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Blog di Beppe Grillo – L’ Agenda Nera della Seconda Repubblica

Fonte: Blog di Beppe Grillo – L’ Agenda Nera della Seconda Repubblica.

Con la legge bavaglio il libro: “L’Agenda Nera” non sarebbe potuto uscire. E’ una delle ultime occasioni per informarsi sulla nascita della Seconda Repubblica, quella in cui viviamo sospesi da 15 anni e nata dal sangue di Falcone e Borsellino. Il cinismo degli italiani li perderà, perché, se è vero che la maggior parte del Paese non sa nulla e spesso non vuole sapere nulla, migliaia di politici, imprenditori, giornalisti sanno molto, forse tutto, e rimangono in silenzio per partecipare al banchetto o più semplicemente per tirare a campare. Montezemolo o Monti o la Marcegaglia, Casini, D’Alema o Fini, De Bortoli, Galli della Loggia o Romano sono da sempre sullo sfondo a fare da tappezzeria. La legge bavaglio è nata con la strage di via D’Amelio, non è stata necessaria una legge, il bavaglio, gli italiani se lo sono messi da soli.

Intervista a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

12 anni di blackout informativo
Blog: “A tre anni dall’Agenda Rossa di Paolo Borsellino l’Agenda ha cambiato colore, è diventata nera, il mistero diventa più fitto e si tenta ancora una volta di nascondere una verità che potrebbe essere sconvolgente.”
Sandra Rizza: “L’Agenda Nera è una sorta di continuazione ideale dell’Agenda Rossa, è un racconto che comincia proprio nel momento in cui si conclude il racconto dell’Agenda Rossa,
cioè nel momento dell’esplosione di Via D’Amelio il 19 luglio 1992. E’ la storia del depistaggio che è stato confezionato sulla strage di Via D’Amelio tra il 1992 e il 1994, con l’obiettivo, questa è almeno una delle ipotesi che fanno i PM di Caltanissetta, di tarare le indagini sul livello della manovalanza e di distogliere completamente l’opinione pubblica dalle indagini sui mandanti occulti delle stragi. ”
Giuseppe Lo Bianco : “Noi ripartiamo dal botto di Via D’Amelio, quello che è successo il 19 luglio 1992 era il punto d’approdo dell’Agenda Rossa che raccontava i 56 giorni tra Capaci e Via D’Amelio, con l’Agenda Nera ripartiamo da quel botto e raccontiamo la storia del depistaggio delle indagini, è la storia di un processo che ha portato alla sbarra una serie di mafiosi, la cupola mafiosa sulla base delle dichiarazioni di un pentito che si chiama Scarantino e che si è rivelato un pentito di carta, un uomo che ha raccontato una falsa verità sulla quale la Cassazione ha messo poi il bollo su 3 sentenze. Improvvisamente è spuntato un signore che si chiama Gaspare Spatuzza che ha riscritto la storia della strage di Via D’Amelio rimettendo in discussione la sentenza della Cassazione e rimettendo in gioco una verità storica, c’è un lavoro di riscontro ovviamente dei magistrati molto meticoloso, molto minuzioso e che vista l’esperienza precedente ha previsto anche la videoregistrazione di tutti gli interrogatori compiuti a Caltanissetta in questa nuova fase delle indagini, c’è da dire però una cosa, in molti pensano questo in questo Paese perché è come ci fosse stato un blackout di 12 anni, questo Paese la storia delle stragi, la lotta alla mafia è stata dimenticata per 15 anni, è sparita dall’agenda politica prima e dall’agenda dei direttori dei giornali dopo, questo è un Paese che sconta un blackout informativo di almeno 12 anni, adesso stiamo cercando di recuperare il terreno.

Bombe per una progressione politico-mafiosa
Blog: “Chi ha imbeccato Scarantino, lo ha fatto allo scopo di nascondere cosa di così importante? Come si è riusciti a convincere un uomo a rinunciare agli anni di libertà?”
S. Rizza: “Noi naturalmente dobbiamo ragionare sulle ipotesi che fanno gli inquirenti, sono due: 1) che il depistaggio sia stato costruito in buonafede nel senso che in un momento di grande confusione istituzionale, i poliziotti avevano la necessità di consegnare dei colpevoli in un tempo rapido all’opinione pubblica e alla magistratura, avendo a disposizione una serie di informazioni raccolte sul territorio attraverso i confidenti, questa è l’ipotesi sempre che fanno i PM di Caltanissetta, pensarono di utilizzarle attribuendole a un falso pentito perché era l’unico modo perché queste informazioni potessero avere uno sviluppo processuale rapido e concreto 2) i poliziotti o comunque chi ha ordito questo depistaggio l’abbia fatto con un obiettivo eversivo, con finalità eversive, proprio con l’obiettivo di coprire tutte quelle manovre di tipo politico che in quel periodo venivano orchestrate e che avrebbero portato l’Italia al più grosso cambiamento istituzionale mai verificatosi dal dopoguerra e cioè il passaggio della Prima alla Seconda Repubblica. In questo senso le dichiarazioni che oggi fa Spatuzza sono estremamente significative perché lui parla delle bombe di quel periodo come di una progressione politico – mafiosa, parla di terrorismo politico attribuendo per la prima volta a quegli episodi stragisti una valenza politica, come se qualcuno esterno a Cosa Nostra avesse orientato la manovalanza mafiosa su quelle stragi con un obiettivo politico, un obiettivo altro rispetto a quelli di Cosa Nostra.”
Blog: “Nel frattempo la richiesta di adesione al programma di protezione per Spatuzza si fa sempre più difficile, come mai lo Stato non protegge un supertestimone?”
G. Lo Bianco: “Perché è una storia vecchia, più si alza il livello delle indagini, più evidentemente le resistenze di certe parti politiche, di certe parti istituzionali si fanno più forti, più si sale nei piani alti del potere con le indagini antimafia, più si scoprono certi santuari e più la resistenza a consentire ai magistrati di ottenere gli strumenti per indagare, in questo caso di concedere il programma di protezione a Spatuzza si fa più difficile, non è una sorpresa.”
Blog: “Ciancimino parla perché vuole salvare il patrimonio del padre, Spatuzza parla perché cerca protezione e c’è questa teoria del racconto la verità perché ho la necessità di tirarne fuori al tornaconto, funziona sempre questa formula? E’ simile al tentativo di scoprire Spatuzza?”
G. Lo Bianco: “Penso che in uno Stato di diritto la domanda più semplice da farsi è intanto se dicono la verità, se dicono la verità non ci interessa i motivi per cui parlano o non parlano, il problema è riscontrare quello che dicono e se dicono la verità andare avanti con le indagini.”
Il Procuratore Grasso di recente a Firenze ha detto: “non è da escludere, è verosimile che Cosa Nostra cercasse dei riferimenti di natura politica, tentasse di cambiare il taxi dalla vecchia Democrazia Cristiana per una parte socialista, in una forza politica nuova, gli indizi sarebbero gravi, precisi e concordanti e portano in una strada, la prudenza però è necessaria in questo caso perché si rischia di…“. Grasso ha poi corretto il tiro di quelle dichiarazioni con un’intervista a La Stampa nella quale ha specificato di non avere mai parlato di Berlusconi e di Dell’Utri, in effetti lui non ha parlato di Berlusconi e di Dell’Utri davanti ai familiari delle vittime di Via dei Georgofili ne ha parlato nella richiesta come fa ogni Magistrato la richiesta di archiviazione depositata nel 1998 agli atti della Procura di Firenze insieme ai suoi colleghi ? Fleri, Nicolosi, Crini e il compianto Gabriele Calazzi? E’ una richiesta di archiviazione che vedeva indagati Berlusconi e Dell’Utri come mandanti occulti delle stragi, lì ci sono scritte le stesse cose sostanzialmente che Grasso ha detto davanti ai familiari delle vittime di via dei Georgofili con due riferimenti molto precisi.

Thruman Show italiano
Blog:Come può l’opinione pubblica lasciarsi sfiorare dal pensiero, dall’ipotesi di avere un capo di governo molto amico di un personaggio che fa la cerniera secondo una sentenza di primo grado tra Cosa Nostra e il mondo dell’economia che conta milanese e non ribellarsi? Come si fa a tenere buona un’opinione pubblica di 60 milioni di cittadini per 12 anni?”
S. Rizza : “Non voglio tirare fuori di nuovo tutta la retorica sull’opinione pubblica di questo Paese e sul livello di narcosi che questo paese ha subito in questo che giustamente Barbara Spinelli ha chiamato il Thruman Show italiano, la costruzione di una falsa realtà attraverso lo strumento televisivo che ha distolto poi tutti gli italiani dalla vera realtà delle questioni soprattutto della lotta alla mafia. Penso che se 1998 l’opinione pubblica avesse saputo il contenuto di quella richiesta di archiviazione, non dico che sarebbe cambiato tutto, ma credo che l’opinione pubblica italiana avrebbe avuto comunque il diritto di conoscerlo e il diritto quantomeno di tentare di orientare nell’urna il proprio voto in maniera forse diversa, questo ovviamente con il senno del poi, però credo che l’opinione pubblica di un Paese occidentale abbia il diritto di conoscere il lavoro che fa un pezzo dello Stato, i magistrati e che, seppure coperto da una richiesta di archiviazione, alla fine riscrive una fetta di storia, fissa dei punti fermi, dei paletti sui quali è bene dare il massimo dell’informazione. Ricordo che una volta il Procuratore Vigna mi disse: “Guarda che le notizie non si trovano nelle richieste di rinvio a giudizio, è molto più facile trovarle nelle richieste di archiviazione” e si è rivelato drammaticamente vero.”

Blog: “Uccidere Paolo Borsellino per impedirgli di arrivare a una verità o uccidere Borsellino facendo con lui morire anche la verità che aveva già acquisito?”

S. Rizza: “Siamo sempre nel campo delle ipotesi, una delle ipotesi che vengono fatte è che Borsellino possa essere stato eliminato perché era venuto al corrente della trattativa in corso tra pezzi dello Stato e la mafia. Una cosa è certa, la strage di Borsellino e il depistaggio che è conseguito alla strage di Borsellino sono forse i più inquietanti in tutta la storia dei depistaggi italiani che sono molteplici, perché la storia di Borsellino è lo spartiacque che segna proprio il cambiamento, il momento di passaggio politico del nostro paese, dalla Prima alla Seconda Repubblica, è il cambiamento più grosso che si sia mai verificato nella storia italiana del dopoguerra a oggi, bisogna chiedersi perché quella strage, perché in quel momento, perché 56 giorni dopo la strage Falcone, cosa è successo subito dopo, solo se potremo rispondere a queste domande, noi daremo anche un senso più preciso alla morte di il Borsellino.
Blog: “Se fosse vero tutto quello che dice Spatuzza e venisse confermato, timbro di verità, patente di attendibilità assoluta per Spatuzza, l’opinione pubblica si scrollerebbe di dosso tutta la pavidità di questi anni o rimarrebbe tutto com’è adesso?”

G. Lo Bianco: “Sono convinto che l’opinione pubblica italiana è tra le opinioni pubbliche più ciniche che esistono a questo mondo, quindi non sono molto ottimista da questo punto di vista, però ritengo giusto che conosca, che abbia il diritto e il dovere di conoscere quello che è successo in questi anni e sui quali non è un mistero per nessuno che la storia d’Italia è segnata da punti oscuri, da buchi neri e da questioni irrisolte ormai da 50 anni, probabilmente tenute insieme da un unico filo nero che li lega questi episodi, se c’è la speranza che qualcosa venga fuori per quanto riguarda le indagini sulle stragi recenti Falcone e Borsellino e di quelle del 1993, credo che l’opinione pubblica abbia il diritto di sapere che poi questo significa sovvertire completamente uno status quo, da questo punto di vista sono molto pessimista.
Blog: “E’ il rischio che diventi un buon motivo per non parlarne questo anche?”
G. Lo Bianco: “No, assolutamente, non credo che questo serva da alibi a nessuno in qualche modo. ”
Blog: “Però diventate delle mosche bianche. ”

G. Lo Bianco: “La riflessione da fare è un’altra, perché occorrono libri in questo Paese e le cose non vengono poi scritte sui giornali? Questa è secondo me la domanda da fare, perché in questo Paese molti colleghi hanno rinunciato a fare il proprio mestiere o per propria scelta o perché sono impossibilitati o perché il sistema di conflitto di interessi è così stringente che alla fine comprime davvero ogni professionalità e ogni espressione professionale pura. ”
Blog: “Lo Bianco, parlate di un’indagine sostanzialmente in corso, con le nuove norme probabilmente non… anzi sicuramente non se ne sarebbe potuto parlare.”
G. Lo Bianco: “Vorrei dire che questo libro rischia di essere l’ultimo libro pubblicato prima dell’entrata in vigore della legge contro le intercettazioni perché, se questa legge fosse già in vigore probabilmente, anzi sicuramente questo libro non sarebbe stato stampato, io e Sandra avremmo rischiato due mesi di carcere, l’editore 300 mila euro di multa secondo le norme previste dal disegno di legge.”
Blog: “Come si scappa da questo tentativo di tappare la bocca a tutto, a tutti, limitare la diffusione del pensiero, della conoscenza? Questo libro sarebbe uscito quindi tra 5, 10 anni probabilmente. ”
G. Lo Bianco: “Da questo punto di vista la penso in maniera molto chiara, penso che la notizia abbia sempre una forza intrinseca sua, che supera qualsiasi tentativo di bavaglio del potere, adesso in un mondo globalizzato, con l’informazione globalizzata non è difficile poi andare a leggere su siti di altre nazioni europee, per esempio notizie che riguardano l’Italia che poi rimbalzerebbero inevitabilmente anche nel circuito informativo italiano.”

Sabella: “Sapevo del patto tra lo Stato e Provenzano fin dal 1996”

Questa ricostruzione del patto stato mafia rischiara molti angoli bui e pare molto credibile:

Fonte: Sabella: “Sapevo del patto tra lo Stato e Provenzano fin dal 1996”.

Parla Alfonso Sabella, il magistrato “stritolato dalla trattativa”, come lo definì Marco Travaglio in un’intervista di qualche tempo fa su Il Fatto Quotidiano. Parla alla presentazione a Roma del libro “Il Patto” di Nicola Biondo e Sigrifdo Ranucci (1 febbraio 2010). Il libro che per la prima volta si addentra nelle carte del processo Mori-Obinu e racconta la storia incredibile di Luigi Ilardo, mafioso della famiglia di Piddu Madonia, confidente segreto del colonnello Michele Riccio, infiltrato in Cosa Nostra con il preciso obiettivo di condurre i Carabinieri alla cattura di Bernardo Provenzano, il capo indiscusso di Cosa Nostra dopo la cattura di Salvatore Riina. Quando Ilardo però, il 30 ottobre 1995, li porterà proprio all’uscio della masseria di Provenzano, dai vertici del Ros arriverà l’ordine di fermarsi e non intervenire. Oggi, i verbali di Massimo Ciancimino rimettono insieme i pezzi mancanti del puzzle e spiegano il perché di questa come di un’altra serie impressionante di coincidenze inquietanti. Parla Sabella e dice cose pesantissime e inedite, ma con la calma e la pacatezza che lo cottraddistinguono. Dice che in realtà anche prima delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino si poteva sapere come erano andate davvero le cose. Lui e i suoi colleghi di Palermo, all’epoca delle indagini successive alle stragi, già avevano capito tutto. Ma non c’erano nè le condizioni giudiziarie, nè quelle politiche per poter giungere alla verità. Eppure era tutto troppo chiaro. Ora, dice Sabella, dopo 17 anni, sembrano esserci finalmente le condizioni giudiziarie. Quelle politiche, purtroppo, ancora no. E per quelle, si spera di non dover attendere altri 17 anni.
Di seguito i passi salienti del suo intervento.

Io sapevo


Quello che adesso sta emergendo, io come altri colleghi della procura di Palermo lo sapevamo già almeno dieci anni fa. Facciamo dodici. (…) Il patto non è stato uno, i patti sono stati tanti. Il primo aveva avuto dei tentativi di accordo, dei tentativi di trattativa, dei patti conclusi, dei patti che non hanno avuto buon esito e così si è andati avanti, almeno per quel che mi riguarda, a cavallo tra le stragi di Capaci e Via D’Amelio, probabilmente già prima della strage di Capaci, fino ai giorni nostri. (…) Queste cose erano già uscite nel lontano 1996, dopo la cattura di Giovanni Brusca. Brusca io l’ho interrogato tantissime volte, più di un centinaio, sono quello che l’ha catturato, quello che l’ha convinto a collaborare, quello che ha raccolto le sue dichiarazioni, ero in qualche modo il suo magistrato di riferimento. (…) Parlando con me mi ha raccontato del papello. Quello che adesso viene fuori dal papello, per esempio, il primo punto del papello, la revisione del maxiprocesso, non avevo bisogno di saperlo dal papello, perché lo sapevo già dal ’97 quando Brusca mi aveva detto che l’unica cosa che interessava a Salvatore Riina era la revisione del maxiprocesso. Del resto, i mafiosi non hanno un’etica, (…) gli interessa soltanto due cose: potere e denaro.  Denaro e potere. Non hanno nessun altro interesse. (…) E chi decide di trattare con questa gente si deve assumere le proprie responsabilità. Probabilmente adesso ci sono le condizioni giudiziarie perché si faccia luce su queste cose. Ma non ci sono certamente le condizioni politiche. A questo punto dicono: “Tu sei un magistrato, sei soggetto solo alla legge”. Secondo una certa equazione che ho visto all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il magistrato è soggetto alla legge, le leggi le fa il parlamento, il magistrato è soggetto al parlamento. Del sillogismo mi sfugge qualche pezzo, probabilmente c’è qualcosa della logica che non riesco a comprendere bene, però questo è il sillogismo del nostro ministro. Fin quando un magistrato viene messo nelle condizioni di svolgere il suo lavoro e di essere giudice solo soggetto alla legge, le cose stanno in un certo modo, quando questo non si verifica, probabilmente le cose vanno in un modo un pochino diverso…


Paolo Borsellino era l’ostacolo principale alla trattativa

Ci sono stati punti oscuri. Io continuo a battere sulla mancata perquisizione del covo di Salvatore Riina. (…) Io con le cose che ho trovato in tasca a Bagarella ci ho arrestato 200 persone. Mi chiedo: che cosa si poteva fare con quello che avremmo trovato a casa di Salvatore Riina? Stiamo parlando del capo dei capi di Cosa Nostra. Questa è una cosa che nessuno sa, una chicca. La certezza che quella casa fosse la casa di Riina si è avuta soltanto per caso, perché non c’era alcuna prova, avevano imbiancato tutto, con i Carabinieri del Ros che avevano assicurato che avrebbero controllato quel covo con le telecamere. La certezza si è avuta soltanto perché in un battiscopa era finito un frammento di una lettera che Concetta Riina, la figlia di Riina, aveva scritto a una compagna di scuola. Soltanto per caso. E’ l’unica cosa che si è trovata. (…) Non è una cosa da sottovalutare. Perché secondo me è la chiave di lettura del patto che è raccontato in questo libro. Ovvero un patto che viene stipulato, concluso, sottoscritto. Mi assumo le mie responsabilità di quello che dico: patto da cui verosimilmente si determina la morte di Paolo Borsellino, perché Paolo Borsellino molto probabilmente viene ucciso a seguito di questo patto.
Ricapitoliamo. Viene ammazzato Giovanni Falcone, c’è un movente mafioso fortissimo per la strage di Capaci. Falcone è l’uomo che ha messo in ginocchio Cosa Nostra, che l’ha processata, che l’ha portata sul banco degli imputati, l’ha fatta finalmente condannare (sentenza del dicembre dell’86). Il 30 gennaio 1992 (perché le date sono importantissime) viene confermata dalla Cassazione la sentenza di condanna all’ergastolo per la cupola di Cosa Nostra. (…) Al 30 gennaio c’è la sentenza. Falcone in quel momento è al Ministero e viene accusato da Cosa Nostra di aver brigato, di aver fatto in modo che quel processo non finisse al collegio della prima sezione della Cassazione presieduta da Corrado Carnevale. Il 12 di marzo viene ammazzato Salvo Lima. Salvo Lima è l’uomo, secondo tutti i collaboratori di giustizia, ancorché non sia mai stato processato e condannato per questo, che era il referente politico di una determinata corrente della DC in Sicilia per conto di Cosa Nostra. Ovvero era il canale tra la politica e Cosa Nostra. A questo punto è normale che i nostri Servizi si diano da fare. Quindi io credo che i movimenti siano iniziati già prima della strage di Capaci. E’ soltanto un’ipotesi e null’altro. Sta di fatto che il 23 di maggio viene ammazzato Giovanni Falcone. Riina deve dire a Cosa Nostra che “questo cornuto” è morto, Cosa Nostra si è vendicata. Si prendono i classici due piccioni con una fava secondo i collaboratori di giustizia, perché Falcone viene ammazzato alla vigilia delle elezioni del presidente delle repubblica. In quel momento sapete benissimo chi era il candidato alla presidenza della repubblica (Giulio Andreotti, n.d.r.), persona che così, a seguito della strage di Capaci, non viene proposta e viene eletto poi un altro presidente della repubblica (Oscar Luigi Scalfaro, n.d.r.).


Tinebra ha creduto sempre a Scarantino, io mai

A questo punto ci sono quegli incontri di cui sta parlando Massimo Ciancimino. C’è un pezzo dello stato che va da Massimo Ciancimino e chiede: “Che cosa volete per evitare queste stragi?” Il messaggio a questo punto è arrivato chiaro allo stato. Noi stiamo eliminando tutti i nemici e gli ex-amici, quelli che ci hanno garantito delle cose che poi non ci hanno più dato. A questo punto arriva il papello. Il primo punto del papello è la revisione del maxiprocesso. (…) Ora abbiamo una vicenda inquietante. Il primo luglio del 1992 Paolo Borsellino viene convocato d’urgenza al Viminale dovi si incontra con il ministro dell’Interno di quel momento (Nicola Mancino, n.d.r.).  Il ministro dell’Interno di quel momento negherà sempre di avere avuto quell’incontro, incontro confermato dall’altro procuratore aggiunto di Palermo, il dottor Aliquò, di cui si trova traccia nell’agenda di Paolo Borsellino. Quella trovata, perché una poi è stata fatta sparire e non s’è mai trovata, l’agenda rossa. Su quella grigia annotava dettagliatamente “Ore 18:00, Viminale, Mancino”. Che cosa succede in quell’incontro? Non lo sappiamo. Possiamo fare un’ipotesi. Allora, se al primo punto del papello c’è la revisione del maxiprocesso, chi è l’ostacolo principale alla revisione del maxiprocesso? Il giudice che insieme a Giovanni Falcone ha firmato l’ordinanza-sentenza di quel maxiprocesso. Ha un nome e un cognome e si chiama Paolo Borsellino. Ipotizziamo che a Borsellino venga proposto di non protestare tanto in caso di una revisione del maxiprocesso e Paolo si rifiuti, che cosa succede? Paolo muore. (…)
Non ho mai creduto che Pietro Aglieri fosse il responsabile dell strage di Via D’Amelio. Pietro Aglieri è stato condannato sulla base delle dichiarazioni di Scarantino. Scarantino era il pentito di cui mi occupavo io a Palermo. E’ stato sempre dichiarato inattendibile, non l’ho mai utlizzato nemmeno per gli omicidi che confessava. Il dottor Tinebra l’ha utilizzato fino in fondo fino ad ottenere delle sentenze passate in giudicato. Io lo dicevo su una base logica. La strage di Via D’Amelio è talmente delicata che se l’ha fatta Riina, la doveva commissionare per forza ai suoi uomini più fidati, ovvero ai fratelli Graviano. Non poteva commissionarla a un uomo di Provenzano che è Pietro Aglieri.  (…)


La mancata perquisizione del covo di Riina è la chiave di tutto

Paolo muore: due piccioni con una fava. Da un lato si alza il prezzo della trattativa dalla parte di Salvatore Riina, dall’altra parte si elimina l’ostacolo alla revisione del maxiprocesso. Perchè a Riina interessavo solo quello. Questa è solo un’ipotesi però vi assicuro che ci sono tanti elementi che vanno in quella direzione. E la prova poi ne è in quello che è raccontato esattamente in questo libro. Il Patto. Il patto (e questo lo dico invece senza il minimo problema) che invece è stato stipulato a quel punto tra lo stato e un’altra parte di Cosa Nostra, che non era più Salvatore Riina, ma la parte “moderata” che si chiama Bernardo Provenzano. Perché quello da cui bisogna partire è che Cosa Nostra non è un monolite. Cosa Nostra non era unitaria, Cosa Nostra già in quel momento aveva delle spaccature. (…) Il patto prevede questo. Da un lato Provenzano garantisce la cattura di Salvatore Riina (ho più di un elemento per dire che Salvatore Riina è stato venduto da Provenzano e non me lo deve venire a dire Ciancimno adesso: lo sapevo già). (…) Provenzano garantisce che non ci sarebbero state più stragi e infatti non ce ne sono state più, vengono fatte nel ’93 dagli uomini di Bagarella, ovvero di Riina, fuori dalla Sicilia. Dall’altro lato ha avuto garantita l’impunità. Aveva avuta garantita la sua latitanza, come dimostra la vicenda Ilardo in maniera inequivocabile: una parte dell’Arma dei Carabinieri ha più che verosimilmente protetto e tutelato la latitanza di Bernardo Provenzano. Ma perché Provenzano fosse in grado di mantenere questo patto, questa è la novità di quello che sto dicendo, probabilmente una delle richieste era che venisse consegnato Riina, ma non l’associazione. Anzi. Che l’intera associazione mafiosa dovesse passare nelle mani di Bernardo Provenzano. E’ questa la ragione per cui a mio avviso non si perquisisce la casa di Riina. Perché nell’accordo Provenzano vende Riina, ma non vende l’associazione mafiosa. Tutto questo con il sigillo del nostro stato. L’impresa mafia. (…) Balduccio Di Maggio sarebbe quello che ha portato i Carabinieri a casa di Riina. Sappiamo benissimo (adesso Ciancimino lo dice) ma lo sapevamo già che non era così, perché i Carabinieri erano sul covo di Riina già prima che Di Maggio venisse arrestato, quindi figuriamoci… Se la magistratura di Palermo fosse entrata nel covo di Riina avrebbe non dico distrutto, ma avrebbe dato un colpo, se non mortale, quasi, all’associazione mafiosa.


Intervento del giudice Alfonso Sabella alla presentazione del libro “Il Patto” di Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci
(1 febbraio 2010)
(trascrizione ed introduzione di Federico Elmetti)

LINK: Alfonso Sabella, un giudice stritolato dalla Trattativa (Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 10 e 12 novembre 2009)

Antimafia Duemila – La reincarnazione di Cosa Nostra

Fonte: Antimafia Duemila – La reincarnazione di Cosa Nostra.

di Giorgio Bongiovanni – 7 dicembre 2009

Le catture di Provenzano, Di Gati, Franzese, i Lo Piccolo, La Causa, Raccuglia e infine di Nicchi e Fidanzati ci indicano che Cosa Nostra si affaccia finalmente al suo epilogo. Si potrebbe tranquillamente dire che la mafia siciliana, così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi sia a rischio estinzione, ma il merito di questo eccellente risultato non è certo del governo.
Sono i ragazzi delle squadre operative che lavorano a dispetto di qualsiasi difficoltà e pericolo, coordinati dai magistrati, ad aver dato un colpo decisivo a Cosa Nostra. Appropriarsi del frutto del loro sacrificio conseguito in assenza di uomini, mezzi, giusto compenso è da vigliacchi, ipocriti e stupidi, caro il nostro signor Berlusconi. Al massimo ci si potrebbe complimentare con il ministro Maroni che le forze dell’ordine, bene o male, le rappresenta.
Constatata questa premessa, tuttavia, ci troviamo di fronte ad un gigantesco “ma”.
Cosa Nostra, ci insegna la storia, così come la gramigna è stata in grado sempre di riprodursi e di reincarnarsi.
Matteo Messina Denaro rappresenta la continuità con il passato e potrebbe essere l’elemento di riorganizzazione, ma se non lui lo sarà di certo un altro pronto a prendere il suo posto nella buona probabilità che venga preso da un momento all’altro.
Non si tratta di pessimismo, e nemmeno di voler minimizzare i successi indubbi di questi straordinari ragazzi cui va tutta la nostra gratitudine, ma la cattura di questi latitanti significa aggredire il problema a partire dall’effetto e non dalla causa.
Il Potere che ha dato potere a Cosa Nostra infatti è rimasto pressoché intatto, i legami e i patti non sono stati minimamente scalfiti. I pochi potenti sfiorati dall’azione repressiva i vari Andreotti (seppur ritenuto colpevole di relazioni durature con Cosa Nostra fino al 1980, reato prescritto), Dell’Utri e Berlusconi (il primo condannato in primo grado e l’altro per ora ancora archiviato) sono rimasti lì dov’erano, così come molti altri; l’agenda rossa di Paolo Borsellino è ancora un mistero e nessun processo si prepara ad accertare nemmeno le prove emerse; l’ambito della massoneria deviata più volte indicata nelle operazioni di terrorismo politico e mafioso, a parte la parentesi di Gelli, è a tutt’oggi inesplorato, per non parlare dell’impotenza dello Stato di fronte al fenomeno del riciclaggio, l’imbattuto cavallo di Troia con cui l’economia mafiosa invade quella legale. Non solo non si è ottenuto quasi nessun risultato sul punto, ma lo si è incoraggiato con lo scudo fiscale, il più vergognoso dei regali di Natale all’essenza delle criminalità: il potere di comprare e corrompere chiunque e qualunque cosa.
I mafiosi dunque, da distinguere dagli uomini d’onore di Cosa Nostra, come mi disse a suo tempo il pentito Salvatore Cancemi, possono già, in qualunque momento, e questa è la mia personale opinione, ripianificare la nuova base militare dell’organizzazione.
Nostre fonti ci dicono che sono già pronti nuovi potenziali capi ansiosi di dimostrare di essere in grado di sostituire i Lo Piccolo, i Fidanzati, i Nicchi. Dov’è la difficoltà?
Il vero nodo invece è sempre lo stesso. Se si vuole davvero distruggere Cosa Nostra, le mafie, vanno smantellati i centri di potere, gli ibridi connubi tra politica, servizi e massoneria deviata, banche compiacenti (vedi alla voce Ior) grandi gruppi economici e finanziari.
E’ qui dentro che vanno cercati i mandanti esterni delle stragi.
Per questo tanta preoccupazione per le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e di Massimo Ciancimino. Il primo è stato forse più facile da attaccare e distruggere, con il secondo invece, che ha consegnato carte a quanto sembra molto compromettenti e che non ha le mani sporche di sangue ci si dovrà forse muovere con più cautela.
Forse loro potranno ostacolare la reincarnazione di Cosa Nostra, ma c’è anche chi la potrebbe fermare del tutto. Sono Riina, Provenzano o i fratelli Graviano.
Signori, voi che state pagando il conto per tutti, avete una grande opportunità: potete impedire di far rinascere sulla vostra croce una nuova Cosa Nostra al servizio del potere che vi ha tradito.

Agenda rossa: tutte le verità occultate

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Il 17 febbraio 2009 la VI Sezione Penale della Cassazione, presieduta dal dott. Giovanni de Roberto, respinge il ricorso presentato dalla Procura di Caltanissetta contro la decisione del giudice per le indagini preliminari (gup), il dott. Paolo Scotto di Luzio, che aveva stabilito il non luogo a procedere' nei confronti del colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli, accusato di aver sottratto, il 19 luglio 1992 in via D'Amelio a Palermo, l'agenda rossa del magistrato Paolo Borsellino dalla sua borsa di pelle marrone, con tutta una serie di aggravanti tra cui quella di aver favorito Cosa Nostra. Il 18 marzo 2009 venivano depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione, che accoglieva in toto le ragioni del giudice Scotto e poneva così un macigno inamovibile sulle speranze di fare luce su uno degli episodi più inquietanti della storia della repubblica.

Questo è l’istante fatidico in cui Arcangioli viene immortalato.

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Il filmato si interrompe proprio in questo momento. Cala il buio. Per riaccendersi solo 60 metri più avanti, in fondo a Via D’Amelio. Ancora Arcangioli con la borsa in mano, in una zona appartata, lontano da ogni tipo di interesse investigativo, dove sostano solamente i camion dei vigili del fuoco.

La domanda torna continuamente, martellante, sempre la stessa. Così ci faceva lì Arcangioli con la borsa del giudice Paolo Borsellino, i cui resti ancora fumanti giacevano a un centinaio di metri di distanza? Una domanda che non ha ancora ricevuto una risposta plausibile. Una domanda nata morta. Destinata a precipitare nel vuoto, con buona pace di chi cerca con tenacia Verità e Giustiza per il giudice e i suoi angeli custodi. Una domanda che non ha alcun senso porre, secondo il gup Scotto di Luzio. Una domanda che non si potrà mai più fare, per decisione della VI Sezione Penale della Cassazione.

Leggi tutto: Agenda rossa: tutte le verità occultate.

Agenda rossa, quei buchi neri e le sentenze clone

Fonte: Agenda rossa, quei buchi neri e le sentenze clone.

La sentenza della VI sezione della Corte di Cassazione presieduta da Giovanni De Roberto che scrive la parola fine sulla possibilità di istruire un processo per poter illuminare quella zona di buio pesto che avvolge la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino è del 17 febbraio 2009 e la motivazione è stata depositata il 18 marzo ma se ne è avuta notizia solo ora. Prima stranezza. Sentenza che conferma quella emessa il 21 aprile 2008 dal gup di Caltanissetta, Scotto Di Luzio, non proprio consueta in quanto il gup – andando al di là del suo ruolo, cioè verificare se esistono elementi sufficienti per celebrare un processo – entra nel merito valutando tutti i fatti di prova facendone un’analisi critica: non esiste la prova che Borsellino avesse con sé l’agenda quella domenica e semmai l’avesse avuta sarebbe certamente andata distrutta nell’esplosione. Dunque il processo per furto con l’aggravante di reati commessi per favorire Cosa Nostra a carico dell’allora capitano dei carabinieri e oggi colonnello Giovanni Arcangioli, non s’ha da fare. Il ricorso, appoggiato dal sostituto procuratore generale in Cassazione, Carlo Di Casola, presentato solo molto tempo dopo dal procuratore capo Sergio Lari, magistrato perseverante e misurato: Borsellino quando lascia la villetta di Carini ha nella borsa l’agenda, come confermato dalla moglie.

Il giudice, come sempre di domenica, non aveva l’autista ed era alla guida dell’auto, dunque, durante il tragitto non avrebbe avuto alcuna possibilità di estrarre l’agenda dalla borsa che aveva sistemato nel sedile posteriore. E se per assurdo lo avesse fatto, l’agenda sarebbe rimasta in auto e non sarebbe andata distrutta in quanto la tesi che l’agenda sarebbe stata distrutta dalla deflagrazione potrebbe reggersi solo se il magistrato l’avesse avuta in mano quando è sceso dall’auto per andare a citofonare alla madre. Ma questa è un’ipotesi illogica visto che la donna sarebbe dovuta scendere subito. La sua borsa è stata certamente prelevata dall’auto dal colonnello Arcangioli come provato dal filmato che mette in successione le immagini delle telecamere dei negozi, realizzato però solo 15 anni dopo la strage, in cui si vede Arcangioli allontanarsi dal luogo della strage con in mano un oggetto che ingrandito risulta essere, inequivocabilmente, una borsa. Il colonnello si difende dicendo: non ricordo nulla a causa dell’emozione. Di certo la tesi di un ufficiale dell’Arma emozionato, nonostante non avesse mai conosciuto Borsellino, al punto da non riacquistare la memoria dinanzi alle immagini, non è stata sufficiente per celebrare un processo dal quale il colonnello sarebbe potuto anche essere stato assolto. Ma senza il processo restano dubbi troppo pesanti che hanno indotto Francesco Crescimanno, legale della famiglia Borsellino, durante l’udienza a porte chiuse, a rivolgergli questa domanda: “Perché un ufficiale dei carabinieri non chiede con dignità di essere processato nella convinzione che il dibattimento potrà offrire un momento di confronto prezioso per il raggiungimento di una verità di cui il paese ha bisogno?”. A rispondere il silenzio.

Restano le parole di Agnese Borsellino e dei suoi figli che non vengono soffocate dal rispetto profondo per i giudici: “La sera quando Paolo si ritirava annotava gli spostamenti, gli appuntamenti su un’agenda grigia che teneva nello studio. Ma quella rossa non ricordo l’avesse mai lasciata a casa uscendo. Soprattutto dopo la morte di Giovanni non se ne distaccava un solo istante e quel pomeriggio l’aveva con sé. E non c’è una ragione plausibile per cui Paolo prendesse l’agenda per andare a citofonare alla madre che sarebbe scesa subito per andare con lui dal cardiologo. Di certo vi aveva scritto tutto quello che avrebbe riferito ai magistrati di Caltanissetta sulla morte di Falcone e anche tutto ciò che, man mano, apprendeva dai collaboratori di giustizia ed emergeva dalle sue indagini. Quando ci è stata restituita la borsa c’era un’altra agenda marrone dove Paolo annotava numeri di telefono, un costume, un mazzo di chiavi e diversi pacchetti di sigarette, mancava solo l’agenda rossa. Qualcuno, coperto da chissà chi, l’ha rubata. Questa è una certezza. Non la nostra certezza”. Quella stessa agenda rossa che era sulla scrivania anche durante l’intervista data ai colleghi francesi Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi di Canalplus per un documentario sui rapporti tra mafia e imprenditoria del nord.

Sandra Amurri (il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2009)

Canzone per il Popolo delle Agende Rosse

Fonte: Canzone per il Popolo delle Agende Rosse.

Le AGENDE ROSSE a Roma al “No Berlusconi Day” per una NUOVA RESISTENZA

Fonte: Le AGENDE ROSSE a Roma per una NUOVA RESISTENZA.

Ci ho riflettuto a lungo ma alla fine ho capito che non possiamo non partecipare alla manifestazione del 5 Dicembre a Roma.  La spinta finale a questa decisione è stato l’incontro a Londra con i ragazzi italiani costretti a lasciare un paese che non riesce ad assicurare loro un lavoro per andare a lavorare in Inghilterra, costretti a lasciare il loro paese per andare in un “altro paese” a cercare una stampa libera, dei mezzi di informazione non monopolizzati e asserviti, un parlamento in grado di votare delle leggi, una democrazia e non un regime mascherato da democrazia, un paese governato da un premier e non da un satrapo, un paese nel quale la legge è, per quanto possibile, ancora eguale per tutti, un paese in cui i magistrati sono rispettati e non vilipesi e quotidianamente aggrediti e minacciati, un paese in cui le leggi che vengono votate servano per tutti e non per uno soltanto. E che purtroppo in questo paese devono anche subire lo scherno di chi non riesce a capacitarsi di come gli Italiani abbiano potuto scegliere e continuino in buona parte a sostenere un uomo, il capo del Governo, che per loro è un personaggio da operetta mentre in realtà, per noi, è il protagonista e l’artefice della nostra tragedia.
Non è stata un decisione semplice la mia, personalmente ritengo che continuare ad accusare il presidente del Consiglio di frequentazioni di minorenni, di utilizzo di prostitute pagate dai suoi lacchè, di compenso di prestazioni sessuali tramite nomina a posti di governo e via  andando non sia che una maniera di far perdere di vista il vero problema, cioè che questo governo sta continuando a pagare le cambiali di una trattativa conclusa con la criminalità organizzata e condotta da una delle due parti a forza di bombe e di stragi per alzare il prezzo della trattativa stessa e indurre, chi aveva avuto l’oscena idea di avviare questa trattativa ad una resa incondizionata.
Si continua a discutere di processo Mills, di processo breve, di lodi di vario nome, quando il vero problema è che chi è alla guida del governo dovrebbe essere indagato per essere uno dei mandanti occulti delle stragi del ’92 e del ’93 e dovrebbero essere messi alla luce i suoi rapporti con la criminalità organizzata. Quella criminalità organizzata che oggi gode i frutti di quella trattativa e che farebbe fare la fine di Salvo Lima a chi i patti stipulati non li rispettasse fino all’ultimo.
Questa manifestazione non è organizzata dai partiti, è nata spontaneamente dalla rete, dall’iniziativa di alcuni bloggers, e noi che dalla  rete  siamo partiti e che che la rete utilizziamo come base operativa per le nostra battaglie, che utilizziamo la rete come i partigiani utilizzavano le montagne, non possiamo restare nelle nostre postazioni ad osservare i nostri compagni che si buttano in questa battaglia.
Dobbiamo prendere le nostre armi, le nostra agende rosse levate in alto, e andare a combattere anche noi. Abbiamo combattuto e abbiamo vinto a Palermo, abbiamo impedito agli avvoltoi di posarsi ancora sul luogo della strage, abbiamo combattuto e abbiamo vinto a Roma, da soli con  le nostre Agende Rosse abbiamo riempito delle nostra grida di RESISTENZA le strade e le piazze di Roma, ora, come un corpo speciale, dobbiamo scendere in mezzo agli altri ed essere riconoscibili per evitare che la manifestazione venga strumentalizzata dai partiti, ancora una volta dobbiamo essere noi a strumentalizzare loro.
Questa è una manifestazione della Società Civile e la presenza del nostro simbolo, l’Agenda Rossa, servirà a riaffermarlo.
Noi non chiediamo le dimissioni di Berlusconi, chiediamo che Berlusconi possa essere processato per i suoi crimini e le nostre Agende Rosse saranno in piazza per proteggere quei magistrati che anche sui suoi crimini stanno indagando e che per questo sono ad alto, altissimo rischio.
Noi dobbiamo essere la loro scorta.

Incriminare i familiari di Paolo Borsellino per la sottrazione dell’Agenda Rossa

Fonte: Incriminare i familiari di Paolo Borsellino per la sottrazione dell’Agenda Rossa.

Già quando il 1 aprile 2008 il GUP Paolo Scotto di Luzio aveva prosciolto il colonnello dei carabinieri dei ROS Giovanni Arcangioli dall’accusa del furto dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino avevo manifestato il mio sconcerto per il fatto che il processo si fosse chiuso in fase di udienza preliminare impedendo cosi ad un procedimento di tale importanza di arrivare alla fase dibattimentale nel corso della quale, con una analisi approfondita delle prove (addirittura fotografiche) e delle testimonianze (incerte e contraddittorie) avrebbe potuto essere accertata l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato.
Avevo poi sperato, grazie al motivato e circostanziato ricorso presentato dalla Procura di Caltanissetta avverso a questa sentenza di assoluzione che la Corte di Cassazione annullasse questa abnorme sentenza di proscioglimento affermando che “il procedimento in oggetto è un classico caso in cui è necessario un vaglio dibattimentale” per “colmare i vuoti” e le contraddittorie testimonianze attraverso un “approfondimento dibattimentale“.
Era poi arrivato il 17 febbraio 2009 il macigno della dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Corte di Cassazione, evento con il quale, come dichiarai all’epoca, era stato posta una pietra tombale sulla ricerca della verità in questa vicenda, la sparizione dell’Agenda Rossa del Giudice che è a mio avviso uno dei motivi fondamentali dell’assassino del Giudice e delle modalità con cui è stata effettuata la strage: uccidere Paolo senza fare sparire anche la sua Agenda non sarebbe servito a nulla perché in quell’agenda sono sicuramente contenute le prove di crimini e di complicità che possono inchiodare alle loro terribili responsabilità una intera classe politica.
Le motivazioni della sentenza emessa dalla tristemente nota sesta sezione penale della Corte di Cassazione, oggi riprese da APCOM, vanno addirittura al di là di questo già di per sè osceno quadro di evidenze negate, di verità nascoste e di crimini occultati. Si arriva addirittura a negare che la borsa del Giudice contenesse l’Agenda Rossa asserendo che “gli unici accertamenti compiuti in epoca prossima ai fatti portavano addirittura ad escludere che la borsa presa in consegna dal Capitano Giovanni Arcangioli contenesse un’agenda”. Si prendono cioè per buone le dichiarazioni contraddittorie date in tempi diversi dall’imputato chiamando in causa testimoni che lo hanno smentito, come l’ex magistrato (al momento del fatto) Giuseppe Ayala o addirittura non presenti sul luogo della strage, come Vittorio Teresi, e non si da alcun valore alla testimonianza della moglie del Giudice, Agnese Borsellino, che vide Paolo riporre l’agenda nella borsa, dopo averla consultata nel pomeriggio di quel 19 luglio, prima di andare all’appuntamento con la sua morte annunciata.
A questo punto non resta che trarre le inevitabili conseguenze da questa sentenza della Corte di Cassazione, incriminare la moglie del Giudice per falsa testimonianza e processare tutti i familiari del Giudice, figli, moglie, fratelli e sorelle per la sottrazione e l’occultamento dell’Agenda. Dato che Paolo non se ne separava mai solo i suoi familiari possono averla sottratta e occultata. Contro la madre del Giudice non si potrà procedere per sopravvenuta morte dell’imputato.

Salvatore Borsellino


LINK

L’agenda rossa e la sentenza di Pilato“, Anna Petrozzi, Antimafiaduemila, 4 agosto 2009
Non finisce qui. La Procura si appella alla sentenza che scagiona Arcangioli e chiude la vicenda dell’agenda rossa di Paolo Borsellino“, Anna Petrozzi, Antimafiaduemila, luglio 2008

Cronologia inchiesta sulla sottrazione dell’ Agenda Rossa di Paolo Borsellino.doc

Borsellino, l’ira della famiglia: “Dalla Cassazione pietra tombale”

Borsellino, l’ira della famiglia: “Dalla Cassazione pietra tombale”.

Scritto da Giuseppe Lo Bianco – Sandra Rizza

La sentenza: “L’agenda rossa mai stata a via D’Amelio” Stragi del ‘92, i pm negli uffici del Servizi segreti.

L’agenda rossa di Paolo Borsellino come la mafia di trent’anni fa: non esiste. O meglio, non è mai esistita all’interno della borsa del magistrato, ritrovata il giorno dell’esplosione in via D’Amelio. Lo sostiene la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui conferma il proscioglimento del colonnello Giovanni Arcangioli dall’accusa di aver rubato e fatto sparire il documento. Per la Cassazione ”gli unici accertamenti compiuti in epoca prossima ai fatti portavano ad escludere addirittura che la borsa presa in consegna da Arcangioli contenesse un’agenda, come da quest’ultimo sempre sostenuto”. Agnese e Manfredi Borsellino, la vedova e il figlio del magistrato ucciso, non nascondono la propria amarezza: ”Possiamo solo ribadire che quel giorno Paolo Borsellino si è recato in via D’Amelio portando l’agenda con sè”. Quella domenica 19 luglio del 1992, infatti, Agnese si trovava con il marito e alcuni amici nel villino di famiglia e appena un’ora prima dell’esplosione vide il marito con l’agenda. Nei mesi scorsi, la vedova Borsellino ha ribadito ancora una volta questa circostanza ai pm di Caltanissetta. Oggi la Cassazione sembra cancellare la sua testimonianza. Rita Borsellino, eurodeputato del Pd, dichiara: “Incredibile. Quell’agenda allora ci dicano dov’è finita”. “Adesso – dice con ironica amarezza Salvatore Borsellino – bisognerebbe incriminare la vedova per aver dichiarato il falso. Come si fa a prendere per buona la testimonianza di una persona, peraltro imputata, che ha dato tre o quattro versioni diverse dello stesso fatto?”.

Il riferimento è allo stesso Arcangioli, che dopo aver chiamato in causa due magistrati (Alberto Di Pisa e Vittorio Teresi) che non erano presenti in via D’Amelio nell’immediatezza della strage, ha cambiato versione sui suoi movimenti attorno a quella borsa sostenendo alla fine di averla aperta alla presenza dell’ ex pm Giuseppe Ayala, e di non avervi trovato l’agenda. Circostanza che Ayala ha poi negato. La Cassazione adesso da’ credito all’ufficiale e fa calare una pietra tombale sulla sparizione del documento che secondo numerosi magistrati e investigatori antimafia racchiude il mistero dell’uccisione di Borsellino. L’agenda rossa, infatti, col suo potenziale di segreti, è considerata la ”scatola nera” della Seconda Repubblica. Per il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che indaga sulla trattativa Stato-mafia, in quell’agenda ”c’è la chiave della strage di via D’Amelio . È improbabile che sia andata distrutta, più logico pensare che sia in mano a qualcuno che la possa usare come arma di ricatto”. Secondo il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari ”non è una possibilità fantascientifica che dentro quell’agenda ci fossero degli appunti di Borsellino su un possibile negoziato tra lo Stato e le cosche, perchè si ponesse fine alle stragi”.

E intanto proprio riguardo alle stragi i pm di Palermo e Caltanissetta – Messineo e Lari – stanno esaminando una serie di documenti riservati su via D’Amelio e Capaci contenuti negli archivi dei servizi segreti. I magistrati – come scrive oggi L’espresso – hanno notificato ieri al prefetto Gianni De Gennaro, direttore del Dis (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) un ordine di esibizione degli atti finora rimasti top secret.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (il Fatto Quotidiano, 19 novembre 2009)

Agenda rossa « Blog di Giuseppe Casarrubea

Lo storico Giuseppe Casarrubea delinea lo scenario che ha portato alle stragi mafiose del 1992:

Fonte: Blog di Giuseppe Casarrubea http://casarrubea.wordpress.com/2009/10/12/agenda-rossa/, http://casarrubea.wordpress.com/

Si parla molto in questi giorni, con il solito codazzo delle chiacchiere perse, e con la grancassa dei mass media che ci campano sopra, della famosa agenda rossa che Paolo Borsellino portava con sè anche nel giorno in cui un’auto imbottita di tritolo lo fece saltare in aria con tutta la sua scorta.

L’Italia è un paese molto strano e forse per questo chi muove le fila dei pupi e tiene banco nel decidere delle news, gioca sempre sicuro, convinto che tanto, col tempo tutto si sana. Per i siciliani il tempo non esiste, specialmente il futuro semplice e il futuro anteriore. Il tempo preferito è il passato remoto, perchè tutto quello che si compie, o nel presente o in un passato prossimo, è immediatamente già qualcosa che entra nella sepoltura delle cose coperte di polvere e detriti.

Eppure quasi tutto avviene alla luce del sole, e la memoria non dovrebbe tradire visto e considerato che a molti eventi i siciliani, e specialmente quelli che contano e decidono, dovrebbero dare un senso per rifletterci sopra e trarne le logiche conseguenze.

Tutti abbiamo in mente grazie alle immagini video, alle testimonianze dei presenti al fatto, agli articoli dei giornali, che un elemento di curioso interesse fu, in quella calda giornata del 19 luglio 1992, la presenza, nella macchina di Paolo Borsellino, di una cartella di cuoio, che ad un certo punto un ufficiale dei Carabinieri, come se nulla fosse, prelevò dalla vettura ancora fumante per poi allontanarsi  tranquillamente a piedi.

Ora il comune cittadino si chiede, come ormai fa da tempo, perchè mai degli oggetti personali del magistrato, siano stati prelevati e siano poi letteralmente spariti come una bolla di sapone. Si chiede anche come mai rappresentanti dello Stato che sapevano della presenza di questo importante oggetto del desiderio di molti, non abbiano sviluppato delle ricerche per venire a capo del mistero, se non in tempi recenti.

Dalla viva voce dei collaboratori di giustizia, Spatuzza in testa, sappiamo poi  che una trattativa  era stata aperta tra i vertici di Cosa nostra comandati da Totò Riina e alti esponenti dell’Arma, come il capo dei Ros, il generale dei CC. Mario Mori. Mediatore, come si è visto ad Anno Zero dell’8 ottobre 2009, l’ex sindaco mafioso di Palermo, il corleonese Vito Ciancimino.

A simili fatti abnormi ha accennato, solo ora, nella stessa trasmissione, l’ex ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli. Questi candidamente, come se stesse raccontando una fiaba ai suoi nipotini, ha ricordato, dopo ben diciassette anni, e solo per combinazione, che Borsellino seppe della trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato  esattamente il 23 giugno 1992, quando già era saltato in aria Falcone assieme alla moglie e alla scorta, e a poco meno di un mese dall’eccidio di via D’Amelio.

Questa storia tutta italiana, che come una scena teatrale si svolge in Sicilia, non è difficile da capire. A leggere alcuni testi di storia, frutto di ricerche e di anni di fatica, e non prodotti per scopiazzature accademiche, constatiamo che la vicenda di Borsellino, come quella di Falcone e delle stragi terroristiche del 1993, è perfettamente collimante con il prototipo stragista, antidemocratico, eversivo presente già a Portella della Ginestra. Fu allora che si fondarono le strutture organiche che saldarono, in una unità inscindibile, forze mafiose e neofasciste con rappresentanti dello Stato. La benedizione, come sempre era accaduto, fu data dalla  supervisione e dalla tutela dei servizi segreti statunitensi e italiani. Non si sa se agendo ciascuno nella pripria autonomia, o prendendo ordini dal Dipartimento di Stato di Washington.

Può anche darsi che nel processo di sviluppo di questo archetipo, alla cui fondazione presero parte le organizzazioni paramilitari nere e l’X-2 di James Jesus Angleton, si siano modificate alcune forme specifiche di quella che Gaspare Pisciotta, al processo di Viterbo per la strage di Portella, definiva “Santissima trinità”. Al giudice che lo interrogava, Gasparino, il luogotenente del capobanda  Salvatore Giuliano, così rispondeva:”Signor giudice, mafia, banditi e polizia, siamo una cosa sola, come il padre, il figlio e lo spirito santo”. Era la rappresentazione che poteva dare un giovanotto che quella realtà aveva vissuto dall’interno.

Ma non c’è dubbio alcuno che, come nel 1947 e a maggior ragione nel 1992, siamo di fronte a un mutamento del quadro geopolitico mondiale  (caduta del muro di Berlino, prima guerra del Golfo, dissoluzione dell’Urss, scomparsa dei partiti di massa in Italia). L’asse tradizionale mafia-Dc non è più funzionale ai nuovi equilibri, secondo le teste d’uovo di Washington. Occorre cambiare attori e comparse. E’ proprio questo input, che porta alla nascita di Forza Italia, alla caduta di Totò Riina e di Giulio Andreotti, nonchè al trionfo di Silvio Berlusconi e di Marcello dell’Utri. Inizia l’ascesa inarrestabile di Bernardo Provenzano.

La sconfitta di Riina, utilizzato come braccio armato per l’eccidio di Capaci, è per molti versi clamorosa, e si concretizza con il suo arresto del gennaio ’93. Tale crollo non deve essere interpretato, dunque, come  l’esito maldestro di una presunta trattativa, bensì come il risultato di una gigantesca trappola che l’intelligence statunitense e italiana tende nell’arco del ’92 a “Totò u curtu” .

Nasce un nuovo asse di potere.

Giuseppe Casarrubea

Mario J. Cereghino, alias “Il Condor”

P.S.: Per ulteriori informazioni scegli dall’home page di questo blog [quello di Casarrubea, n.d.r.] la categoria “DOCUMENTI” e clicca in search: Berlusconi, dell’Utri e la strage di Capaci

http://casarrubea.wordpress.com/2008/08/21/berlusconi-dellutri-e-la-strage-di-capaci/

Salvatore Borsellino: “Dovevano parlare subito dopo la strage”

Fonte: Salvatore Borsellino: “Dovevano parlare subito dopo la strage”.

Scritto da Pierangelo Maurizio

Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia commenta le ultime rivelazioni sulla strage. “Credo in questi magistrati che vogliono andare fino in fondo”.

Ha visto che cosa l’ex ministro Vizzini ha dichiarato al Tempo?
«Sì, ho letto».

Dice che nel loro ultimo incontro, tre giorni prima della strage, Paolo si soffermò in particolare sui rapporti tra mafia e appalti…

«In quel tempo gli interessi di mio fratello erano concentrati sul nesso mafia-appalti. E su quella trattativa con lo Stato, io ripeto. Comunque nelle carte, nell’agenda grigia di Paolo. Ho anche trovato tracce di questi loro incontri. E vorrei chiedere a Vizzini se Paolo gli parlò del dossier che aveva appena ricevuto dal sindacalista Gioacchino Basile riguardo alle infiltrazioni del clan Galatolo nel porto di Palermo. Così…»

E che cosa pensa delle rivelazioni di Claudio Martelli che l’ex sindaco Ciancimino nel giugno del ’92 si sarebbe offerto di collaborare in cambio di protezioni politiche?
«Penso quello che penso per Violante. Tante persone cominciano a ricordare cose che se avessero detto 16, 15 anni fa non ci troveremmo al punto in cui ci troviamo… Non vorrei che questi improvvisi sussulti di memoria avvengano ora, magari prima di essere sentiti da questi magistrati che stanno portando avanti le indagini adesso».

Salvatore Borsellino è il fratello del magistrato ucciso con la sua scorta a via d’Amelio il 19 luglio ’92. Ingegnere in pensione, vive a Milano da 40 anni. E io mi scuso con questo uomo mite, ma dalla volontà ferrea di fare chiarezza, se non tutto di quanto mi ha raccontato mi sembra condivisibile. Perché a volte il dolore può far aggrappare a certezze che tali non sono. Ma ci sono due o tre cose che ripete e che vanno ascoltate. Da tempo insiste che vuole vedere nelle vesti di imputato Nicola Mancino, divenuto ministro dell’Interno poco dopo la strage di Capaci in cui furono uccisi Falcone, la moglie e tre agenti della scorta e poco prima che fosse ucciso Borsellino, attuale vicepresidente del Csm. Perché?
«Perché è reticente. Perché sull’incontro con mio fratello, il primo luglio del ’92 a Roma, ha dato versioni inverosimili. Prima ha detto di non ricordarlo, l’incontro. Poi ha detto di averlo visto al ministero dell’Interno sì, ma di avergli solo stretto la mano. Cose diverse. Ogni tanto dice qualcosa in più. Se Paolo sull’agenda grigia al primo luglio scrive la parola “Mancino” è perché aveva un appuntamento preciso con lui. Un’agenda che compilava la sera, ora per ora con gli impegni della giornata, fino alla partenza da Fiumicino per tornare a Palermo».


L’agenda grigia è quella che non è sparita, il magistrato vi annotava gli appuntamenti. Ad essere scomparsa dopo l’attentato è invece l’agenda rossa, secondo l’opinione più diffusa – e Salvatore Borsellino l’ha fatta sua – perchè conteneva «i segreti sulla strage di Capaci» in cui fu ucciso Giovanni Falcone.
Ma Lino Jannuzzi su questo giornale ha acutamente osservato che è un’offesa per un servitore dello Stato come Paolo Borsellino pensare che potesse confinare «segreti» di quella portata in un diario senza tradurli in atti e provvedimenti giudiziari. E invece?

«Mancino ha sostenuto di non ricordare l’incontro perché non conosceva la fisionomia, fisicamente mio fratello, e Paolo non era uomo da andare ad omaggiare nessuno. È una menzogna. Dopo Falcone tutti si aspettavano che ammazzassero anche lui. Mancino, ministro dell’Interno, come fa a dire che non lo conosceva? Il suo predecessore al Viminale, Enzo Scotti, lo conosceva bene. Semmai sarebbe da chiedersi perché Scotti fu sostituito in fretta e furia…»


Cosa vuol dire?

«Che se Mancino sostiene ciò che non è credibile, sono portato a pensare che stia nascondendo qualcosa».

Da 3-4 anni Salvatore Borsellino – «ma è un’opinione personale» – si è convinto che quel giorno il fratello Paolo andò da Mancino a parlargli «della trattativa che i Ros avevano avviato con la criminalità organizzata per mettere fine all’offensiva stragista della mafia».
«In cambio lo Stato avrebbe dovuto ammorbidire i provvedimenti presi dopo la morte di Falcone. Con Paolo vivo quella trattativa non sarebbe andata avanti».


Ma ha l’onestà intellettuale di sottolineare che è «un’opinione personale». Al contrario di tanti mafiologi. Perché a distanza di anni e di molti processi la «trattativa» scellerata tra Stato e Antistato resta un teorema. Alla base del quale c’è il «papello» – ovvero l’elenco di richieste che sarebbe stato presentato dal boss Totò Riina – ma in origine lo ha visto e ne ha parlato solo Attilio Bolzoni di Repubblica, spalleggiato da Saverio Lodato dell’Unità, salvo poi non fare un’ottima figura nelle aule di giustizia una volta chiamati a darne conto. Aria fritta.
Ma torniamo ad ascoltare Salvatore Borsellino. Suo fratello lasciò trapelare qualcosa con i familiari?

«È quasi offensivo quello che mi sta chiedendo. Paolo era una persona seria, non parlava in casa del suo lavoro anche per la tutela dei familiari. Però aveva ripetuto più volte che avrebbe detto ciò che sapeva della strage di Capaci ai magistrati di Caltanisetta».

Ma non ne ha avuto il tempo?
«No, non ne ha avuto il tempo».


E bisogna seguire il ragionamento di quest’uomo che a distanza di 17 anni non ha visto diminuire, anzi, dolore e rabbia. Una rabbia, vissuta in modo molto borghese, molto composto, ma anche molto determinato.

«Vede, l’assassinio di Paolo era stato progettato dalla mafia ma non per quel momento. Come ha rivelato Giovanni Brusca (collaboratore di giustizia ndr) quando Riina disse che si doveva fare l’attentato di Capaci molti si opposero. Falcone era inviso all’interno della magistratura. Ma era molto sostenuto dall’opinione pubblica. La sua uccisione avrebbe provocato la reazione più forte dello Stato, come effettivamente fu».

Dopo il massacro di Capaci il Parlamento convertì in legge il cosiddetto decreto Falcone sui collaboratori di giustizia, furono trasferiti nelle carceri speciali 400 boss mafiosi.
«Nel luglio ’92 non era alla mafia che interessava l’eliminazione di mio fratello. La mafia doveva fare un favore a qualcuno. Quello che è accaduto non possiamo stabilirlo né io né lei. Io ho fiducia nella magistratura, in questi magistrati che ora stanno dimostrando di voler andare in fondo. E allora si capirà perché altri giudici, altri magistrati non hanno voluto vedere, non hanno voluto accertare, non hanno voluto capire».


Pierangelo Maurizio (
Il Tempo, 11 ottobre 2009)

YouTube – Travaglio ad Annozero – Rapporti tra Stato e Mafia – 08/10/09

YouTube – Travaglio ad Annozero – Rapporti tra Stato e Mafia – 08/10/09.

Antimafia Duemila – Antonio Ingroia: nell’agenda rossa la chiave della strage di Via D’Amelio

Antimafia Duemila – Antonio Ingroia: nell’agenda rossa la chiave della strage di Via D’Amelio.

di Maria Loi – 6 ottobre 2009
Roma.
“Sono convinto che nell’agenda rossa vi sia la chiave dei suoi ultimi giorni e nei suoi ultimi giorni vi sia la chiave di quella strage”. Esordisce con quest’affermazione il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia nel corso della trasmissione “L’agenda rossa” andata in onda ieri sera su Rainews24.

Paolo Borsellino da quell’agenda non si separava mai – ha detto Ingroia – la teneva sempre sulla scrivania. Però <<nell’ultimo periodo quando venne in possesso sicuramente di verità difficili e imbarazzanti, come risulta da varie testimonianze, cominciò ad utilizzarla per mettere le annotazioni più riservate>>.
Uno scenario quello che fa da cornice alla strage di Via D’Amelio e che secondo il magistrato “è frutto di precise indagini e risultanze processuali e che dimostra che Cosa Nostra alla vigilia della stagione stragista aveva pensato di mettere in campo un vero e proprio golpe. Queste stragi probabilmente si inquadravano in quel progetto che Cosa Nostra aveva elaborato”.
“Queste sono alcune risultanze delle indagini della procura di Palermo, di Caltanissetta e di Firenze – ha aggiunto Ingroia – che delineano come dietro quelle stragi non vi sia stata solo Cosa Nostra ma anche entità e poteri oscuri che elaborarono con Cosa Nostra un grande progetto criminale nell’ambito del quale maturarono le stragi”.
Alla domanda della giornalista Emanuela Bonchino che ha chiesto in che termini si parlava di golpe il magistrato palermitano ha spiegato: “In un quadro di difficoltà che Cosa Nostra improvvisamente attraversò per ragioni sia internazionali che di politiche locali venne messo in crisi anche il rapporto tradizionale che Cosa Nostra ebbe con la politica. Cosa Nostra aveva bisogno di dare un pugno forte sul tavolo per dimostrare di essere un potere capace di contrastare con un altro potere e le stragi a mio parere furono lo strumento perché Cosa Nostra tornasse protagonista della storia italiana e a incidere sul corso degli eventi”.
Sul progetto di golpe separatista Ingroia ha poi voluto precisare che “Cosa Nostra ad un certo punto coltivò un progetto di golpe separatista, che puntava ad accelerare un processo di spiccata autonomia della Sicilia dal resto dell’Italia. Furono fondati anche dei movimenti indipendentisti e furono accertate anche presenze mafiose. Ma quel che accadde è che questo progetto di golpe era una minaccia di golpe che aveva un secondo obbiettivo: la trattativa, cioè eliminare ogni ostacolo lungo la trattativa per potere poi ricontrattare nuovi rapporti di convivenza e di compenetrazione fra sistema criminale e pezzi deviati delle istituzioni”.
Quando dallo studio Emanuela Bonchino gli ha chiesto se c’era qualcuno che depistava sulla morte di Borsellino, Ingroia ha risposto che è di competenza della procura di Caltanissetta indagare sulla strage di Via D’Amelio e anche sui depistaggi, ma “non c’è dubbio però che negli ultimi mesi sono emerse risultanze nuove che stanno aprendo spiragli di luce promettenti. E che dimostrano che vi furono depistaggi, alte cortine fumogene che hanno fatto sì che la strage di via d’Amelio sia stata, fra tutte le stragi di quella stagione, quella sulla quale sappiamo meno e sulla quale abbiamo più forte la sensazione di interessi anche esterni a Cosa Nostra a non fare emergere tutta la verità”.
A chiusa della trasmissione la giornalista ha chiesto al procuratore Ingroia come è possibile che ci siano tutti questi dubbi sulla strage. Ingroia ha spiegato: “La verità è che la storia d’Italia e la storia della Sicilia in particolare non è solo una storia di sangue di tanti uomini servitori dello Stato, e non, che sono stati uccisi, ma è una storia di molte verità negate, di depistaggi che sono cresciuti ogni qualvolta che questi omicidi non sono stati solo omicidi di mafia ma omicidi che hanno coinvolto pezzi di potere extramafioso che con la mafia hanno colluso. Credo che da questo punto di vista la strage di Via D’Amelio costituisca un po’ un buco nero dove è sprofondata la prima Repubblica e sulla quale è sorta la seconda. Quella trattativa che ancora oggi costituisce oggetto di indagine forse ha avuto anche un ruolo sulla fine della prima e la nascita della seconda”. Solo “Quando si avrà piena verità e giustizia su questa stagione buia – ha concluso – la nostra democrazia potrà diventare davvero perfetta”.

Salvatore Borsellino: “Ringrazio deputati IdV per aver agitato agende rosse”

Salvatore Borsellino: “Ringrazio deputati IdV per aver agitato agende rosse”.

altPalermo, 2 ottobre 2009 – «E’ una durezza piuttosto inconsueta e sospetta quella usata verso i deputati dell’IdV che hanno osato agitare all’interno della Camera le agende rosse. Ma è anche il segno della concreta mancanza di volontà, da parte di una classe politica distratta e collusa, ad affrontare concretamente il nodo mafia-istituzioni-politica cominciando col fare verità e giustizia sul periodo delle stragi di Stato del ‘92-’93. Ed è forse per questo motivo, per aver osato mettere seppur simbolicamente il dito nella piaga agitando le agende rosse, che i deputati dell’IdV hanno sperimentato l’irrituale durezza dei loro colleghi parlamentari. Ben più indulgenti in passato verso le forche della Lega o i mangiatori di Mortadella dell’attuale maggioranza». Lo ha dichiarato Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo ucciso dalla mafia 19 luglio 1992.

FUORI LA MAFIA DALLO STATO – LA MARCIA DELLE AGENDE ROSSE ROMA 26 SETTEMBRE 2009

FUORI LA MAFIA DALLO STATO – LA MARCIA DELLE AGENDE ROSSE ROMA 26 SETTEMBRE 2009.

Antimafia Duemila – Di Pietro: ”Oggi la mafia e’ dentro le istituzioni”

Antimafia Duemila – Di Pietro: ”Oggi la mafia e’ dentro le istituzioni”.

”Perché sta accadendo tutto questo? Perché nonostante Mani Pulite e le inchieste sulla mafia nel nostro Paese non cambia nulla?”

Lo ha dichiarato il leader dell’Idv Antonio Di Pietro nel corso della manifestazione “La marcia della agende rosse” in corso a Roma e a cui stanno partecipando circa millecinquecento persone.
“Ho vissuto l’esperienza di  Mani Pulite è ho capito che per avere un Paese migliore è necessario un ricambio generazionale della classe politica. Bastavano queste 3 regole per dare un riconoscimento alle persone che hanno dato la loro vita: non candidare più i politici condannati in parlamento, non permettere agli amministratori che facciano il loro mestiere quando sono sotto processo e non permettere agli imprenditori sotto processo di partecipare alle gare pubbliche>>. Questi paletti erano sufficienti ha ammesso Di Pietro.
Purtroppo, ha continuato allarmato “ho capito che il vero conflitto di interessi è quello che sta dentro il Parlamento, perché certi parlamentari sono disposti a fare compromessi per mantenere quelle lobby di potere che governano questo Paese”. L’ultima è la legge sullo scudo fiscale, fatta per permettere a chi  ha capitali nascosti all’estero di riportarli in Italia “pagando una tangente come se non fosse successo niente”. “Ricordatevi che chi approverà questa legge in Parlamento farà un’azione criminale”. “Oggi c’è una mafia che sta dentro le istituzioni, che le utilizza, che non ha più bisogno di commettere reati. Oggi la mafia ha sbiancato i reati”.

Antimafia Duemila – Corteo Agenda Rossa: ”Via Dell’Utri e Mancino da Stato”

Antimafia Duemila – Corteo Agenda Rossa: ”Via Dell’Utri e Mancino da Stato”.

“Fuori la mafia dallo Stato”, “fuori Dell’Utri dallo Stato”, “fuori Mancino dal Csm”.
Questo il coro che si leva dal corteo ‘Agenda rossa’ a cui stanno partecipando circa un migliaio di persone e che sta attraversando via del teatro di Marcello in direzione Piazza Navona. “Stare in piazza è il minimo che possiamo fare per ricordare che la questione fondante dell’anomalia-Italia non sono gli orientamenti sessuali del premier ma le infiltrazioni della mafia nelle istituzioni che ancora oggi non riescono a venire completamente a galla”, dice un ragazzo catanese che sta partecipando al corteo. “Il popolo dell’antimafia non si arrende ma sfila compatto per sostenere quei magistrati che si battono per la verità, con Antonio Ingroia e Sergio Lari, con Salvatore Borsellino e Gioacchino Genchi”, aggiunge Laura, 48 anni di Roma. L’imprenditore Pino Masciari, noto per aver denunciato le collusioni della Ndrangheta con le istituzioni, è in prima fila e spiega: “ci sono tanti morti in attesa di giustizia, e tante persone vive, ma che sono praticamente morte, in attesa di giustizia. Io dopo essermi opposto alla Ndrangheta non faccio più l’imprenditore, non vivo più nel mio paese e nonostante abbia subito 2 attentati in 50 giorni non sono sotto scorta.

Antimafia Duemila – S. Borsellino: ”Mio fratello ucciso da pezzi dello Stato”

Antimafia Duemila – S. Borsellino: ”Mio fratello ucciso da pezzi dello Stato”.

“Mio fratello è stato ucciso da pezzi dello Stato o da qualcuno che serviva quei pezzi dello Stato.

Questo si celava dentro la sua agenda rossa ed è questa la verità che vogliamo portare alla luce”. Lo ha detto Salvatore Borsellino, presente in piazza Bocca della Verità dove si stanno radunando centinaia di persone per il corteo ‘Agenda rossa’. “Quando Paolo è stato ucciso secondo me è stato anche per sottrargli quell’agenda rossa su cui aveva annotato tanti segreti sulle infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno della magistratura, dei servizi segreti e dello Stato – ha spiegato il fratello del magistrato ucciso -. La sua agenda rossa ha già cambiato la storia di questo Paese perché sui ricatti incrociati che si nascondono dentro quell’agenda si reggono gli equilibri politici dell’Italia. Se venissero alla luce queste nefandezze probabilmente la storia dell’Italia cambierebbe di nuovo”.

ANSA

Borsellino: ”Deluso da Napolitano, corte no di partito”

26 settembre 2009
Roma.
“Sono rimasto deluso dal presidente Napolitano che era stato invitato alla manifestazione e ha detto che non sarebbe venuto perché è una manifestazione di partito”. Lo ha detto Salvatore Borsellino, presente in piazza Bocca della Verità per il corteo ‘Agenda rossa’, organizzato dall’Associazione nazionale familiari vittime della mafia. Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992 ha sottolineato che ‘Agenda rossa’ “non è una manifestazione di partito ma il partito della gente onesta. Chi sta da questo lato é gente onesta, chi sta dall’altra parte evidentemente non lo é”.

Antonio Di Pietro: Masi: un Cavallo di Troia di Mediaset

Antonio Di Pietro: Masi: un Cavallo di Troia di Mediaset.

Travaglio va in onda come un ospite “abusivo” di Annozero: “se si comporterà bene”, pensa Masi, “magari gli firmerò il contratto per le prossime puntate,.. con clausola risolutiva espressa“. Il punto non è l’esito ma l’esistenza della querelle su Travaglio.
Soltanto per la puntata del 15 settembre di Porta a Porta è stata stimata una perdita superiore ai 500 mila euro, qualcuno afferma anche oltre il milione. Le responsabilità di questo autolesionismo mediatico, volutamente causato o frutto di negligenza che sia, deve essere vagliato da un tribunale per accertarne le responsabilità della dirigenza Rai. Se Mediaset voleva disfarsi della concorrenza ed accaparrarsi audience e soldi pubblicitari questo Cavallo di Troia con Masi & Co. a Viale Mazzini sta svolgendo egregiamente il compito assegnato.
I disoccupati crescono esponenzialmente, 400 mila in più negli ultimi tre mesi, l’erario si presenta a casa loro per incassare il canone Rai che in parte finisce nelle tasche di gente come Masi. Tra lui, Minzolini e Vespa non saprei scegliere chi dei tre brilla per maggior faziosità e servilismo politico. Il trio è la trasposizione della trilogia cinematografica horror: “Le Tre Madri” del regista Dario Argento applicata all’informazione. Dove passano loro crolla lo share, non crescono più talenti e si perdono soldi.
La triade deve essere radiata dalla televisione pubblica poiché affetta dal “vizietto”, un insano comportamento con sfumature da delirio di onnipotenza, per cui le tivvù di Stato sono uno strumento di cui disporre per fini politici a dispetto dei contribuenti più che un bene pubblico di cui hanno la responsabilità transitoria della buona gestione. Con il “vizietto” si spiegano le decisioni della dirigenza Masi che preme per cancellare programmi di punta, rimandarne l’avvio o boicottarli togliendo l’assistenza legale alle redazioni. E nel frattempo i dirigenti Rai bruciano milioni di euro pubblici mentre il suo CdA “bipartisan” rimane a guardare. In regia Confalonieri e Berlusconi si fregano le mani e riempiono i conti di società off-shore.
Tra qualche mese non ci sarà bisogno di invitare i contribuenti a dare disdetta del canone RAI, ci penseranno da soli schifati da questo teatrino e la responsabilità di questo degrado sarà ancora una volta politica e delle sue logiche spartitorie.
Nel nostro programma di governo, presentato a Vasto, il tema dell’informazione viene trattato ed affrontato in modo esaustivo e risolutivo rispetto la situazione attuale estremamente degradata.
Se solo applicassimo la metà delle soluzioni proposte dall’Italia dei Valori in tema di informazione non saremmo certamente al 47mo posto per libertà di stampa al mondo e non avremmo una televisione pubblica tappeto verde del gioco d’azzardo di politici senza scrupoli.

FLASH: Sabato 26 settembre a Roma ci sarà la “marcia delle agende rosse” a cui parteciperò. Mi associo all’invito di Gioacchino Genchi (video sopra) a partecipare rivolgendomi ai sostenitori dell’Italia dei Valori e a tutti i cittadini affinchè diano voce alla manifestazione con la loro presenza. Per ulteriori dettagli sull’agenda della giornata guarda la pagina: Manifestazione “Agenda rossa” – Roma – 26 settembre 2009

Antonio Di Pietro: Sabato 26: porta la tua agenda rossa

Antonio Di Pietro: Sabato 26: porta la tua agenda rossa.

Domani, 26 settembre a Roma, partira’ da piazza Bocca della Verita’ la manifestazione “Agenda rossa“, promossa da Salvatore Borsellino insieme a numerosi cittadini, associazioni ed esponenti della società civile.

Riporto l’appello di Salvatore Borsellino il quale invita i cittadini a prendere parte al corteo. Mai, come in questo anno, lo Stato si è scollato dalle istituzioni e si è allontanato dai cittadini, con una superbia ed un’arroganza mai viste. I ministri, gli assessori, i deputati, i senatori, i sindaci e tutte le altre cariche amministrative e istituzionali sono emanazione e rappresentano il volere di una comunità di elettori. A questi elettori devono costantemente rivolgere attenzioni e fornire spiegazioni qualora interpellati.

Oggi i cittadini chiedono alla politica spiegazioni sull’agenda rossa di Paolo Borsellino, sulla strage di via D’Amelio, sulla strage di Capaci, sulle bombe di Firenze e Milano. Spiegazioni che non possono essere bollate e liquidate come attacco al governo. A meno che nel governo si nascondano i mandanti politici di quegli orrori.

In serata pubblicherò il servizio del nostro inviato al processo Dell’Utri.