Archivi del mese: luglio 2011

ComeDonChisciotte – DA LEE OSWALD A LEE OSLO, VIA “GLADIO” ?

Che un singolo riesca a fare tutto questo casino mi pare diffiecile da credere. Per il resto il movente e gli indizi per un’operazione dei servizi segreti ci sono tutti…

Fonte: ComeDonChisciotte – DA LEE OSWALD A LEE OSLO, VIA “GLADIO” ?.

DI WEBSTER TARPLEY
tarpley.net

Erano più di uno a far fuoco sull’isola. Un’esercitazione sull’esplosione di bombe appena conclusa a Oslo. Forse una vendetta della NATO per la decisione della Norvegia di non bombardare più la Libia?

 

I tragici attentati terroristici in Norvegia presentano un certo numero di segni rivelatori di una provocazione false flag (sotto falsa bandiera, NdT) . È stato riferito che – sebbene i media mondiali stiano cercando di focalizzare l’attenzione su Anders Behring Breivik in veste di assassino solitario nella tradizione di Lee Harvey Oswald – molti testimoni oculari concordano sul fatto che un secondo tiratore era all’opera nel massacro presso il campo estivo giovanile di Utøya, fuori Oslo .

È anche emerso che una unità speciale di polizia aveva condotto una simulazione o esercitazione, nel centro di Oslo, che includeva la detonazione di bombe: esattamente ciò che ha causato il massacro a poche centinaia di metri di distanza poco più di 48 ore più tardi. Ulteriori ricerche rivelano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti stavano conducendo un vasto programma di reclutamento di ufficiali in pensione della polizia norvegese con lo scopo presunto di disporre atti di sorveglianza all’interno del paese. Questo programma, noto come Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS, ha fornito un tramite perfetto per la penetrazione e la sovversione della polizia norvegese da parte della NATO.

 

È inoltre presente un movente per l’attacco: come parte del suo tentativo di far crescere una politica estera indipendente, compreso l’imminente riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese inserito in un riavvicinamento generale con il mondo arabo, la Norvegia stava guidando gli stati più piccoli della NATO che intendevano tirarsi fuori dalla coalizione di aggressori imperialisti che sta attualmente bombardando la Libia. La Norvegia aveva programmato di mettere fine a tutti i bombardamenti e agli altri assalti contro le forze di Gheddafi non più tardi del 1° agosto.

Infine, l’operazione CIA consistente in rivelazioni parziali controllate (limited hangout, nell’orig., NdT), nota come Wikileaks, ha già fornito un caso prefabbricato e pubblicamente disponibile per incompetenza e illeciti contro l’attuale governo norvegese, che sta facendo tutte queste cose, sotto forma di una serie di dispacci reali o manipolati che documentano la presunta negligenza di questo governo nell’affrontare la minaccia terroristica, il tutto secondo la visuale dei funzionari del Dipartimento di Stato USA.

 

Il giornale VG di Oslo: “Diversi” testimoni oculari affermano che c’erano due tiratori sull’Isola

Come si è visto, la stampa mondiale e i media della scuola anglo-americana si sono immediatamente fissati su Breivik come un caso esemplare di assassino solitario dello stesso stampo di Lee Harvey Oswald, Sirhan Sirhan, e tanti altri. Il problema per i mitografi del terrore è che, nella maggior parte di questi casi, vi sono credibili se non schiaccianti prove che queste figure non avrebbero potuto agire da sole. Tra i più recenti assassini solitari, Breivik potrebbe essere paragonato al maggiore Nidal Hasan di Fort Hood, in Texas, la cui sparatoria con carneficina risale al novembre 2009. Hasan è accusato di aver ucciso sette persone. A quel tempo, si ritenne degno di nota che Hasan era riuscito a uccidere così tanti soldati armati nella base militare. Ma i primi rapporti suggerivano che c’era un altro se non altri due sparatori oltre a Hasan. Come accade di solito, questi tiratori supplementari furono presto cancellati dalla versione dominante nei media. “>[1]

Nel caso norvegese, la prova che Breivik non era da solo a rivendicare il suo tributo spaventoso di vittime è chiara e convincente. Ecco alcuni estratti da un articolo pubblicato dal quotidiano di Oslo VG:

«Molti dei giovani che erano presenti al dramma della sparatoria di Utøya, hanno riferito a VG di essere convinti che ci debba essere stato più di un esecutore. Marius Helander Roset la pensa così: – “Sono sicuro che si sparava da due diversi punti dell’isola, contemporaneamente”, ha dichiarato.

 

Testimoni: – C’erano due persone

La polizia ritiene che Anders Behring Breivik (32 anni) sia l’esecutore vestito da poliziotto, e lo hanno incriminato per due attacchi terroristici. I giovani intervistati da VG descrivono un esecutore aggiuntivo, che non indossava l’uniforme della polizia. La persona che li seguiva era alta circa 180 centimetri, aveva folti capelli scuri e un aspetto nordico. Aveva una pistola nella mano destra e un fucile sulla schiena. – “Io credo che ci fossero due persone che stavano sparando”, sostiene Alexander Stavdal (23 anni) ….

Alla conferenza stampa di sabato mattina la polizia ha affermato che ci sarebbero potuti essere diversi esecutori e ha sottolineato che c’è un’indagine in corso» [2]

La presenza di un secondo tiratore è ovviamente più scomoda per la teoria dell’assassino solitario, in quanto rappresenta la prova incontrovertibile di una associazione cospirativa criminale, l’elemento essenziale che la copertura mediatica è generalmente ansiosa di evitare. Nel caso norvegese, i riferimenti a un secondo sparatore sembravano essere sufficientemente persistenti anche 36 ore dopo l’evento principale, tanto da poter far resistere qualche speranza che la versione ufficiale possa essere interamente abbattuta sulla base di questo particolare.

 

La polizia aveva svolto esercitazioni facendo brillare delle bombe nella stessa area pochi giorni prima

Un altro segno rivelatore critico di un’operazione false flag proviene dallo svolgimento di simulazioni o esercitazioni, ufficialmente per fini di controterrorismo – da parte della polizia o dei militari contemporaneamente all’attacco terroristico, o poco prima che l’attacco terroristico vero e proprio iniziasse. A volte, le esercitazioni o simulazioni in ordine ad atti terroristici sono programmate in modo da iniziare poco dopo il momento in cui l’attacco terroristico effettivo avviene. In questi casi si scopre spesso che la sedicente esercitazione o simulazione anti-terrorismo contiene un’azione simulata o un evento che ricorda fortemente l’attacco terroristico nel mondo reale, quello che uccide davvero la gente. I media poi faranno riferimento a un’incredibile coincidenza o a una concomitanza strana, ma la realtà è che l’esercitazione terroristica è stata presa o rivoltata in diretta nella forma di uccisioni reali. Il segreto sta nel fatto che l’esercitazione con copertura legale è stata utilizzata per condurre o ricalcare il massacro reale attraverso un apparato governativo le cui risorse sono necessarie per eseguire l’atto terroristico, ma in cui ci sono molti funzionari ai quali non si consente di sapere cosa stia succedendo.

Gli eventi in Norvegia forniscono un esempio molto chiaro di questo principio. A Oslo, una potente bomba è esplosa dentro o vicino all’edificio che ospita l’ufficio del Primo Ministro. Esattamente come ci aspetteremmo, unità speciali anti-terrorismo della polizia si esercitavano con l’esplosione di bombe in una zona vicina della capitale norvegese poco più di 48 ore prima. Il pubblico non era stato informato in anticipo, ma ha scoperto quello che stava accadendo quando ha iniziato a sentire le bombe martedì e mercoledì, mentre la bomba principale è esplosa venerdì. Ecco cosa riferisce il giornale Aftenposten:

«Poliziotti armati sono stati visti nella zona intorno al Teatro dell’Opera di Oslo, e violente esplosioni si potevano udire su gran parte della città. Nessuno sapeva che era tutta una questione di esercitazioni. La Sezione Informazione della polizia di Oslo si rammarica profondamente che il pubblico non fosse a conoscenza dell’esercitazione così apparentemente drammatica …. Si trattava della squadra di emergenza, l’unità speciale della polizia nazionale contro il terrorismo, che stava conducendo una simulazione nella zona delimitata presso il molo di Bjørvika. Secondo un comunicato stampa emanato dalla polizia, quasi un giorno dopo l’esercitazione, la simulazione consisteva in una formazione sul campo nel trattare la detonazione controllata di cariche esplosive …. L’esercitazione continuerà per il resto del Mercoledì sera e si prevedono un paio di ulteriori esplosioni…. L’esercitazione ha seguito un modello che risulta familiare a tutte le forze anti-terrorismo di tutto il mondo: gli uomini si calavano dal tetto e si introducevano dalla finestra che era stata appena fatta esplodere, intanto che sparavano». [3]

Peter Power della Visor Consultants disse alla BBC Radio Five sulla scia degli attentati alla metropolitana di Londra del 7 luglio 2005 che la sua impresa aveva condotto un esercitazione basata su esplosioni che dovevano avvenire sostanzialmente nelle stesse stazioni della metropolitana londinese e alla stessa ora in cui le vere esplosioni sono effettivamente accadute. Gli eventi norvegesi presentano lo stesso tipo di strana coincidenza.

 

Un movente: la Norvegia ha deciso di mettere fine ai bombardamenti della Libia entro il 1° agosto

Gli obiettivi degli attacchi terroristici norvegesi sono tutti espressamente politici, compresi gli uffici governativi e un campo estivo dei giovani del Partito Laburista oggi al governo, e quindi vanno in direzione della politica. Il governo della Norvegia è attualmente una coalizione composta dal Partito Laburista, il Partito Socialista di Sinistra, e il Partito di Centro. La Norvegia ha sempre cercato di coltivare una politica estera filo-araba, come si evidenzia nella sua sponsorizzazione degli accordi di pace di Oslo tra il primo ministro israeliano Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat a metà degli anni novanta. L’attuale governo ha annunciato la sua intenzione di concedere il riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese nel prossimo futuro. Quando lo scorso febbraio è iniziata la destabilizzazione della Libia, il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Støre del partito laburista ha messo in guardia i partner della Norvegia nella NATO dal farsi coinvolgere.

Ma subito dopo, la Norvegia ha ceduto alle pressioni degli Stati Uniti e ha accettato di partecipare al bombardamento NATO della Libia per un periodo iniziale di tre mesi, inviando sei aerei che hanno effettuato circa il 10% di tutti i bombardamenti annoverati dall’Alleanza atlantica. Tuttavia, allo scoccare finale dei suoi tre mesi di impegno, la Norvegia aveva ridotto il suo contingente a quattro aerei per il mese di luglio, e il 10 giugno ha comunicato l’intenzione di ritirarsi del tutto entro il primo agosto dalla coalizione dei bombardamenti NATO.

La decisione norvegese di abbandonare la coalizione di attacco della NATO si è associata con una mossa simile dei Paesi Bassi, che è stata annunciata nella stessa data del 10 giugno. Gli olandesi hanno deciso di mantenere il loro contingente di sei aerei, ma non prenderanno più parte a bombardamenti su obiettivi a terra. D’ora in poi, gli olandesi sono disposti solo ad aiutare a far rispettare la no-fly zone attraverso l’interdizione aerea. C’era quindi la possibilità che l’esempio della Norvegia avesse potuto innescare una tendenza generale da parte degli stati più piccoli della NATO ad uscire dalla coalizione di bombardamento, in cui la loro presenza collettiva è altamente significativa.

Esponenti di spicco del governo norvegese sono stati tra i primi a minimizzare la presunta logica che sottostava al bombardamento della NATO, intanto che sollecitavano trattative: «Le soluzioni ai problemi in Libia sono politiche, non possono essere risolte con mezzi militari», ha dichiarato il Primo Ministro norvegese Stoltenberg ai giornalisti riuniti per una conferenza a Oslo il 13 maggio. «Stiamo sostenendo vigorosamente tutti gli sforzi intesi a trovare una soluzione politica alle sfide cui ci troviamo di fronte in Libia», ha aggiunto. Il governo norvegese … ha promesso di ridimensionare il suo ruolo negli attacchi aerei alla Libia orchestrati dalla NATO dopo che il suo attuale impegno di tre mesi termina il 24 giugno. [4]

Questa era la politica dell’intero governo norvegese: «La Norvegia ridimensionerà il suo contributo con i caccia in Libia da sei a quattro aerei e si ritirerà completamente dalla operazione a guida NATO entro il 1° agosto», ha dichiarato venerdì il governo…. Il ministro della Difesa Grete Faremo ha detto che si aspetta la comprensione da parte degli alleati NATO perché la Norvegia ha una piccola forza aerea e non può “mantenere un grande contributo con i caccia durante un lungo periodo.” La forza aerea della Norvegia sostiene intanto che i suoi jet F-16 hanno effettuato circa il 10 per cento dei bombardamenti aerei della Nato in Libia a partire dal 31 marzo. I partiti della coalizione di governo di centro-sinistra della Norvegia, erano stati in disaccordo sulla possibilità di estendere la partecipazione del paese, che avrebbe dovuto scadere il 24 giugno. La fazione più di sinistra nel governo, il Partito Socialista di Sinistra, si è opposta a una proroga, ma un compromesso è stato raggiunto affinché si rimanesse in funzione fino al 1° agosto con un minor numero di aerei. «È saggio porre fine al contributo dei caccia norvegesi. Ora la Norvegia dovrebbe impiegare i suoi sforzi per trovare una soluzione pacifica in Libia», ha dichiarato il deputato Baard Vegar Solhjell del Partito Socialista di Sinistra. [5]

 

Il Dipartimento di Stato si è lamentato della “mancanza di impegno” della Norvegia per l’avventura libica

La decisione norvegese di smettere di combattere la guerra contro la Libia, la prima di questo tipo da parte di qualsiasi membro dell’alleanza atlantica, ha attirato l’attenzione degli osservatori diplomatici, uno dei quali ha commentato che l’attuale governo di Oslo ha auspicato «un approccio nettamente più pacifico alle politiche globali da parte del governo norvegese …. [nonostante] le recenti pressioni da parte degli Stati Uniti in Norvegia affinché contribuisse maggiormente alla campagna militare in Libia. La Norvegia ha opposto resistenza a queste pressioni e ha spinto per un approccio più tranquillo agli attacchi della NATO sulla Libia guidati dagli USA, e ha rifiutato di fornire armi alla NATO, annunciando infine il mese scorso che la Norvegia avrebbe lasciato il suo ruolo militare in Libia dal 1° agosto. Nel mese di marzo, quando gli Stati Uniti stavano mettendo assieme il sostegno unilaterale volto a invadere la Libia, la Norvegia del ministro degli esteri Jonas Gahr Støre è stata una delle poche nazioni a mettere in guardia gli Stati Uniti contro l’intervento armato in Libia. La Norvegia inizialmente ha fornito sei aerei da combattimento per le operazioni di Libia e ha realizzato circa il 10% degli attacchi a partire dal 19 marzo. Tuttavia, i funzionari degli Stati Uniti hanno segnalato Norvegia e Danimarca per la loro ‘mancanza di impegno’ nella missione determinata a mandar via Gheddafi … Altri legami Norvegia-Libia includono grandi interessi della Norvegia in Libia in materia di petrolio e fertilizzanti: la compagnia norvegese Statoil, posseduta dallo stato, ha circa 30 dipendenti presso i suoi uffici a Tripoli …. Aziende [norvegesi] hanno condotto importanti operazioni di business in Libia, in collaborazione con il regime di Gheddafi. » [6]

Allo stato attuale delle indagini, la migliore valutazione circa il motivo degli attentati norvegesi è quella di punire il paese per la sua politica estera indipendente e filo-araba in generale, e per il suo ripudio della coalizione dei bombardamenti NATO schierata contro la Libia in particolare.

 

Le Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS sono la nuova Gladio per la Norvegia?

Gli operatori dell’intelligence di USA e NATO hanno dimostrato di possedere capacità straordinarie all’interno della Norvegia, molti dei quali possono essere operativi al di fuori del controllo del governo norvegese. Ai primi di novembre 2010, il canale televisivo TV2 Oslo ha messo in luce l’esistenza di una vasta rete di risorse e di informatori segreti a libro paga dell’intelligence USA reclutati tra le fila dei poliziotti in pensione e altri funzionari. L’obiettivo apparente di questo programma era la sorveglianza dei norvegesi che stavano prendendo parte a manifestazioni e altre attività critiche nei confronti degli Stati Uniti e delle loro politiche. Uno dei norvegesi reclutati era l’ex capo della sezione anti-terrorismo della polizia di Oslo. [7]

Sebbene l’obiettivo consistesse ufficialmente solo nella sorveglianza, è possibile immaginare altre attività assai più sinistre che potrebbero essere svolte da una simile rete di poliziotti in pensione, compresa l’individuazione e la sovversione di mele marce presso le forze di polizia in servizio attivo. Alcune delle funzionalità di una rete di questo tipo non sarebbero del tutto estranee al genere di eventi che si sono appena verificati in Norvegia.

Il nome ufficiale per il tipo di cellula di spionaggio che gli Stati Uniti stavano creando in Norvegia è Surveillance Detection Unit (SDU, ossia Unità di sorveglianza e rilevamento, NdT). Le SDU a loro volta, operano nel quadro del Security Incident Management Analysis System (SIMAS, sistema di analisi nella gestione degli incidenti di sicurezza, NdT). Il SIMAS è noto per essere stato utilizzato per spionaggio e sorveglianza da parte delle ambasciate degli Stati Uniti non solo nel blocco nordico di Norvegia, Danimarca e Svezia, ma in tutto il mondo. Gli eventi terroristici inoltre sollevano la questione se il SIMAS abbia una dimensione operativa. Potrebbe questo apparato rappresentare una versione moderna delle reti Stay Behind della Guerra Fredda istituite in tutti i paesi della NATO e più conosciute sotto il nome della branca italiana, Gladio?

Al governo norvegese occorrerà scoprirlo. Finora i ministri norvegesi hanno affermato che non hanno mai approvato la rete di SDU della SIMAS. «Non abbiamo mai saputo nulla su di essa,» hanno affermato il ministro della Giustizia norvegese Knut Storberget e il ministro degli Esteri Jonas Gahr Støre in coro. Hillary Clinton ha dichiarato invece che i norvegesi erano stati informati.

 

L’operazione di rilascio controllato di notizie Wikileaks di matrice CIA ha ragion d’essere nel tentativo di far cadere il governo norvegese.

Grazie alle discariche documentali rilasciate della sussidiaria CIA che cura le rivelazioni parziali controllate (limited hangout, nell’orig., NdT), generalmente conosciuta come Wikileaks, è già stato fornito un chiaro percorso per l’utilizzo degli attacchi terroristici norvegesi come base adatta a rovesciare l’attuale governo. Dispacci del Dipartimento di Stato veri o manipolati e cortesemente messi a disposizione da Wikileaks ritraggono il governo norvegese, che la NATO odia, come una manica di pasticcioni e mentecatti, incapaci di prendere misure efficaci per salvaguardare la sicurezza nazionale del paese.

Alcune di queste carte sono state pubblicate sulla scia degli attacchi terroristici di Londra dal Daily Telegraph, un giornale notoriamente vicino agli ambienti di intelligence della NATO. Secondo questo articolo, mentre «si parla del tentativo da parte del servizio di polizia di sicurezza (PST) di rintracciare una particolare sospetta cellula terroristica di Al-Qa’ida, un dispaccio scritto dall’ambasciatore USA in Norvegia, Barry White, descrive [il modo in cui le autorità norvegesi] … hanno rifiutato l’aiuto delle autorità del Regno Unito inteso a mettere sotto sorveglianza un potenziale sospetto e aggiunge: “Non solo non hanno indirizzato le proprie risorse su di lui … ma hanno anche appena rifiutato l’offerta da parte del servizio d’intelligence del Regno Unito di due squadre di sorveglianza di dodici persone ciascuna”. Il dispaccio continua affermando che i servizi di intelligence di Gran Bretagna e Stati Uniti hanno analizzato delle conversazioni in codice tra sospetti terroristi e hanno deciso di garantire la sorveglianza. Ma, dice il dispaccio, “Il PST ha invece trovato il modo di interpretare la stessa conversazione in codice tradotta sotto una luce più rosea e meno minacciosa, un’interpretazione che ha poco senso per gli USA o la Gran Bretagna.”» Un catalogo anche dei più recenti fallimenti e fiaschi dell’FBI e della CIA nella cosiddetta Guerra Globale al Terrore potrebbe contribuire a mettere questi giudizi ipocriti nella giusta prospettiva, ma sarebbe anche cosa troppo voluminosa per poter essere aggiunta qui.

Un altro particolare negativo sembra fatto su misura per un tentativo di incolpare i presunti pasticci del governo norvegese per l’attentato di Oslo: «Il memorandum rivela anche come, nonostante in apparenza ci fosse sorveglianza sul sospetto, il PST ha perso le tracce di un’attrezzatura adatta a fabbricare bombe che veniva conservata in un appartamento, dopo che è stata visibilmente rimossa senza che gli investigatori» se ne accorgessero. Il PST quindi non è riuscito a stare sulle tracce di un sospetto per 14 giorni perché l’investigatore a lui assegnato fu chiamato a svolgere un altro lavoro. Il memorandum conclude: «Il PST non è all’altezza … semplicemente non può tenere il passo.»

Un altro promemoria del Dipartimento di Stato propinato da Wikileaks, presumibilmente scritto nel 2007 … aggiunge: « la valutazione ufficiale delle minacce della polizia (PST)… afferma che le organizzazioni terroristiche internazionali non sono una minaccia diretta contro la Norvegia.» Un promemoria scritto nel 2008, mostra come gli Stati Uniti ritenessero che la Norvegia non fosse consapevole della possibilità di un potenziale attacco terroristico. Nel dispaccio si legge: «Noi premiamo ripetutamente sulle autorità norvegesi affinché prendano sul serio il terrorismo. Cercheremo di basarci su questo slancio per combattere l’ancora diffusa sensazione che il terrorismo accada altrove, non nella tranquilla Norvegia» E un dispaccio scritto solo lo scorso anno aggiunge: «Il PST ha visto di nuovo la Danimarca come un obiettivo più che la Norvegia, per ragioni molto specificamente legate alla controversia sulle vignette.» [8].

Il governo della Norvegia ha bisogno di passare all’offensiva e stabilire tutta la verità su ciò che è appena accaduto. In caso contrario, è probabile che il governo soccomberà alla campagna orchestrata internazionalmente che i documenti Wikileaks così chiaramente presagivano.

 

Riferimenti

[1] http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/1357-la-strage-unesercitazione-divenuta-realta.html.

[2] 2 Vedi RIA Novosti, 23 luglio 2011, http://en.rian.ru/world/20110723/165350450.html; – Dal sito web di VG: “Flere av ungdommene som var på Utøya under skytedramaet forteller til VG at de er overbevist om at det må ha vært mer enn én gjerningsmann. Det mener også Marius Helander Røset.” “Jeg har overbevist om at det var to personer som skjøt, sier Aleksander Stavdal (23).” “Vedkommende var i følge dem rundt 180 centimeter høy, hadde tykt mørkt hår og så nordisk ut. Han hadde en pistol i høyrehånden og et gevær på ryggen.” http://www.vg.no/nyheter/innenriks/oslobomben/artikkel.php?artid=10080627

[3] “Politiet glemte å informere om øvelse: Anti-terrorpolitiet avfyrte sprengladninger under en øvelse midt i Oslo, to hundre meter fra Operaen, men glemte å gi beskjed til publikum,” Aftenposten, c. July 20, 2011, http://mobil.aftenposten.no/article.htm?articleId=3569108

[4] “Libya solution more political than military-Norway,” Reuters, 13 May 2011, http://www.trust.org/alertnet/news/libya-solution-more-political-than-military-norway

[5] “Norway to quit Libya operation by August,” AP, June 10, 2011, http://www.signonsandiego.com/news/2011/jun/10/norway-to-quit-libya-operation-by-august/

[6] Tragic Irony Surrounds Oslo Bombing, Phuket Word, July 23, 2011, http://www.phuketword.com/tragic-irony-surrounds-oslo-bombings

[7] Thomas Borchert, “US-Geheimdienst mit Nordfiliale: USA lassen Norweger überwachen,” Deutsche Presse-Agentur, November 4, 2010.

[8] Mark Hughes, “WikiLeaks files show Norway unprepared for terror attack: Norway’s intelligence service had previously been criticized for its failure to keep track of suspected terror cells and the country was felt to be complacent about the prospect of a terror attack, secret cables from the WikiLeaks files reveal,” London Daily Telegraph, July 22, 2011. “http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/norway/8655964/WikiLeaks-files-show-Norway-unprepared-for-terror-attack.html

Versione originale:

Webster Tarpley
Fonte: http://tarpley.net
Link: http://tarpley.net/2011/07/24/norway-terror-attacks-a-false-flag/ 24.07.2011

Versione italiana:

Fonte: http://www.megachip.info
Link: http://www.megachip.info/finestre/zero-11-settembre/6520-da-lee-oswald-a-lee-oslo-via-qgladioq.html
25.07.2011

Traduzione a cura di PINO CABRAS

ComeDonChisciotte – A FALLUJA I BAMBINI-MOSTRO PER LE ARMI AMERICANE UTILIZZATE NEL 2004

Se non ricordo male l’ipotesi di mini bombe atomiche a Falluja era già stata fatta, anche supportata da misurazione di sismografi

Fonte: ComeDonChisciotte – A FALLUJA I BAMBINI-MOSTRO PER LE ARMI AMERICANE UTILIZZATE NEL 2004.

DI THOMAS BAIETTO Lemonde.fr

“L’esercito americano ha utilizzato armi nucleari in Iraq?” Questa la sorprendente domanda che France Info ha sollevato venerdì 10 giugno. In collaborazione con Paris-Match, Angelique Férat, corrispondente radio nella regione, ha visitato Fallujah, una città a circa 50 chilometri da Baghdad. Nel mese di aprile e novembre 2004 la città, roccaforte della ribellione sunnita, è stata presa d’assalto e parzialmente distrutta dalle forze statunitensi. Da allora, la città ha un numero molto elevato di bambini deformi alla nascita, tanto che secondo il giornalista “quasi ogni famiglia ha il suo ‘baby-mostro’.” Le autorità irachene si rifiutano di affrontare la questione e non esistono statistiche ufficiali.La giornalista francese non è la prima a prendere in considerazione la sorte dei bambini della città. Dal mese di maggio 2008, il canale televisivo inglese Sky News denuncia i tassi di malformazone congenita a Fallujah. Un responsabile di una ONG locale parla di 200 casi di malformazione, per lo più congeniti e posteriori al bombardamento della città. Il quotidiano inglese The Guardian se ne fa carico nel novembre 2009 pubblicando due articoli, un portfolio e un video-reportage. Il giornale ha intervistato una pediatra dell’ ospitale di Fallujah, che ha riportato di 37 bambini nati malformi in sole tre settimane. Ancora, una madre di famiglia intervistata ha riferito che nessuno dei suoi tre figli, dai tre ai sei anni, è in grado di camminare. Non possono nemmeno mangiare autonomamente.

 

I medici dell’ospedale sono perplessi. Per mancanza di prove, si rifiutano di disegnare un collegamento diretto con il combattimento che ha toccato la città nel 2004. Secondo loro, molti fattori possono spiegare queste malformazioni: l’inquinamento atmosferico, le radiazioni, inquinanti chimici, farmaci utilizzati durante la gravidanza, malnutrizione o lo stress della madre. Nel marzo del 2010, è stata la volta di un giornalista della BBC. “Quando sei lì, la prova è terribile”, ha testimoniato, spiegando di aver visto una fotografia di un bambino con tre teste.

 

“In circostanze normali, la probabilità di tali fenomeni è pari a zero” Questi reportages hanno attirato l’ attenzione degli scienziati. Christopher Busby, direttore dell’ agenzia di consulenza ambientale Green Audit e famoso per aver denunciato l’ utilizzo di armi all’uranio impoverito, si è recato sul posto e, insieme a Malak Hamdan e Entesar Ariabi ha realizzato un sondaggio, sottoponendo un questionario alla popolazione. I risultati sono stati pubblicati nel luglio 2010 sull’International Journal of Environmental Research and Public Health (n.d.r. Gazzetta Internazionale di Ricerca Ambientale e Sanità Pubblica). Nel periodo 2006-2009, il tasso di mortalità a Fallujah sarebbe stato pari all’80‰, quando i paesi vicini come l’Egitto e la Giordania, rispettivamente, mostravano il 19,8 e 17 ‰.

 

Nel dicembre 2010 sullo stesso giornale è comparso un nuovo studio realizzato da un altro gruppo di ricercatori. I risultati parlano da soli: a Fallujah un bambino ha una probabilità di nascere con malformazioni undici volte superiore che nel resto del mondo. “È fondamentale comprendere che, in circostanze normali, la probabilità di tali fenomeni è pari a zero”, spiega Mozhgan Savabieasfahani, uno degli autori del rapporto. Nel mese di maggio 2010, di 547 bambini nati, il 15 per cento presentava serie deformazioni, mentre l’11% nasceva prematuro (prima della trentesima settimana di gravidanza). Per la prima volta, questi risultati hanno indicato chiaramente la possibilità che le alterazioni genetiche osservate siano legate alle armi utilizzate dagli Stati Uniti, compreso l’uranio impoverito.

 

Meno radioattivo dell’uranio naturale, l’uranio impoverito è un metallo pesante e molto denso, utilizzato per fabbricare proiettili e migliorare la loro capacità di perforazione. Come tutti i metalli pesanti, presenta un rischio di avvelenamento se ingerito o se le schegge penetrano nella pelle. Il suo uso militare è regolarmente denunciato, ma non è mai stato stabilito alcun legame con i bambini di Fallujah.

 

“Uranio arricchito? É assurdo”

 

In uno studio recente che sarà pubblicato prossimamente sulla rivista scientifica inglese The Lancet, Christopher Busby va oltre. Dopo aver analizzato campioni di suolo, capelli, aria e acqua, egli sostiene di aver trovato tracce di uranio arricchito. “L’uso di uranio arricchito su un campo di battaglia dove si trovano i propri soldati è assurdo” sostiene invece Merchet Jean-Dominique, giornalista esperto in materia militare e autore del blog Secret Défense. Contrariamente all’ uranio impoverito, è radioattivo. L’utilizzo è militare, per la propulsione di sottomarini o portaerei e bombe nucleari.

 

Il giornalista ricorda anche che quando era al potere, Saddam Hussein, aveva sfruttato il caso di bambini malformati. “Portava i giornalisti a visitare gli orfanotrofi dove c’ erano bambini affetti da deformità”, ricorda. Pertanto, in attesa della pubblicazione dell’articolo sulla rivista The Lancet e di altri riscontri, Jean-Dominique Merchet invita alla cautela.

 

 

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Fonte: http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2011/06/10/a-fallouja-les-bebes-monstres-soulevent-des-questions-sur-les-armes-americaines-utilisees-en-2004_1534674_3218.html

 

10.07.2011

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di WALLE

 

PD, terremoto in diretta- Blog di Beppe Grillo

Fonte: PD, terremoto in diretta- Blog di Beppe Grillo.

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Buongiorno a tutti, ci siamo arrivati come ci siamo detti per anni e cioè al tracollo ormai visibile anche della Seconda Repubblica che muore dello stesso virus che si era portato via la prima: l’illegalità, la corruzione e le collusioni con il malaffare finanziario e mafioso e curioso che quelle forze dell’ ordine che dovrebbero essere mandate a rastrellare il Parlamento colmo di inquisiti e di condannati, vengano mandate invece a picchiare la gente che si oppone alla costruzione di una di delle grandi opere che forse è l’ultimo cascame degli anni 80, della stagione delle opere faraoniche dello sperpero di denaro pubblico e della corruzione sottostante che è il Tav Torino – Lione.

Il Parlamento è peggio del Paese (espandi | comprimi)
Si è sempre detto in questi anni, noi abbiamo sempre contrastato questa scemenza che il Parlamento è lo specchio del paese.
Abbiamo fatto dei libri, io insieme a altri colleghi come Peter Gomez, Gianni Barbacetto, Marco Lillo in cui si raccontava che in Parlamento ci sono fissi ormai da 3, 4 legislature un centinaio tra imputati e indagati e dai 20 ai 30 condannati definitivi, il che significa che in Parlamento c’è un parlamentare su 10 che ha seri guai con la giustizia, se il Parlamento fosse lo specchio del paese, significherebbe che su 60 milioni di abitanti, 6 milioni di abitanti sono sottoprocesso o sono già stati condannati, una cosa semplicemente impensabile, quindi il Parlamento non è lo specchio del paese, il Parlamento è molto peggio del paese, anche se il paese non scherza! Vedete con quali arzigogoli in questi giorni si cerca di giustificare quello che sta accadendo, questa escalation, questa accelerazione di indagini su tangenti, mafie, appalti truccati, si cerca di raccontare la vicenda a prescindere dalle tangenti perché questo è il modo che si è usato per raccontare anche la storia di Tangentopoli dopo qualche mese dall’entrata al governo di Berlusconi nel 1994, si cominciò a dire che Tangentopoli non era scoppiata perché i politici rubavano, ma perché i magistrati avevano dichiarato guerra ai politici e sono più o meno 20 anni che ci raccontano questa favoletta della guerra tra politica e magistratura, per non dover ammettere che le indagini sui politici che rubano e che mafiano nascono perché ci sono molti politici che rubano e che mafiano e sono molti di più i politici che rubano e che mafiano rispetto a quelli che vengono indagati, perché ovviamente su reati nati da associazioni per delinquere così omertose e così impenetrabili quali sono sia il sistema della corruzione, sia il sistema delle mafie, è molto difficile scoprire le prove, scoprire le notizie di reato, sapete bene che i reati si dividono tra quelli a copertura totale e quelli a copertura parziale, quelli a copertura totale sono quelli che non si possono nascondere, gli omicidi sono tanti quanti gli omicidi che conosciamo sono tanti quanti quelli che vengono commessi, le rapine che vengono commesse le conosciamo tutte, i furti d’auto li conosciamo tutti, i furti in appartamento li conosciamo tutti, perché? Perché ovviamente la gente per le assicurazioni va a denunciare questi furti subiti, esattamente come gli omicidi ovviamente non possono passare inosservati, mentre invece la corruzione e i rapporti dei politici con la mafia, sono reati invisibili, quindi o parla chi li ha commessi, o parlano i complici di quelli che li hanno commessi, oppure è impossibile scoprirli, eco perché in quei casi occorrono i pentiti cioè i complici che collaborano con la giustizia e parlano oppure le intercettazioni che fanno parlare la gente senza che la gente sappia di essere ascoltata e è proprio per questo che in questi 20 anni, invece di colpire la corruzione e i rapporti di collusione tra mafia e politica, si è tentato in tutti i modi di colpire i due principali strumenti con i quali i magistrati andavano a scoprire questi reati invisibili.
Da un lato si sono colpiti i pentiti con la riforma Fassino – Napolitano che praticamente li ha aboliti per legge, rendendo non più conveniente per un mafioso collaborare con la giustizia, togliendo un sacco di benefici, obbligando i mafiosi che collaborano a raccontare tutto entro 6 mesi, dopodiché qualunque cosa dicono non vale più, lo stesso si è fatto per i “pentiti” dei reati di tangentopoli quando con la riforma dell’Art. 513 del Codice di Procedura Penale, altra porcheria votata dal centro-sinistra quando era maggioranza con la complicità del centro-destra, poi dichiarata incostituzionale e poi addirittura trasformata in legge costituzionale e infilata all’Art. 111 della Costituzione si è stabilito che quando io, complice di una tangente accuso l’altro mio complice, devo ripetere la stessa cosa non basta che la dica davanti al PM, la devo ripetere davanti alle Tribunale e se non la vado a ripetere, non è che mi possono obbligare a ripeterla, semplicemente se non la vado a ripetere, la persona che ho accusato viene assolta per insufficienza di prove perché quello che ho detto davanti al PM, sia che sia vero, sia che sia falso, viene cestinato, non può più essere preso in considerazione dal giudice.
Così hanno tappato la bocca ai complici che avrebbero potuto accusarli, dopodiché hanno cominciato una tale campagna contro le intercettazioni, per cui adesso si è creato un clima politico bipartisan per il quale non solo a destra, ma anche a sinistra si sostiene quasi unanimemente che le intercettazioni devono essere limitate, devono essere ridotte, devono essere ridimensionate, anche se le usiamo in casi semplicemente eccezionali, basti pensare che le persone intercettate in Italia ogni anno sono 6 mila, su 60 milioni di abitanti, lo 0,001%, ancora l’altro giorno il Capo dello Stato in base a non si sa quali dati, sosteneva che bisogna ridurre le intercettazioni, limitarle ai minimi casi indispensabili, il che peraltro è già previsto dalla legge anche se lui probabilmente non lo sa.
Eppure casi di corruzione e di mafiosità sono talmente numerosi, massicci e evidenti che nonostante il continuo tagliare le unghie, le mani, le dita e le braccia ai magistrati, ancora i magistrati ne scoprono un sacco di questi casi, evidentemente perché la forza della realtà è tale che fa saltare tutti i coperchi che sono stati messi in questi anni non sulla corruzione, ma sulle indagini che riguardano la corruzione e quindi lo spettacolo è quello che abbiamo sotto gli occhi, ogni giorno ormai c’è un arresto per quelli che si possono arrestare o una richiesta di arresto per gli intoccabili che senza autorizzazione del Parlamento non si possono arrestare. L’altro giorno nella stessa giornata si è votato alla Camera, pro o contro la richiesta di poter eseguire l’arresto nei confronti dell’On. Alfonso Papa e al Senato si è votato sulla richiesta del G.I.P. di Bari di poter eseguire la cattura del Senatore del PD Alberto Tedesco, Papa accusato di favoreggiamento e rivelazione di segreti e corruzione, Tedesco accusato di concussione, corruzione, abuso, falso e turbativa d’asta, voto segreto alla Camera Papa viene arrestato, o meglio la Camera concede ai magistrati l’autorizzazione a eseguire un mandato di cattura che era già stato emesso dal G.I.P. e quindi di portare questo parlamentare, Papa, magistrato in aspettativa, a Poggio Reale, là dove quando era magistrato a Napoli era solito lui mandare i suoi indagati.
Il Senato invece grazie ai soliti mascalzoni che si nascondono dietro l’anonimato del voto segreto, è stato salvato Tedesco che continuerà tranquillamente a scorrazzare a Palazzo Madama con sulla testa imputazioni di corruzione, concussione, abuso, falso, turbativa d’asta, nei prossimi giorni si esaminerà alla Camera la richiesta di autorizzare, sempre da parte della Procura di Napoli, anzi del G.I.P. di Napoli la cattura di Milanese, ex finanziere della Guardia di Finanza, diventato poi braccio destro di Tremonti, la vera potenza del Ministero dell’economia, quello che faceva le nomine, quello che teneva i rapporti con una delle due bande ai vertici della Guardia di Finanza, perché l’altra banda era invece considerata vicina al Cavaliere e quindi c’erano gli ufficiali vicini a Tremonti e a Milanese, gli ufficiali vicini al Cavaliere e alla sua azienda.
Milanese è accusato di essersi fatto corrompere per anni, più in natura che non con mazzette tradizionali, regali, Ferrari, auto d’epoca, gioielli, di tutto, aveva un tenore di vita tale che gli permetteva di pagare ogni mese l’affitto di un mega-appartamento nel centro di Roma dove abitava senza pagare Tremonti, che evidentemente gli doveva molto, ragion per cui chiudeva non un occhio, ma due occhi su tutte le scorribande di Milanese che da anni ne combinava di cotte e di crude, vedremo cosa deciderà la Camera, se posso fare una previsione tale è lo shock con cui i parlamentari hanno vissuto l’arresto di Papa, di un loro simile, che penso che d’ora in poi faranno quadrato, troveranno sempre il modo con il voto segreto di salvare i loro simili, come già avevano fatto prima di questo caso, perché dal 1994 a oggi, parliamo soltanto della Seconda Repubblica in 17 anni una ventina di volte i magistrati avevano chiesto di poter arrestare dei parlamentari e tutte quante quelle 20 volte la Camera o il Senato avevano risposto picche, spesso con un voto molto trasversale, spesso salvando dal carcere persone che poi sono state regolarmente condannate.
Nella storia della Repubblica italiana, Prima e Seconda Repubblica, dal 1946 a oggi, su decine e decine di richieste di autorizzazioni all’arresto da parte dei magistrati al Parlamento, il Parlamento aveva votato sì soltanto 4 volte, nel caso di Moranino, il partigiano rosso eletto poi in Parlamento con il partito comunista, accusato per avere fatto dei delitti orribili dopo la fine della guerra partigiana, salvato negli anni 60 dall’arresto, per accuse di reati di sangue, poi ci fu Massimo Abatangelo accusato di eversione nera, reati di armi e di banda armata, poi ci fu Toni Negri accusato di banda armata anche lui per l’eversione rossa, sì per Abatangelo, sì per Negri e sì per Sandro Saccucci il Missimo che nel famoso comizio di Sezze Romano si mise a sparare facendo secca una persona, quindi almeno per chi sparava il Parlamento aveva stabilito che si poteva autorizzare l’arresto, ma se un parlamentare non si metteva a sparare, poteva fare qualsiasi cosa e non aveva mai il rischio di finire in galera.

Arresto di Papa: panico in Parlamento (espandi | comprimi)
Ecco perché parlo di shock, perché Papa è stato il primo parlamentare della storia della Repubblica, tra la Prima e la Seconda Repubblica a essere arrestato per una storia non di sangue e non di armi, cioè per un reato contro la pubblica amministrazione, corruzione, rivelazione di segreto, favoreggiamento.E se pensate che in anni passati furono salvati persino candidati all’arresto per mafia come Giancarlo Cito poi condannato per i suoi rapporti con il clan della Sacra Corona Unita, come Marcello Dell’Utri, poi condannato per false fatturazioni, frode fiscale in via definitiva e in Parlamento e in secondo grado per associazione per delinquere di stampo mafioso in concorso esterno, voi vi rendete conto che forse Papa non è il peggiore dei parlamentari degli ultimi 65 anni, eppure per lui è stata data l’autorizzazione all’arresto, perché? Evidentemente perché la politica in questo momento si sente detestata dall’opinione pubblica e sta cercando, nel suo impazzimento terminale, di dare qualche segnalo in contro tendenza, visto che la rabbia contro la casta monta, se credono di salvarsi la faccia autorizzando l’arresto di Papa e ricominciando a fare i loro porci comodi, naturalmente si sbagliano, anche perché lo stesso giorno il voto per l’arresto di Papa veniva neutralizzato dal voto contro l’arresto di Tedesco che se è possibile è accusato di cose ancora peggiori rispetto a Papa.
A contorno sappiamo che a Milano c’è un’indagine clamorosa sull’enorme buco dell’ospedale San Raffaele, ospedale di questo prete, il Simoniaco che si chiama Don Verzè e che da 40 anni tiene il sacco a Berlusconi fino a quando lo aiutò a far spostare le rotte aeree da Milano 2 con la scusa che bisognava costruire l’ospedale nel bel mezzo della città satellite, che c’è un Ministro romano, Saverio Romano imputato per mafia che non si dimette, che c’è la Procura di Roma che indaga su Finmeccanica e sulla P3 e sugli amici di D’Alema nello scandalo Enac, ne abbiamo parlato due settimane fa, che la Procura di Napoli ha indagini di altissimo livello che quella di Palermo sta indagando su parlamentari ipoteticamente corrotti con i soldi di Don Vito Ciancimino, pizzini, Romano e Cuffaro e che presto il Parlamento dovrà autorizzare o negare l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni che riguardano questi parlamentari con il commercialista di Vito Ciancimino, nonché suo prestanome, il Rag. Lapis, a questo punto uno dice va beh, il centro-destra è nella melma fino al collo, lo sapevamo, il Partito fondato da Berlusconi non può che finire con una grande retata, perché? Perché è ovvio che se si mettono tutti a imitare il capo li vanno a prendere con l’accalappiacani, visto quello che va il capo, qualunque cosa facciano i suoi sottoposti, sarà sempre meno grave di quello che ha fatto il capo che ha letteralmente fregato una casa editrice a De Benedetti per mettersela in tasca con una sentenza comprata, si può immaginare qualcosa di più enorme, stiamo parlando di un furto che la Corte d’Appello di Milano ha appena quantificato in 560 milioni di Euro, avete mai visto uno che è riuscito a rubare più di 560 milioni di Euro?
Quindi capite, questa è la maggioranza, maggioranza che naturalmente ha non soltanto i suoi esponenti inquisiti, a cominciare dal capo del governo, ma ha i suoi principali esponenti che o sono inquisiti in proprio, oppure hanno il loro braccio destro, il loro prestanome indagati, Tremonti operava per le mani di Milanese, Gianni Letta operava per le mani di Bisignani, inchiesta P4 anche questa davanti alla Procura di Napoli, il problema è quello che c’è dall’altra parte, quello che non c’è dall’altra parte, che in una situazione come questa è ovvio che le opposizioni ci dovrebbero sguazzare, praterie per correre a guadagnare consensi, invece dall’altra parte, come al solito, c’è chi riesce a pareggiare il conto, c’è chi riesce se non a fare pari e patta, alleno a far dire alla gente che se Atene piange, Sparta non ride o viceversa, se Sparta non ride Atene piange, perché questo? Perché non bastando gli scandali dei finanziatori della fondazione di D’Alema italiani e europei che prendevano e pagavano tangenti come abbiamo raccontato due settimane fa, adesso riesplode una Tangentopoli a Milano tutta rossa, nella vecchia Stalingrado del nord che era Sesto San Giovanni, Sesto San Giovanni, comune operaio, comune rosso, popolato da tanta brava gente che lavora e che ha sempre votato a sinistra e che ha avuto come Sindaco in passato Filippo Penati, il quale poi ha fatto carriera, è diventato per una legislatura Presidente della Provincia di Milano, due anni fa quando Bersani ha preso in mano la segreteria del PD Pennati è diventato il braccio destro ufficiale di Bersani, capo della segreteria politica del segretario nazionale, dopo avere perso le provinciali e quindi avere mancato la riconferma come Presidente della Provincia, Penati quest’anno è stato premiato come tutti i trombati, del resto, con una bella candidatura alla Regione e lì è Vicepresidente del Consiglio regionale da una settimana, almeno che si sappia, poi lo era almeno da prima, da una settimana si sa che Penati è indagato dalla Procura di Monza per concussione, corruzione e finanziamento illecito, concussione vuole dire che è accusato di avere costretto degli imprenditori a pagargli tangenti, con la minaccia di non farli lavorare, cioè di rovinarli, corruzione vuole dire che ci sono degli imprenditori che lo hanno pagato anche senza essere costretti e che lui ha preso i soldi, finanziamento illecito vuole dire che almeno una parte di quei soldi li ha destinati al suo partito, che fino al 2008 si chiamava PS e dal 2008 si chiama PD.
I fatti contestati dalla Procura di Monza arrivano fino al 2010, quindi questa è la prima indagine per finanziamento illecito, non solo a un esponente importantissimo del PD, il pupillo del segretario, ma è la prima indagine che coinvolge direttamente il PD per essersi finanziato illecitamente, a qualcuno di voi potrebbe venire una curiosità e dire: ma i partiti a differenza che nella Prima Repubblica, dove i finanziamenti pubblici non riuscivano a coprire le loro spese, nella seconda si sono regalati tradendo il famoso referendum del 1993, quelli che chiamano i rimborsi elettorali, che sono uno sproposito perché non solo bastano a sostenere tutte le loro spese elettorali, ma coprono il triplo delle loro spese elettorali, che ovviamente sono taroccate, non è neanche necessario giustificarle, quindi navigano nell’oro, che bisogno hanno di integrare, con tangenti.
Infatti in questi ultimi anni è stato rarissimo il caso di una contestazione di finanziamento illecito a partiti, perché quasi sempre si scopriva che in realtà i soldi se li mettevano in tasca i singoli, questo capitava anche nella Prima Repubblica, ma nella Prima Repubblica c’era un sistema di taglieggiamento fisso di una percentuale che gli imprenditori dovevano dare a tutto il sistema dei partiti, spesso anche alle opposizioni perché non si opponessero, che serviva a foraggiare illegalmente i partiti e poi all’interno di quel sistema c’era qualcuno che ci faceva la cresta e che si metteva i soldi in tasca, questa volta non c’è quel sistema generale, sono episodi molto frequenti, per importi anche molto alti, ma senza una sistematicità, infatti per esempio Sesto San Giovanni le accuse riguardano soltanto Penati e il suo entourage, gli altri partiti non sono coinvolti, mentre nella Prima Repubblica c’era sempre un accordo di tutti i partiti di governo e spesso dell’opposizione addomesticata, perché ciascuno avesse la sua parte e nessuno rompesse i coglioni sulle gare d’appalto truccate, quindi questa è la principale differenza, però qui una parte, almeno di questi soldi pare che sia andata prima ai DS e poi al PD, partiamo di importi molto grandi, c’è un imprenditore, costruttore…

Terremoto PD (espandi | comprimi)
Scusate, c’è stata una scossa di terremoto e sono andato nel pallone. Dicevo, delle consulenze a due commissari delle cooperative rosse emiliane, anche ai tempi di Tangentopoli spesso il PC poi PDS si faceva retribuire non con tangenti cash, ma con lavori o consulenze alle cooperative rosse, che poi evidentemente si sdebitavano secondo un altro canale.Quindi il totale dei soldi che Pasini avrebbe dato a Penati e al PD ex DS sarebbero circa 8 miliardi in 10 anni, poi non c’è solo lui perché come vi ho detto c’è Di Caterina il quale dice di avere pagato ratealmente, mensilmente a volte 100 a volte 20 milioni di lire, ma non solo, adesso salta fuori un altro nome molto rinomato fin dai tempi di Tangentopoli, Bruno Binasco che era il braccio destro l’uomo ombra di Marcellino Gavio, il defunto l’anno scorso, costruttore, uno dei più grossi proprietari di autostrade in Italia, Binasco entrava e usciva di galera nel 1992/1993, poi è stato processato una miriade di volte per una miriade di tangenti, la gran parte delle volte si è salvato per prescrizione, qualche volta è stato anche condannato in via definitiva, una volta è stato condannato insieme a Primo Greganti per avere finanziato Greganti con una finta caparra non tornata indietro, allo scopo, scrivono i giudici di Tortona di finanziare illegalmente l’allora PC, PDS, adesso questo signore che è il plenipotenziare del gruppo Gavio perché Gavio è morto, ritorna fuori, come possibile finanziatore ancora una volta di Penati e questo in tempi molto recenti, tra il 2008 e il 2010 con un meccanismo che spiegano bene Ferrarella e Guastella su Il Corriere della Sera, una tangente presunta naturalmente di 2 milioni di Euro, concordata nel 2008 e pagata nel 2010 e nel 2008 Penati era Presidente della Provincia di Milano e nel 2010 era diventato il capo della segreteria di Bersani, cosa hanno fatto? Hanno finto la vendita di un immobile di proprietà dell’imprenditore Di Caterina al gruppo Gavio retto da Binasco, cosa hanno fatto naturalmente? Di Caterina per i preliminari dell’acquisto, della cessione del suo immobile a Binasco ha avuto una caparra enorme di 2 milioni di Euro e poi dopo due anni Binasco ha rinunciato all’acquisto di quell’immobile, ma gli ha lasciato la caparra, secondo l’accusa erano già d’accordo fin dall’inizio che l’acquisto era falso e che quindi la caparra sarebbe rimasta a Di Caterina e così hanno giustificato un esborso da Binasco a Di Caterina, perché questo? Non perché Binasco dovesse qualcosa a Di Caterina, ma perché Binasco doveva finanziare, questa è l’ipotesi d’accusa, il PD e Penati, Di Caterina avanzava un sacco di soldi che aveva anticipato al PD e a Penati e allora cosa hanno fatto? La triangolazione: Binasco deve finanziare Penati, Di Caterina avanza dei soldi da Penati, invece di Binasco dà i soldi a Penati e Penati li dà a Di Caterina, cosa fanno? Binasco li dà direttamente a Di Caterina e Penati a estinto il suo debito avendo ricevuto soldi prima da Di Caterina, paga Binasco, questa è l’ipotesi di accusa, la triangolazione per camuffare una tangente da caparra.
Credete che questi costruttori facciano questa versamenti importanti in periodi di crisi così per la bella faccia dei politici? Ovviamente no, in cambio vengono favoriti, oppure non vengono ostacolati, in questo caso è tutta una partita di centro-sinistra, è tutta una partita PD a altissimo livello perché sotto Bersani c’è Penati, Penati sta a Bersani come Milanese sta a Tremonti è il suo uomo di fiducia, non sto dicendo che fa le stesse cose, sto dicendo che è il suo uomo di fiducia. A questo punto ai magistrati viene la curiosità di andare a vedere quali sono negli anni i rapporti tra il Gruppo Gavio e Penati, quel gruppo Gavio che era già stato condannato, lo ripeto, nella prima Tangentopoli del 1992/1993 per avere finanziato illegalmente il PC tramite Greganti, quando trattano con Binasco questi signori sanno che è un pregiudicato per avere finanziato il loro partito e continuano a trattarci. Nel 2004 cosa fa l’ottimo Penati da Presidente della Provincia di Milano? Compra le quote della Milano – Serravalle facendo, accollando alla collettività, alla Provincia di Milano un bel pezzo di autostrada, la Milano – Serravalle è quella che collega Milano con Genova, e facendo spendere alla Provincia di Milano una barcata di soldi, una barcata di soldi che poi vanno ovviamente nelle tasche di Gavio e del gruppo Gavio – Binasco e con quei soldi cosa fa il gruppo Gavio? Sostiene la scalata di Unipol alla Banca Nazionale del lavoro, quella di Consorte, quella dei furbetti del quartierino. In un bel libro di Gianni Barbacetto che si intitola “Compagni che sbagliano” sono pubblicate le intercettazioni, intercettazioni nelle quali si dimostra che la Provincia di Milano grazie a Penati, per comprarsi il 15% di azioni della Serravalle da Gavio, ha speso 238 milioni di Euro pagando a azione 8,9 Euro, mentre un anno e mezzo prima, Gavio le aveva pagato 2,9, il che significa che Gavio realizza una plusvalenza di 176 milioni a spese dei milanesi e con quell’enorme tesoretto va a sostenere Consorte che di lì a poco dà la scalata alla Bnl, non ci sarà mica un legame? La cosa più interessante ancora è che nelle telefonate intercettate si scopre, lo ha raccontato Barbacetto in quel libro e su Il Fatto Quotidiano, salta fuori anche il nome di Bersani, perché il 28 giugno 2004 Binasco a Marcellino Gavio dice: il problema non è Penati (Presidente della Provincia) che con lui un accordo si trova, il vero problema è Albertini, cioè il Sindaco di centro-destra. Due giorni dopo entra in scena Bersani, Binasco dice a Il Giornale che con Bersani Gavio ha da sempre un ottimo rapporto, infatti il 30 giugno 2004 Bersani dice a Gavio che ha parlato con Penati e dice a Gavio di cercare Penati per incontrarsi in modo riservato, ora fermiamo tutto e vedrà che tra una decina di giorni, quando vi vedrete troverete un modo. 5 giorni dopo, il 5 luglio 2004 Penati chiama Gavio e gli dice: buongiorno, mi ha dato il suo numero l’On. Bersani e Gavio: sì volevo fare due chiacchiere con lei quando è possibile e Penati: guardi non so, beviamoci un caffè. L’incontro avviene in modo riservato come suggeriva Bersani in un Hotel di Roma, non in una sede istituzionale, non è che il Presidente della Provincia di Milano riceve il costruttore Gavio nella sede della Provincia di Milano davanti a testimoni e poi emette un bel comunicato per dire: abbiamo ricevuto il Commendator Gavio per parlare di questo, questo e questo, riservato su suggerimento di Bersani e quello che succede dopo è naturalmente quell’affarone meraviglioso che riesce a concludere sulla Serravalle il gruppo privato Gavio a spese dei contribuenti milanesi, grazie alla scriteriata scelta di Penati di comprare quel 15% di quote, strapagandole il triplo di quelle che le aveva pagate un anno e mezzo prima il privato.
Allora voi capite che quando i rapporti tra politica e affari sono questi, che ci siano tangenti o che non ci siano tangenti, è già grave di per sé quello che è successo, che non c’è nessuna trasparenza e quando queste opacità sono ai massimi livelli, bisogna interrogarsi su come vengono selezionate anche le classi dirigenti del centro-sinistra, queste intercettazioni sono di 7 anni fa, sono note da almeno 5 anni, dopo che queste intercettazioni sono state rese note, Bersani è diventato Segretario del PD e Penati è diventato il capo della sua segreteria e se non ci fosse l’indagine della Procura di Monza, molto probabilmente, visto il rapporto che c’è tra i due, se il centro-sinistra dovesse vincere le prossime elezioni tra due anni, Penati sarebbe diventato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel posto dove oggi Letta fa il braccio destro di Berlusconi e magari un altro fedelissimo di Bersani, Pronzato, arrestato per le tangenti sui voli, essendo lui consigliere di Bersani al Ministero, responsabile trasporti aerei del PD e consigliere di amministrazione dell’Enac in conflitto di interessi totale, visto il rapporto che ha con Bersani, magari poteva diventare il Ministro dei trasporti, ora uno è in galera, Pronzato e sta patteggiando dopo esserne uscito e l’altro è indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito, c’era bisogno dell’inchiesta per capire che Penati ha un rapporto malato con il mondo degli affari? Cosa ci voleva per mandarlo via se non bastavano quelle intercettazioni con Gavio e quell’affare che ha impoverito la Provincia di Milano, un’istituzione e ha arricchito un privato che poi finanziava il partito come il gruppo Gavio?

Queste sono le domande che dobbiamo cominciare a porre duramente, d’estate i politici girano nei loro collegi, quando incontrate Penati o incontrate Bersani se vi capita fategli queste domande, noi le abbiamo fatte su Il Fatto Quotidiano e speriamo di ricevere risposta, perché questi signori si illudono di raccattare il potere quando Berlusconi se ne andrà, si illudono che gli caschi in mano Palazzo Chigi, non hanno capito quello che noi, mi spiace, autocitarmi ancora ma abbiamo più volte ripetuto e cioè che la casta è fatta così, non sono tutti uguali ma sono complementari e quando cade Berlusconi cadranno anche questi, se prendono qualche volto è perché c’è ancora Berlusconi, quando non ci sarà più Berlusconi uno sarà costretto a guardare in faccia loro, quindi non li voterà più o si inventano dei leader nuovi, una classe dirigente nuova che abbia un altro tipo di rapporto con il mondo degli affari, oppure Berlusconi cadrà, cadranno anche loro e noi avremo un voto politico totale, dentro il quale potranno infilarsi i peggiori avventurieri, esattamente come accade nel 1994 quando ci si infilò il Cavaliere Silvio Berlusconi, passate parola, buona settimana!

Il default degli Stati Uniti- Blog di Beppe Grillo

Fonte: Il default degli Stati Uniti- Blog di Beppe Grillo.

Il 3 agosto 2011, quasi dieci anni dopo le Torri Gemelle, si potrebbe consumare la vendetta di Bin Laden. Gli Stati Uniti sono sull’orlo del default. Se il Congresso non troverà entro il 2 agosto un accordo per alzare il tetto del debito, fissato per legge a 14.294 miliardi di dollari, il Paese più potente del mondo andrà in bancarotta. Sembra fantaeconomia, ma è tutto vero. Cosa c’entra Osama con il debito pubblico americano? Prima dell’11 settembre, il debito era sotto controllo, inferiore ai 6.000 miliardi. Dopo gli attentati è esploso a causa delle spese militari per le guerre in Iraq e in Afghanistan. Oggi ha largamente superato i 14.000 miliardi. Una jihad economica di Al Qaeda. Gli Stati Uniti spendono ogni anno in armamenti circa 10 volte più di ogni altro Paese, pari a circa 680 miliardi di dollari (dato 2010). Le basi USA sono ovunque, dal Giappone all’Italia, dalla Bosnia alla Turchia, dal Perù alla Corea del Sud. E’ paradossale che la Cina, il principale avversario economico dell’America, ne finanzi l’apparato militare (che la circonda…) con l’acquisto dei suoi titoli pubblici. Peraltro, le ultime aste dei titoli sono ormai surreali. I titoli si stanno trasformando in carta straccia. Il Tesoro, infatti, acquista il 70% dei titoli che emette. Si stampa i titoli e se li compra. Farebbe prima a venderne solo il 30%. Gli Stati Uniti, per continuare a vivere, hanno bisogno di chiedere in prestito ogni giorno 4,5 miliardi di dollari (*). Sono il mendicante più in vista del pianeta. Un barbone con la tripla A, ma non dovrebbe avere la tripla C? Su che basi le agenzie valutano il rating statunitense, la sua solidità? Sul numero di testate atomiche che possiede? Democratici e repubblicani stanno discutendo da mesi su come ridurre il debito. Sembrano la brutta copia del Parlamento italiano, e ce ne vuole. Da una riduzione di 4.000 miliardi in dieci anni si è passati a una di 2.000 miliardi. Semplificando, i democratici vogliono più tasse per le classi abbienti, i repubblicani tagli dello Stato sociale. Eppure la soluzione è semplice. Si tolgano dai coglioni dal resto del mondo con i loro sommergibili atomici, ordigni nucleari, droni, basi militari, eserciti, portaerei, cacciabombardieri. Eviteranno il default e staranno meglio anche gli altri.

(*) fonte Financial Times

PERCHE’ LA MANOVRA NON CI SALVERA’ – Cadoinpiedi

Fonte: PERCHE’ LA MANOVRA NON CI SALVERA’ – Cadoinpiedi.

La manovra di Tremonti in realtà serve a ben poco. Prima di tutto perché è troppo piccola, 60/70/80 miliardi di Euro non bastano sicuramente a rassicurare i mercati nei confronti di un debito complessivo italiano di 1.800 miliardi di Euro, il che vuole dire che il debito pubblico dell’Italia è maggiore della somma del debito di tutti gli altri paesi Pigs, quindi parliamo del Portogallo, Grecia, Irlanda e Spagna. In più questa è una manovra che avrà un impatto reale, quindi dal punto di vista proprio delle entrate dello Stato, nel 2013 e nel 2014. Sicuramente troppo lontano. ricordiamoci che l’anno prossimo l’Italia si deve presentare sul mercato dei capitali nuovamente e deve contrarre una serie di contratti, quindi deve vendere una serie di Bot a un mercato che questa settimana gli ha quasi voltato le spalle. E in più abbiamo da luglio fino alla fine dell’anno, altri 80 miliardi di Euro che dobbiamo racimolare su questo stesso mercato.

Questa è una manovra che in un certo senso è stata osannata, proprio perché siamo un po’ alla fine della situazione. Qui ci vuole una nuova politica. E quale può essere questa politica? Sicuramente non quella che sta seguendo il governo. Capisco che molti italiani sono preoccupatissimi all’idea di un default, però in realtà questa potrebbe essere la soluzione migliore. Se noi avessimo una classe politica di persone veramente esperte di queste cose, quindi di professionisti, ci avrebbe già pensato e vi spiego perché:

L’Italia è molto diversa dalla Grecia. la Grecia prende soldi in prestito per poter sostenere la propria economia, noi invece prendiamo soldi in prestito regolarmente e semplicemente per pagare gli interessi sul debito, il che vuole dire che un default non avrebbe un impatto sulla crescita economica del paese, noi non dipendiamo dai mercati dei capitali per crescere, noi dipendiamo dai mercati dei capitali per pagare gli interessi. Un default ordinato, ragionato com’è stato fatto per esempio in Islanda potrebbe garantire tutti quanti i Bot acquistati dagli italiani. Quindi dividiamo il debito in due parti che è esattamente quello che hanno fatto gli islandesi, la parte internazionale, la parte sottoscritta dalle banche internazionali, viene messa da parte e viene organizzato per questo un pagamento posticipato che può essere una ristrutturazione del debito.
Per quanto riguarda invece la parte detenuta dai risparmiatori italiani, proprio per non penalizzare gli italiani che hanno sostenuto lo Stato in tutti questi anni, rimane costante, quindi il governo si impegna a onorare quella parte di debito. Dopodiché si torna alla lira o a qualsiasi moneta vogliamo adottare e si produce una svalutazione della moneta, chiaramente sarà una svalutazione molto, molto grande e questo ridarà automaticamente competitività alla nostra economia. Dal punto di vista del commercio internazionale, non cambierà nulla, anzi molto probabilmente i nostri importatori, chi importa dall’Italia, sarà ben contento di pagare meno di quanto paga adesso, quindi le esportazioni italiane avranno sicuramente un effetto benefico. Diversa sarà la situazione delle importazioni. Dobbiamo essere disposti a fare dei sacrifici, ma tanto in ogni caso questi sacrifici li dovremo fare lo stesso, l’obiettivo però è fare dei sacrifici per poter riuscire a uscire da questa situazione, non per poter affondare ulteriormente nella situazione debitoria.

Le critiche a questo tipo di politica drastica sono tutte relazionate a un modo di far politica che è ancora tipico dell’Italia, svalutazione selvaggia, attitudini nei confronti dei mercati internazionali anche queste selvagge etc.. Una decisione di questo tipo, quindi un default ragionato, un default preparato, sicuramente porterebbe a un cambiamento della classe politica, perché questa classe politica una politica di questo tipo non la fa. In Islanda è successo esattamente questo, il governo è stato fatto fuori completamente dalla popolazione e una nuova classe politica, gente che non aveva mai fatto politica fino a ora, è salita al potere e ha organizzato questo tipo di default. I sacrifici sicuramente, le conseguenze di brevissimo periodo di una politica di questo tipo saranno tremende. Noi avremo una contrazione del Pil, ci sarà un aumento della povertà, sarà sempre più difficile riuscire a arrivare una fine del mese. Però questo sarà un periodo limitato, come abbiamo visto addirittura in Argentina dove non c’è stato un default ragionato ma un default improvviso. Nel caso dell’Argentina c’è stata una contrazione del Pil del 20% nel 2002 quindi l’anno dopo del default, dal 2003 in poi l’economia ha ripreso a crescere dal 7,5% e continua a crescere al 7,5%.
Penso che noi dobbiamo prenderci le responsabilità di 50 anni, perché qui non si tratta di 10 anni, qui si tratta di 50 anni di politiche sbagliate e è giunto il momento di prendersi queste responsabilità, pagheremo perché dobbiamo pagare, però che questo pagamento non sia un pagamento che finisce nel tasche delle banche internazionali, che sia invece un pagamento che finisce nelle tasche degli italiani, che dà la possibilità all’economia italiana di riprendersi perché altrimenti così noi nel giro di 6 mesi, 9 mesi, un anno, sicuramente andremo in bancarotta e da allora sarà ancora più difficile riprenderci!

Islanda, quando il popolo sconfigge l’economia globale | STAMPA LIBERA

Fonte: Islanda, quando il popolo sconfigge l’economia globale | STAMPA LIBERA.

Fonte: http://www.ilcambiamento.it/

L’hanno definita una ‘rivoluzione silenziosa’ quella che ha portato l’Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessi economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell’intero sistema finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a stilare una nuova Costituzione.

di Andrea Degl’Innocenti – 13 Luglio 2011

Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o inviate per e-mail ai propri amici. È la storia di una delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.

L’Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un’eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta. Un’esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema del debito.

Ma procediamo con ordine. L’Islanda è un’isola di sole di 320mila anime – il paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100mila chilometri quadrati, un terzo dell’intera Italia, situato un poco a sud dell’immensa Groenlandia.

15 anni di crescita economica avevano fatto dell’Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di ‘neoliberismo puro’ applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi.

Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall’altro aumentava il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull’euro – che perse in breve l’85 per cento – non fece altro che decuplicare l’entità del loro debito insoluto. Alla fine dell’anno il paese venne dichiarato in bancarotta.

Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che accordò all’Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.

A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle dimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche. Il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea proponevano allo stato islandese di di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a dire spalmandolo sulla popolazione. Era l’unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.

Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.

Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d’Islanda era decisamente troppo.

Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos’altro invece si riaggiustò. Si ruppe l’idea che il debito fosse un’entità sovrana, in nome della quale era sacrificabile un’intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d’un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.

Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere.

La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando a paventare l’isolamento dell’Islanda. I grandi banchieri di queste due nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente concesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro l’Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell’intervista – ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.

A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario. L’Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l’Islanda.

In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il paese aveva ottenuto l’indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali (come inserire la parola ‘presidente’ al posto di ‘re’).

Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un’assemblea costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l’appoggio di almeno 30 persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.

Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta. “Io credo – ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio costituente – che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet”.

Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.

Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l’Islanda che si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione.

Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore pubblico era l’unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli portoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese. Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?

Antimafia Duemila – Salvatore Borsellino: ”Fu strage di Stato”

Fonte: Antimafia Duemila – Salvatore Borsellino: ”Fu strage di Stato”.

«È stata una strage di Stato»: Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il magistrato ucciso insieme agli agenti della scorta 19 anni fa, non ha dubbi.

Lo ripete da anni e torna a ribadirlo anche oggi proprio da via D’Amelio, luogo dell’eccidio da cui è partita la marcia delle Agende Rosse, movimento che chiede la verità su un attentato ancora tutto da chiarire e prende il nome dal diario del giudice sparito dopo l’esplosione. “L’agenda rossa su cui Paolo appuntava tutto e che teneva sempre con sè – spiega – è la chiave di volta di tutto. Chi ha ucciso mio fratello sapeva che l’aveva con sè e la voleva perchè poteva essere uno strumento rivelatore di quei ricatti incrociati che hanno retto gli equilibri di questa disgraziatissima seconda repubblica”. Per la scomparsa del diario venne indagato un ufficiale dell’Arma, ma l’inchiesta è stata archiviata con sentenza della Cassazione. “Sono felice che il procuratore di Caltanissetta, che è subentrato a Tinebra – aggiunge Borsellino – abbia riaperto l’indagine (notizia giornalistica mai confermata dalla Procura, ndr)”. Per Borsellino l’altro simbolo di una verità mai pienamente conosciuta è il castello Utveggio, ex centro di ascolto dei Servizi segreti da cui si ipotizzò potesse essere giunto il via libera all’attentato – dal promontorio su cui si trova si vede benissimo via D’Amelio – e meta finale della marcia delle Agende Rosse.
«Le ultime indagini fatte da pm che vanno avanti nonostante gli attacchi – dice Borsellino – dicono che il telecomando che fece esplodere l’autobomba fu azionato da via D’Amelio, dietro al palazzo di mia madre, ma per me il castello resta la cabina di regia di questa strage di Stato». “Tanto è vero – conclude – che venne frettolosamente smantellato dopo le prime indagini”.

Mafia/ Lari: Borsellino sapeva di ‘trattativa’ con lo Stato

Fonte: Mafia/ Lari: Borsellino sapeva di ‘trattativa’ con lo Stato.

“Strage di via D’Amelio si inserisce in questo percorso”

Roma, 16 lug. (TMNews) – “Possiamo dire con certezza che Paolo Borsellino era a conoscenza della cosiddetta trattativa già dal 28 giugno 1992. Noi abbiamo motivo di ritenere che la strage di via d’Amelio si inserisca in questo percorso di trattativa tra Stato e Cosa Nostra”. Così, a Dixit, Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sulle stragi del ’92, che hanno portato alla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel giorno dell’anniversario della scomparsa di Borsellino, Dixit, con testimonianze inedite, ricorda i due magistrati che hanno perso la vita per lo Stato e la verità con “Giovanni Falcone, un giudice italiano”, di Cristina Fratelloni, in onda martedì 19 luglio alle 21.30 su Rai Storia, Digitale terrestre e TivùSat.

E nello spiegare i perché della strage di via D’Amelio, secondo Lari: “O la trattativa non è andata avanti perché Borsellino si è messo di traverso, o questa trattativa non andava comunque avanti perché le richieste erano inaccettabili. Quindi Riina – prosegue il procuratore – ha pensato di dare un altro colpo alle istituzioni anticipando l’esecuzione di una strage che in quel momento non rientrava nelle dinamiche organizzative di Cosa Nostra”.

Nella puntata, ampio spazio viene dato anche al fallito attentato dell’Addaura del 1989 che aveva per bersaglio Giovanni Falcone. E l’ipotesi che lega l’Addaura a Capaci e via d’Amelio, vede la presenza di soggetti appartenenti alle istituzioni deviate che potrebbero aver dato suggerimenti o garanzie di impunità a Cosa Nostra.

TMNews

Gheddafi non è ancora morto- Blog di Beppe Grillo

Fonte: Gheddafi non è ancora morto- Blog di Beppe Grillo.

Ci siamo dimenticati, tra una cosa e l’altra, che stiamo bombardando la Libia. Sembra una gita fuori porta che si è prolungata un po’ troppo. Gheddafi è sempre saldo nonostante la guerra duri da sei mesi e, a questo punto, si deve ammettere che dispone di un forte consenso popolare, altrimenti sarebbe già stato impiccato a un palo. L’Italia ha dichiarato guerra a un suo alleato, ma nessuno ha questo diritto, come spiega in modo chiarissimo la Costituzione. Gheddafi è accusato di crimini contro il suo popolo, e per questo è stato condannato dal tribunale dell’Aia, ma, secondo molte fonti, lo sarebbero anche i ribelli (li denunceranno al tribunale dell’Aia?). Tripoli ha dichiarato che gli Alleati hanno causato la morte di 1.110 civili (li denunceranno al tribunale dell’Aia?). Chi vince ha sempre ragione. Se Gheddafi dovesse vincere la guerra ce lo ritroveremo con il tendone a Roma e la fila di ministri pronti ad abbracciarlo.

ComeDonChisciotte – POLITICI E BANCHIERI

Fonte: ComeDonChisciotte – POLITICI E BANCHIERI.

DI IDA MAGLI
italianiliberi.it

Il sabato 9 luglio 2011 è una data che gli Italiani non debbono dimenticare. E’ il giorno, infatti, in cui il Ministro Tremonti, senza dare nessuna giustificazione del fatto che non paga l’affitto della casa dove abita, ha risposto ai giornalisti che gli domandavano se avesse intenzione di dimettersi, con una frase lapidaria: “Non mi dimetto perché sono io che garantisco l’Italia davanti all’Europa: se cado io, cade l’Italia e se cade l’Italia cade l’euro. E’ una catena.” In nessun periodo della storia d’Occidente un uomo politico, quale che fosse la sua importanza, ha mai potuto fare una simile affermazione. Né un conquistatore come Napoleone, né uno Zar come Pietro il Grande né un Re come Luigi XIV, né un Imperatore come Filippo di Spagna, perché essi rappresentavano l’immagine politica, non la dimensione concreta degli Stati, la forza dei popoli che vi vivono.

Quelle di Tremonti, invece, per quanto terribili, non sono parole vane. La situazione è proprio quella che lui ha riassunto nell’affermazione: se cado io cade l’Italia e cade l’euro. In altri termini, l’Europa va in rovina perché il potere è nelle mani di una decina di banchieri, e sono essi a quantificarne la forza, giocandola in Borsa. Giocatori che soltanto la penna di Dostojewski sarebbe in grado di descrivere, questi banchieri hanno messo sul tavolo da gioco le Nazioni e non si alzeranno fino a quando non le avranno giocate tutte, essendo loro ad avere in mano il banco.

Il dramma, dunque, è tutto qui. Firmando il trattato di Maastricht i politici hanno trasferito il proprio potere nelle mani dei banchieri. Oggi debbono riprenderselo, non possono fare altro che riprenderselo. Il che significa avere il coraggio di creare, senza indugio e senza discussioni, una nuova banca nazionale e stampare in proprio la moneta necessaria al bilancio dello Stato. I titoli dello Stato li compreranno esclusivamente i suoi cittadini (come avviene in Cina, in Russia e ovunque ci siano governi degni di questo nome) e non saranno collocati nella borsa mondiale alla mercé di chiunque voglia impadronirsene. Sono già pronti molti studi e molti progetti, elaborati da economisti italiani e stranieri di grande competenza, per la rinascita della moneta nazionale, e sono anche molti i politici, presenti in diversi Partiti, dal Pdl alla Lega, a Io amo l’Italia all’Italia dei Valori (con un’interpellanza parlamentare dell’on. Di Pietro sulla questione della sovranità monetaria) che sarebbero favorevoli a questa decisione e aspettano soltanto che qualcuno prenda la parola per primo. Si tratta di una decisione che comporterà moltissimi sacrifici, ma alla quale non c’è scelta perché uno Stato che intraprende la strada dei prestiti a interesse con la Banca centrale europea, non sarà mai in grado di restituirli e alla fine crollerà. Abbiamo la Grecia sotto gli occhi: dopo un orribile tira e molla, indegno di un qualsiasi concetto di civiltà, per concederle dei prestiti ad altissimo interesse, oggi la Bce dichiara che il fallimento della Grecia è inevitabile. Non è forse stato imposto pochi giorni fa all’Italia, di cui a sua volta si dice che stia per fallire, di contribuire per il 17% al totale dei miliardi prestati alla Grecia? Debitori sull’orlo della rovina costretti a prestare denaro a chi sta per fallire? C’è in Italia qualche politico che abbia conservato il minimo di buon senso necessario per rendersi conto della “follia” (se è follia e non rapina preordinata) di simili comportamenti?

E’ indispensabile abbandonare ladri e folli al loro destino. Nessuno si illuda che esistano alternative alla decisione di produrre in proprio la moneta. Il meccanismo che sta portando alla rovina gli Stati europei non è dovuto a un qualche imprevedibile incidente ma è intrinseco alla creazione dell’euro, cosa che è stata detta e ripetuta innumerevoli volte da economisti e monetaristi di ogni tendenza politica. Non può sussistere una moneta che non fa capo a uno Stato e che non risponde alle necessità di questo Stato, in quanto la moneta di per sé è stata inventata proprio per essere uno “strumento” e non un “fine”. In Europa, invece, gli Stati sono stati costretti a mettersi al servizio dell’euro, piegandosi a poco a poco a costruire un mercato adatto all’euro, limitando le possibilità di scambio delle merci, coltivando carote su misura, uccidendo mucche, distruggendo arance… Per gli storici di domani l’Europa dell’Unione costituirà l’esempio più evidente di una società che delira. Siamo però ancora in tempo a cercare di non morirne.

Ida Magli
Fonte: http://www.italianiliberi.it
Link: http://www.italianiliberi.it/Edito11/politici-e-banchieri.html
12.07.2011

Antimafia Duemila – La rete per gli eroi antimafia

Fonte: Antimafia Duemila – La rete per gli eroi antimafia.

Il 19 luglio 1992 un altro attentato mafioso sconvolge Palermo e il Paese intero. Paolo Borsellino viene ucciso in via D’Amelio, sotto casa della madre, con i suoi cinque agenti della scorta.

Due mesi prima nella strage di Capaci perdono la vita Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta. A diciannove anni dal brutale attentato tutta la rete rende omaggio ai due eroi che hanno avviato la bat- taglia contro Cosa Nostra.

Martedì 19 luglio dalle ore 10 in diretta “a rete unificata” su Altratv.tv, su centinaia di micro web tv, blog e videoblog, web radio, micro media iperlocali e sui network editoriali il documentario In un altro Paese di Marco Turco, tratto dal libro di Alexander Stille “Excellent cadavers. The Mafia and the Death of the First Italian Republic” (Cadaveri eccellenti. La mafia e la morte della prima Repubblica italiana). L’opera, prodotta da DocLab, ripercorre la storia della mafia dalla fine degli anni 70 ai giorni nostri, ricostruendo i legami tra Cosa Nostra e lo Stato italiano. Novanta minuti densi di fatti e testimonianze che prendono avvio dalla storia del maxi-processo di Palermo e dei due magi- strati che lo hanno reso possibile, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La storia del più grande proces- so anti-mafia mai celebrato, ma anche la storia di una lenta, inesorabile morte. “In un altro Paese – rac- conta Alexander Stille – gli artefici di una tale vittoria sarebbero stati considerati un patrimonio nazio- nale. Dopo aver vinto la prima battaglia a Palermo, ci si sarebbe aspettato che Falcone e i suoi colle- ghi fossero messi nelle condizioni di vincere la guerra. Invece in Italia avvenne proprio il contrario”.
Durante la maratona condotta da Giampaolo Colletti insieme a Anna Volpe e Davide Fonda prenderanno parte in webcam via Skype Rita e Salvatore Borsellino. Nella trasmissione parteciperanno Danilo Sulis
(Radio Cento Passi) e Pino Maniaci (Telejato), responsabili di due media dal basso espressione del ruolo di denuncia e presidio del territorio per la lotta alla mafia.
Afferma Rita Borsellino: “Diciannove anni da quel giorno. Di cose ne sono cambiate, ma non tutte quelle che avevamo sperato. Oggi abbiamo una sola certezza: siamo stati presi in giro. Si sono fatti bef- fe di noi, hanno riso del nostro dolore. E non c’è ancora la verità. Abbiamo continuato a parlare, a de- nunciare, fino alla nausea. Abbiamo continuato a farlo in questi diciannove anni e questo grido di al- larme e di dolore è stato raccolto da qualcuno e ignorato da troppi. E il silenzio, la solitudine, l’indiffe- renza sono ancora i nemici peggiori di magistrati e cittadini impegnati per la legalità”.
Precisa Salvatore Borsellino: “Io distinguo tra ricordo e memoria. La memoria per me vuole dire impe- dire che la gente dimentichi e su queste stragi cada l’oblio. Ad oggi non è stata fatta giustizia e non si conoscono i veri mandanti. Per me non è stata una strage di mafia ma una strage di Stato. In questi ul- timi mesi finalmente tanti personaggi hanno ritrovato la memoria parlando della trattativa e comincia- no a ricomporsi i pezzi di un puzzle che spero presto arrivi al suo compimento. Si deve sapere chi ha condotto la trattativa e perché mio fratello è stato eliminato. Credo peraltro che sia stato ucciso perché si è opposto a quella trattativa. Mi aspetto che ai magistrati venga consentito di fare il loro lavoro per- ché su D’Amelio si stanno addensando anche gli strali su chi – ritengo – li voglia fermare. Comunque io ho fiducia in loro e nei giovani che fanno camminare sulle loro gambe le idee di Paolo. Ho ricomin- ciato a parlare dopo quasi dieci anni di silenzio, e questo anche grazie al documentario In un altro Paese. Oggi i giovani sono molto più attenti alla storia del nostro Paese, cercano di capire. E questi giovani hanno fatto rinascere in me la speranza che si possa arrivare alla verità”.
Nel documentario “In un altro Paese” intervengono i giudici istruttori del primo pool anti-mafia Leonar- do Guarnotta e Giuseppe Di Lello, il pm al maxiprocesso Giuseppe Ayala, i magistrati Ignazio De Fran- cisci, Antonio Ingroia e Francesco Lo Voi, il giornalista Francesco La Licata e Letizia Battaglia fotogra- fa di punta nella documentazione dei crimini di mafia.
La diretta è promossa dal network delle micro web tv italiane Altratv.tv in collaborazione con Associazione SqueezeZoom bottega e Dude. Si ringrazia DocLab per l’autorizzazione alla trasmissione del documentario. Tutti i media che vorranno aderire all’iniziativa per rilanciare la diretta embeddando il player della trasmissione potranno richiedere il codice inviando una mail a info@altratv.tv

Tratto da: altratv.tv

L’orchestrina del Titanic- Blog di Beppe Grillo

Fonte: L’orchestrina del Titanic- Blog di Beppe Grillo.

L’orchestrina del Titanic continua a suonare mentre l’iceberg si avvicina. Tremorti, il trombonista, ci rassicuraO si va avanti o si va a fondo” (forse entrambi…) e “Come sul Titanic, la prima classe non si salva“. E’ l’ennesima balla tremortiana. La prima classe si è già salvata. Ha accumulato capitali, ha portato i soldi all’estero. La prima classe ha ottenuto dal Governo biglietti omaggio per la traversata con lo Scudo Fiscale con il solo 5% di tassazione sui capitali occultati al Fisco. Insieme ai viaggiatori di prima classe si salveranno i loro cuochi, i valletti, i camerieri dei giornali, ma anche i gigolò e le puttane da camera e gli armatori delle banche e di Confindustria. La citazione del Titanic è una rassicurazione buona soltanto per i poveracci. Lavoratori dipendenti, precari e disoccupati sono già immersi nella merda fino al collo. Nell’affondamento del Titanic in prima classe si salvò il 61,81% dei passeggeri, 204 superstiti su 330. In seconda classe il 42,5%, 119 su 280. In terza classe il 26,85%, 105 su 391. Un biglietto di prima classe garantiva tre volte di più la salvezza rispetto a uno di terza.
Tremorti dopo trent’anni di frequentazioni politiche e di ciance economiche si è svegliato. Ha bisbigliato, come se fosse sdraiato sul letto in attesa del trapasso “Introdurre nella Costituzione una regola d’oro che vincoli al raggiungimento del pareggio di bilancio“. Lo dice ora, quando tutto tracima, tracolla, esonda e il debito è una montagna di ghiaccio che sfiora i 2.000 miliardi che ci arriva in faccia. Tremortacci tua, dove sei stato insieme ai tuoi compari in tutto questo tempo? Il MoVimento 5 Stelle, quello populista, l’alfiere dell’anti politica, il qualunquista, da anni ha inserito nel suo Programma una riga “Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria“. Non puoi indebitare il cittadino senza il suo permesso per fare finanza elettorale, per comprare cacciabombardieri dagli Stati Uniti, per mantenere le nostre truppe in Afghanistan, per puttanate da 22 miliardi di euro come la Tav, per un miliardo di finanziamenti pubblici ai partiti spacciati come rimborsi. Non puoi buttare nel cesso centinaia di milioni dei contribuenti con cazzate come quella voluta da Maroni di disaccoppiare il referendum dalle elezioni amministrative o per mantenere in vita le Province. O fare il Ponte di Messina, la Gronda e il cazzo che ti pare per decine di miliardi di euro attinti dal debito pubblico. I soldi sono nostri, dei cittadini. Ve li siete fumati, li avete regalati ai concessionari di Stato come Benetton per le autostrade, alla Marcegaglia e ai petrolieri con il Cip6, ai vostri giornali. La prima classe si è arricchita grazie allo Stato, deve essere l’ultima a salire sulle scialuppe di salvataggio.

ComeDonChisciotte – LA TURBOLENZA COLPISCE L’EUROZONA: AFFRONTARE LA CRISI DEL DEBITO IN EUROPA

Fonte: ComeDonChisciotte – LA TURBOLENZA COLPISCE L’EUROZONA: AFFRONTARE LA CRISI DEL DEBITO IN EUROPA.

Le ingiustizie evidenti delle politiche macroeconomiche

DI DAMIEN MILLET E ERIC TOUSSAINT
Global Research

Uno degli avatar della crisi del settore finanziario, iniziata nel 2007 negli Stati Uniti e che si è diffusa come un incendio in Europa, è l’entusiasmo mostrato dai banchieri europei (specialmente tedeschi e francesi [1], ma anche belgi, olandesi, britannici, lussemburghesi e alcuni irlandesi) nell’utilizzare fondi prestati o donati dalla Federal Reserve e dalla BCE per aumentare i prestiti concessi ai paesi dell’Eurozona tra il 2007 e il 2009 (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) rastrellando notevoli profitti per gli alti tassi d’interesse: tra il giugno del 2007 (inizio della crisi del subprime) e il settembre 2008 (la bancarotta di Lehman Brothers) i prestiti delle banche private occidentali alla Grecia sono saliti del 30%, da 120 a 160 miliardi di euro.

I banchieri dell’Europa Occidentale hanno fatto a gara per prestare soldi alla periferia dell’Unione Europea a chiunque ne avesse avuto necessità. Non soddisfatti dal prendere rischi stravaganti al di là dell’Atlantico nel mercato subprime con i soldi dei risparmiatori che hanno fatto l’errore di fidarsi di loro, hanno ripetuto la stessa operazione in Grecia, Portogallo e Spagna. Il fatto che di alcuni paesi fossero ll’Eurozona ha convinto i banchieri dell’Europa Occidentale che i governi, la BCE e la Commissione Europea sarebbero venuti in soccorso in caso di bisogno. Non si sbagliavano.

 

Nella primavera del 2010, quando la turbolenza iniziava a liberarsi nell’Eurozona, la BCE stava prestando denaro alle banche private al tasso vantaggioso dell’1% e queste banche a loro volta richiedevano un ritorno molto più alto a paesi come la Grecia: dal 4 al 5% per prestiti a tre mesi, circa il 12% per uno strumento a dieci anni. Le banche e altri investitori finanziari giustificavano simili condizioni per il “rischio del default” delle cosiddette nazioni “rischiose”. Il risultato è stato un notevole aumenti dei tassi applicati: i prestiti del FMI e dell’Unione Europea all’Irlanda hanno raggiunto il 6,7%, paragonato al 5,2% di quelli alla Grecia concessi sei mesi prima. Nel maggio 2011, gli interessi sui titoli greci a dieci anni hanno superato il 16,5%, costringendo la Grecia a potersi permettere prestiti per solo tre o sei mesi, o affidarsi al FMI e agli altri governi europei. Fino a questo momento, la BCE doveva garantire i debiti detenuti dalle banche private acquistando da loro i titoli di stato, malgrado il proprio mandato vieti di prestare direttamente agli Stati.

 

Cercando di ridurre i rischi, le banche francesi hanno diminuito la loro esposizione verso la Grecia in 2010. È scesa del 44%, passando da 27 a 15 miliardi di dollari. Le banche tedesche hanno fatto una mossa simile: la loro esposizione è calata del 60% da maggio 2010 al febbraio 2011, da 16 a 10 milioni di euro (ndt: saranno miliardi). Il FMI, la BCE e i governi europei hanno gradualmente preso il posto delle banche e di altre istituzioni finanziarie. La BCE deteneva un ammontare di 66 miliardi di euro in titoli della Grecia (20% del debito pubblico greco), che ha acquistato sul mercato secondario dalle banche. Il FMI e i governi europei hanno concesso prestiti per 33,3 miliardi di euro fino al maggio 2011. I loro prestiti aumenteranno in futuro. Ma non è tutto; la BCE ha accettato 120 miliardi di euro di obbligazioni greche come garanzie (collaterali) per prestiti ulteriori concessi al tasso dell’1,25%. Lo stesso processo è stato intrapreso in Irlanda e Portogallo.

 

Qui troviamo tutti gli ingredienti della gestione della crisi del debito nel Terzo Mondo con l’implementazione del Brady Plan [2]. All’inizio della crisi nel 1982, il FMI e i governi delle maggiori potenze, soprattutto Stati Uniti e Regno Unito, intervennero per salvare i banchieri privati del Nord che avevano preso enormi rischi nel prestare soldi ai paesi del Sud, specialmente quelli dell’America Latina. Quando nazioni come il Messico si trovarono sull’orlo del default dei pagamenti a causa dell’impatto simultaneo del rialzo dei tassi di interesse e della caduta delle entrate dalle esportazioni, il FMI e i paesi facenti parte del Club de Paris gli prestarono somme a condizione che continuassero a rimborsare il debito e rendessero operativi i piani di austerity (i famosi piani di aggiustamento strutturale). Poi, quando il debito del Sud stava gonfiando per l’effetto valanga (come vediamo ora accadere in Grecia, in Irlanda, in Portogallo e ovunque nell’UE), hanno implementato il progetto Brady (dal nome del Segretario del Tesoro statunitense di quel periodo) che comportava la ristrutturazione del debito dei principiali settori economici della nazione con uno scambio di titoli. Il volume del debito in alcuni casi fu tagliato del 30% e i nuovi titoli (i Brady bond) garantivano un tasso di interesse fisso di circa 6%, che andava molto a favore dei banchieri. Questo ha assicurato la continuazione delle politiche di austerity sotto il controllo del FMI e della Banca Mondiale. Nel lungo termine, la somma totale del debito è comunque aumentata e le somme ripagate erano enormi. Se consideriamo solo il bilancio netto tra le somme prestate e quelle ripagate da quando il Brady Plan venne implementato, i paesi in via di sviluppo hanno consegnato ai creditori l’equivalente di sei piani Marshall, più o meno 600 miliardi di dollari. Dovremmo cercare di evitare uno scenario simile? Perché dovremmo accettare che i diritti economici e sociali dei popoli siano ancora una volta sacrificati sull’altare dei banchieri e degli altri operatori del mercato finanziario?

 

Secondo le banche d’affari Morgan Stanley e J.P. Morgan, nel maggio 2011 i mercati hanno stimato che c’era il 70% di probabilità che la Grecia non potesse ripagare il suo debito, dal 50% di due mesi prima. Il 7 luglio 2001 (ndt: 2011), Moody’s ha messo il Portogallo nella categoria del debito a alto rischio. C’è una ragione ulteriore per aderire a una cancellazione: il debito deve essere sottoposto a revisione con la partecipazione della cittadinanza per cancellare la parte illegittima. Se questa opzione non venisse presa, le vittime della crisi verrebbero condannate a morte due volte, sempre con profitto dei banchieri colpevoli. Lo possiamo vedere chiaramente in Grecia: le terapie di austerità seguono una dopo l’altra senza alcun miglioramento nella situazione dei conti pubblici. Lo stesso accadrà in in Portogallo, Irlanda e Spagna. Una larga fetta del debito è illegittimo perché è il risultato di una politica che favorisce una piccola minoranza della popolazione alle spese della stragrande maggioranza dei cittadini.

 

Nei paesi che hanno preso accordi con la Troika (FMI, CE e BCE), i nuovi debiti non sono solo illegittimi, ma anche odiosi per tre ragioni: 1. i prestiti sono a condizioni che violano i diritti economici e sociali di una gran parte della popolazione; 2. i prestatori stanno ricattando queste nazioni (non c’è alcuna autonomia dal lato del debitore); 3. i prestatori stanno facendo profitti abusivi, mungendo tassi di interesse proibitivi (ad esempio, Francia e Germania prendono a prestito al 2% sui mercati finanziari e prestano a più del 5% a Grecia e Irlanda; le banche private prendono somme all’1,25% dalla BCE e prestano a Grecia, Irlanda e Portogallo a più del 4% a tre mesi). Per nazioni come Grecia, Irlanda, Portogallo o quelle dell’Europa dell’Est (e fuori dall’UE, paesi come l’Islanda), soggette al ricatto degli speculatori, sarebbe appropriato di fissare una moratoria unilaterale sulla restituzione del debito pubblico. È un sistema inevitabile per far pendere la bilancia a loro favore. Questa proposta sta diventando popolare nei paesi maggiormente colpiti dalla crisi.

 

Il debito pubblico deve anche essere controllato dalla cittadinanza. Lo scopo dell’audit è quello di cancellare e di non riconoscere la parte illegittima o odiosa del debito pubblico e di limitare l’entità del debito.

 

Una riduzione radicale del debito pubblico è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per far uscire dalla crisi le nazioni dell’UE. Deve essere accompagnata da una serie di misure a largo raggio in vari settori (tassazione, trasferimento del settore bancario al demanio pubblico, risocializzazione di altri settori economici fondamentali, la riduzione dell’orario di lavoro preservando i redditi e l’assunzione del personale mancante, ecc. [3]).

 

L’ingiustizia flagrante delle politiche regressive applicate in Europa sta alimentando la mobilitazioni di massa degli “arrabbiati” (“indignati”) in Spagna, Grecia e oramai ovunque. Grazie a questi movimenti nati in risposta alle rivolte popolari in Nord Africa e nel Medio Oriente, stiamo assistendo a un’accelerazione della storia. Il debito pubblico necessita di una risposta radicale.

 

**************************************Note:

 

[1] Alla fine del 2009, i banchieri tedeschi e francesi detenevano il 48% delle obbligazioni emesse dalla Spagna (le banche francesi il 24% di questo debito), il 46% dei bond portoghesi (le banche francesi il 30%) e il 41% di quelle greche (le francesi il 26%).

 

[2] Éric Toussaint, The World Bank: A Critical Primer, Pluto Press, Londra, 2008, capitolo15.

 

[3] Vedi http://www.cadtm.org/Eight-key-proposals-for-another

 

**************************************Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=25638

 

15.07.2011

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

ATTACCO USA ALL’EUROPA – Cadoinpiedi

Fonte: ATTACCO USA ALL’EUROPA – Cadoinpiedi.

di Stefania Limiti – 17 Luglio 2011
La soffiata di Tarpley: in una riunione del 2008 è stata decisa la crisi europea, per evitare che il biglietto verde crollasse. Gli sciacalli hanno puntato tutto sui Credit Default Swaps

Abbiamo di nuovo scelto Webster G. Tarpley per approfondire uno dei più temi urgenti di questi giorni, l’attacco speculativo all’euro e i suoi effetti su alcuni paesi, tra cui l’Italia. Tarpley, infatti, oltre ad essere un profondo conoscitore del sistema finanziario internazionale è, soprattutto, un osservatore di assoluta indipendenza e paladino delle battaglie contro tutte le oligarchie, come è possibile constatare dalle sue opere (tra le quali segnaliamo, per l’attinenza al tema, il recentissimo Obama dietro la maschera: golpismo mondiale sotto un fantoccio di Wall Street). Le sue sono caratteristiche essenziali, dunque, se si vuole scoprire dove siano le verità nascoste: per questo la prima domanda è diretta al cuore del problema:

1. Esiste un’intelligence che ha pensato e attuato il piano speculativo nei confronti dei paesi europei? – Sì, questo era già chiaro dal febbraio 2010, quando il Wall Street Journal pubblicò un servizio su una cena cospiratoria (8 febbraio) tenuta nella sede di una piccola banca d’affari specializzata, la Monness Crespi and Hardt, alla quale parteciparono persone di grande influenza. In quell’occasione si cercavano strategie per evitare un’ondata di vendite di dollari da parte delle banche centrali ed il conseguente crollo del dollaro. L’unica maniera per rafforzare il biglietto verde passava attraverso un attacco all’euro le cui compravendite ammontavano circa a mille miliardi (one trillion) al ogni giorno: impossibile pensare ad un attacco frontale contro una moneta così forte. Quindi, gli sciacalli degli hedge funds di New York – fra cui anche certi protagonisti della distruzione di Lehman Brothers – hanno cercato i fianchi più deboli del sistema europeo e li hanno individuati nei mercati dei titoli di stato (government bonds) dei piccoli paesi del meridione europeo e comunque della periferia – Grecia e Portogallo – dove era possibile contare sulla complicità di politici dell’Internazionale Socialista al servizio della CIA e di Soros. Il mercato dei titoli di stato della Grecia è relativamente ristretto e poco liquido rispetto al Bund tedesco o al Gilt britannico (i loro bonds): una condizione ideale per una serie di vendite al ribasso, accompagnate da articoli negativi ispirati da veline di Wall Street e della City e magari a qualche valutazione pessimista delle agenzie di rating (notoriamente corrottissime come abbiamo visto nel 2007-8). Un mix che può determinare tracolli dei prezzi e un vero e proprio panico. Per aumentare il potere distruttivo di questi attacchi speculativi, si usa una forma di derivati che si chiamano Credit Default Swaps (Cds) – detti talvolta derivati di assicurazione. Con pochi soldi si può scatenare un effetto notevole al ribasso.

2. Può spiegarci meglio cosa sono questi famigerati Cds?

– Sono quelli che hanno distrutto la più grande ditta assicuratrice del mondo, l’AIG, nel settembre 2008. L’ufficio di Londra di AIG aveva emesso Cds per 3 mila miliardi di dollaro ($3 trillion), più del prodotto nazionale lordo della Francia. C’è stato un tentativo qui negli Usa di proibire o almeno limitare i CDS ma alcuni esponenti Democratici al servizio di Wall Street, Dodd e Frank , hanno bloccato il provvedimento l’anno scorso con l’aiuto dei Repubblicani reazionari….

3. Sì, ricordiamo questo passaggio, può spiegarci in termine chiari di cosa di trattò?

– Durante l’iter parlamentare dell’abbozzo di legge per la riforma del sistema finanziario, il senatore Christopher Dodd del Connecticut e il deputato Barney Frank del Massachusetts, i presidenti delle commissioni competenti, entrambi Democratici e entrambi pagati da Wall Street, fingendo di volere la riforma radicale, hanno silurato quasi ogni tentativo di proibire o limitare i derivatives. Lo hanno fatto coll’aiuto dei Repubblicani, apertamente ostili ad ogni riforma. Il risultato e’ che il cancro dei derivatives continua a crescere.

4. Chiarissimo, tornando ai CDS…

Un CDS è una scommessa (side bet) fatta da un terzo rispetto alla bancarotta o meno di un altro titolo, spesso fatta a distanza – nel caso in cui colui che fa la scommessa non e’ il proprietario del titolo di cui si tratta (naked CDS). E’ come scommettere su un cavallo che appartiene ad un altro. I CDS sono intrinsecamente illegali: se fossero polizze di assicurazione, bisognerebbe incriminare i venditori perché non hanno fatto le formalità legali per registrarsi come società assicuratrici, ne’ hanno le riserve di capitale – chiunque può vendere CDS anche se non ha risorse ne’ fondi speciali per esiti imprevisti. Se i CDS fossero giochi di azzardo, allora bisognerebbe incriminare i venditori come operatori di una bisca fuorilegge. Si potrebbe quindi colpire i CDS senza nuove leggi, solo con quelle già esistenti. Nella primavera scorsa, il ministro tedesco delle finanze Schauble ha introdotto una serie di misure contro i CDS allo scoperto (naked credit default swaps): si tratta di misure che hanno avuto un effetto positivo per la stabilità dell’euro e delle obbligazioni dell’eurolandia.

Campania, consigliere Pdl arrestatoAncora mazzette e appalti in cambio di voti | Nello Trocchia | Il Fatto Quotidiano

Fonte: Campania, consigliere Pdl arrestatoAncora mazzette e appalti in cambio di voti | Nello Trocchia | Il Fatto Quotidiano.

Il gip di Salerno definisce Alberico Gambino “capo di un cartello criminale” che dal 2006, avvalendosi di “fidati e spregiudicati collaboratori” e grazie all’aiuto di esponenti della criminalità organizzata, avrebbe ridotto Pagani a un feudo “dove camorra e politica sono strettamente intrecciate e dove tutto è possibile”

Posti di lavoro, controllo di attività commerciali, rapporti privilegiati con la camorra, imprenditori sotto scacco. Un cartello criminale con politici e camorristi, protagonisti alla pari. E’ lo scenario che emerge dall’ordinanza cautelare che ha portato all’arresto del consigliere regionale del Pdl Alberico Gambino, già sindaco di Pagani, nel salernitano. Concussione, associazione a delinquere finalizzata allo scambio elettorale politico mafioso, i reati contestati. Il clan di riferimento quello Fezza- D’Auria Petrosino, con il quale Gambino intratteneva rapporti continui. Con lui in manette sono finite altre sei persone, altre cinque sono indagate in un’inchiesta condotta dal Comando provinciale dei carabinieri, su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Salerno, coordinata dal procuratore Franco Roberti.

“Dal procedimento in esame – si legge nell’ordinanza firmata dal gip Gaetano Sgroia- emerge che non sempre per intimidire un imprenditore è stato necessario inviare un proiettile in una busta da lettera oppure bruciare un’autovettura, in quanto è talmente notorio il collegamento tra i menzionati esponenti politici e i camorristi che non c’è neppure la necessità di arrivare a questo”.

La camorra garantiva la forza di intimidazione quando necessario, la politica assicurava posti di lavoro e appalti, in cambio di voti e consensi con la complicità di imprenditori, consiglieri e dirigenti comunali. Un’inchiesta solida per la mole di riscontri incrociati: testimonianze, intercettazioni, denunce, oltre che il racconto dei pentiti.

Le estorsioni in nome del Comune. Le multinazionali che decidono di scendere al Sud e di investire a Pagani vengono costrette, non tanto a pagare il pizzo, quanto a subire continue estorsioni (che il gip inquadra come concussione essendo gli amministratori pubblici ufficiali). E’ il caso del centro commerciale Pegaso. La cupola, con dominus Gambino, teneva sotto scacco il titolare. L’imprenditore Amerigo Panico prima ha assecondato le richieste poi ha deciso di denunciare, confortato dal racconto anche di altri imprenditori della catena, consegnando puntuali registrazioni delle pretese estorsive. Panico era ormai sotto scacco, il gruppo criminale controllava le politiche di assunzioni e le strategie aziendali. Si andava dalla scelta del cugino della moglie di Gambino come direttore della Galleria, passando per il controllo della stazione di carburante, fino ad affidare la gestione dei parcheggi del Centro Commerciale ai fratelli Michele ed Antonio D’Auria Petrosino, “ponendo a guardiania degli stessi il pluripregiudicato Antonio Fisichella”. L’obiettivo è quello di ricondurre il controllo del centro commerciale a “uomini vicini al Gambino, appartenenti al suo stesso cartello, occasionalmente costituito – scrive il gip Sgroia – al fine di ridurre il centro commerciale Pegaso in una riserva di posti di lavoro e quindi di voti, un luogo ove imporre le aziende vicine al gruppo dominante in Pagani, a prescindere dal fatto che queste siano controllate direttamente o indirettamente da pregiudicati legati alla camorra”. Le modalità per costringere l’imprenditore erano diverse, dall’aumento della tassa sui rifiuti alla minaccia di chiusura domenicale. I rapporti tra Gambino, politico vicino al presidente della provincia di Salerno Edmondo Cirielli (di cui era stato consulente) e a Nicola Cosentino, e la camorra sono inequivocabili.

Anche i rifiuti e la loro raccolta erano di competenza del pregiudicato Michele D’Auria Petrosino (che nel gennaio scorso rinnegava sui giornali la camorra), figlio del boss detenuto Gioacchino. Michele Petrosino era inserito nel disegno criminale gestito da Gambino e usava la spazzatura come arma di intimidazione, pulendo o meno le zone di competenza degli ‘amici’. Gambino coltiva anche la passione calcistica divisa con i fratelli Trapani, Raffaele (il presidente della società) coinvolto precedentemente in un’inchiesta della magistratura per associazione camorristica, è finito anche lui in galera. Anche per la Paganese solito sistema ricattatorio per reperire soldi.

Le Regionali di camorra. Già un altro consigliere regionale Roberto Conte, da condannato in primo grado per concorso esterno in associazione camorristica, aveva con i suoi voti (9 mila) contribuito all’elezione di Stefano Caldoro, nel 2010, alla presidenza della regione Campania. Dall’ordinanza, eseguita ieri dai carabinieri, emerge chiaramente che i voti (27 mila) portati in dote da Alberico Gambino “puzzano” di camorra. All’epoca Gambino risultava già condannato per peculato (processo da rifare per la cassazione), ma il Pdl spinse per la sua candidatura. Mara Carfagna oppose resistenza pur ammettendo “è uno degli amministratori migliori che abbiamo avuto”.

Oltre al peculato, Gambino risulta indagato anche per lottizzazione abusiva, poca cosa rispetto ai rapporti stabili con i camorristi di Pagani. Durante le regionali del 2010 le elezioni avvenivano in un clima di paura e intimidazioni, “con camorristi come i fratelli D’Auria Petrosino Michele e Antonio che pubblicamente evidenziavano il loro incondizionato appoggio alla campagna elettorale di Gambino”. Una campagna elettorale caratterizzata dall’imposizione del pagamento di tremila euro al titolare del centro commerciale per finanziare la campagna elettorale. Nell’ordinanza si evoca una Pagani degli anni ’80, a proposito delle botte inferte ai lavoratori dal camorrista nel silenzio dei sindacalisti, omertosa come allora quando era il regno indiscusso di Raffaele Cutolo, capo della nuova camorra organizzata. Erano gli anni della spartizione post-terremoto quando i pochi sindaci perbene cadevano sotto i colpi di arma da fuoco per essersi opposti alla carneficina di diritti e regole. Pagani pagò il suo tributo di sangue, il primo cittadino l’avvocato Marcello Torre fu ucciso l’11 dicembre 1980. Faceva il sindaco al servizio dell’interesse collettivo in nome e per conto della democrazia.

Miiracolo a Montecitorio- Blog di Beppe Grillo

Fonte: Miiracolo a Montecitorio- Blog di Beppe Grillo.

Se la BCE non fosse intervenuta martedì scorso per comprare la nostra carta straccia di Stato che non voleva nessuno, l’Italia sarebbe già sulla via del default. Altro che il miracolo proclamato da Napolitano che trova il tempo di ricevere al Quirinale Woody Allen in maniche di camicia insieme alla moglie formato armadio.
E’ avvenuto o’ miracolo. Si è sciolto il sangue dell’opposizione (neppure fosse quello di san Gennaro) che ha votato una manovra da 80 miliardi di euro senza intaccare minimamente i privilegi dei politici. Il costo è di 1.000 euro a famiglia e di zero euro per i parlamentari. I deputati che hanno votato per “senso di responsabilità” e sono stati elogiati dal Capo dello Stato, sono gli stessi che si sono assentati pochi giorni prima per l’abolizione delle Province, che ricevono un miliardo di contributi pubblici per i loro partiti e che maturano allegramente la pensione dopo una legislatura. Dovrebbero sputarsi in faccia da soli quando si guardano allo specchio. Invece si lanciano messaggi di solidarietà come chi è scampato da un possibile naufragio. In cambio del sangue degli italiani non è stato chiesto nulla. In pensione si andrà a 68 anni e due mesi (ma chi ha trent’anni ci andrà a 70). A cosa serve l’INPS, dove sono i soldi che abbiamo versato? Questo istituto va abolito. D’ora in poi ognuno si tiene i suoi contributi, a partire da quelli già dati, e decide quando smettere di lavorare. Sono stati introdotti i ticket per le analisi e le visite specialistiche, in sostanza tutte.
O’ miracolo do o’ Quirinale e del Pdmenoelle. Si dovevano chiedere, in cambio della manovra, le dimissioni immediate del Governo, un presidente del Consiglio di nomina tecnica a tempo per salvare la baracca, il taglio dei privilegi insopportabili dei politici, una nuova legge elettorale, l’eliminazione dei finanziamenti pubblici a giornali e partiti, il blocco di ogni Grande Opera Inutile, dalla Gronda alla Tav. Nulla è stato chiesto, nulla è stato fatto. I partiti si credono in salvo. La Nazione è stata fottuta ancora una volta. Per loro è stato un miracolo, per gli italiani l’ennesima presa per il culo. Gli 80 miliardi non sono sufficienti per evitare il default, non ne basterebbero neppure 200. Ci aspettano forse la patrimoniale, un prelievo sui conti correnti e il congelamento dei titoli di Stato. Sarà un nuovo miracolo all’italiana.

ComeDonChisciotte – LA FRANCIA AFFERMA CHE I BOMBARDAMENTI NATO HANNO FALLITO

Fonte: ComeDonChisciotte – LA FRANCIA AFFERMA CHE I BOMBARDAMENTI NATO HANNO FALLITO.

DI FRANKLIN LAMB
Activist Post

Una delle barzellette sentite questa settimana all’affollato raduno dopo la preghiera del venerdì a favore del governo in Green Square (nella maggior parte degli altri paesi arabi i venerdì sono giorni di rabbia contro il governo du jour, ma in Libia le preghiere del Venerdì sono seguite da massicce manifestazioni pro-Gheddafi a cui ha partecipato due settimane fa quasi il 65% della popolazione di Tripoli) è su come ogni mattina il leader libico, dopo le preghiere Fajr mattutine, indossi la sua alta uniforme, con quelle spalline enormi, e saluti la piccola bandiera della NATO che incolla allo specchio del bagno, mentre si muove da un luogo all’altro schivando i droni della NATO e gli assassini.

“Il nostro leader fa questo”, una signorina mi ha informato prima con un gran sorriso e poi sempre più grave, “perché i bombardamenti NATO di civili libici, che l’asse Stati Uniti/NATO sostiene sia Gheddafi a fare, hanno mandato la sua popolarità alle stelle nella nostra popolazione tribale, orgogliosa e nazionalista. Io ne sono un esempio. Sì, certamente abbiamo bisogno di nuova linfa e riforme che attendiamo da tempo da parte del nostro governo. Quale paese non ne ha bisogno? Ma prima dobbiamo sconfiggere gli invasori della NATO e poi saremo in grado di risolvere i nostri problemi tra le nostre tribù, tra cui i cosiddetti “ribelli NATO”.

 

Dall’inizio dell’operazione NATO (il 31 marzo 2011), l’alleanza ha condotto quasi 15.000 sortite, tra cui circa 6.000 missioni di bombardamento in base alle informazioni dell’ufficio stampa della NATO a Napoli in Italia (oup.media @ gmail.com). Gli attacchi più recenti del 9 luglio hanno riguardato 112 sortite e 48 attacchi con bombe/missili, una cosa nella norma.

 

Le due Ambasciate più attive in ​​Libia in questi giorni sono quella russa e quella cinese. Il 25 febbraio, secondo il personale dell’Ambasciata bulgara che è stato erroneamente accusato di gestire attualmente i servizi consolari degli Stati Uniti (mentre sembra che nessuno lo stia facendo qui in Libia), l’Ambasciata statunitense ha essenzialmente ordinato a tutte le Ambasciate UE e NATO di prendere bagagli e burattini e raggiungere i loro aerei charter e le loro imbarcazioni. I funzionari libici raccontano ai visitatori di essere rimasti scioccati dal loro rapido esodo .”Non hanno nemmeno detto addio. Improvvisamente erano sulla strada per l’aeroporto”, ha detto il ministro degli Esteri durante una riunione la scorsa settimana. Le leadership russa e cinese sono diventate sempre più critiche rispetto alle azioni della NATO in Libia e ora stanno fermamente chiedendo un cessate il fuoco immediato e permanente. Alcuni cinici qui sottolineano che questi paesi, a differenza della NATO, sanno esattamente cosa stanno facendo, ossia hanno la consapevolezza di avere ottime possibilità di ottenere molti miliardi di dollari in contratti lucrativi, e che ogni funzionario intervistato ha giurato che non un dinaro libico andrà mai più a qualsiasi paese della NATO, una volta respinto, finalmente, il loro attacco. È in parte questa presa di coscienza del “tutto o niente”, che mantiene gli Stati Uniti e la sua potente risorsa militare, la NATO, concentrati sull’assassinare il colonnello Gheddafi e spezzare la sua base di appoggio civile. Se Gheddafi vive, la NATO perde e così gli attuali maggiori fornitori dell’industria petrolifera, che si dice stiano diventando depressi nel vedere tutti gli uomini d’affari russi e cinesi che arrivano in Libia.

 

La Nato, fonti diplomatiche e del Congresso confermano che l’amministrazione Obama ha sbagliato terribilmente a pensare che il regime libico sarebbe crollato “in pochi giorni, non settimane”, come Obama ha assicurato il pubblico americano che deve sborsare a fatica la cifra stimata di 5 miliardi di dollari attraverso il bilancio del 31 luglio 2011. L’eclatante errore di calcolo di Obama potrebbe costargli la presidenza se non lo fa l’economia. Come ha commentato uno studente dell’Università Al Fatah di Tripoli: “Quello che il vostro governo americano ha fatto nella regione per autodistruggersi dall’11 settembre è incredibile per i libici. Ora ci venite a combattere? Perché? Avevate già tutto il ​​nostro petrolio a prezzi stracciati, abbiamo stupidamente messo i nostri fondi sovrani nelle banche degli Stati Uniti e non abbiamo nemmeno infastidito molto Israele. Ogni giorno che la Nato bombarda, uccide sempre più civili libici. Abbiamo sacrificato quasi un terzo della nostra popolazione o più di un milione di nostri fratelli e sorelle per espellere gli italiani settant’anni fa. Nessuno nel vostro governo studia la storia? Noi non siamo del Bahrein o siriani. Siamo armati e useremo le nostre armi. Tra gli errori che la nostra leadership ha fatto, uno dei peggiori, è aver creduto agli accordi che abbiamo fatto con gli Stati Uniti nel 2004. Gli iraniani e i nordcoreani ridono di noi per esserci fidati di voi e aver rinunciato ai nostri programmi nucleari e per le armi biologiche. Credetemi cari, se Gheddafi lascia il potere ne sentirete la mancanza, perché il popolo libico sarà più duro contro i vostri progetti di quello che lui è stato. “Domenica 10 luglio la Francia si è apparentemente alleata con la Russia e la Cina per chiedere alla NATO di fermare immediatamente i suoi bombardamenti controproducenti e controintuitivi, in quanto sempre più paesi sono teatro di manifestazioni pubbliche contro le azioni della NATO in Libia. Il ministro francese della Difesa, Gérard Longuet, ha dichiarato a Parigi che era giunto il momento per i fedelissimi di Gheddafi – che la Francia riconosce stiano rapidamente aumentando di numero – e i ribelli libici “di sedersi intorno a un tavolo per raggiungere un compromesso politico”, perché “non si può arrivare a una soluzione con la forza.” La NATO e l’amministrazione Obama non possono avere nessuna parte in alcun dialogo, perché loro sarebbero i maggiori sconfitti se la pace sopraggiungesse in Libia senza che Gheddafi lasci il potere.

 

Non appena il ministro francese della Difesa aveva parlato il 12 luglio, riflettendo anche il punto di vista dei militari britannici e italiani, il Dipartimento di Stato americano ha emesso un comunicato insistendo che “gli Stati Uniti manterranno i loro sforzi come parte di una coalizione NATO per rafforzare la no-fly zone in Libia, autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, progettata per proteggere i civili sotto la minaccia di attacco.” Il portavoce non ha menzionato che la no-fly zone è stata raggiunta lo scorso marzo in 48 ore e che nessun aereo libico ha volato da allora. Missione compiuta 100 giorni fa. Hillary Clinton ha ripetuto le sue prime parole, “I nostri sforzi in Libia hanno bisogno di tempo, ma non ci sono dubbi sul fatto che la pressione politica, militare ed economica su Gheddafi continua a crescere. Gli alleati continueranno ad aumentare questa pressione fino a quando il popolo libico non sarà al sicuro, i loro bisogni umanitari soddisfatti, e una transizione di potere non sarà in pieno svolgimento.”

 

E così continua. Il 9 luglio, la NATO ha comunicato che i suoi aerei avevano effettuato un altro “attacco di precisione su una base pro-Gheddafi di missili vicino Tawurgha, a sud di Misurata. Secondo il suo ufficio stampa, “sono state condotte per un periodo di tempo l’intelligence, la sorveglianza e la ricognizione della NATO per accertare l’uso militare del sito. È stato confermato essere stato utilizzato per lanciare attacchi indiscriminati contro i civili libici nella zona, oltre ad essere un’area di gestione temporanea degli abitanti pro-Gheddafi del villaggio, compresa la pianificazione di attacchi di forze ribelli vicino al porto e alla città di Misurata.” Il mattino seguente, 10 luglio, gli abitanti del luogo hanno negato che la struttura praticasse una qualsiasi attività militare nel suo perimetro e un esame degli edifici agricoli non è riuscito a scoprirne alcuna.

 

La NATO è continuamente martellata dalle critiche, anche durante le sue conferenze stampa, in particolare da giornalisti di gruppi come il Jane’s Defense Weekly, che sanno una cosa o due riguardo le armi e la guerra. La scorsa settimana il Jane’s ha ridicolizzato il comandante della NATO che sosteneva che vedere antenne paraboliche sui tetti fosse la prova che un particolare sito fosse un “Centro di Comando e Controllo.” Il Jane’s ha trovato stupida tale affermazione. Fonti del Congresso hanno chiesto risposte da parte della NATO, anche sull’incidenza della morti dei civili causate dalle bombe e dai missili della NATO (70% dei quali sono forniti dagli americani, sollevando gravi questioni giuridiche e politiche in base all’Arms Export Control Act del 1976) e che sono state trasmesse da un membro dello staff del Congresso di collegamento NATO per un commento. I casi esatti inviati alla NATO dal Congresso degli Stati Uniti segnalano quanto segue con la richiesta di una spiegazione:

 

  1. Il 13 maggio 2011, una delegazione pacifica di leader religiosi musulmani arrivati ​​a Brega per cercare un dialogo con i colleghi sceicchi dell’est della Libia, è stata bombardata alle ore 01:00 nella loro pensione da due bombe statunitensi MK 82. Undici degli sceicchi sono stati uccisi all’istante e quattordici sono rimasti gravemente feriti. La NATO ha affermato che l’edificio ospitava un “Centro di Comando e Controllo”. Tutti i testimoni e il proprietario dell’hotel hanno negato con veemenza questa affermazione.
  2. Durante la mattina presto del 20 giugno 2011, otto missili e bombe Usa in dotazione alla NATO sono state scagliate sulla casa di Khaled Al-Hamedi e dei suoi genitori e la sua famiglia. Quindici tra i membri della famiglia e gli amici sono stati uccisi, anche la moglie incinta di Khaled, sua sorella e tre dei suoi figli. La NATO ha detto che ha bombardato la casa perché si trattava di un’installazione militare. Testimoni, vicini e osservatori indipendenti negano ci sia mai stata alcuna installazione o presenza militare delle truppe sulla proprietà.
  3. Alla fine di giugno 2011, sulla strada principale ad ovest di Tripoli, un autobus di linea con dodici passeggeri è stato colpito da un missile TOW che ha ucciso tutti i passeggeri. La NATO ha affermato che gli autobus pubblici sono utilizzati per il trasporto di personale militare. Osservatori stranieri, compreso il sottoscritto, unanimemente asseriscono che non hanno visto personale militare a Tripoli, tra cui carri armati, APC o attrezzature militari.
  4. Il 6 giugno 2011, alle ore 2:30 il complesso centrale amministrativo del Comitato Superiore per i Bambini, nel centro di Tripoli, a due isolati dall’hotel del sottoscritto, è stato bombardato con un totale di 12 bombe/missili. Il complesso ospitava il centro Nazionale per la Sindrome di Down con i registri e l’ufficio statistico, la Fondazione delle Donne Menomate, il Centro dei Bambini Menomati e il Centro Nazionale per la Ricerca sul Diabete.
  5. Il 16 giugno 2011 alle ore 05:00, la NATO ha bombardato un albergo privato nel centro di Tripoli, uccidendo tre persone e distruggendo un ristorante e il Shisha smoking bar.

 

La risposta della NATO è stata quella di ringraziare l’ufficio del Congresso per le informazioni “interessanti” e poi di spiegare, come la NATO di recente ha fatto fino alla nausea, che “utilizzando siti civili per scopi militari, il regime di Gheddafi ha ancora una volta dimostrato un totale disprezzo per il benessere dei civili libici.”

 

La risposta della NATO è proseguita: “Chiaramente, la questione principale per la NATO sono le accuse per le vittime civili, ma è importante inserire quelle accuse nel contesto della missione della NATO. La morte di ogni civile è una tragedia. Ovviamente, più di quanto ci piacerebbe constatare, a volte, a causa di un guasto tecnico, una delle nostre armi non colpisce il bersaglio militare. Deploriamo profondamente questi tragici incidenti e abbiamo sempre espresso le condoglianze della NATO alle famiglie di tutti coloro che possano essere stati coinvolti.”

 

La risposta della NATO reitera la sua posizione: “Quando la NATO sarà convinta di aver causato vittime civili lo dirà e lo farà nel più breve tempo possibile, visto che siamo in grado di stabilire i fatti. Se guardate le nostre statistiche dopo quasi 15.000 sortite e quasi 5.000 attacchi armati, si può vedere abbiamo prestato la massima attenzione per evitare vittime civili e continueremo a farlo. Infine, lasciatemi assicurare il vostro ufficio che la nostra missione è pienamente conforme alla Risoluzione del 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che rimane nei nostri compiti l’utilizzare tutti i mezzi necessari per prevenire gli attacchi e la minaccia di attacco contro i civili e le aree popolate da civili”. Mentre cresce la pressione internazionale sulla Casa Bianca per la sospensione della campagna di bombardamenti NATO, varie proposte vengono discusse in seno all’Unione Africana, l’Ambasciata russa e cinese, e anche tra i “ribelli NATO” e i rappresentanti del governo libico a Tripoli. Un possibile scenario potrebbe essere che la Libia offra alla NATO e a Obama una foglia di fico che includa il ritiro del colonnello Gheddafi “nella sua tenda a scrivere e riflettere”, mentre il dialogo si svolge tra il popolo libico, incluse le tribù e i 600 e più Congressi Popolari, cui naturalmente dovrebbe essere consentito di avere luogo, come il membro del Congresso Dennis Kucinich ed altri insistevano accadesse nello scorso febbraio 2011, prima che la NATO invadesse.

 

*********************************************Franklin P. Lamb, LLM, direttore dell’Americans Concerned for Middle East Peace

 

Fonte: http://www.activistpost.com/2011/07/france-says-nato-bombing-has-failed.html

 

11.07.2011

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FEY

Perchè siamo in Afghanistan – Massimo Fini- Blog di Beppe Grillo

Fonte: Perchè siamo in Afghanistan – Massimo Fini- Blog di Beppe Grillo.

I militari italiani vengono mandati al macello in Afghanistan mentre gli americani trattano l’uscita con gli emissari del mullah Omar. Ieri è morto il quarantesimo soldato, Roberto Marchini, di 28 anni, geniere-paracadutista della Folgore, ucciso da un ordigno. Frattini, l’happy hour fatta ministro, ha detto “È una nuova tragedia che ovviamente non diminuisce l’impegno dell’Italia“. Quale impegno? Contro chi combattiamo? Contro il popolo afgano? I talebani hanno il controllo dell’80% del Paese e il favore della popolazione. Gli afgani, come spiega Massimo Fini nel suo libro “Il mullah Omar“, vogliono una cosa sola, che gli Stati Uniti e i suoi alleati Nato se ne vadano. I bombardamenti degli Alleati hanno causato 60.000 morti civili. La guerra iniziò quando Omar si rifiutò di consegnare agli americani Bin Laden in mancanza di prove, questa fu la scusa, in realtà, come spiega Fini, l’attacco era previsto da prima delle Torri Gemelle. I talebani avevano cancellato il traffico di droga che è rifiorito dopo l’occupazione militare. Dobbiamo tornare a casa, non c’è una sola ragione per rimanere. Ogni nuovo morto è un morto di Stato.

Intervista a Massimo Fini, giornalista e autore :

Una guerra inutile
Blog: Perchè siamo in Afghanistan?
Massimo Fini: Siamo in Afghanistan per la semplice ragione che siamo servi degli americani, ma la cosa curiosa è che neanche gli americani hanno più un vero interesse a stare in Afghanistan perché non si può sostenere che in Afghanistan si sta combattendo il terrorismo, perché terroristi internazionali non ci sono in Afghanistan. la stessa Cia ha calcolato che su 50 mila combattenti solo 359 sono stranieri e sono ceceni, turchi, non quelli che hanno in testa la Jihad universale.I nostri governanti sono ancora più realisti del re perché continuano a sostenere che bisogna rimanere in Afghanistan, nel momento in cui gli americani stanno facendo trattative con i talebani per venire via, solo La Russa e Frattini chiamano questi ancora terroristi, Pentagono e Cia li chiamo insorti, quali sono effettivamente.
Blog: Mentre i nostri soldati stanno morendo, gli americani stanno trattando con
i talebani?
Massimo Fini: Sì, anche perché non possono rimanere in Afghanistan più a lungo perché spendono cifre, in un momento di crisi economica come questo
Blog: Perchè Obama ha deciso di rafforzare la presenza militare in Afghanistan ?
Massimo Fini: Secondo me ci sono state molte illusioni su questo pseudo nero, pseudo democratico, in realtà lui sta seguendo esattamente la politica di Bush. Infatti ha mandato 30 mila uomini in più in Afghanistan, solo che non riescono in alcun modo non dico a vincerla questa guerra, ma neanche a contenerla, perché i talebani hanno riconquistato l’80% del territorio, per cui è una presenza che è del tutto inutile, oltretutto anche loro perdono degli uomini, ne hanno persi mi pare fino a 1.400 le vittime americane, la stragrande maggioranza della popolazione vuole una sola cosa, che gli stranieri se ne vadano, lo vogliono anche le donne, questi 10 anni di guerra, hanno causato 60 mila morti civili, di cui la maggioranza secondo un rapporto ONU del 2009 è stata causata dai bombardamenti della Nato. Storicamente gli afgani non hanno mai tollerato gli stranieri, hanno cacciato gli inglesi nell’800, hanno cacciato i sovietici 20 anni fa e adesso cacceranno anche questi!
Blog: Nel tuo libro affermi che l’invasione americana è ancora peggiore di quella sovietica…
Massimo Fini: Sì perché i sovietici fecero grandi distruzioni materiali, gli occidentali hanno fatto grandi distruzioni materiali ma in più con la pretesa di introdurre lì la nostra mentalità, la nostra economia, il nostro modo di vedere il mondo, hanno distrutto l’economia afgana, la socialità afgana e in parte hanno distrutto anche la loro moralità. Ashraf Ghani che è un medico afgano, che ha fatto il dottorato alla Columbia University, ha insegnato alla John Hopkins e era il terzo candidato di quelle elezioni, peraltro false del 2009, quindi non è assolutamente sospettabile di simpatie talebane, ha detto: “Nel 2001 eravamo poveri, ma avevamo una nostra moralità, questo profluvio di dollari ha distrutto la nostra integrità”, quindi sono danni che vanno oltre le cose materiali, Kabul all’epoca talebana aveva 1.200.000 abitanti, oggi ne ha 5,5. La disoccupazione all’epoca talebana era l’8%, adesso al 40%, in alcune regioni del paese è all’80%, l’artigianato locale è stato distrutto dall’arrivo di costoro. Per dire una cosa divertente, i burka adesso non li fanno più le famiglie afgane, ma i cinesi, la famiglia afgana faceva un burka in un giorno, questi ne fanno 30 in un giorno. Poi questo continuo tentativo di corruzione con il denaro, anche adesso che ci sono le trattative, ma uno dei tentativi è di pagarli in qualche modo. Questi non li paghi, i talebani non è gente che si fa pagare, è gente che ha in testa una sua ideologia o ideale fortissimo. Oltre l’idea principale di cacciare gli stranieri e ci sono mille episodi che dicono che non li compri con il denaro. Per esempio quando gli americani invadono l’Afghanistan, con l’aiuto delle Alleanze del Nord, perché altrimenti non ce l’avrebbero mai fatta, quindi il Mullah è costretto a fuggire, si rifugia da un capo tribale che si chiama Valid, arrivano i Marines sulla sua testa c’è una taglia di 25 milioni di dollari, i Marines chiedono la consegna del latitante, di Omar. Valid fa solo finta di trattare 2 giorni, per consentire al Mullah Omar di guadagnare terreno sugli inseguitori. Con 25 milioni di dollari da quelle parti compri tutta l’Afghanistan e un po’ di Pakistan, però non sono bastati per corromperlo. C’è un altro che è preso prigioniero, uno tra l’altro che non è un cuor di leone, Zaef allora pensano gli americani che da lui otterranno informazioni utili su dove è Omar, prima gli fanno il trattamento a Guantanamo, poi gli fanno le torture vere e proprie, poi gli propongono la libertà e un mucchio di soldi e quello risponde “Non c’è prezzo per la vita di un amico, di un compagno di battaglia”, capisci che è una mentalità completamente diversa, qui per quanto ci si vende? Non parlo delle escort, che sono sciocchezze, per quanto ci si vende nella vita sociale e civile in questo Paese? E’ gente che ha ancora un fortissimo senso della propria dignità.

La guerra e la droga
Blog: Il Mullah Omar riesce a proibire la coltivazione di oppio in Afghanistan, poi arrivano gli americani…cosa succede?
Massimo Fini: Quando il Mullah proibisce la coltivazione del papavero, la produzione oppio cade quasi a zero, dopo è successo che sono ritornate le grandi organizzazioni internazionali, criminali di trafficanti di stupefacenti che sono a loro volta collegate con insospettabili classi dirigenti di paesi altrettanto insospettabili. Quindi oggi l’Afghanistan produce il 93% dell’oppio mondiale. Per capire la storia afgana, e anche la storia talebana, bisogna fare un piccolo passo indietro e cioè capire perché i talebani si sono fermati. Quando si sono fermati, perché quando l’Unione Sovietica si ritira, rimane un vuoto di potere e i grandi comandanti militari che avevano sconfitto il colosso sovietico, c’è tra di loro una feroce guerra civile per conquistare il potere e agiscono nel più pieno arbitrio, taglieggiano, borseggiano, stuprano, ammazzano, vessano in ogni modo la popolazione, cacciano dalle case gli abitanti e ci mettono i loro seguaci. ll movimento talebano nasce come reazione a questo stato di cose, nasce per l’iniziativa letteralmente di 4 ragazzi che hanno combattuto i sovietici, che in quel momento hanno 26/27 anni, giovanissimi, uno Omar l’altro si chiama Gaus, un altro Hassan, un altro Rabbani, i quali decidono che bisogna reagire, non sanno come fare, capiterà che proprio nel paese di Omar vengono rapiti due ragazze da uno di questi boss e le porta nelle basi militari per poterle stuprare a suo piacimento insieme ai suoi uomini. Omar con altri 30 “enfant de pays“, armati con 16 vecchi fucili, va sul posto, libera le ragazze, sconfigge i banditi e fa impiccare il capo della banda alla cisterna della piazza del paese. Succederanno un altro paio di episodi di questo genere e allora la gente che viene oppressa, vessata da questi prepotenti che sono diventati in realtà delle bande mafiose, si rivolge a lui per avere giustizia. Piano, piano si aggiungeranno ragazzi delle madrasse, degli studenti delle scuole coraniche che si chiamano Talib e loro decideranno di chiamarsi talebani e nonostante siano militarmente inferiori perché quegli altri hanno molta più esperienza e hanno più armi, riescono a sconfiggere i signori della guerra, nel giro di due anni perché hanno l’appoggio della popolazione che non ne può più di quegli abusi e di quelle vessazioni. Infatti quando arrivano a Kabul sono accolti con grande favore dalla popolazione. Questa è la premessa che se non si capisce da dove saltino fuori, come mai si fa grande confusione, si pensa che i talebani siano nati quando c’erano i sovietici, no, sono nati dopo e a causa proprio del fatto che l’Unione Sovietica aveva lasciato un vuoto di potere. Sono nati contro i signori della guerra che hanno sconfitto e cacciato dal Paese e hanno riportato l’ordine e la legge in Afghanistan, una dura legge la sharia, peraltro non lontana, perlomeno nella vasta componente rurale, dalla mentalità di quella gente che comunque la preferiva all’arbitrio. In quell’Afghanistan, chiunque c’è stato lo può dire, c’era sicurezza, non c’era corruzione, bisognava rispettare la legge, quella legge e poi da un certo momento in poi, dal 2000 non ci sarà più neanche il traffico di droga, loro vanno molto per le spicce, quando li prendono li impiccano. La guerra l’hanno fatta gli altri, prima i sovietici e adesso gli occidentali, gli unici sei anni di pace, sia pure relativa, sono stati quelli talebani.
Il Mullah Omar ha già vinto la guerra
Blog:
Perchè gli americani hanno dichiarato guerra all’ Afghanistan e l’hanno occupato?
Massimo Fini: I progetti di occupare l’Afghanistan e l’Iraq per la verità, queste sono rivelazioni del Washington Post e del New York Times, c’erano già prima delle Torri Gemelle. Le Torri Gemelle hanno dato naturalmente una spinta. In Afghanistan c’era Bin Laden sulla cui figura sospendo il giudizio, non si sa bene chi sia Bin Laden e questo gli ha dato il permesso di invadere l’Afghanistan che volevano conquistare soprattutto oltre che per ragioni geopolitiche solite che poi sono quelle che hanno sempre messo in mezzo questo paese,c’era un enorme gasdotto che doveva attraversare tutto l’Afghanistan dal Turkmenistan al Pakistan quindi era un affare colossale di miliardi in cui era interessata una multinazionale americana Unocal in cui erano dentro mezza amministrazione americana, quella precedente. I rapporti tra il Mullah Omar e gli americani si incrinano, ma all’inizio erano stati buoni, Omar non era un antioccidentale pregiudiziale, tanto meno un antiamericano, aveva una certa simpatia perché gli americani li avevano aiutati a liberarsi dai sovietici, ma quando decide di affidare questo gasdotto non alla Unocal americana, ma alla Bridas argentina diretta da un italiano tra l’altro, Carlo Burgaroni, perché prende questa decisione? Ci sono due fattori, uno minore, che gli italo – argentini ci sanno fare, vanno lì, prendono il tè, stanno ore… fanno quelle ritualità che a quel tipo di popolo piace molto, ma la ragione maggiore è che Omar si rende conto che l’Unocal non è semplicemente una multinazionale, ma è legata a filo doppio al Dipartimento di Stato che quindi quello è il modo degli americani per mettere il cappello sull’ Afghanistan e siccome lui è un nazionalista come per la verità tutti gli afgani, questa cosa non la può tollerare.improvvisamente si scopre che la sharia limita il lavoro delle donne, limita la scolarità delle donne, cosa che poi non è vera neanche nei termini estremi in cui è stata riferita, è vera solo in parte e quindi comincerà una campagna a tambur battente alla fine della quale ci fosse stato o non ci fosse stato l’11 settembre, ci sarebbe stata l’invasione.
Blog: Riusciranno a vincere la guerra?
Massimo Fini: Non possono vincere la guerra, l’hanno già persa, questi malissimo armati hanno riconquistato in 6, 7 anni l’80% del territorio, queste sono stime Usa, quindi al di là di ogni sospetto, quindi possono controllare le città, perché le disparità di armamenti è tale che i talebani non possono prendere Kabul, qui è una situazione di stallo, che gioca tutta a favore degli insorti che hanno da parte loro il tempo.
Blog: Come finirà?
Massimo Fini:– Questo è molto difficile dirlo, adesso ci sono queste trattative con il Mullah Omar. Per quello che ne so io il Mullah pone come pre condizione necessaria che tutte le truppe straniere se ne vadano, credo sia disposto a concedere ispezioni ONU che controllino che non ci sono ulteriori campi di terroristi etc., un po’ come gli iraniani, e forse un ammorbidimento della legge coranica, più in là non va. Non ha combattuto 30 dei suoi 49 anni di vita per farsi imporre una pax americana, gli stranieri se ne devono andare, del resto questo è il sentimento di tutta la popolazione, quindi questa è una delle ipotesi. L’altra ipotesi è che si metta d’accordo con Karzai in due sensi, se Karzai se vanno via le truppe straniere cade in 24 ore, dice: “Tu sei il Presidente democraticamente eletto, allora chiedi tu che se ne vadano le truppe straniere e voglio vedere cosa ti rispondono”. L’altra cosa che gli ha detto è: “Combatti con noi così ti riscatti da 10 anni di collaborazionismo con gli occupanti“. Quindi sono trattative su due piani: americani – Mullah Omar; Mullah Omar – Karzai, nessuna dovesse andare in porto loro continueranno a combattere fino a logorare completamente le truppe occupanti.

I costi umani delle guerre USA contro il terrore | STAMPA LIBERA

Fonte: I costi umani delle guerre USA contro il terrore | STAMPA LIBERA.

La guerra globale contro il terrorismo scatenata dall’amministrazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 ha causato sino ad oggi la morte di circa 258.000 persone. La stima – “estremamente prudente” – è stata fatta dalla Brown University di Rhode Island, una delle più antiche università USA (è stata fondata nel 1764) che ha valutato i costi umani e finanziari dei conflitti in Afghanistan ed Iraq e delle cosiddette “campagne contro il terrorismo” del Pentagono e della Cia in Pakistan e Yemen.

“Alle vittime dirette dei conflitti vanno aggiunte le morti causate indirettamente dalla perdita delle fonti di acqua potabile e delle cure mediche e dalla malnutrizione”, spiegano i ricercatori della Brown University. Come avviene ormai in tutti gli scenari di guerra sono sempre i civili a subire le perdite maggiori in vite umane: 172.000 tra donne, bambini, anziani e uomini non combattenti assassinati, 125.000 in Iraq, 12.000 in Afghanistan e 35.000 in Pakistan, a riprova che è proprio quest’ultimo paese asiatico al centro di un’escalation militare volutamente tenuta segreta dall’amministrazione Obama e dai principali media internazionali.
“Ancora più difficile è conoscere il numero dei morti tra gli insorti”, aggiunge lo studio della Brown University, “anche se le stime si attestano tra le 20.000 e le 51.000 persone. Il numero dei militari uccisi è invece di 31.741 e include circa 6.000 soldati statunitensi, 1.200 militari delle truppe alleate, 9.900 iracheni, 8.800 afgani, 3.500 pakistani e 2.300 contractor privati”. Il rapporto denuncia che dallo scoppio della guerra “globale e permanente contro il terrorismo” sono scomparsi 168 giornalisti e 266 tra volontari, cooperanti e operatori umanitari. “Le guerre hanno inoltre prodotto un flusso massiccio di rifugiati e sfollati, più di 7,8 milioni di persone, la maggior parte dei quali in Iraq ed Afghanistan”, scrivono i ricercatori. “Si tratta di un numero corrispondente all’intera popolazione del Connecticut e del Kentucky”.

Sconvolgente pure l’entità delle risorse finanziarie dilapidate dalle forze amate degli Stati Uniti d’America nella loro “caccia” ai presunti strateghi dell’attacco dell’11 settembre. “I costi delle guerre possono essere stimati tra i 3.700 e i 4.400 miliardi di dollari, pari ad un quarto del debito pubblico odierno e molto di più di quanto speso nel corso della Seconda guerra mondiale”, spiega il rapporto della Brown University. “Si tratta di cifre notevolmente più alte di quelle fornite dal Pentagono e dall’amministrazione USA (1.300 miliardi di dollari), in quanto si sono considerate nello studio anche altre spese generate dalle guere, come ad esempio quelle previste sino al 2051 per i veterani feriti, quelle effettuate dal Dipartimento per la Sicurezza Interna contro le minacce terroristiche e i fondi direttamente relazionati con i conflitti del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia per lo sviluppo internazionale Usaid”. Secondo i ricercatori del prestigioso centro universitario di Rhode Island, “il governo statunitense sta affrontando la guerra sottostimandone la potenziale durata e gli insostenibili costi mentre sopravvaluta gli obiettivi politici che possono essere raggiunti con l’uso della forza bruta”. I circa 4.400 miliardi di dollari spesi sino ad oggi sono certamente del tutto sproporzionati ai costi dell’attentato dell’11 settembre e ai suoi danni economici. “I diciannove attentatori più gli altri sostenitori di al Qaeda hanno speso tra i 400.000 e i 500.000 dollari per gli attacchi aerei che hanno causato la morte di 2.995 persone e tra i 50 e i 100 miliardi di dollari di danni. Per ogni persona uccisa l’11 settembre ne sono state assassinate da allora 73”.

Nel terribile bilancio sulle vite umane sacrificate e sulle risorse finanziarie sperperate con le guerre USA del XXI secolo non sono ovviamente contemplati i costi del conflitto scatenato in questi mesi contro la Libia. Tra bombe, missili Tomahawk all’uranio impoverito e carburante, solo il primo giorno dell’operazione Alba dell’odissea sarebbe costato agli Stati Uniti d’America qualcosa come 68 milioni di euro. Stando al Pentagono, le prime due settimane d’intervento militare contro Gheddafi sono costate 608 milioni di dollari, senza includere i salari dei militari e i costi operativi delle unità aeree e navali distaccate nell’area mediterranea precedentemente allo scoppio delle operazioni belliche. Per il segretario all’aeronautica militare, Michael Donley, le attività di volo dei 50 cacciabombardieri e dei 40 velivoli di supporto impegnati e le munizioni utilizzate contro la Libia comportano una spesa di circa 4 milioni di dollari al giorno. Venticinque milioni di dollari è invece il valore dell’“assistenza non letale” concessa dall’amministrazione Obama il 20 aprile scorso ai ribelli del Transitional National Council di Bengasi. Si tratta in buona parte di “apparecchiature mediche, uniformi, stivali, tende, equipaggiamento per la protezione personale, radio e cibo in polvere”, ma Washington non ha escluso l’invio di armi e munizioni in buona parte stoccate nei depositi e magazzini della grande base di Camp Darby in Toscana.

Le folli spese di guerra dell’amministrazione Obama – Cadoinpiedi

Fonte: Le folli spese di guerra dell’amministrazione Obama – Cadoinpiedi.

di Antonio Mazzeo12 Luglio 2011

Obama prepara una finanziaria “lacrime e sangue” per ridurre il debito. Ma le spese militari non si toccano, anzi…

L’amministrazione degli Stati Uniti d’America sfida l’opposizione repubblicana e una parte del Partito democratico e annuncia per il 2012 una manovra finanziaria “lacrime e sangue” per ridure lo spaventoso debito pubblico di oltre 14.000 miliardi di dollari. All’orizzonte si profilano nuove tasse sui consumi e tagli alla spesa sociale e sanitaria per 4.000 miliardi ma il complesso militare industriale e i signori del Pentagono potranno comunque dormire sogni tranquilli. Il Congresso, infatti, con 336 voti favorevoli e 87 contrari, ha varato per il prossimo anno un bilancio della difesa record: 649 miliardi di dollari in nuove armi e missioni di guerra, 8,9 miliardi in meno di quanto aveva richiesto il presidente Obama ma 17 miliardi in più di quanto previsto nel budget 2011. Restano fuori dalla difesa perché computate sotto altre voci del bilancio federale, le spese per la cosiddetta “sicurezza nazionale“, quelle per la ricerca e la sperimentazione di nuovi strumenti bellici e quelle per la realizzazione di installazioni militari nazionali e d’oltremare, per le abitazioni da assegnare al personale o per la produzione degli ordigni nucleari destinati ai cacciabombardieri strategici o ai missili a medio e lungo raggio imbarcati nei sottomarini.

Anche se il Congresso ha confermato in buona sostanza il piano finanziario approntato dal Dipartimento della difesa, sono stati approvati una serie di emendamenti che comportano il trasferimento di risorse da un programma militare all’altro, la cancellazione di alcuni progetti “chiave” del Pentagono e l’acquisizione di sistemi d’arma non richiesti dai militari ma offerti dalle generose e potenti lobby dei fabbricanti. I congressisti hanno decretato un incremento medio dell’1,6% degli stipendi del personale militare e delle spese per l’acquisto di unità navali, aerei da combattimento e velivoli da trasporto C-17, concedendo fondi straordinari per lo sviluppo dei bombardieri B-1 e di un nuovo prototipo di bombardiere strategico dell’US Air Force. Di contro, sono stati tagliati i programmi per alcuni aerei senza pilota, 114 milioni di dollari in meno per l’UAV MQ-9 “Reaper”, protagonista dei sanguinosi raid contro obiettivi civili e militari in Afghanistan e Pakistan e 115 milioni in meno per l’UAV MQ-8B “Fire Scout” della US Navy. Altro rilevante taglio è stato decretato al programma di acquisizione di un nuovo velivolo da guerra terrestre (Ground Combat Vehicle), mentre aumenta di 272 milioni l’importo destinato all’aggiornamento del carro armato M1A2 “Abrams” dell’US Army. Pienamente esaudite invece le richieste del Pentagono di finanziamento dei nuovi cacciabombarideri F-35, di una nuova classe di sottomarini nucleari dotati di missili balistici e dei velivoli per il pattugliamento marittimo P-8 (destinati in parte alla base siciliana di Sigonella).

Un “premio extra” di 335 milioni di dollari è stato concesso inoltre per l’acquisto di due satelliti del Wideband Global System, il sistema di telecomunicazioni satellitari che il Dipartimento della difesa sta sviluppando in cooperazione con le forze armate australiane (complessivamente il sistema assorbirà nel 2012 investimenti per 804 milioni di dollari). Inatteso stop invece al programma trilaterale Stati Uniti-Germania-Italia per la sostituzione dei missili Partiot e Nike Hercules con un nuovo sistema di “difesa anti-aerea e anti-missilili” denominato Medium Extended Air Defense System (MEADS).Il Congresso ha decurtato di 149 milioni di dollari l’apporto USA alla joint venture produttrice con sede ad Orlando (Florida) e composta dal colosso statunitense Lockheed Martin, dalla società tedesca Lenkflugkorpersysteme e da MBDA Missile Systems, consorzio europeo di cui l’italiana Finmeccanica detiene il 25% del capitale. Il programma MEADS, avviato nel maggio 2005, prevede investimenti finanziari per oltre 3,4 miliardi di dollari. Affari d’oro invece per le società impegnate nella realizzazione del sistema missilistico e “anti-aereo” Iron Dome: per il 2012 il Congresso ha infatti approvato una spesa di 205 milioni di dollari a favore del programma di sviluppo che vede insieme Stati Uniti d’America e Israele.

Centosettanta miliardi di dollari vengono destinati infine alle operazioni all’estero delle forze armate USA (4 miliardi in più del 2011), 119 dei quali per le guerre in Iraq, Afghanistan e Pakistan. Al Pentagono andranno inoltre 11,6 miliardi per l’addestramento delle forze armate afghane, 1,5 miliardi per quello delle forze di sicurezza irachene e 75 milioni di dollari per la formazione e l’equipaggiamento delle forze “anti-terorismo” yemenite. Poco chiaro invece quanto accadrà sul fronte libico. Anche se nessuno degli emendamenti approvati impone all’amministrazione Obama la revisione delle modalità d’intervento a fianco della coalizione dei volenterosi a guida NATO, la maggioranza dei congressisti ha chiesto al Dipartimento della difesa di “non utilizzare fondi per fornire equipaggiamento militare, addestramento o consulenze a favore di gruppi o singoli impegnati in attività all’interno o contro la Libia”. Il 20 aprile scorso, tuttavia, Washington ha concesso ai ribelli del Transitional National Council 25 milioni di dollari in “equipaggiamenti non letali” (apparecchiature mediche, uniformi, stivali, tende, impianti radio e molto probabilmente armi leggere) e altri 53 milioni in non meglio specificati “aiuti umanitari” a favore del popolo libico.

Secondo un recente studio pubblicato dall’Eisenhower Research Project della Brown University di Rhode Island, dall’11 settembre 2001 ad oggi le forze armate statunitensi hanno speso 4.400 miliardi di dollari per le operazioni in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen, una cifra di per sé stratosferica ma che non comprende gli interessi sui debiti contratti dalle autorità federali USA con le banche. Secondo il gruppo di ricerca “le guerre sono state finanziate quasi per intero con l’assunzione di prestiti; sino ad oggi sono stati pagati interessi per 185 miliardi di dollari, ma altri 1.000 miliardi potrebbero essere pagati per le spese di guerra da qui all’anno 2020”.

Solo il conflitto iracheno, scoppiato nel 2003, avrebbe comportato una spesa di 1.000 miliardi di dollari. Secondo quanto annunciato dal presidente Obama, entro la fine del 2011 tutti i 46.000 militari USA impegnati dovrebbero essere ritirati dall’Iraq, ma c’è chi al Pentagono sta già pensando a mantenere nel paese, almeno sino alla fine del 2012, un contingente di 8.500-10.000 uomini per “continuare l’addestramento delle forze armate irachene”, come riporta l’agenzia The Associated Press. “L’estensione della presenza militare USA in Iraq avverrà solo dopo un’eventuale richiesta da parte della autorità di Baghdad e dipenderà dalla prontezza che le forze di sicurezza locali avranno acquisito contro i rinnovati attacchi delle milizie”, spiegano i portavoce della Casa Bianca. “Senza una richiesta formale, solo 200 uomini rimarranno in Iraq a disposizione dell’ambasciata USA in qualità di consulenti militari, un compito comune a quello di tutte le altre missioni diplomatiche all’estero”.