con lui ci sono solo gli uomini della sua scorta. Subito dopo arriva la prima pattuglia di polizia e i vigili del fuoco.
In mezzo a quel delirio Ayala si accosta alla macchina del giudice, al suo interno vede la sua borsa. Un agente della sua scorta, l’appuntato dei carabinieri Rosario Farinella, si fa aiutare da un vigile del fuoco per aprire la portiera posteriore sinistra della Croma del giudice. L’esplosione ha incastrato le lamiere, ma dopo un paio di tentativi si riesce finalmente ad aprire. L’appuntato Farinella prende la valigia di Borsellino e la porge all’ex Pm. «Io personalmente ho prelevato la borsa dall’auto – dichiara Farinella agli investigatori – e avevo voluto consegnarla al dr. Ayala. Questi però mi disse che non poteva prendere la borsa in quanto non più magistrato, per cui io gli chiesi che cosa dovevo farne. Lui mi rispose di tenerla qualche attimo in modo da individuare qualcuno delle Forze dell’Ordine a cui affidarla. Unitamente a lui ed al mio collega ci siamo allontanati dall’auto dirigendoci verso il cratere provocato dall’esplosione, mentre io reggevo sempre la borsa».
«Dopo pochissimi minuti – ricorda l’appuntato dei carabinieri – non più di 5-7, lo stesso Ayala chiamò un uomo in abiti civili che si trovava poco distante e che mi indicò come ufficiale o funzionario di polizia, dicendomi di consegnargli la borsa. Allo stesso, il dr. Ayala spiegava che si trattava della borsa del dr. Borsellino e che l’avevamo prelevata dalla sua macchina […]; l’uomo che ha preso la borsa non l’ha aperta, almeno in nostra presenza; ricordo che appena prese la borsa, lo stesso si è allontanato dirigendosi verso l’uscita di Via D’Amelio, ma non ho visto dove è andato a metterla». Quello che avviene subito dopo in quella via è un buco nero degno della Spectre di Bondiana memoria. Arcangioli si allontana dal cratere di via D’Amelio con la valigetta in mano. E’ questione di minuti e la borsa ricompare di nuovo nel sedile posteriore della Croma di Borsellino. In via D’Amelio sono sopraggiunti nel frattempo il commissario Paolo Fassari (I Dirigente della Polizia di Stato, Funzionario reperibile per la Squadra Mobile di Palermo in assenza del dirigente Arnaldo La Barbera) e l’assistente capo di Polizia, Francesco Paolo Maggi.
Dopo aver espletato alcune attività investigative Francesco Maggi si avvicina alla Croma di Borsellino. La portiera posteriore sinistra è aperta. Sul sedile posteriore è appoggiata la valigetta di Borsellino. Lo stesso Maggi racconterà di averla prelevata dall’auto, di averla portata in questura e su indicazione di Fassari. Verso le ore 18,30 la borsa è nell’ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Ma nella valigetta non verrà ritrovata l’agenda rossa. Si ripetono così i lugubri «canoni» della maggior parte degli «omicidi eccellenti». Alle personalità uccise viene trafugato un oggetto personale ritenuto compromettente per i mandanti di quell’omicidio. Non ha importanza che si tratti di un diario, di un’agenda o di un video. Non deve rimanere alcuna traccia del lavoro della vittima. Non deve rimanere memoria delle sue analisi, dei suoi riscontri o delle sue deduzioni. L’oggetto trafugato deve finire nelle mani di chi potrà eventualmente usarlo come arma di ricatto verso terzi. Una metodologia palesemente al di fuori dalle mere logiche di vendetta di Cosa Nostra nei confronti dei propri nemici.
Il mistero che ruota attorno alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino si impregna così di quei «sistemi criminali» che sono alla base dello stragismo nel nostro Paese. Le «menti raffinatissime» che ordinano di fare sparire l’agenda del magistrato temono che tra quelle pagine vi sia la prova delle sue conoscenze di quel «gioco grande» che aveva individuato. La forza dirompente dell’integrità morale di Paolo Borsellino, unita alla sua straordinaria professionalità sono in assoluto i fattori destabilizzanti per quelle entità esterne a Cosa Nostra. Una serie di convergenze di interessi tra Cosa Nostra e centri para-istituzionali si intersecano indissolubilmente quel 19 luglio 1992. E la storia è tutta da riscrivere.

YouTube – Berlusconi salvo per 3 voti! 314-311

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ComeDonChisciotte – PIÙ STATO MENO MERCATO

Fonte: ComeDonChisciotte – PIÙ STATO MENO MERCATO.

DI JOHN KLEEVES
centroitalicum.it/

La leggenda del capitalismo e del libero mercato

Dimenticate Marx e pensate ex novo al Capitalismo. Cosa si intende per Capitalismo? Un’economia di libero mercato, il quale lasciato a sé stesso e senza interventi statali permette la creazione di grandi ricchezze concentrate.
Si intende questo, eppure se ci pensiamo vediamo che con un mercato veramente libero non potrebbero affatto crearsi grandi ricchezze concentrate: con un mercato veramente libero non potrebbe esserci il Capitalismo!
Il fatto è che le grandi ricchezze concentrate, diciamo le grandi aziende, per nascere e mantenersi hanno bisogno sempre di opere pubbliche, di opere della collettività.

Immaginiamo ogni grande azienda, di qualunque settore, ai suoi albori. L’industria dell’auto per esempio. Dopo l’invenzione del semovente in vari Paesi degli imprenditori pensarono alla produzione di massa. Hanno venduto bene le prime serie, ma poi avrebbero dovuto fermarsi: era necessaria una rete stradale adatta. Ma in un mercato libero lo Stato non ti fa le strade perché devi vendere le tue auto ma ti dice: se le vuoi compra i terreni e asfalta, caro il mio imprenditore privato, e rispetta i diritti dei confinanti, che sono liberi cittadini in un libero mercato.

Avrei voluto vedere come avrebbero potuto svilupparsi i colossi del settore, come la Ford o la Fiat: avrebbero dovuto comprare striscia di terra dopo striscia di terra, asfaltarla, recintarla e dotarla di un’infinità di sottopassaggi e cavalcavia, curarne la manutenzione, rendere conto degli incidenti che vi avvenivano. Sarebbe stato impossibile anche il primo passo, l’acquisto dei terreni, perché ogni contadino avrebbe chiesto cifre esorbitanti è ovvio.
Sarebbe rimasto al nostro candidato capitalista delle quattro ruote il mercato militare: jeep e camion per l’Esercito, che viaggiavano sulle strade da lui fatte, per i suoi scopi. E il tutto vincolato dallo Stato (divieto di esportare, tipi di prodotti, eccetera), perché è roba di importanza strategica.
Oppure pensiamo all’industria aeronautica e alle compagnie aeree. Begli oggetti gli aerei passeggeri, ma richiedono aeroporti e in un libero mercato lo Stato ti risponde come prima: Cosa c’entro io? Fatteli! E in luoghi deserti, dove non infastidiscano nessuno col rumore, perché i miei cittadini sono liberi cittadini in un libero mercato, e hanno dei diritti.

Rimarrebbe come prima solo il mercato militare, con basi escluse ai voli civili. Poca cosa e coi soliti vincoli.
Oppure pensiamo all’energia elettrica da portare a ogni domicilio: grandioso, ma occorre attraversare con i cavi le proprietà degli altri, che potrebbero rifiutare o chiedere un tot, perché sono liberi cittadini in un libero mercato. Lo stesso per telefoni e telefonate: bisogna attaccare cavi alle case altrui. O per il trasporto via mare, per l’import-export e per le crociere turistiche: hai bisogno di porti attrezzati e in un libero mercato o te li fai o non trasporti. Lo stesso per ogni altro settore potenzialmente atto a dar luogo a grandi aziende, al grande capitale. Semplicemente in un libero mercato, e ripeto libero, queste non possono neanche nascere.

Si obietterà: ma così sarebbe impossibile lo sviluppo economico e civile! L’osservazione è irrilevante: questi sono gli esiti di un libero mercato di liberi uomini. E poi lo sviluppo economico e civile non sarebbe impossibile; solo, dipenderebbe dalla volontà dello Stato, che comincerebbe a fare i patti con le aspiranti grandi aziende o imprese: faccio le strade, i porti, eccetera, ma voglio la maggioranza della proprietà delle vostre aziende perché sono io che vi faccio vivere. In breve – sorpresa – l’esito fisiologico di un veramente libero mercato è la statalizzazione di ogni attività economica rilevante. Puoi possedere tutti i mezzi di produzione che vuoi, ma se il mercato è proprio libero non vai da nessuna parte.

Le Vere Leggi del libero mercato

E anche se per mera ipotesi, per passatempo speculativo, concediamo che in un libero mercato possano nascere grandi aziende private, come farebbero poi a mantenersi? Un libero mercato è un mercato dove la gente per quanto riguarda i fatti economici fa e disfà a suo piacimento, e lo Stato non interviene, non premia e non punisce. Non lo ha detto Adam Smith, il profeta del Capitalismo, che lo Stato non deve interferire, che ci pensa la invisible hand (la “mano invisibile”) del libero mercato a regolare tutto per il meglio?
Bene, allora io compro a credito e non pago: è un atto economico e lo Stato non deve intervenire. Dirà il medesimo: Non c’è stato furto (non ha preso la roba dallo scaffale ed è scappato) ma il mancato rispetto di un patto economico fra le parti: il mercato è libero, per definizione non possono esserci leggi che lo regolino, e quindi arrangiatevi; neanche chiedo la restituzione della merce, perché la vostra transazione, non essendo regolamentata, non ha valore giuridico e perciò chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, ma se in seguito alle recriminazioni ci sono violenze su persone o cose interverrò invece immancabilmente, a punirne l’autore.

Cosa rimane ai produttori e ai venditori in questo regime di libertà economica?

Cosa fa la invisible hand?

Dice di consegnare la merce solo a fronte di un pagamento immediato e in contanti, ecco cosa dice. Come fa il contadino al mercato: nella mia mano il cavolfiore, nella tua il soldo. E questa è la Prima Vera Legge dell’economia di libero mercato.
Ma così, appunto, addio grandi aziende, addio banche, addio Capitalismo. L’invisible hand di Adam Smith protende il medio, gli gira dietro la schiena, e va su.
Oppure io vedo sul libero mercato un bell’oggetto, lo faccio uguale e lo vendo, magari a un prezzo più basso, perché sono un mago nell’arte della concorrenza. Strilli e strepiti del fabbricante originale, ma cosa deve dire lo Stato in un mercato libero? Che la cosa non lo riguarda perché io non ho rubato oggetti (ho pagato il campione ostentatamente, o meglio, l’ho comprato a credito), non ho fatto violenze né altro, ma solo lavorato, da cittadino libero in un libero mercato, dove si può fare nell’economico tutto quello che si vuole.

Cosa dice ora l’invisible hand? Dice che non val la pena di far niente che possa essere riprodotto a costo inferiore dal primo napoletano che passa, che è la Seconda Vera Legge dell’economia di libero mercato. E ripete il suo gesto su Adam Smith.
Oppure io sono un bambino ignorante, che non vuole andare a scuola. Il Capitalista protesta con lo Stato: Obbliga i genitori a mandarlo a scuola almeno sino ai 16 anni, dove insegnerai queste e queste materie, e poi allettali a mandarlo all’università, perché mi servono operai, quadri e dirigenti per la mia azienda; beninteso, io non garantisco il posto a nessuno, perché c’è il libero mercato!

Ma in un Paese a libera economia di mercato lo Stato per mere ragioni di civiltà impone un’istruzione di base, che a 12 anni è senz’altro soddisfatta, e poi non obbliga più nessuno a continuare perché non deve raggiungere alcun obiettivo economico: il mercato fa da sé, non è vero? Se chi continua non è sufficiente per le esigenze dello Stato (scuole, ospedali, ricerca, Esercito, eccetera), questi pagherà studenti perché continuino, garantendo anche l’impiego. Cosa dice l’invisible hand ? Che al massimo si può possedere una fattoria con tanti braccianti agricoli perché per il resto bisognerebbe formarsi il personale a proprie spese, cosa proibitiva: la Terza Vera Legge dell’economia di libero mercato. Ancora la mano invisibile torna su Adam Smith.
Oppure io sono un ladruncolo di supermercato, come ce ne sono decine di migliaia. Ho rubato e lo Stato è disposto a processarmi, ma vuole la presenza fisica del proprietario leso, che dica che la merce era sua, perché in un libero mercato, dato che l’economico non è regolamentato, solo le persone fisiche sono anche persone giuridiche, che possano promuovere azioni giudiziarie. Se si tratta del proprietario di una catena di supermercati dovrà passare la vita fra un processo e l’altro in tutte le città del Paese. Se è una società per azioni con tanti azionisti dovranno muoversi tutti: sono i proprietari. Ovvio che ogni volta bisogna lasciare perdere. L’invisible hand ? Dice che non si deve sorpassare la dimensione del negozietto di famiglia, perché altrimenti si è spolpati dai furti: la Quarta Vera Legge dell’economia di libero mercato.

Il capitalismo è un fatto politico

Si potrebbe continuare a lungo, ma il concetto è chiaro: il Capitalismo non è per niente un frutto dell’economia di libero mercato. Adam Smith si è sbagliato di grosso e tutti gli altri gli sono andati dietro su questa impostazione, anche il signor Karl Marx.

Cos’è allora, il Capitalismo?

In prima istanza è un fatto politico. Esso rappresenta il comando sull’intera società da parte di una categoria precisa di persone: gli imprenditori. La categoria che comanda in una società potrebbe essere qualunque: i coltivatori diretti, i soldati, i preti, i saggi, i manovali; anche tutti (tramite un Autocrate: le monarchie e gli Imperi non costituzionali). Col Capitalismo questa categoria è quella degli imprenditori.
Ecco perché il Capitalismo si è potuto formare: gli imprenditori hanno preso il sopravvento politico ed hanno modellato la società in modo da potersi sviluppare a danno del resto della collettività, accumulando così le grandi ricchezze concentrate.

Hanno cominciato a prendere questo sopravvento nel Cinquecento, in Europa settentrionale, in modo concomitante con la Riforma Protestante. Modellando la società la prima cosa che hanno fatto è stata proprio quella di togliere la libertà di mercato, portando i governi ad intervenire e a legiferare nell’economico costantemente a loro favore. L’attuazione è avvenuta per gradi col sistema di governo detto della “Democrazia parlamentare”: ci sono le elezioni, che sono influenzate dai media, che a loro volta sono potentemente influenzati dal danaro, e quindi il gioco è fatto. Ciò è riuscito perché il tutto è stato fondato sull’equivoco dell’amore per la “libertà”, bella parola in effetti (è un vecchio trucco quello di adulare la vittima designata; si chiama il bacio della morte).

Quando il dominio degli imprenditori è molto forte si arriva a impedire la partecipazione al voto degli elettori potenzialmente ostili: negli Stati Uniti la legislazione e gli accorgimenti elettorali fanno in modo che la percentuale di votanti alle elezioni di Contea – le più importanti perché i loro esiti determinano le successive Statali e Presidenziali – non superi il 25% degli aventi teoricamente diritto; comunque nelle Statali non si fa superare la percentuale del 35% e nelle Presidenziali del 50%.
In questo caso si ha una dittatura vera e propria, ancorché surrettizia; è da chiamare dittatura dell’imprenditoriato. Dato che una grande ricchezza è assai difficile da accumulare, ma una volta fatta quasi automaticamente si conserva e anzi aumenta sempre più coi discendenti, la categoria degli imprenditori al comando diventa rapidamente una casta ereditaria. Così è con certezza sempre negli Stati Uniti, dove sembra che le grandi ricchezze vadano e vengano con grande facilità, e dove invece non cambiano mai indirizzo: quel 50% della ricchezza nazionale che è posseduto dall’1% della popolazione proviene, di eredità in eredità, dai tempi coloniali.

L’efficienza del Capitalismo

La leggendaria efficienza economica del Capitalismo è anch’essa un fatto politico. Non dipende dalla logica con cui in esso si svolgono tecnicamente i rapporti economici. Dipende dal suo potere politico: più è grande questo potere e maggiore è l’efficienza economica.
Prendiamo ancora gli USA: da cosa dipende la loro famosa efficienza, quella sbandierata sempre dalla Confindustria?

Dallo stato di terrore in cui sono tenuti i dipendenti, da cui sono pretese prestazioni impensabili. Il dipendente americano deve eseguire perfettamente quanto chiestogli, altrimenti è licenziato. Quanto chiestogli è un ritmo e una qualità di lavoro, e per chi è a contatto col pubblico anche un preciso atteggiamento. Fanno più pena i secondi dei primi. Impiegati e commessi devono essere gentilissimi e pazientissimi col cliente, sorridere molto spesso per farlo sentire gradito e importante, e così fanno sempre, anche quando apparentemente potrebbero prendersi qualche libertà. Perché? Perché ci sono i controlli: incaricati di agenzie di consulenza aziendale – dei poveracci a loro volta, pagati a cottimo o con la minimum wage – si fingono clienti nel massimo modo sgradevole deciso dalla ditta committente come tollerabile, e l’impiegato che butta il copione è licenziato.

I dipendenti pubblici sono controllati in modo particolare: tutti i turisti italiani negli USA che entrano in un ufficio postale rimangono meravigliati dal confronto con i buzzurri di casa e dicono: Che efficienza! Che gentilezza! Ti credo. Io posso aggiungere che sono anche onesti: offrigli una bustarella e ti denunceranno subito, perché penseranno che sei un agente provocatore. E la pena per un dipendente pubblico corrotto è tremenda: non solo è licenziato e sottoposto al giudiziario per una condanna detentiva e il risarcimento dei danni, fissati sempre su misura per togliergli tutti i beni mobili e immobili, ma perde anche la pensione maturata.
La pena insomma è: prima ti farai un po’ di prigione e poi tu e la tua famiglia sarete degli homeless per sempre. Fra l’altro il ricatto sulla pensione è il segreto della formidabile disciplina delle Forze Armate americane: non c’è uomo più zelante e ubbidiente agli ordini di un militare americano vicino alla pensione (sempre che non debba rischiare la pelle davvero, si intende).
In breve l’efficienza americana non è dovuta al sistema capitalista, ma al terrore, un terrore che si è potuto instaurare appunto perché si ha una dittatura politica.
Qualunque dittatura può raggiungere l’efficienza americana, qualunque tipo di economia abbia: basta che introduca pene analoghe. Ciò però non si è mai verificato.

Perché ?

Perché nessuna è mai stata l’espressione della categoria degli imprenditori, nessuna è mai stata così ferocemente, fisiologicamente, antipopolare.
Le dittature classiche, che conosciamo, sono state o sono tutte popolari, tese a fare l’interesse circa di tutti, come lo vedevano o lo vedono. L’esempio di riferimento è la dittatura del proletariato, ma anche fascismo e nazismo rientrano, anche dittature come quelle di Gheddafi e Saddam Hussein.
Le dittature dell’America Latina, e analoghe, non c’entrano nulla col discorso : sono regimi imposti dall’esterno, guarda caso proprio dagli USA ; sono un tipo di amministrazione coloniale.

E l’efficienza dei Paesi dell’Europa Occidentale? Qui il potere politico degli imprenditori non è così assoluto come negli USA ed effettivamente la loro efficienza economica è più bassa. E’ ancora notevole però, ed è dovuta senz’altro alla paura che Paese per Paese gli imprenditori sono riusciti, sempre per via politica, a istillare nei dipendenti.

L’efficienza minima si ha nell’amministrazione pubblica italiana, perché non è possibile il licenziamento né altro, praticamente; nelle aziende private invece si ricorre a torture psicologiche devastanti, come il mobbing ad esempio, che sempre partono dall’alto per forzare le dimissioni. Sono dei reati, delle aggressioni (che ogni tanto risultano fatali: sono le “morti bianche”), che non sono riconosciuti dal Codice Penale solo perché i loro responsabili hanno troppo potere politico.
Ma le cose possono cambiare e si spera sempre che le galere possano finalmente riempirsi della gente giusta. Non bisogna comunque esagerare la portata dell’efficienza economica dell’Occidente. E’ capitalista-terrorista, dove più e dove meno, ma è anche colonialista, e non è facile valutare quale delle due cose incida di più nei Prodotti Nazionali. Bisognerebbe provare, ecco: togliergli lo sfruttamento coloniale e vedere che fine fa. Secondo me, non un granché.

Il capitalismo è anche un fatto esistenziale

In seconda istanza il Capitalismo è un fatto esistenziale. Esistenziale perché implica una valutazione della realtà umana assoluta, svincolata dal tempo e dallo spazio. Perché gli imprenditori, cioè i ricchi, prendano il sopravvento occorre per forza un qualche consenso generale: occorre l’ammissione, magari inconscia – appunto esistenziale – che ne abbiano diritto. Ciò è fornito dalla religione Protestante, che interpretando correttamente l’Antico Testamento dice che la ricchezza materiale è il segno della predilezione divina. E se i ricchi sono gli approvati da Dio allora dovranno governare. Ecco perché la scalata al potere degli imprenditori e la Riforma Protestante sono andate di pari passo.

In conclusione il Capitalismo è un individuo siffatto: si veste da banchiere, ma è un fior di politico, e culturalmente è un Protestante. Questo ci dice che atteggiamento tenere. Innanzitutto occorre smettere di parlare di economia con lui. L’economia non c’entra niente: è un effetto e non la causa.
La causa è la politica e su questo tavolo va fatto il discorso. Che verte sulla solita, primordiale domanda delle società umane: Chi comanda ?
Lui dice che comandano gli imprenditori e noi diciamo che non ci sta bene, perché né lo siamo né lo vogliamo essere.
Lui dice che vince le elezioni e noi diciamo che le sue elezioni sono truccate. Sono truccate perché i media sono in suo possesso e la gente – è scientificamente dimostrato – non riesce a discriminare bene fra quello che dicono i media e il suo reale interesse. Inoltre si approfitta degli ignoranti e degli scoraggiati – dei poveri in pratica – per indurli a non esercitare il loro diritto elettorale, perché nonostante i media gli sarebbe sfavorevole.
Accetteremo il verdetto delle elezioni solo quando saranno giuste.

Non lo saranno mai?

Più che vero, ma ci accontenteremo di una grossolana approssimazione: proporzionale pieno, obbligo di voto forzoso per tutti, quotidiani solo dei partiti e mantenuti dallo Stato (non c’è nulla di peggio di un giornale “libero” e “indipendente”), televisione solo pubblica e gestita con parità da tutti i partiti a prescindere dalle loro consistenze elettorali, obbligo per le librerie di tenere i libri di valenza politica (come i libri di storia, ad esempio) pubblicati da tutte indistintamente le case editrici, divieto di importazione di prodotti culturali stranieri con valenza di propaganda (ad esempio di tutti i film americani).
E’ poco, è niente, ma sarà più che sufficiente a tenere ogni volta gli imprenditori ben lontani dal potere.
Basterebbe al limite l’obbligo forzoso del voto: se in una qualunque società la percentuale dei votanti è vicina al 100% – come democrazia vuole, non è vero? – il Capitalismo sparisce.

E il diritto divino dei ricchi a dominare sancito dal Vecchio Testamento?

Al Vecchio Testamento potranno credere i Protestanti e gli Ebrei, se vogliono. Noi non siamo né l’uno né l’altro, né – per carità – vorremo mai esserlo. Noi abbiamo un’altra dimensione esistenziale, noi operiamo un’altra valutazione delle cose, in cui un testo così insensato, in più dimostrato e ridimostrato falso (“profezie” retrodatate, taglia e cuci di documenti, fonti accertate come una leggenda Sumera e il Libro dei Morti egiziano, eccetera), non trova udienza. Noi se siamo religiosi al massimo crediamo nel Nuovo Testamento. E vi crediamo perché dice una cosa verosimile, e cioè esattamente l’inverso del Vecchio: che per i ricchi non c’è salvezza. Infatti “E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco raggiungere il Regno dei Cieli”, e il Discorso della Montagna non contempla certo un bel “Beati i ricchi perché…”.

Se i ricchi sono condannati da Dio, perché dovrebbero comandare sulla terra? Al contrario, visto che hanno sollevato loro – nel Cinquecento – il problema delle gerarchie, bisognerà stabilire che devono essere comandati, che devono cominciare a scontare la pena, qua fra di noi.

John Kleeves

Dal numero 11-12 novembre-dicembre 2000 di ITALICUM

Massimo D’Alema tra minacce e bugie | Peter Gomez | Il Fatto Quotidiano

Fonte: Massimo D’Alema tra minacce e bugie | Peter Gomez | Il Fatto Quotidiano.

Massimo D’Alema, esattamente come avevano fatto in casi analoghi Silvio Berlusconi e i suoi collaboratori, smentisce il contenuto dei cablogrammi dell’ambasciata Usa, pubblicati da Wikileaks. L’ex presidente del Consiglio assicura di non aver mai detto, nel luglio del 2007, all’ambasciatore Ronald Spogli che la ”la magistratura è la più grande minaccia allo Stato italiano“.

È molto difficile credergli.

I dispacci tra le ambasciate e Washington vengono redatti ad uso interno. L’amministrazione americana richiede che siano precisi e circostanziati perché anche sulla base di quelle informazioni viene poi decisa la politica estera Usa. La pretesa (di Berlusconi e D’Alema) di dipingere le feluche statunitensi come un gruppo di imprecisi pasticcioni, soliti riassumere a casaccio il contenuto degli incontri con i loro interlocutori, fa quindi sorridere.

Nel caso di D’Alema, poi, basta veramente poco per capire come quelle parole sulla magistratura siano state da lui effettivamente pronunciate.

Nell’estate del 2007 D’Alema, Nicola La Torre e Piero Fassino, dovevano fare i conti con il deposito delle intercettazioni del caso Unipol-scalate bancarie. In quei giorni gli attacchi al gip Clementina Forleo, che come prevede la legge aveva messo il materiale a disposizione delle parti e poi ne aveva richiesto l’autorizzazione all’utilizzo al Parlamento, erano quotidiani.

Il contenuto dei nastri, del resto, dimostrava come tra gli uomini della Quercia ci fosse stato chi era intervento a piedi uniti nella competizione tra banche. Primo tra tutti D’Alema che, tra le altre cose, era arrivato a offrire un aiuto al big boss di Unipol Giovanni Consorte per convincere uno dei protagonisti economici della vicenda (Vito Bonsignore, allora eurodeputato Udc) a non intralciare il suo assalto alla Banca Nazionale del Lavoro. Il tutto in cambio di una mai precisata “contropartita” politica.

Insomma leggendo le carte era facile accorgersi che D’Alema, durante i mesi delle scalate, non si era limitato a fissare le regole del gioco per poi osservare la partita economica da fuori, come dovrebbe fare la politica. E che nemmeno si era limitato a tifare per uno dei contendenti, come per due anni aveva sostenuto. Era invece sceso in campo di nascosto e aveva tentato di dare una mano a Consorte per buttare la palla in rete.

Un comportamento sconcertante che, una volta scoperto, aveva suscitato imbarazzo e rabbia nell’elettorato di centrosinistra. E che aveva portato D’Alema e una parte dei Ds a reagire con toni e argomentazioni speculari a quelle utilizzate da Berlusconi.

Quando le intercettazioni erano state messe a disposizione degli avvocati e le prime indiscrezioni erano state riportate dai giornali, Il Corriere della Sera e La Repubblica avevano, per esempio, pubblicato uno sfogo di D’Alema, in cui l’ex presidente del Consiglio diceva: “La magistratura s’è comportata in modo inaccettabile. Forse li abbiamo difesi troppo, questi magistrati. Ma adesso dobbiamo reagire. Diciamoci la verità: è una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Qualcuno consente che si alimenti un clima da caccia grossa per mettere dei cittadini alla berlina. Allora dico: siamo ancora uno Stato di diritto? Io non vedo alcuna ragione di giustizia in tutto questo, dev’esserci dell’altro sotto… Magari tagliano, incollano, saltano pezzi di frase. Il metodo delle intercettazioni è distorsivo per sua natura… Quale elemento giustifica la pubblicazione di quel materiale? Quello che succede è intollerabile, dopo questo si apre lo spazio a ogni forma di giustizialismo e di barbarie. Nel resto del mondo non accadono cose del genere. Il bello è che facciamo conferenze sulla giustizia in Afghanistan, ma dovremmo occuparci di noi, del nostro sistema. Perché qui c’è una questione grande come una casa… “.

Poi D’Alema si era presentato al TG5 e, dopo aver ringraziato Fini, Casini e Berlusconi per “le parole molto misurate” sullo scandalo Unipol, aveva tra l’altro affermato: “Si vuole indebolire il sistema politico e si cerca di colpire la forza più consistente di questo quadro politico“.

Insomma se questo era quello che il leader diessino dichiarava pubblicamente (per poi rincarare la dose qualche settimana dopo, al momento della richiesta di utilizzo delle intercettazioni)  ci si può davvero sorprendere se all’ambasciatore Spogli ha detto:La magistratura è la più grande minaccia allo Stato italiano?. Ovviamente no.

Su una cosa però D’Alema ha ragione. Una minaccia allo Stato italiano c’era e c’è ancora. È quella rappresentata dal rapporto malato tra politica e affari. Un rapporto che ha sì il suo massimo rappresentante in Silvio Berlusconi, il super imprenditore che si è fatto presidente del Consiglio. Ma che attraversa in varia misura tutti i movimenti politici.

Nel 2007, proprio partendo dallo spunto fornito dalle intercettazioni, all’interno dei Ds ci fu chi tentò di parlarne. Per esempio un padre nobile della Quercia come Alfredo Reichlin o il riformista Andrea Ranieri. Ma nelle direzioni del partito furono entrambi zittiti. “La questione morale non esiste“, dicevano i vertici.

Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti. Nonostante la crisi del berlusconismo, nonostante gli scandali che attanagliano il governo, il centrosinistra non riesce a guadagnare consensi. Tra l’originale (Berlusconi) e la copia (le cosiddette opposizioni) gli italiani che ancora votano, continuano a scegliere l’originale.

Gli altri invece restano a casa. Ma per capire il perché non serve Wikileaks. La cronaca, purtroppo, basta.

Usa, quei soldi donati dalle lobby Per influenzare politici e leggi | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano

Il lobbismo è secondo me una forma di corruzione legalizzata…

Fonte: Usa, quei soldi donati dalle lobby Per influenzare politici e leggi | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano.

Un’inchiesta del Washington Post mostra come i gruppi di potere interessati a una norma spesso fanno donazioni a favore dei membri del Congresso che devono approvarla

I politici americani finanziano le loro campagne elettorali con ingenti raccolte fondi. E le lobby se ne approfittano: usano le donazioni per “comprare” modifiche alle norme che non piacciono. Un’inchiesta del Washington Post mostra come, durante l’iter di approvazione delle leggi, i gruppi di potere donano spesso denaro ai politici. Per il quotidiano americano, questa pratica può di fatto alterare il normale corso legislativo, per favorire interessi specifici.

Tra i casi riportati dal Washington Post c’è quello del senatore Max Baucus, presidente della commissione incaricata di supervisionare i nuovi regolamenti in materia di pressione fiscale. Il mese scorso il senatore ha organizzato per il suo compleanno una raccolta fondi che gli ha fruttato 5mila dollari. Nello stesso giorno in cui la Camera votava il nuovo pacchetto fiscale sugli interessi finanziari, del valore di 858 milioni di dollari. Kate Downen, portavoce del senatore, ha negato che Baucus si sia lasciato influenzare dal denaro ricevuto: “Il solo fattore determinante per il voto del senatore è se un procedimento è giusto per il Montana e per il nostro Paese”. Ma secondo David Levinthal, portavoce dell’associazione pro trasparenza Centre for Responsive Politics, “i cittadini percepiscono questo genere di pratiche come casi di quasi corruzione. La gente si chiede se chi dona questi soldi stia cercando di ottenere una particolare iniziativa legislativa. Oppure se sia il politico nella commissione a sollecitare le donazioni perché sa quali sono gli interessi in ballo, e ne vuole trarre profitto”. Associazioni come il Centre for Responsive Politics chiedono che i membri del Congresso sottoscrivano regole più chiare e rendano le donazioni più trasparenti, per fugare ogni dubbio.

Il problema delle donazioni “a tempo”, in perfetta sincronia con le fasi più importanti dei procedimenti legislativi, è stato sollevato per la prima volta lo scorso giugno, quando è stato reso noto che l’Ufficio etico del Congresso (Oce) ha aperto un’inchiesta su donazioni sospette di centinaia di migliaia di dollari, a vantaggio di otto parlamentari, in concomitanza con un voto cruciale su regolamenti più stringenti per le transazioni rischiose di Wall Street. Gran parte delle donazioni è arrivata dal settore finanziario e la somma più grande è andata al presidente della commissione che discuteva la norma, il senatore Charles Schumer: 90mila dollari, di cui 49mila donati dalla Ernst & Young, una delle quattro maggiori società di revisione contabile del mondo. Che lavora per alcuni dei più grandi gruppi finanziari che operano a Wall Street. Proprio questa settimana, lo stato di New York ha presentato una denuncia contro la compagnia, accusandola di aver creato una nube di fumo burocratica con lo scopo di nascondere il debito accumulato dalla Lehman Brothers, la prima società a dichiarare bancarotta nel settembre 2008. “In quel periodo, il senatore Schumer stava combattendo attivamente per promuovere alcune delle proposte di legge più temute dalle banche”, ha dichiarato il suo portavoce Brian Fallon. Dopo le battaglie però, Schumer e gliu altri membri della della commissione hanno trovato il tempo di organizzare 54 eventi nel solo mese di giugno per raccogliere fondi da utilizzare in campagna elettorale. Per il portavoce di Schumer le coincidenze temporali sono irrilevanti. Ora rimane da convincere il resto del popolo americano.

di Davide Ghilotti