Archivi del giorno: 6 gennaio 2012

Crediamo nel cambiamento – Cadoinpiedi

Fonte: Crediamo nel cambiamento – Cadoinpiedi.

di Luca Mercalli – 18 Dicembre 2011
Quando una persona capisce i motivi per cui adottare questi comportamenti e si apre a una certa visione del mondo, nessuna delle iniziative personali a difesa dell’ambiente costa fatica

Pubblico anche qui una mia intervista rilasciata a “Il cambiamento”.

Il ‘cambiamento’ si promuove dal basso o dall’alto? Altrimenti detto, per le urgenze che ha il pianeta è più efficace smuovere le coscienze delle persone o fare pressione sui decisori pubblici?
Non si può ignorare nessuna delle due modalità, bisogna lavorare su entrambe. È difficile ottenere risultati concreti contando soltanto sulla presa di coscienza dei singoli, e lo stesso si può dire quando si cerca di fare breccia in certi politici, come abbiamo visto di recente anche alla Conferenza sul clima di Durban. Visti i tempi che corrono, dobbiamo perseguire entrambe le strade.

L’efficienza e l’esistenza stessa delle sovranità nazionali s’indebolisce sempre di più. Quali organismi di governo sovranazionali immagina per gestire il rischio ambientale e le problematiche globali a esso connesse?
Non sono un esperto dei temi della governance, ma la mia sensazione è che queste strutture in buona parte esistano già, basterebbe farle funzionare meglio. A un livello sovranazionale c’è un’agenzia delle Nazioni Unite che conosco bene, l’Unfccc, ovvero la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, che imposta la discussione sul clima a livello generale. Poi abbiamo l’Ipcc, che segue gli aspetti scientifici, il Protocollo di Kyoto, un importante strumento di lavoro, anche se sta andando a scadenza, e l’insieme delle Conferenze sul clima, di cui quella di Durban è stata la diciassettesima. Come si vede le strutture esistono già, basterebbe ascoltarle. Dopodiché è chiaro che gli egoismi nazionali spesso prevalgono. Forse accadrà qualcosa che assomiglia all’odierno governo Monti in Italia: un supergoverno di tecnici che commissarierà le diverse politiche nazionali, che faticano troppo a rispondere all’emergenza climatica. Magari un giorno dovremo arrivare a questo, anche se personalmente, a proposito di egoismi nazionali, temo piuttosto il rischio dei conflitti.

Qual è il livello d’impegno individuale che ciascuno dovrebbe pretendere da se stesso nella direzione di una maggiore sostenibilità?
Ciascuno dovrebbe occuparsi delle sorti del pianeta in ogni suo gesto quotidiano. E per arrivarci dovrebbe essere sufficiente il comprendere davvero ciò che ci siamo detti fin qui: viviamo su un pianeta solo, l’ambiente non è qualcosa di isolato ed estraneo, ma è il luogo nel quale ci muoviamo tutti i giorni e serve alla nostra vita concreta, così come le risorse.
Naturalmente non possiamo aspettarci che, su sette miliardi di persone, tutti divengano informati e sensibili rispetto a questi temi, ci saranno sempre gli ignoranti e gli avidi, che avranno un atteggiamento predatorio nei confronti delle risorse del pianeta. Ma è proprio a quel punto che dovrà intervenire la politica. È il modello dei paesi del Nord Europa, dove la sensibilità diffusa e la politica producono effetti virtuosi.

Qual è il livello di impegno che lei chiede a se stesso nella sua quotidianità? Quanto è fatica e quanto è piacere?
Quando una persona capisce i motivi per cui adottare questi comportamenti e si apre a una certa visione del mondo, nessuna delle iniziative personali a difesa dell’ambiente, e dunque della propria qualità di vita presente e futura, costa fatica. Al contrario procurano vantaggi pratici e la soddisfazione di conformarsi a un’etica cosmica. Innanzitutto a casa mia, dove vivo con la mia compagna in Val di Susa, abbiamo tecniche di gestione delle energie estremamente efficienti. La casa è isolata termicamente, come dovrebbe fare chiunque voglia i venti gradi d’inverno senza buttare via calore attraverso tetti, muri e finestre. Certo, investo dei soldi e del lavoro all’inizio, ma mi ritrovo con un’abitazione che mangerà meno soldi in futuro e più confortevole. Dopodiché, una volta che ho ‘tappato i buchi’, ho cambiato la fonte energetica, passando da fossile a rinnovabile: ho installato pannelli solari, sia fotovoltaici sia per l’acqua calda, con i quali estraggo tutta l’energia di cui ho bisogno nel corso dell’anno. Naturalmente sono sempre allacciato alla rete, perché nei giorni di pioggia o nebbia ho ancora bisogno di ricevere energia dall’esterno, però nel corso dell’anno il saldo è positivo. E, denaro a parte, mi mette anche al riparo dalle scarsità energetiche del domani, rendendomi più autosufficiente.
Lo dico per chiarezza, perché oggi si può risolvere l’ottanta per cento della questione energetica riguardante una casa, non il cento per cento: in parte dobbiamo ancora contare sui metodi tradizionali. Ma con investimenti e ricerca negli anni tenderemo ad affrancarcene completamente.
Poi ho un orto, non immenso ma produttivo, che mi porta a una dieta prevalentemente vegetariana, anche se vegetariano non sono. Però consumo carne in misura ridotta e ragionevole, mentre mangio verdure prodotte da me. Ho realizzato una cisterna per l’accumulo dell’acqua piovana destinata all’irrigazione. Ovviamente i rifiuti organici di cucina servono per produrre concime e non gravano sulla raccolta rifiuti. Ciò che resta, lo sottopongo ad attenta differenziazione.
Dopodiché ho anche cercato di cambiare il mio rapporto con gli oggetti e con il consumismo, ed è stata una bella sfida psicologica.
È stato un ritorno all’essenzialità, che non vuol dire per nulla miseria, ma rifiuto della pubblicità e di un modello sociale nel quale mi riconosco sempre meno, quello del “grande e potente”, a cui preferisco “piccolo ed efficiente”. È sufficiente avere un set di oggetti necessari, dopodiché si può lasciare perdere il superfluo. E spesso il godimento degli oggetti superflui può essere ben soppiantato da piaceri immateriali: la cultura, la lettura, la musica, il convivio… Ne guadagno io come persona, ma anche l’ambiente e persino il portafogli, perché mantenere il superfluo costa tempo e denaro.

Lei spiega di ricevere ogni giorno, in media, cinque inviti ai più svariati convegni e incontri. Da chi provengono questi inviti? Nota una diffusione dell’interesse nei confronti dei temi della sostenibilità?
Sì, c’è stato un aumento dell’interesse, l’ho notato in particolare nell’ultimo anno. Il presupposto è che ho ottenuto una qualche notorietà con la televisione nei nove anni che presenzio a Che tempo che fa. Ma se gli inviti che mi arrivavano erano due o tre alla settimana qualche anno fa, oggi sono cinque al giorno. Sono più di 1.500 in un anno, naturalmente io non posso andare ovunque, ne accetterò uno o due alla settimana. Ma la gente sembra interessata a saperne di più.
Possiamo dividere i soggetti che m’invitano in tre categorie: associazioni e comitati con una qualche motivazione ambientale, spesso legata alla cementificazione; poi comuni e assessorati di vario genere, solitamente di piccole dimensioni e dotati di una certa sensibilità per le tematiche della sostenibilità; infine ci sono gli inviti con finalità didattiche, spesso da parte di scuole. Talvolta mi succede anche di essere invitato in ambiti nei quali fino qualche anno fa sarebbe stato impensabile, come è stato il caso recente di un incontro a Milano con un gruppo di dirigenti d’azienda lombardi.

Lei si divide fra articoli, libri, incontri pubblici e i cinque minuti settimanali di grande ascolto televisivo da Fabio Fazio. In un mondo di scettici e disattenti, per ignoranza o professione, quali sono secondo lei le chiavi comunicative per ottenere ascolto?
Innanzitutto bisogna cercare di avere un’autorevolezza scientifica. Negli ultimi anni è circolato un ambientalismo un po naif, la cui buona volontà non è stata sufficiente per rendere un valido servizio alla causa. Invece occorre che ciascuno si spenda nel proprio settore, dimostrando competenza. In secondo luogo direi che c’è domanda di soluzioni. Non dobbiamo presentarci solo come annunciatori di disgrazie, ma dobbiamo anche spiegare che cosa si può fare per risolvere i problemi. Questa è un’esigenza che avverto spesso in chi mi ascolta. E ancora di più credo sia utile parlare anche attraverso la propria esperienza personale, potere raccontare ciò che si è sperimentato sulla propria pelle, perché questo conferisce credibilità. E porta anche a spiegare le cose con chiarezza maggiore, perché solo chi ‘fa’ sa poi spiegare bene.

La scienza oggi è piuttosto trascurata dal sistema mediatico e nell’interesse comune. Perché succede, secondo lei? Come può recuperare una centralità culturale?
In realtà vedo una situazione molto variegata: ci sono contesti nei quali la scienza e la tecnologia vengono venerate come delle divinità che possono risolvere tutto; invece ci sono casi nei quali vengono ignorate. Direi che in fondo prevale l’opportunismo. Se ti viene promesso un miracolo tecnologico in qualsiasi settore siamo tutti pronti a crederci, ma se la stessa scienza si azzarda a mettere un paletto rispetto a una scelta politica, allora non va più bene. Eppure la scienza è per sua natura basata su un metodo rigoroso e verificabile.

Nel frattempo abbiamo smarrito anche il senso di rispetto e ammirazione che la natura da sempre ha suscitato. Come si reinsegna a un cittadino a guardare un tramonto?
Credo che sia fondamentale passare anche da questa dimensione per raggiungere la consapevolezza di cui parlavamo: oltre ai dati e alla razionalità, c’è un aspetto di sintonia immediata con la natura che facilita la diffusione di una sensibilità nuova. Sarebbe una riscoperta importante, che andrebbe oltre ogni mediazione della razionalità: è come quando t’innamori di una donna, non servono dati e misure, ti capita e basta, e poi te ne prendi cura.
Ancora cinquant’anni fa era viva questa meraviglia per il mondo reale: è una perdita recente. Un ruolo in questo recupero potrebbero averlo la scuola e l’educazione, che dovrebbero metterci più spesso a contatto con la natura. Un’importanza l’hanno anche le nuove tecnologie, i tanti schermi portatili di cui siamo circondati, che spesso finiscono proprio con l’alienare i giovani segregandoli in mondi artificiali e rendendo ancora maggiore il distacco dal mondo reale. Invece, proprio i nuovi mezzi di comunicazione potrebbero essere reimpiegati nel tentativo di riavvicinare le persone alla natura. Io posso guardare un tramonto di persona, ma tutto sommato internet mi consente anche di vedere lo stesso tramonto in altri dieci posti nel mondo. Ci sono poi tante discipline sociali che ci possono riavvicinare alla natura: filosofia, poesia, letteratura, psicologia sociale. La riscoperta della natura può passare da un concorso di elementi.

Ormai le trasformazioni sociali, come quelle ambientali, avvengono con una rapidità inedita. Trova più ragioni per essere pessimista od ottimista per il futuro?
Proprio perché i fenomeni cambiano così velocemente non ho una posizione precisa, ma giudico di giorno in giorno quello che vedo. La prospettiva di oggi mi renderebbe pessimista. L’ottimismo lo recupero proprio se penso che le trasformazioni sociali possono essere rapidissime: se riusciamo a fare passare questi messaggi, oggi siamo anche dotati di tutti gli strumenti per ottenere buoni risultati in poco tempo.

Che cos’è per lei il ‘cambiamento’, a livello personale e sociale?
Il cambiamento l’abbiamo sempre praticato nella nostra storia di specie umana. E’ l’adattamento a condizioni ambientali che variano. O riusciamo ad adattarci, o soccombiamo: il cambiamento è una necessità allorché le condizioni del contesto mutano.

Quale cambiamento augura a se stesso e al mondo? E quale invece teme?

Mi auguro un cambiamento basato sulla razionalità, ma anche sulla bellezza. Dovremmo cambiare tenendo assieme sia la parte razionale che quella spirituale. Ciò che invece temo è che si verifichi un cambiamento nel senso del conflitto. Il cambiamento è una certezza, noi non possiamo opporci quando questo arriva da pressioni così forti che provengono dal mondo reale. Il cambiamento, dunque, ci verrà imposto. Se lo gestiamo noi, potrà essere dolce e ne decideremo noi le dinamiche, ricorrendo alla mente e al cuore. Se invece continueremo a opporci, temo che assumerà la forma della guerra e della barbarie.

Svaligiati in casa e senza latte – video – Cadoinpiedi

Fonte: Svaligiati in casa e senza latte – video – Cadoinpiedi.

di Claudio Messora – 21 Dicembre 2011
Mentre cerchiamo faticosamente di racimolare 20 miliardi, ne promettiamo molti di più a Unione Europea e FMI. Conti per i quali pretendiamo una spiegazione

Stiamo faticosamente cercando di mettere insieme 20 miliardi. Li togliamo alla povera gente, lesinando le pensioni, tassando la casa, rincarando la benzina, aumentando l’iva, ricorrendo ai prelievi forzati sui conti correnti, rivalendoci perfino sui cani e sui gatti domestici. Come se adottare un cucciolo, invece di rappresentare un atto meritorio nonché un innegabile costo, fosse un reddito affettivo da condividere con lo stato.

Venti miliardi cui invece i grandi patrimoni non contribuiranno molto, restando tutto sommato indisturbati. Qualche esempio? Chi ha grandi e lussuose imbarcazioni non farà altro che spostarle nei porti della vicina Croazia. Chi ha ingenti capitali, non farà altro che spostarli in Svizzera, tanto l’accordo fiscale non lo vogliamo fare per evitare possibili infrazioni UE. Come dire: le infrazioni sulla mancata concessione delle frequenze a Europa7 e quelle sui rifiuti (tanto per citarne due a caso) vanno benissimo, in quanto si tratta di spendere in multe senza averne alcun ritorno, ma le infrazioni come scotto da pagare per il recupero di qualche miliardo di euro invece sono da evitarsi assolutamente. Due pesi, due misure. Come due pesi e due misure si adottano tra gli interventi nella manovra che riguardano l’inasprimento dell’aliquota una tantum sui capitali scudati e quelli che tolgono la rivalutazione alle pensioni. Nel primo caso si grida allo scandalo dello Stato che viene meno al suo patto, nel secondo caso invece assistiamo a un patto ancora più stringente, per il numero dei cittadini coinvolti e soprattutto perché stiamo parlando di quelli onesti, che viene violato senza nessuna alzata di scudi. Misura che adotti, scudo che ignori.

E mentre ci affanniamo a far pagare ai cittadini questi 20 miliardi, cui ne seguiranno altri 20, e poi altri 20 visto che ci stiamo consegnando mani e piedi alla recessione, ne troviamo 150 da regalare senza colpo ferire, sull’unghia, all’Unione Europea e al Fondo Monetario Internazionale. Di questi, 125 dovremo corrisponderli al MES, il Meccanismo permanente di Stabilizzazione Europeo che entrerà in vigore “presto presto” entro metà 2012 (ne ho parlato qui). Altri 23,48 miliardi li abbiamo appena promessi al Fondo Monetario Internazionale.

E a cosa servirebbe questa spropositata quantità di denaro? Ma a salvarci, parbleu! Non sono sicuro di avere capito bene: ricapitoliamo. Chiediamo ai nostri pensionati di rinunciare a comprare il latte tutti i giorni per mettere insieme 20 miliardi, ma ne troviamo 150 da dare agli altri come forma di assicurazione contro il nostro fallimento? Sarebbe come comprare una macchina a 20mila euro e poi pagare l’assicurazione 150mila. Chiunque capirebbe che è meglio non fare nessuna assicurazione, tanto anche se ti rubassero la macchina fino a 7 volte di fila, potresti ricomprartela nuova ogni volta e restare ancora con tanti soldi in tasca. L’Inghilterra mica è scema: dopo essersi chiamata fuori dai nuovi trattati, si è chiamata ancor più fuori dalla rapina del FMI. Tralasciando Estonia, Irlanda, Portogallo e Grecia che non daranno un centesimo (loro non pagano per essere salvati) l’Italia rappresenta il terzo contribuente assoluto. Chissà cosa ne avrebbe pensato Dominique Strauss-Kahn, se non lo avessero incastrato.

Pretendiamo che qualcuno venga a spiegarci questi conti, fornendo dati chiari e inequivocabili circa il saldo netto tra i vantaggi economici derivanti dalla permanenza nella moneta unica e gli svantaggi evidenti che capirebbe anche mio figlio di sei anni.

Ultima cosa: ovviamente il conferimento di 23,48 miliardi al FMI è stato deciso da una riunione telefonica dei ministri dell’economia dell’Eurogruppo, così come i 125 miliardi del MES verranno stanziati dai 17 suoi governatori, cioè i 17 ministri dell’economia dei paesi aderenti al trattato. Ovvero, per l’Italia, sempre e solo lui: Mario Monti. Che telefona ai suoi amici, quelli del club, e conferisce. Coi soldi nostri.

Crisi: ex presidente Lehman Bros Spagna nuovo ministro economia spagnolo | STAMPA LIBERA

Fonte: Crisi: ex presidente Lehman Bros Spagna nuovo ministro economia spagnolo | STAMPA LIBERA.

I banchieri prendono il potere anche in Spagna

21 Dicembre 2011 – 20:37

(ASCA-AFP) – Madrid, 21 dic – L’Ex presidente della filiale spagnola e portoghese di Lehman Brothers, Luis de Guindos, e’ il nuovo ministro dell’Economia di Madrid. Lo ha annunciato il capo del governo spagnolo, Mariano Rajoy.

Guindos, 51 anni, ex segretario di Stato per gli affari economici, occupa all’interno del nuovo governo di destra, una posizione chiave, avendo il compito di far uscire il paese dalla crisi finanziaria e dalla disoccupazione che ha raggiunto livelli record.

Fonte: italian.irib.ir * Link 

Putin: gli Usa vogliono rendere proprio schiavo il mondo intero

Il premier russo Vladimir Putin ha affermato che gli Stati Uniti hanno l’intenzione di dominare gli altri paesi, aggiungendo che il mondo è ormai stanco di ricevere ordini da Washington.
Alcune volte mi sembra che l’America non abbia bisogna di alleati, ma che abbia bisogno di vassalli”, ha detto giovedì Putin in un programma televisivo.
Secondo l’IRIB Putin ha ricordato che “la gente è stanca di ricevere ordini da un unico paese”. Putin ha affermato che un tempo la Russia volle essere alleata degli Usa, ma che oggi nessuna forma di alleanza può esistere tra i due paesi.
Putin ha citato la guerra in Iraq, quando gli Usa costrinsero ad intervenire i propri alleati, un esempio della prepotenza degli americani. “Quella fu alleanza? Fu una decisione presa in gruppo? Alleanza significa discussione, decidere insieme, concordare un’agenza sulle minacce comuni e sulle misure da intraprendere”.

Il governo USA ha tutt’ora il potere di emettere denaro libero da debito

Durante la Presidenza Kennedy, fu emesso denaro privo di debito

La maggior parte degli americani non ha la minima idea del fatto che il governo americano (in passato) ha direttamente messo in circolazione del denaro libero da debito. Una volta, l’America prosperava con un sistema monetario libero dal debito, e lo possiamo fare di nuovo. La verità è che gli Stati Uniti sono una nazione sovrana e non deve chiedere denaro in prestito a nessuno. […]

[…] Tornando indietro ai giorni del presidente Kennedy (JFK) le banconote della Federal Reserve non erano le uniche in circolazione. Sotto JFK (e numerose altre volte) furono emessi, dal tesoro americano, dei quantitativi limitati di banconote degli Stati Unti, prive di debito ed appunto spese dal governo USA senza che venisse creato del nuovo debito. Di fatto, ogni banconota recava in alto a destra la scritta Banconota degli Stati Uniti; sfortunatamente queste banconote oggi non sono emesse. Se ti fermi un momento e tiri fuori dal portafoglio una banconota in dollari, che cosa reca in alto a destra? Dice: Banconota della Federal Reserve. Di norma oggi, il sistema funziona in modo tale che ogni volta che vengono emesse banconote della Federal Reserve, viene parallelamente creato nuovo debito.

Questo sistema monetario basato sul debito distrugge sistematicamente il benessere di una nazione, ma non è obbligatorio che le cose stiano in questo modo. La verità è che il governo USA ha ancora il potere, in base alla Costituzione americana, di emettere denaro libero da debito, e noi dobbiamo far conoscere la cosa al popolo americano. […]

Fonte: www.effedieffe.com

ComeDonChisciotte – ARGENTINA: UN BANCO DI PROVA PER IL COLLASSO DELL’INGEGNERIA FINANZIARIA

Fonte: ComeDonChisciotte – ARGENTINA: UN BANCO DI PROVA PER IL COLLASSO DELL’INGEGNERIA FINANZIARIA.

DI ADRIAN SALBUCHI
Global Research

Esattamente dieci anni fa l’Argentina subì un vero e proprio collasso finanziario e politico. Dopo un decennio in cui abbiamo seguito quello che gli “esperti” del FMI, i banchieri internazionali e le agenzie di rating ci hanno detto di fare, questo è il risultato finale.

 

L’allora presidente Fernando De la Rua ha applicato fino all’ultimo minuto tutte le ricette del FMI, facendoci ingoiare i loro rimedi “velenosi”.

 

Agli inizi del 2001 la situazione divenne davvero brutta quando De la Rua non poté più pagare gli interessi del “debito sovrano” argentino, anche dopo aver guidato il paese in modalità “deficit zero”, tagliando spesa pubblica, posti di lavoro, sanità, educazione e servizi pubblici essenziali.

Nel marzo 2011 richiamò come ministro delle Finanze Domingo Cavallo, ruolo che Cavallo aveva già svolto per sei anni durante gli anni ‘90 sotto la presidenza di Carlos Menem, imponendo le scandalose politiche di deregolamentazione e privatizzazione del FMI che indebolirono lo stato e lo portarono dritto al collasso del 2001.

 

Beh, non fu proprio De la Rua a richiamare Cavallo, quanto piuttosto David Rockefeller (JPMorgan Chase) e William Rhodes (CitiCorp), che vennero personalmente a Buenos Aires per dire/ordinare al presidente De la Rua di nominare Cavallo, altrimenti…

 

Così a giugno 2001, Cavallo – membro della Commissione Trilaterale e protetto di Soros-Rockefeller-Rhodes – provò a dissipare il default rifinanziando il debito sovrano, che aumentò il debito pubblico di 51 miliardi di dollari, ma non evitò il collasso totale di dicembre.

 

Cosa successe poi? De la Rua e Cavallo difesero i banchieri e evitarono la corsa agli sportelli congelando tutti i depositi bancari. Lo chiamarono il “Corrallito“, quando i titolari dei conti correnti potevano ritirare 250 pesos alla settimana (all’epoca l’ equivalente di 250 dollari; dopo la svalutazione del 2002 solo 75).

 

L’economia argentina quasi collassò; le persone scesero per strada sbattendo pentole e padelle, urlando, chiamando tutti i banchieri “ladri, criminali, truffatori, imbroglioni”, ma i grandi cancelli di bronzo delle megabanche rimasero chiusi. Nessuno ebbe i suoi soldi indietro.

 

Metà dei depositi bancari erano in dollari. Anche in questo caso nessuno ebbe i dollari indietro, solo pesos a un tasso di cambio fraudolento dopo la svalutazione imposta e dopo che fu abbandonata la cosiddetta “convertibilità” della valuta che Cavallo impose dieci anni prima, ancorando il peso al dollaro ad una irreale parità di 1 a 1.

 

Fu chiaramente un enorme furto di beni e risparmi di quaranta milioni di argentini, orchestrato dai banchieri e appoggiato dal governo. Metà della nostra popolazione scese rapidamente sotto la soglia di povertà, il PIL si contrasse di quasi il 40% nel 2002, in milioni persero il posto di lavoro, i risparmi, le case per via dei pignoramenti, i mezzi di sussistenza e neppure una banca è collassata!

 

Dopo gli scontri a Buenos Aires e nelle altre città maggiori, e la repressione brutale della polizia che lasciò trenta morti sulle strade, De la Rua prese il suo elicottero sul tetto del palazzo presidenziale, la Casa Rosada, e abbandonò la nave. Nell’ultima settimana del dicembre 2001 si sono succeduti quattro presidenti, fino a che le banche, i media, gli Stati Uniti e il suo Dipartimento del Tesoro accettarono Eduardo Duhalde come presidente provvisorio. Alla fine nominò ministro delle Finanze Roberto Lavagna, membro fondatore del CARI, la versione argentina del Council of Foreign Relations.

 

L’Argentina è stata usata come banco di prova dall’elite per apprendere come controllare un totale collasso finanziario, monetario, bancario ed economico, e le sue conseguenze sociali adeguatamente progettate per garantire che, con il tempo: (a) i banchieri ne escano illesi, (b) l'”ordine democratico” venga ripristinato e il nuovo governo imponga un nuova rifinanziamento del debito sovrano, equilibri le cifre, e calmi la popolazione (altrimenti…), e (c) ristampi un grande sorriso sulle facce dei banchieri… Tutto come sempre!

 

Gli insegnamenti dell’Argentina del 2001/2003 vengono usati oggi con la Grecia, Irlanda, Spagna, Italia, Islanda, Regno Unito e Stati Uniti.

 

Quindi, manifestanti di “Occupy Wall Street“, a me le orecchie! Non avete possibilità! I signori del denaro hanno già fatto il loro giochi finanziari in Argentina.

 

A un certo punto le cose andavano così male che un giornalista del New York Times, Larry Rohter, (successivamente accusato dal governo brasiliano di avere legami con la CIA) ebbe il coraggio di suggerire la divisione territoriale dell’ Argentina per “risolvere” la nostra crisi del debito. Il titolo del suo perverso articolo, pubblicato il 27 agosto 2002, diceva tutto: “Alcuni in Argentina vedono la secessione come risposta al pericolo dell’economia”, mirando specificatamente alla nostra regione ricca di risorse naturali, la Patagonia…

 

Allora le potenti élite globali finalmente trovarono il loro uomo quando Nestor Kirchner divenne presidente nel maggio 2003. Kirchner mantenne in carica il ministro delle Finanze, Lavagna, rifinanziò il debito sovrano con scadenza in 42 anni(!); pagò al FMI l’intero importo di dieci miliardi di dollari (in contanti, in dollari e senza riduzioni; cioè in assoluto lo status di creditore più favorito) senza ricevere nulla in cambio; ha indebolito ulteriormente l’esercito argentino, rincretinito l’educazione, i media e la cultura e ha terminato imponendo sua moglie Christina come successore.

 

Chiaramente, un sacco di lezioni sono state apprese dall'”esperienza Argentina”, che tornano così utili quando si tratta di questi chiassosi e poveri europei di oggi.

 

Così, dieci anni dopo… nessuno vuole ballare un tango?

 

**********************************************Fonte: Argentina: A Testing Ground for Engineering Financial Collapse: What Lessons for Europe…

 

19.12.2011

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di REIO

Antonio Di Pietro: Tutte le inutili armi che l’Italia si ostina a comprare

Fonte: Antonio Di Pietro: Tutte le inutili armi che l’Italia si ostina a comprare.

Meglio tardi che mai. Alla fine anche la grande stampa e qualcun altro si sono accorti di che scandalo insopportabile siano i miliardi di euro che buttiamo in spese militari. Soprattutto se si pensa che per il Servizio civile nazionale i fondi sono precipitati dai circa 170 milioni del 2010 ai 68 del 2012. Così tanti ragazzi e tante ragazze, che potevano essere impegnati in lavori sociali utili al Paese, rimarranno a casa.

Noi dell’Italia del Valori denunciamo quest’assurda situazione da mesi, ma ancora qualche settimana fa, quando il ministro della Difesa ammiraglio De Paola ha detto che a tagliare le spese militari non ci pensava proprio, nessuno tranne noi aveva fiatato.

Adesso è lo stesso ministro ad ammettere che anche per le Forze armate ci vorrebbe un po’ d’austerità. Purtroppo, però, alle sue belle parole è probabile che seguano pochi fatti.

Il ministro, infatti, vorrebbe risolvere il problema licenziando. Con 40-50mila militari in meno ci sarebbe un bel risparmio. Glielo va a spiegare lui, poi, a quelle decine di migliaia di persone e alle loro famiglie come sopravvivono una volta che saranno rimasti senza stipendio. Comunque lui stesso ha poi aggiunto che quei licenziamenti sono impossibili. Per fortuna, diciamo noi.

Quello che, invece, il ministro non vuole fare assolutamente è tagliare le spese per le armi. Abbiamo ordinato 131 caccia bombardieri F-35. Sono gli aerei da guerra più cari del mondo. Ci dovrebbero costare 15 miliardi di euro ma è sicuro che la spesa aumenterà di moltissimo.

Costano così tanto che persino Israele, che della guerra deve preoccuparsi sul serio, ha sospeso l’ordinazione. A noi non servono a niente, ma ce li compriamo lo stesso.

Ci compriamo anche una portaerei di stralusso, costo un miliardo e mezzo, più duecentomila euro per ogni giorno di navigazione e centomila per ogni giorno in porto. Poi ci sono dieci nuove fregate. Costo 10 miliardi di euro.

Ma tutte quelle inutili armi non si possono toccare, ha detto il ministro, e si capisce perché: è stato lui a ordinarle, prima di diventare il primo militare ministro della Difesa dai tempi di Pietro Badoglio.

Il presidente del consiglio Mario Monti ha oggi il dovere di imporre anche al ministro della Difesa e alle Forze armate uno stile un po’ più sobrio: ingenti tagli al settore delle armi, come fa con i lavoratori, i pensionati e la povera gente.

Passaparola – Milano capitale della ‘ndrangheta di Gianni Barbacetto- Blog di Beppe Grillo

Passaparola – Milano capitale della ‘ndrangheta di Gianni Barbacetto- Blog di Beppe Grillo.

Laggiù al Nord c’è omertà, collusione con le organizzazioni criminali. Molti politici e industriali vanno a braccetto con la ‘ndrangheta. E’ peggio che al Sud dove si sono formati da tempo gli anticorpi al contropotere mafioso. Un siciliano o un calabrese che arrivi a Milano non troverebbe più la nebbia (“che non si vede“) come Totò e Peppino, ma pizzo e lupara bianca..” Beppe Grillo

Il Passaparola di Gianni Barbacetto, giornalista e scrittore

Una politica più pulita (espandi | comprimi)
Cari amici del blog di Beppe Grillo un saluto a tutti, sono Gianni Barbacetto, giornalista de Il Fatto Quotidiano, il 2012 sarà un anno importante per le scelte che potranno essere fatte o non essere fatte nel contrasto alla criminalità organizzata che si è ormai insediata in maniera significativa a Milano e nelle regioni del nord. Sarà un anno cruciale per capire dove andremo a finire, ormai non possiamo più parlare soltanto di infiltrazione, come si faceva un tempo, della mafia al nord. C’è un sistema organizzato politico-imprenditoriale-criminale che si è insediato anche nelle regioni del nord e che ha fatto di Milano una delle capitali della ’ndrangheta. Bene, quest’anno dovremo decidere cosa fare: o lasciare che le cose vadano come sono andate negli ultimi anni e regalare alle organizzazioni mafiose sempre maggiori fette di potere politico e di potere imprenditoriale al nord, oppure se riusciremo a fare l’inversione di tendenza necessaria per bloccare questa occupazione criminale del nord. Ormai la ’ndrangheta ha, qui a Milano e in Lombardia, i suoi uomini politici, i suoi assessori, consiglieri, comunali, provinciali, regionali. Ormai qui alcuni settori del business, per esempio parti dell’edilizia, il movimento terra, il mondo della notte, i locali notturni, le discoteche, i ristoranti, i bar, sono colonizzati, occupati in maniera molto pesante dalle organizzazioni mafiose. Bene, ci sono dei segnali positivi, di rottura dell’accettazione di questa situazione. Fino a ieri i politici, i sindaci, quelli che fanno la politica e che comandano e dirigono le scelte politiche qui al nord, soprattutto a Milano, negavano il problema: “La mafia a Milano non c’è”. Oggi c’è un’amministrazione nuova che ha dato il via a una Commissione antimafia fatta da 5 esperti che potranno fare un lavoro importante, ormai il problema non si nega più, è un primo passo, bisogna fare quest’anno tutti gli altri passi, cioè prendere atto che c’è quest’occupazione mafiosa e che si può contrastarla cercando di pulire la politica, bisogna che i partiti buttino fuori dalle loro file coloro che sono compromessi con i gruppi criminali, prima che arrivino i giudici, senza l’evidenza di fatti che siano anche reato. Ci sono comportamenti che possono non essere reato, ma se li fa un politico, parlare al telefono o incontrare un boss della ’ndrangheta, (l’hanno fatto decine di politici qui a Milano in Lombardia) è un comportamento politicamente inaccettabile. Questi signori se ne devono andare! Perché o sanno con chi hanno parlato, chi hanno incontrato, e allora sono complici della ’ndrangheta, oppure non se ne sono accorti e allora se ne devono andare lo stesso perché sono dei cattivi politici.
Bisogna che ci sia un moto d’orgoglio del mondo imprenditoriale, basta accettare, stare zitti, pensare che è più comodo fare affari con le organizzazioni criminali chiudendo un occhio o magari due, facendo finta di non sapere che gli interlocutori con cui fai affari sono uomini delle cosche, basta fare finta di nulla, e dire invece: “Finiamola di dare spazio, di prestare volti puliti e nomi puliti alle organizzazioni criminali”. Bisogna che le associazioni imprenditoriali, che hanno già cominciato a capire che il fenomeno è grave, prendano come esempio quello che ha fatto Confindustria in Sicilia, dove vengono sbattuti fuori dalle fila di Confindustria gli imprenditori che non denunciano le estorsioni, che accettano di pagare il pizzo. Sono vessati, sì, ma nel momento in cui accettano la vessazione e non denunciano, diventano complici, qui al nord siamo più indietro che in Sicilia.

Il senso civico dimenticato (espandi | comprimi)
Il 2012 sarà l’anno cruciale per andare in questa direzione, vediamo se ci riusciremo. Questi anni di crisi sono gli anni più pericolosi, creano situazioni più gravi e più a rischio nei confronti dell’esposizione alla criminalità organizzata. Oggi per un imprenditore è più difficile avere l’accesso al credito,farsi dare soldi dalle banche, ci sono meno denari per investire. Bene, le organizzazioni criminali i soldi li hanno, per loro è più facile andare da un imprenditore pulito e dire: “Mettici la tua faccia, i soldi li mettiamo noi”, e con questo si salda un gioco mortale tra mafia e imprenditoria pulita, che alla fine è mortale non soltanto per la legalità, ma è mortale anche per l’imprenditore. Faccio un esempio, c’è stata negli anni scorsi una grossa impresa, la Perego, un’impresa di costruzioni che ha accettato di scendere a patti con gli uomini della ’ndrangheta, non è andata bene, alla fine questa azienda è fallita. Gli imprenditori puliti devono stare attenti a non cedere alle sirene delle organizzazioni criminali, a non scegliere la via apparentemente più facile per avere denaro per investimenti, per avere appalti, per avere contatti con la politica, perché questa via, che sembra la più facile, è anche la più disastrosa. Negli ultimi mesi ci sono state numerose operazioni della magistratura che hanno portato in carcere molti boss e segnalato storie, anche pesanti, di intrecci tra la criminalità mafiosa, politici, imprenditori. La magistratura ha fatto la sua parte, sta facendo ancora la sua parte, sta lavorando per estirpare il potere delle organizzazioni criminali al nord. La magistratura, le forze di Polizia non bastano. Se lasciamo soltanto questo livello non riusciremo a sconfiggere la ’ndrangheta che si è insediata a Milano e nel nord, è necessario che ciascuno di noi faccia la sua parte, deve dare il suo contributo perché la legalità sia la maniera normale di vivere in questo paese. Al nord stiamo dimenticandoci l’Abc della convivenza civile, diventando omertosi, gli imprenditori non denunciano, ci voltiamo dall’altra parte. Quindi l’augurio che faccio è che tutti noi dobbiamo informarci di più, parlare, raccontare. Solo in questa maniera il 2012 potrà essere un anno di svolta per la legalità e non un anno di consolidamento dei poteri criminali e ricordatevi: Passate parola!

ComeDonChisciotte – QUESTO PERPETUO SISTEMA DEL DEBITO

Fonte: ComeDonChisciotte – QUESTO PERPETUO SISTEMA DEL DEBITO.

DI GZ
cobraf.com

E’ impossibile ripagare dei debiti che sono più di 3 volte il reddito nazionale, perchè se includi debito dello stato, delle famiglie e delle imprese siamo al 320% del PIL (e in Inghilterra oltre il 500%)

Questo perchè i creditori sono in larga parte gente che non lavora e produce e vive di rendita (come Antitrader che incassa cedole e scrive su forum, per cui non contribuisce alla società) e i debitori sono in larga parte gente invece che investe, lavora e produce per cui l’economia si ferma quando è schiacciata da debiti.
Le imprese, i piccoli imprenditori e i lavoratori dipendenti giovani si indebitano, gli anziani che hanno soldi da parte e i benestanti che vivono di rendita e la grande finanza mettono soldi in bonds ..

Ma nei testi di economia invece fingono che crediti e debiti siano ugualmente distribuiti e si cancellino, per cui non considerano mai l’accumularsi del debito totale. Non scherzo o esagero, ad esempio come professore, prima di diventare governatore della FED, Ben Bernanke scriveva che per ogni debitore c’è un creditore per cui il debito totale non conta, si annulla e non ha avuto alcun peso nella Grande Depressione (Probabilmente è per questo che è stato scelto come governatore, aveva dimostrato fedeltà agli interessi della finanza di New York)

Il programma di governo dei vari Amato, Dini, Prodi e Monti che sono i più ligi alla finanza di New York la quale ci dirige a distanza, come scrive oggi Martin Armstrong (che se ne intende perchè lo hanno tenuto in carcere nove anni…) si può sintetizzare come: ” “Schiaccia di tasse chi lavora o investe a favore di chi vive di rendita”, cioè va fatto ogni sacrificio per garantire che chi abbia dei bonds venga ripagato al 100%. Chi lavora e rischia ci dovrà rimettere, chi ha solo comprato bonds per incassare cedole non deve rimetterci (“… l’implosione dell’economia non può essere fermata perchè la gente a cui mi sono opposto a New York sono gli stessi che stanno distruggendo tutto. Controllano il governo e fanno tutto il possibile per far allargare sempre la bolla del debito. Tutto potrebbe essere risolto in un mese, ma non permetteranno che succeda e assassineranno chiunque cerchi di fermare questo perpetuo sistema del debito che si estende all’infinito senza nessuna intenzione di pagare alla fine…”)

Ai tassi di interesse attuali tra un poco solo il debito pubblico italiano costerà 120 miliardi di euro l’anno DI INTERESSI, cioè paghi le tasse solo per pagare degli interessi su interessi. Questo riflette però non tanto un eccesso di spesa dello stato, quando un indebitamento ad interesse. Il debito, quando costa ad esempio il 5%, raddoppia in quindici anni a causa degli interessi composti, per cui il debito pubblico italiano è probabilmente ora per più di metà dovuto solo ad interessi cumulati.

Il fatto stesso che uno stato sovrano si indebiti è assurdo se ci pensi, perchè è lui che crea la moneta e poi se la fa prestare.

La cartina di tornasole ce l’hai ora che le banche centrali (cioè lo stato) creano moneta e la prestano alle banche, per farsi poi comprare da loro il proprio debito. Questo giro contorto assurdo è solo per mantenere la finzione che lo stato si deve indebitare e pagare interessi. Basterebbe invece che lo stato usasse direttamente questa moneta per tappare il buco di bilancio ed eviterebbe l’accumulo degli interessi, che ora dopo 30 anni lo schiaccia con il suo peso

Le finanziarie di Monti e Tremonti sono per pagare degli interessi su interessi cumulati, mica delle spese vive dello stato. Dicono sempre che “.. se ora lo stato non tira su questi soldi spengono i lampioni e tolgono il riscaldamento negli ospizi..”, non “se ora lo stato non tira su questi soldi i creditori incassano meno interessi…”

O cancelli almeno parte del debito, ad esempio facendo creare allo stato moneta e ripagando così il debito pubblico, oppure rimandi solo il momento del crac finale in cui salta l’euro e allora il debito si svaluta automaticamente del -40%…

GZ
Fonte: http://www.cobraf.com
Link: http://www.cobraf.com/forum/coolpost.php?topic_id=5070&reply_id=328549
2.01.2012

MONTI, MERKEL, ORWELL | Marco Della Luna

MONTI, MERKEL, ORWELL | Marco Della Luna.

INTERVISTA DI MARTA MORICONE PER “LA DESTRA ITALIANA” – BOZZA 04.01.12 DA AGGIORNARE IN CORSO DI EDIZIONE

1. Partiamo subito dal suo libro. E’ felice autore di “Oligarchie per popoli superflui” della casa editrice Koinè. In che senso superflui? Almeno detengono qualche minimo potere? R. – Che potere vuole che detengano i popoli, dato che gran parte delle decisioni importanti sono prese a porte chiuse, che gran parte della ricerca scientifica, tecnologica e militare si fa in segreto, che la metà della popolazione non è in grado di capire un articolo di giornale di media difficoltà, che sì e no il 7% della gente legge libri, e forse l’1% si documenta in qualche modo sui fatti economici e geostrategici rilevanti? E che dire dell’Italia, che ha un livello culturale particolarmente basso e una scuola particolarmente degradata? Il potere reale è in mano ai grandi cartelli della moneta, del credito, delle materie prime, dell’informazione, della tecnologia. E’ sociologicamente acquisito, oltreché empiricamente evidente, che non esistono e non sono mai esistiti, nelle società strutturate, sistemi di potere governati dal basso, ossia sostanzialmente (e non solo formalmente) democratici. Negli USA, ad esempio, il potere è in mano a quella che la sociologia definisce power élite, formata dai vertici della finanza, della politica e delle forze armate. In essa si entra soltanto per cooptazione. Gli atti e i programmi di questo potere vengono decisi dietro porte chiuse, non pubblicamente, e sovente nemmeno in forma scritta. Tra il luglio 2003 w il luglio 2007 la Fed ha creato liquidità per 16.000 miliardi di dollari senza nemmeno dirlo (Audit GAO 2011). La BCE non rilascia il dato sui prestiti che concede. Nelle elezioni popolari, solo piccole frazioni di potere reale vengono messe in gioco. Le decisioni di politica economica, i grandi indirizzi, le grandi manovre che interessano la vita della gente, sono stabilite segretamente e portate avanti da organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, come i direttorii delle banche centrali, i vari G2, G7, G8, G20. O i Gatt e Gats, il FMI, il WTO… Ciò premesso, nel corso dell’ultimo centennio è avvenuto un cambiamento fondamentale nel sistema di potere: oggi, il potere non è più suddiviso tra molte oligarchie nazionali e territoriali, ma concentrato in poche organizzazioni globali, monopolistiche di risorse primarie, come la moneta, il credito, le commodities. Non è più legato a territori specifici o popoli specifici, ma è extraterritoriale, smaterializzato, informatizzato, finanziarizzato. Non ha più bisogno di grandi masse di combattenti, agricoltori, operai, coloni, elettori. In questo senso, i popoli sono divenuti superflui, sostituibili, expendable. Anzi, sono un problema ecologico, in termini di inquinamento ed esaurimento delle risorse, ma anche di instabilità, dovuta ai conflitti per il possesso dell’acqua e di altre risorse sempre più scarse.

2. Crisi di liquidità: Lei dichiara che gli interventi montiani significano fare un salasso a una persona che sta morendo di anemia. Afferma che questa sia prodotta in modo mirato e strategico manovrando le leve del rating etc. Per fare cosa? Quale è il fine?

R. Effettivamente il sistema-paese sta collassando, economicamente, non per mancanza di fattori di produzione, ma perché gli è stata deliberatamente tolta liquidità attraverso la restrizione dei criteri del credito, la politica riduttiva dei redditi, gli alti tassi di interesse, la pressione degli interessi passivi e delle tasse, che in buona parte pure vanno a pagare il servizio del debito pubblico, e ovviamente i tagli della spesa pubblica. Carenza di liquidità che produce anche carenza di investimenti, quindi di infrastrutturazione e aggiornamenti necessari a mantenere la competitività. Ciò premesso, da più parti si fa notare che la recente manovra del governo va nel senso di aggravare tale situazione di “anemia”, perché drena la poca liquidità residua nel sistema aumentando le tasse, colpendo le pensioni, i consumi, mettendo in fuga i capitali verso l’estero; inoltre colpisce duramente il settore dell’edilizia, che è quello che innesca le fasi di recupero nel ciclo economico, e ha depresso il morale della popolazione e la sua propensione agli acquisti: già a natale abbiamo avuto un crollo. Rispetta invece tutte le rendite parassitarie, i privilegi e gli sprechi di politica e amministrazione, mentre programma grandi acquisti di cacciabombardieri, a vantaggio degli industriali stranieri che li costruiscono. Il recente rifinanziamento delle pericolanti banche italiane, peraltro dovuto più a Draghi che a Monti, non sta apportando credito nell’economia reale, anche perché il governo, nel concedere loro la sua garanzia, non le ha vincolate ad immettere moneta nel sistema. Le misure per il rilancio della fase due appaiono semplicemente derisorie. Insomma, il governo sembra far di tutto per impedire una ripresa economica, limitandosi ad aggiustare i conti sulla carta nel brevissimo termine, ma a spese della possibilità di recupero dell’economia reale, le cui prospettive a 3 anni e oltre sono perciò valutate negativamente dai mercati finanziari (aste 28-29.12.11), sui quali lo spread del btp rimane altissimo. La storia economica recente ha, del resto, ripetutamente mostrato che le politiche di tagli e tasse, giustificate con l’affermazione di voler risanare i conti, hanno prodotto, nel giro di qualche anno, effetti contrari, con aumento del debito pubblico, recessione, avvitamento fiscale. Così pure sta avvenendo in Grecia, e il FMI ha sostanzialmente ammesso l’errore della ricetta imposta a quel paese. In base a tali osservazioni sorge il legittimo quesito: perché mai Monti fa tutto ciò, dato che non può non sapere che gli effetti di ciò che fa saranno controproducenti, tale da produrre una crisi recessiva, occupazionale, sociale? In che strategia si colloca la sua azione? Persegue forse un fine più ampio, sacrificando ad esso l’economia nazionale, perlomeno nel breve e medio termine? E nell’interesse di chi? Forse dei poteri forti finanziari, di cui Monti nega di essere emissario? In realtà Monti non ha introdotto una variazione di rotta, ma solo un’accelerazione, con in più una tutela specifica per gli interessi delle banche. La sua politica non è una cosa nuova, ma sta semplicemente continuando ciò che i precedenti governi hanno fatto in Italia, e non solo in Italia. Le accuse mosse a Monti e al suo governo di essere emanazioni dei poteri forti che si sono impadroniti, con essi, dello stato, non considerano che Monti, in sostanza, fa quello che han fatto gli altri. Sul piano oggettivo, infatti, la storia italiana, da un trentennio circa, è caratterizzata da un grande ed evidente processo, che avanza su due gambe. La prima è la sistematica cessione (con la giustificazione della riduzione del debito pubblico e della maggiore efficienza della gestione privata) degli assets strategici (grandi mercati, grande industria, industria capace di ricerca e alta formazione, banche strategiche, servizi pubblici con connesse posizioni di monopolio) a potentati finanziari privati, quasi interamente stranieri. La seconda è il trasferimento di poteri politici, delle funzioni sovrane, compresa la sovranità monetaria, comprese le funzioni di bilancio, compresa la politica fiscale), compresi – per finire – i cordoni della borsa, a organismi decisionali tecnocratici, che fanno capo alla BCE e al sistema bancario, quindi sempre ai predetti potentati finanziari privati. La prima gamba viene presentata come processo di liberalizzazione, ma si è risolta sinora in privatizzazioni di posizioni monopolistiche o simili; la seconda come processo di integrazione europea, ovviamente, quegli organismi di europeo hanno solo il nome, essendo essenzialmente “apolidi” e non solidali coi popoli. Giuseppe De Rita, nel suo recentissimo saggio L’eclissi della borghesia, spiega che le privatizzazioni delle industrie di stato sono state controproducenti anche al fine di ridurre il debito pubblico, perché hanno fruttato 147 miliardi che sono stati usati per pagare interessi passivi, e sono costate perdite di posti di lavoro, di centri di ricerca e di formazione sia tecnica che manageriale unici in Italia, quindi un decadimento delle competenze, oltre a un incremento della dipendenza strutturale dal capitale straniero. Una nuova stagione di tali privatizzazioni servirebbe solo a completare la riduzione dell’Italia in una condizione di totale asservimento e subordinazione anche culturale e manageriale. Il risultato tendenziale dell’avanzata di queste due gambe, è il superamento dello stato nazionale, la riorganizzazione del sistema di potere reale a livello soprannazionale, tendenzialmente globale, con lo svuotamento dello stato nazionale, sia come organismo politico, sia come sistema-paese, di ogni sua autonomia (monetaria, finanziaria, economica, politica, giuridica), e la sua sottoposizione, quale provincia privata di autonomia e dipendente per tutto, a gestori sovrannazionali. Questi organismi-gestori hanno carattere tecnocratico, autoreferenziale, non trasparente, non “accountable”, non partecipato dal basso, esente da controlli e condizionamenti da parte di organismi rappresentativi della popolazione, non sottoponibili nemmeno al controllo giudiziario. Gli statuti della BCE, della BIS, del MES sono chiarissimi esempi di ciò. Si unificano gli stati, riducendoli a province senza autonomia, e sottoponendoli a un governo centralizzato. Questo processo, che realizza operativamente il primato della finanza speculativa sull’economia reale, e si accompagna all’eliminazione della classe intermedia nonché a una graduale ma profonda attenuazione dei diritti partecipativi, politici e civici, compresi quelli afferenti alla privacy e alla condizione di lavoratori, di contribuenti, di utenti dei pubblici servizi. Il progetto in esame, avviato negli anni ’80, col programma di privatizzazione della sovranità monetaria e di finanziarizzazione dei debiti pubblici, è in fase avanzata di realizzazione. Maastricht, la BCE, Lisbona ne sono state ulteriori tappe importanti. Per far accettare ai vari popoli, sindacati, partiti politici, i vari passaggi, sempre più dolorosi e compressivi, di questa via crucis – la perdita di indipendenza, di diritti, di sicurezze, di reddito, di dignità – sembra che si stia ricorrendo a una serie incalzante e incessante di crisi, shock, allarmi, creati ad hoc, che rendono i popoli stessi più arrendevoli e malleabili, come spiegato da Monti stesso nella famosa intervista alla Luiss, visionabile su youtube http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=1b190309063811a , dove afferma che abbiamo bisogno delle crisi per far progredire il processo di integrazione – ovviamente, un progetto generato e deciso dall’alto, non dal basso, democraticamente. Anzi, neanche reso noto al popolo su cui esso si compie. Ecco allora che anche la crisi, l’emergenza, verso cui le politiche lacrime e sangue, tagli e tassi, portano non solo l’Italia ma anche altri paesi, possono avere questa funzione: vincere le resistenze. Questa può essere una spiegazione del perché mai si fanno manovre che avranno, con virtuale certezza, un effetto recessivo sull’economia, e che quindi produrranno crisi, allarme, emergenza. Si tratta di applicazione del metodo shock-and-awe, che trovate analizzato nel saggio mio e di Paolo Cioni sulla manipolazione mentale, Neuroschiavi. La gente non ci pensa, i mass media non lo mettono in evidenza, ma proprio adesso si sta procedendo alla sottrazione ai singoli paesi dei poteri di bilancio, di politica economica, di imposizione tributaria e al loro conferimento ad organismi autocratici, non eletti, non responsabili – quindi con caratteri contrari alla civilizzazione europea, e tipici piuttosto delle autocrazie asiatiche. Organismi che fanno gli interessi dei soggetti più forti, a spese degli altri. Tra questi organismi spicca il MES, o Meccanismo Europeo di Stabilità (controllare per credere il sito: http://consilium.europa.eu/media/1216793/esm%20treaty%20en.pdf), in corso di approvazione dai vari parlamenti, nel totale silenzio dei media – silenzio quanto mai opportuno, perché il MES costa moltissimo: l’Italia dovrà sborsare circa 130 miliardi, che verranno prelevati con prossime manovre, e poi sarà il MES a fare le manovre fiscali, dal prossimo Marzo. Vi è un altro aspetto, concernente quella che ho definito “la prima gamba”: il decreto “Salvitalia”, come ha giustamente detto Piergiorgio Odifreddi il 28.12, intervistato da RaiNews 24 a Cortina Incontra, porterà l’Italia in condizioni di dover vendere o svendere, per far cassa e ottenere aiuti ottemperando a “condizionalità”, il patrimonio pubblico e i servizi pubblici al capitale privato di quella grande finanza – nel che qualcuno potrebbe ravvisare conflitti di interessi del governo dei banchieri, del tipo di quelle che si rimproveravano a Berlusconi in relazione alle sue aziende.

3. Ma la classe politica italiana, che può fare, in questo contesto?

R. I partiti politici possono esigere che il governo “tecnico” , in cambio del loro voto che gli dà la necessaria copertura “democratica”, non tocchi le loro clientele, le loro poltrone e prebende (compreso il finanziamento pubblico), che non faccia la spending review e non introduca le best practices, ma che riempia la loro mangiatoia di soldi spremuti con le nuove tasse. La Chiesa può esigere che, in cambio dei voti che controlla, e del controllo delle coscienze che le rimane, il governo non tocchi i suoi privilegi fiscali, l’otto per mille, i sussidii. Le mafie possono esigere che il governo non metta in vendita i 25 miliardi di beni confiscati loro dallo Stato, e che non disturbi troppo i loro traffici con droga, immigrazione e appalti. Berlusconi può esigere che il governo, in cambio del suo sostegno, mantenga i privilegi di Mediaset. I parlamentari nominati possono dirgli: “Noi ti diamo il voto, se tu non tocchi i nostri stipendi di 16.000 Euro al mese anche se la gente protesta.”I banchieri possono semplicemente dire: “Bravo, continua così!”. Insomma, si può realizzare un’alleanza degli interessi delle caste nazionali e di quelli del grande capitale internazionale.

4. Monti-Napolitano. Lei ci ha visto un asse…

R. Si potrebbe dire, per battuta, che Napolitano collabora a quel piano di dissoluzione dello stato nazionale italiano proprio mentre assai enfaticamente ne celebra il centocinquantenario della nascita. Ma non dobbiamo vedere le scelte politiche di questo o quel governo o capo di stato come frutto di iniziative di Napolitano od Obama o Berlusconi o Sarkozy o Draghi o, in generale, di persone specifiche. Non vi sono iniziative e responsabilità personali, o di una maggioranza di governo, perché non vi è libertà di scelta politica di fondo, nell’area del Dollaro e del FMI. Né, ancor prima, di modello macroeconomico di riferimento. Oramai la politica economica, quindi la politica tout court, è unificata, dettata dal cartello mondiale monopolista della moneta, e guidata dal medesimo modello mondializzato, quello della grande finanza, del Bilderberg, della Trilateral, della Goldman Sachs. Nella costituzione reale dell’Italia, che non è ovviamente quella formale e dichiarata, ma che regola innanzitutto il ruolo e gli obblighi dell’Italia come paese vinto e tributario, sottomesso al vincitore, quindi a sovranità limitata, con oltre 130 basi americane – in questa costituzione reale, il capo della stato può avere la funzione di assicurare (usando i suoi fortissimi poteri di pressione, legittimazione, delegittimazione) che il governo e il parlamento italiani ottemperino alle richieste della potenza dominante, persino partecipando alle sue guerre, problematicamente rispetto all’art. 11 della Costituzione. La potenza dominante, vincitrice dell’ultima guerra mondiale, è il cartello finanziario angloamericano, quello che ha imposto Bretton Woods, il Gatt, il Gats e molte altre cose, in primis il modello interpretativo generale dell’economia, quello della Scuola di Chicago. Però il superstato europeo è così radicalmente non-europeo, proprio perché autocratico, simile alle autocrazie orientali di cui l’Europa ha sempre avuto un profondo orrore e disprezzo, che non è nemmeno detto che riesca a imporsi o che resista. La sua minaccia, ormai percepita, può risvegliare proprio quello spirito di lotta per la libertà, tipicamente europeo, che ripetutamente ha vinto contro forze immensamente superiori: lo spirito che ritroviamo nelle Guerre Persiane narrate da Erodoto, nell’impresa di Leonida cantata da Simonide, nella morte di Socrate, Zenone, Seneca, o recentemente in quella di Ian Palak; nella lenta resurrezione del pensiero critico, filosofico, scientifico dai secoli di repressione dogmatica da parte di un’istituzione religiosa pure profondamente asiatica per origini e ordinamento. E ancora nella lotta degli empiristi e dei Lumi contro l’assolutismo, nella rivoluzione francese, nella resistenza liberale ai tre totalitarismi del secolo scorso. Il risveglio di questo spirito coraggioso e libertario sarà vieppiù probabile, se il superstato europeo sarà percepito come un Quarto Reich germanico.

5. Quali le differenze tra Berlusconi e Monti e tra il governo Berlusconi e il governo Monti?

R. Poche, oggettivamente. Monti, Tremonti, Berlusconi, Merkel, Sarkozy e molti altri – praticamente tutto il mondo che sta nel sistema del Dollaro, come ho già detto – hanno il medesimo modello macroeconomico di riferimento, neomonetarista, neoliberista, finanziarizzante. Quindi anche ricette simili. Che non hanno affatto prodotto i vantaggi promessi, ossia l’ottimale distribuzione delle risorse e dei redditi assieme alla prevenzione o al rapido riequilibrio delle crisi, bensì hanno prodotto fortissimi vantaggi per una ristretta élite, impoverimento e insicurezza per gli altri. In quanto alle manovre, come già detto, si sono rivelate recessive, distruttive per le capacità industriali, peggiorative per i conti pubblici, per il rating, per la borsa, e foriere di avvitamento fiscale. Ciò che è cambiato nel passaggio da Berlusconi a Monti e al suo governo di banchieri, è che adesso il cartello bancario sta mettendo la faccia nel governo del paese, ossia assume direttamente, attraverso i suoi uomini, il governo del paese. Così anche in Grecia, col passaggio da Papandreou a Papademos. E che sta accelerando il collasso del paese.

6. Si può pensare di uscire dall’euro? O è meglio resistere?

R. Da quest’anno siamo tenuti, secondo le norme “europee”, a ridurre lo stock di debito pubblico di 45 miliardi ogni anno – cosa non fattibile, che comporterebbe una recessione mortale. Pensate invece a un’Italia che poteva essere, e a cui si è rinunciato. A un’Italia pre-1983, pre-divorzio tra lo stato e Bankitalia. Libera da Maastricht, con un debito pubblico non finanziarizzato, quindi non ricattabile. Il debito pubblico italiano esplose dopo quel divorzio e proprio per effetto della finanziarizzazione, che ci rende ricattabili sia dai baroni-predoni della finanza internazionale che da modesti politici borniert e bornés, elettoralmente perdenti. Potevamo continuare col mix del successo italiano (compresi deficit vantaggiosamente finanziato da Bankitalia e ampia evasione fiscale che manteneva il frutto del lavoro nel circuito produttivo anziché in quello sterile dello stato), aggiornandolo con più ricerca e innovazione tecnologica. Vi immaginate quante imprese avremmo attirato, di quelle che dall’Europa occidentale sono emigrate a Est e a Sud? E quante imprese italiane sarebbero ancora vive e in Italia? Oggi potremmo entrare nell’eurosistema dettando le condizioni, anziché subirle e finire in una posizione di subordinazione e sfruttamento. Era il vecchio sistema, che consentiva allo stato di farsi propulsore e protagonista dell’economia, quindi permetteva all’Italia di crescere e di vivere bene, pur avendo un meridione e un apparato statale molto inefficienti e costosi. Dopo la finanziarizzazione del debito pubblico, la globalizzazione, le privatizzazioni, i vincoli di bilancio, la cessione della moneta e della sovranità, non è più possibile perseguire lo sviluppo. I settori produttivi non riescono più a sostenere il resto del paese. Si può solo prelevare con le tasse la ricchezza accumulata e usarla per far quadrare i conti ancora per un anno o due, fino ad esaurimento, senza prospettive. Si diceva che i vincoli di bilancio e la moneta unica avrebbero costretto l’Italia ad adeguarsi all’efficienza e alla correttezza europee, ponendo fine agli sprechi e alla corruzione. Così non è stato e non poteva essere, perché il clientelismo, il parassitismo, è una mentalità, un’abitudine sociale inveterata, che non si cambia se non in diverse generazioni oppure attraverso sconvolgimenti radicali. I governi italiani hanno approfittato dei primi anni dell’Euro, in cui si pagavano bassissimi interessi sul debito pubblico e non vi era l’attacco speculativo, non per ridurre lo stock di debito pubblico e fare investimenti, ma per alimentare la spesa clientelare e a spreco, perché è da essa che i partiti traggono consenso, potere e profitti. Dopo questo fallimento, come si può credere che un paese efficiente come la Germania, capace di integrare la DDR, capace di crescere nella crisi mondiale, rispettoso delle regole, accetti di integrarsi con un paese come l’Italia, da quasi vent’anni in declino, retto da una partitocrazia incompetente e corrotta, permanentemente incapace di correggere le proprie storture, di cui un’ampia parte sopravvive grazie a sussidii e non è nemmeno in grado di smaltire i rifiuti solidi urbani? Fare sacrifici per integrarsi con la Germania è assurdo: quell’integrazione non avverrà mai. La Germania punta a neutralizzare l’Italia come concorrente sui mercati internazionali, e a liberarsi dal debito pubblico italiano. Leggete Sommella a pag. 3 di MF del 3 Gennaio:lo spiega benissimo. Monti è l’uomo che la Merkel ha voluto a questo scopo, dopo che le banche tedesche avevano provocato l’impennata dello spread vendendo massicciamente i btp.

Uscire dai trattati istitutivi dell’eurosistema è giuridicamente possibile, e secondo me è meglio uscire sia da esso che dall’UE, che continuare su questa strada, per diverse ragioni, e non solo per il fatto che il prezzo che dobbiamo pagare, per restarci, e sempre più alto, sia in termini economici, sia di perdita di libertà rispetto al sistema bancario e alle sue emanazioni politiche come le c.d. istituzioni europee e i governi commissariali. Sempre più alto, e non si vede limite al suo innalzamento, che sembra prodotto artatamente, per prenderci tutto, emergenza dopo emergenza, senza nulla dare, se non boccate d’aria per proseguire su quel cammino di assoggettamento. Ulteriori ragioni per uscire dall’eurosistema sono che la BCE non è una banca centrale, perché non è autorizzata ad assicurare l’acquisto dei titoli del debito pubblico dei paesi aderenti in modo idoneo a sottrarli all’aggiotaggio dei grandi predoni finanziari. Se avessimo una vera banca centrale, questa potrebbe farlo, come fa la Fed, la banca centrale nipponica, quella britannica. E come la Banca d’Italia prima del 1981! Se la massa monetaria dell’euro deve essere coperta da titoli americani, dollar-backed, allora la BCE è come uno switch-board sottoposto alla Fed, non una banca centrale di emissione al servizio dell’Europa, bensì un qualcosa di imposto imperialisticamente per impedire che gli europei abbiano una banca centrale effettiva propria, in modo che l’euro dipenda dal dollaro e non gli contenda il ruolo di moneta internazionale. Inoltre, l’euro non è una moneta, ma un insieme di cambi fissi, analogo al già fallito SME, tra monete nazionali che sostanzialmente ancora esistono in relazione ai rispettivi e separati debiti sovrani. Aree che hanno livelli di produttività-competitività molto diversi, hanno quindi bisogno di monete diverse, di cambi diversi, per poter esportare, attrarre investimenti e turismo, crescere e infrastrutturarsi, mentre confini nazionali e monetari dovrebbero circoscrivere aree di produttività simile. Altrimenti si ha che le aree più forti approfittano del loro dominio sul comune sistema monetario per usarlo a proprio vantaggio e a danno dei paesi più deboli, come la classe dirigente della Germania fece con lo SME e come sta facendo ora con l’euro, in modo imperialistico e violento, e in minor misura lo fa la Francia. Per esempio: le banche tedesche e francesi prendono denaro al 2% grazie al loro rating, e lo usano per comperare btp italiani che rendono il 6-7%. In questo modo, vampirizzano l’Italia, in quanto da un lato si procurano liquidità per finanziare le loro economie, dall’altro sottraggono liquidità dall’economia italiana, cioè sottraggono i mezzi sia per gli investimenti che per i pagamenti, e spingono in su i tassi dei prestiti bancari. Quale capo della BCE, Mario Draghi si è messo a finanziare, con la BCE, le banche italiane affinché comperino il debito pubblico italiano, togliendo il boccone a quelle francesi e tedesche – che quindi ora rischiano il downgrading, e le economie francese e tedesca avranno meno facilità a finanziarsi. Ma la BCE presta alle banche all’1% il denaro che queste usano per comperare btp al 7%! Perché allora la BCE non compera il btp al 2%? Per fare gli interessi delle banche private, che lucrano il 5% dalle tasche dei contribuenti? O perché la Fed non permette che, nella sua area, vi sia una banca centrale concorrente? Come che sia, da quanto sopra dovremmo imparare che i nostri vicini europei e i nostri liberatori USA non sono amici, ma perlopiù avversari controinteressati e sfruttatori, e che non c’è nulla di più stupido che trasferire i poteri politici, soprattutto in materia finanziaria, ad organismi dominati da loro, perché li usano per sfruttarci, approfittando del fatto di essere assai più forti.

7.In relazione alla decisione di Draghi che ha menzionato ora, ritiene che la situazione potrebbe cambiare, che la BCE potrebbe iniziare ad agire nell’interesse dell’Europa, dell’Italia?

R. Qualche importante segno in tal senso si vede, ma accompagnato da elementi che ne limitano o escludono il significato positivo. Come dicevo, Mario Draghi ha deciso che la BCE finanzi pressoché illimitatamente le banche europee all’1% annuo di interesse; quelle italiane hanno già approfittato per oltre 112 miliardi. Questo prestito, congiunto alla garanzia fornita loro dallo Stato italiano pure all’1% annuo, consentirà loro di acquistare btp in massa, e in tal modo la BCE indirettamente sostiene il deficit pubblico, aggirando il divieto statutario. Il detto prestito, inoltre, faciliterà la ricapitalizzazione delle banche imposta dell’Eba, soprattutto se quest’ultima rimuoverà alcuni inutili limiti da essa posti. Il prestito in parola, però, non farà ritornare le banche italiane ad erogare credito, almeno per un certo tempo – e su questo punto il Monti già manca alle sue promesse di aiuto alla ripresa, mentre il governatore Visco, nell’intervista al Sole del 24.12, appare disconnesso dalla realtà o preda di un raptus consolatorio – perché le banche dovranno usarlo innanzitutto per salvare se stesse, ossia per coprire le proprie sofferenze non dichiarate, i crediti che dichiarano in bilancio dopo averli ceduti, la liquidità che pure dichiarano in bilancio e che però liquidità non è ma solo sconto di portafoglio senza valore. Oggi la gran parte delle banche italiane fallirebbe se non presentasse bilanci sostanzialmente falsi. E infatti ai funzionari prescrive, anche per il 2012, di concentrarsi sulla raccolta e di scordarsi di aprire nuove linee di credito. Finora, infatti, non comperano titoli né erogano prestiti, ma tengono i soldi presi a prestito dalla BCE in conti-deposito presso la BCE stessa, che paga loro lo 0,25% di interesse. Preferiscono perdere, pur di restare liquide, perché temono di non riuscire a far fronte alle scadenze delle loro obbligazioni nel 2012 – alla faccia di coloro che dichiarano che il sistema bancario italiano sarebbe solido. E se le banche concedono crediti, applicano uno spread usurario sul 2% che il denaro ora costa loro grazie all’intervento pubblico, cioè prestano dall’8% in su. Infatti, il governo dei banchieri le rifinanzia senza imporre loro di erogare crediti e di moderare gli interessi, appunto perché è un governo dei banchieri, che fa gli interessi dei banchieri. Faccio presente che il metodo Draghi-Monti di salvataggio del sistema bancario italiano e (forse) del debito sovrano italiano ricalca in essenza quello già con successo applicato dall’Irlanda, con la differenza che alle banche irlandesi non è stato imposto il termine di tre anni per rimborsare il prestito, e che, anche grazie a ciò, Dublino ha evitato il massiccio take over di capitali stranieri (americani) sugli asset strategici nazionali – take over che invece è già in corso da parte delle banche e corporations finanziarie americane ai danni dell’Italia e di altri paesi continentali, per 3.000 miliardi di dollari dichiarati (New York Times del 26.12.11). E quando le banche americane rastrellano asset pregiati e svenduti, i paranoici pensano sempre al fatto che sia Monti che Draghi sono stati e forse ancora sono, essenzialmente, cittadini di quel mondo, molto prima che italiani ed europei. Per le suddette ragioni, il piano Monti non porterà affatto al risanamento delle finanze pubbliche, ma alla svendita forzata degli asset pubblici a capitali stranieri. Qui sta la differenza tra Irlanda e Italia: i governanti irlandesi governano sotto il controllo di un’opinione pubblica attenta e, all’occorrenza, aggressiva, a tutela dell’interesse nazionale. Da quando Ludovico il Moro chiamò i francesi in Italia, gli stranieri sono venuti sovente nel Belpaese, ma non a dare e aiutare, bensì a prendere e sottomettere, con mezzi prima militari, poi sempre più finanziari. E hanno sempre appoggiato i politici italiani che facevano i loro interessi.

8. Destra contro sinistra è una vecchia storia. La nuova politica potremmo pensarla così: mondialisti contro nazionalisti, ultraliberisti contro sociali. E’ d’accordo?

R. Le etichette “destra” e “sinistra” fanno ancora presa sulla mente popolare, quindi si usano nella propaganda. Le etichette si usano perché funzionano, non perché veridiche. Molti oggettivi conflitti tra classi, culture, interessi persistono come in passato, ma è divenuto primario il conflitto di interessi tra, da un lato, l’oligarchia globale, che dispone di strumenti, reti, monopoli globali, e soprattutto dispone del monopolio della moneta e del credito, quindi del potere politico e militare; e, dall’altro lato, la società che produce la ricchezza reale (lavoratori autonomi, dipendenti, imprenditori), le popolazioni nazionali, regionali, locali, che dipendono sempre più da questi strumenti, reti, monopoli, e che quindi sono sempre più dominate, sfruttate, schiacciate, violentate – anche attraverso l’imposizione di emigrare in massa o di accettare immigrazioni di massa tali da alterare la composizione e gli equilibri dei corpi sociali. Il conflitto di classe, oggettivamente, non è tra imprenditore e prestatore d’opera, i quali entrambi sono esposti alla concorrenza e producono ricchezza reale; ma tra essi e il monopolista della moneta e del credito, e lo speculatore finanziario, i quali si prendono ricchezza dalla società senza produrne e darne in cambio, anzi arrecandole molti danni e togliendole libertà e sicurezza. In Italia, i partiti della sinistra c.d. moderata si sono alleati con gli interessi della grande finanza e apportano all’agenda politica di questa il consenso del loro elettorato, in danno di questo stesso. Vi è però anche una sinistra vera, quella di un Paolo Ferrero e di un Marco Ferrando, che cerca di diffondere la consapevolezza del vero conflitto di classe.

9.Ricapitalizzare le banche e pagare il debito pubblico…. Cosa ne pensa?

R. La decapitalizzazione delle banche, l’indebitamento pubblico e il liquidity crunch sono conseguenze automatiche e matematiche del fatto che si contabilizza l’emissione di moneta e di credito con criteri non corrispondenti al tipo di moneta e di credito che si usano oggi, ossia alla fiat currency e alla moneta contabile. Le banche di credito non sono intermediarie del credito, non prestano la raccolta, ma creano la liquidità: il 92% del money supply è credito bancario, emesso prestando sul prestato, mediante il moltiplicatore bancario – e questo fatto è ignorato dai criteri contabili. Come spiego nel saggio Euroschiavi, la creazione dei mezzi monetari (moneta legale e moneta creditizia), oggi, diversamente dal passato, avviene senza costi per gli emittenti, perché senza copertura aurea e senza convertibilità aurea, ma ciononostante, difformemente da questa realtà, la si continua a trattare contabilmente come se il produrla comportasse un costo pari al suo valore nominale. Inoltre le banche centrali continuano a mettere al passivo patrimoniale il circolante, sebbene questo non sia più, in alcun senso economico e giuridico, una passività per esse, perché non è convertibile. Si creano così passività, sia nel conto economico che nello stato patrimoniale, che non hanno ragion d’essere, e che crescono in modo esponenziale, cagionando sempre più frequentemente crisi di sovraindebitamento, decapitalizzazione e rarefazione monetaria. Se contabilizzassimo secondo la realtà economica, le banche – di credito e centrali – “scoprirebbero” di avere molti più utili, lo stato incasserebbe molte più tasse e tutto andrebbe in equilibrio. Ma equilibrio comporterebbe meno crisi, quindi meno opportunità di speculare su di esse, e di usarle per costringere la gente ad accettare le riforme a cui le si vuole guidare.

10. Proviamo ad immaginare di uscire dall’euro, rompere la dittatura della Bce, della speculazione finanziaria, del capitalismo multinazionale e abitare nella nostra casa da liberi. E’ possibile?

R. I poteri forti non lo permetterebbero, perché toglierebbe un essenziale strumento di dominazione e sfruttamento, quindi renderebbe il genere umano meno governabile. Economicamente però funzionerebbe, come ho ampiamente spiegato in Euroschiavi e La Moneta Copernicana. Immaginiamo un modello: ciascuno stato si dota di una moneta propria, che esso, a seconda delle esigenze stabilite da una authority monetaria, emette direttamente, senza contrarre debito pubblico, riducendo drasticamente così il bisogno di tasse, e assicurando che vi sia sempre liquidità sufficiente alla piena attivazione dei fattori produttivi, e che nessuno possa speculare sull’erogazione e sul ritiro di credito e moneta. I singoli stati o le singole regioni producono internamente quanto è razionalmente producibile internamente (merce a chilometri zero, taglio dei costi e dell’inquinamento per trasporto, controllabilità diretta della qualità della produzione da parte dei consumatori). Commerciano tra di loro le eccedenze, usando per i pagamenti internazionali non la moneta interna della potenza egemone, ma un centro di compensazione multilaterale e un’unità di conto come il Bancor, secondo lo schema proposto da Keynes a Bretton Woods.

11. Ci descriva un possibile scenario nazionale, politico ed economico, tra 10 anni, se si continuerà lungo questa strada…

R. Previsioni a dieci anni non sono possibili perché il divenire storico è legato a fattori impredicibili, come le innovazioni tecnologiche, che hanno ripercussioni molto vaste e profonde, come potrebbe averne il raggiungimento dei limiti fisici dello sviluppo (esaurimento delle risorse, squilibri ecologici). Ipotizzando che i fattori non cambino, mi aspetto che l’Italia, tra un decennio, sia una provincia impoverita di uno stato mondiale orwelliano, con qualche autonomia politica di facciata, ma strettamente diretta da organismi sovrannazionali autocratici. Priva o quasi di una classe dirigente e tecnico-scientifica qualificata, è gestita prevalentemente da managers stranieri per capitali stranieri. La gente è incalzata dalle esigenze pratiche quotidiane. partecipa pochissimo alla vita politica. Lavora per le necessità primarie (compresi i servizi pubblici) e per pagare gli interessi sul debito pubblico e privato accumulato dalle precedenti generazioni, e lo trova normale, perché ha introiettato questo compito come scontato, e perché la controinformazione è repressa come crimine di sedizione. Il cittadino-consumatore-lavoratore-contribuente-utente non ha quasi più possibilità di negoziare con le sue controparti: deve accettare salari, tariffe, tasse come gli sono fissati. Il metodo contributivo viene esteso alla sanità pubblica: ti curano fino all’esaurimento dei tuoi versamenti per la salute. Gli strumenti informatici consentono alla classe dirigente parassitaria di conoscere e aggredire capillarmente i redditi e i risparmi dei cittadini col prelievo fiscale.

04.01.12 Marco Della Luna