Archivi del giorno: 14 Maggio 2011

IL DOPPIO GIOCO DEL NUCLEARE: Come l’energia nucleare favorisce la proliferazione delle armi atomiche

Fonte: IL DOPPIO GIOCO DEL NUCLEARE: Come l’energia nucleare favorisce la proliferazione delle armi atomiche.

Dossier de “Sortir du nucléaire” traduzione per la RNA : Fabienne Melmi

La dissuasione nucleare, una bomba a scoppio ritardato

« Le armi nucleari non ci portano nient’altro che l’equilibrio del terrore, ed il terrore, anche in equilibrio, è sempre terrore. »

George Wald, premio Nobel per la Medicina 1967

Una guerra atomica, anche regionale, secondo gli studi americani e sovietici convergenti, potrebbe provocare un “inverno nucleare” e modificare il clima al punto da provocare una carestia planetaria. Ora, nel 2009, gli arsenali mondiali totalizzano quasi 25 000 bombe atomiche di cui sole 2 000 potrebbero essere lanciate in pochi minuti.

Dopo la guerra fredda, il rischio di conflitto atomico sembrava attenuato. Oggi, numerosi scienziati e politici stimano che “il mondo è a cavallo di una seconda era nucleare.”

“Il numero di stati dotati di armi nucleari potrebbe più che raddoppiarsi nei prossimi anni”, allerta M. ElBaradei, direttore dell’agenzia internazionale dell’energia atomica. E qualifica la situazione al Mezzo – Oriente di “bomba a scoppio ritardato.”

Inoltre va considerato che i Talibani possano controllare la bomba pakistana, che la Corea del Nord svilupperà dei missili a testata nucleare o che i terroristi riescano a preparare un’arma atomica.

La dottrina della “dissuasione nucleare” si rivela dunque “contagiosa” .

Paragonare la « force de frappe » a “l’assicurazione sulla vita della Nazione”, come fa Nicolas Sarkozy, può incitare solamente nuovi Stati o entità meno controllabili a dotarsi del potere atomico.

Le vittime delle prove nucleari chiedono risarcimento

Più di 2 000 prove nucleari atmosferiche e sotterranee sono state effettuate nel mondo, rilasciando notevoli quantità di radioattività nell’ambiente.

Per quanto riguarda la Francia, 150 000 civili e militari hanno partecipato ai 210 tiri nel Sahara e nella Polinesia, dal 1960 al 1996.

Anche le popolazioni locali sono state esposte. La Francia non le ha né protette né informate sui rischi, giustificando questi tiri come “puliti.”

Molti oggi soffrono di cancro, leucemie, malattie cardiovascolari e neurologiche, sterilità, aborti, e sono nati bambini con malformazioni.

In seguito alla forte mobilitazione delle vittime, la Francia ha preparato una legge di indennizzo, presentata in Parlamento nel 2009.

Tuttavia, le disposizioni presentate escluderanno la maggiorparte delle vittime. È controllato interamente dal ministero della Difesa che considera che “questa legge riguarda solamente un centinaio di persone.”

Finché ci saranno delle centrali, ci saranno delle bombe…

Ne è dei discorsi belli come del poker: ciò che si vede è spesso solo ciò che si vuol mostrare. Nell’aprile 2009, Barack Obama annunciava “l’impegno dell’America a cercare la pace e la sicurezza in un mondo senza armi nucleari.” Raggirati, i media hanno rincarato su questa sola dichiarazione. Obama aggiungeva tuttavia: “Dobbiamo sfruttare l’energia nucleare nell’ambito dei nostri sforzi contro il riscaldamento climatico.” E assicurare che “tutti i paesi potranno accedere ad un’energia nucleare pacifica.”..

Un giocatore allenato dovrebbe ricordarsi delle partite precedenti… Un mese prima, Al Gore dichiarava: “Durante gli otto anni che ho trascorso alla Casa Bianca [in quanto vicepresidente], tutti i problemi di proliferazione delle armi nucleari ai quali siamo stati sottoposti, erano legati ad un programma nucleare civile.”

Anche il direttore dell’agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) non è stato molto generoso nel dissimulare questa dichiarazione imbarazzante. Perciò annunciava il colore davanti alle Nazioni unite nel 2008 :

“La rinascita del nucleare provocherebbe l’espansione crescente di materie nucleari. Questo, naturalmente, aumenta il rischio [che esse] siano dirottate per fare delle armi nucleari.”

L’agenzia internazionale dell’energia, AIE, poco sospetta di connivenza anti-nucleare, stima che il contributo dell’energia atomica alla riduzione delle emissioni di CO2 non potrebbe superare i 6%… contro il 54% per le economie di energia ed il 21% per le energie rinnovabili, con una posta in gioco inferiore!

Il nucleare contro l’effetto serra? Jack-pot per l’industria nucleare!

Ma il clima? Al tappeto. L’interesse generale? Al tappeto. Ed il disarmo? La proliferazione delle armi nucleari ne sarebbe moltiplicata.

Per vincere la partita contro le armi nucleari e contro il cambiamento climatico, bisogna demolirle con le nostre vere carte vincenti: il riparmio energetico e le energie rinnovabili. Ed uscire dal nucleare prima di perdere tutto…

Bombe e centrali

Non c’è frontiera tra nucleare civile e militare. Il carburante delle bombe è lo stesso di quello delle centrali: l’uranio o il plutonio. Procurarsi questi ingredienti esplosivi è la tappa decisiva per preparare una bomba atomica.

La trafila nucleare “civile” offre tutte le tecnologie per arrivarci.

« I paesi che dominano l’arricchimento dell’uranio e la separazione del plutonio diventano di facto degli Stati capaci di dotarsi dell’arma atomica. »

Mohamed El Baradei, direttore dell’AIEA

Uranio o plutonio: le indispensabili

Due elementi possono provocare un’esplosione nucleare :

l’uranio arricchito ed il plutonio.

La bomba A d’Hiroshima conteneva circa 50 kg di uranio arricchito. Quella di Nagasaki 6 kg di plutonio. Lanciare due bombe sul Giappone ha permesso agli americani di provare ciascuna di queste tecnologie…

Negli anni 1960, un’arma ancora più potente è stata messa a punto: La bomba H. Sfrutta la fusione dell’idrogeno, provocata da una “piccola” bomba A.. Questo tipo di arma necessita dunque anche dell’uranio o del plutonio.

I principi di base per preparare una bomba atomica artigianale sono disponibili su Internet. L’ostacolo più serio ad una tale realizzazione resta il procurarsi gli ingredienti esplosivi.

Arricchimento dell’uranio : Una duplice tecnologia

La stessa installazione permette di produrre sia il combustibile di una centrale, che quello di una bomba nucleare. Come?

L’uranio contiene parecchi tipi di atomi (isotopi).

Ma solo l’uranio 235 (U235) è fissile, ovvero capace di alimentare una reazione nucleare. Il problema è che è molto raro: l’uranio ne contiene solamente lo 0,7%.

Dunque bisogna arricchire l’uranio in U235 per facilitare l’evento di una reazione in catena .

Il principio: Si parte da una grande quantità di uranio di cui si ritira l’U235 per aggiungerlo ad un’altra dose di uranio più piccolo.

Una tecnica che è rimasta per molto tempo difficile da mettere in pratica.

Oggi, l’arricchimento per ultra-centrifugazione è relativamente semplice ed economico.

Le centrali nucleari si accontentano di uranio arricchito al 3%. Basta fare girare le centrifughe un po più a lungo per ottenere dell’uranio arricchito al 90%: come fabbricare una bomba atomica.

Ecco perché la comunità internazionale si preoccupa del fatto che l’Iran si doti di installazioni di arricchimento dell’uranio a grande scala.

Stesso carburante…. Non esiste il plutonio pacifico

Una debole quantità di plutonio basta per provocare un’esplosione atomica, da qui l’interesse dei militari. Il plutonio non esiste nella natura, ma tutti i reattori nucleari lo producono.

Per renderlo utilizzabile, bisogna separarlo dal combustibile irradiato con un trattamento chimico detto “ritrattamento.”

La composizione del plutonio varia secondo la sua origine. La mescolanza più esplosiva, “di qualità militare”, esce da reattori ottimizzati a questo scopo. Ne occorre circa 5 kg per fabbricare una bomba. Quando proviene da un centrale elettronucleare, è detto “di qualità reattore.”

Non è ottimale per l’uso militare ma resta relativamente efficace :

10 kg basterebbero per provocare un’esplosione.

Lo stato francese mente, affermando deliberatamente che « la tecnologia dei reattori che esporta non comporta rischi di deviazioni ad uso militare, perché (…) non sfocia sulla produzione di materie fissili utilizzabili nelle armi. »

Tuttavia fin dal 1977 gli Stati Uniti hanno riconosciuto di aver effettuato una prova nucleare utilizzando “del plutonio di qualità reattore come esplosivo” ed allertavano su “i rischi di proliferazione legati alla rilavorazione del combustibile consumato dei reattori commerciali.”

Uranio impoverito : delle munizioni radioattive

Un scarto radioattivo utilizzato come banale materia prima nelle armi…

Le munizioni all’uranio impoverito non provocano esplosione nucleare, ma disperdono delle particelle radioattive nell’ambiente naturale.

L’uranio impoverito è uno scarto molto abbondante dell’industria nucleare. Più pesante del piombo e dotato di capacità perforanti ed incendiarie, questo metallo costituisce un nocciolo “ideale” per le granate anti-carri.

Queste armi si volatilizzano esplodendo. E le polveri di uranio impoverito o non di uranio sono radioattive e tossiche. Un vero veleno per l’organismo.

Ingerite, possono causare dei cancri dei reni, anche a debole dose. Inalate, rimangono nelle vie respiratorie e rischiano di provocare dei cancri del polmone.

Queste munizioni sono state utilizzate largamente dall’esercito americano nel Kuwait, in Iraq, in Bosnia ed in Kosovo.

Delle malattie come la sindrome della guerra del Golfo sono apparse in queste zone di conflitto, colpendo militari e civili. Ma l’esposizione all’uranio impoverito non è riconosciuta ufficialmente come esserne la causa e queste munizioni non sono ancora vietate.

MOX : Non si puo’ neutralizzare il plutonio

Il MOX, miscela di uranio e di plutonio, è presentato talvolta come un mezzo per lottare contro la proliferazione. Difatti non è direttamente esplosivo, per il suo forte tenore in uranio impoverito.

Tuttavia, un studio americano dimostra che il plutonio può essere separato dal MOX nuovo in modo “semplice e veloce”. Sono disponibili dei laboratori di chimica nell’agroalimentare e potrebbero “essere messi in piedi in quattro mesi e produrre il plutonio necessario alla fabbricazione di una bomba in una settimana”.

Il combustibile MOX è utilizzato molto poco nelle centrali elettriche perché presenta un costo e dei rischi estremamente elevati.

La Francia ne è il principale utilizzatore e promotore nel mondo.

Secondo l’ipotesi di AREVA, il suo costruttore, il reattore francese EPR potrebbe contenere 110 tonnellate di MOX costituito al 11% di plutonio. Questo MOX, se fosse diviso prima dell’utilizzo , fornirebbe 12 tonnellate di plutonio puro. Ovvero 1 200 bombe di un carico esplosivo di 10 kg ciascuna.

Da quando gli Stati Uniti e la Russia hanno smantellato una parte dei loro arsenali atomici, cercano uno sbocco alla loro gigantesca scorta di plutonio militare. Uno dei progetti sarebbe di farne del MOX per prevenire la sua riutilizzazione in nuove bombe. Un’illusione, poiché non si può neutralizzare il plutonio in modo definitivo.

La non proliferazione al servizio dell’atomo

Il Trattato di non proliferazione (TNP) riposi su un mercato paradossale :

promettere l’energia nucleare ai paesi che rinunciano all’arma atomica. Questo patto serve innanzitutto gli interessi dei grandi poteri nucleari.

Come lo descrive Barack Obama, “il mercato è semplice: i paesi che possiedono l’arma nucleare si avvieranno verso un disarmo, quelli che non sono dotati non l’acquisteranno, e tutti i paesi potranno accedere ad un’energia nucleare pacifica.” Questo mercato è contraddittorio. Le tecnologie e materie nucleari civili o militari sono molto similari. Non si può diffondere una preservando il segreto degli altri.

Questo mercato è iniquo. Concede già il monopolio dell’arma atomica ai cinque grandi poteri mondiali detentrici del diritto di veto all’ONU.

Infine, è un mercato di stupidi. 41 anni dopo il lancio del trattato, i cinque Stati nucleari riconosciuti non sempre hanno eliminato le loro armi nucleari. Al contrario, sofisticano i loro arsenali. Inoltre, si accordano il diritto di scegliere a che Stati firmatari o no del TNP vendono le loro tecnologie nucleari.

Quattro nuovi Stati sono riusciti così a dotarsi dell’arma atomica. E altri sono oggi in fila….

Il TNP si rivela incapace di fermare la propagazione dell’arma atomica nel mondo. Un fallimento prevedibile, perché inserito nella natura stessa del trattato.

L’assurda dottrina del nucleare pacifico

1953: “Non basta ritirare le armi [atomiche] delle mani dei soldati”, bisogna adattarle “alle arti della pace”, proclamava il presidente americano Eisenhower per lanciare il programma “Degli atomi per la pace.”

1957: L’agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) è stata fondata con l’obiettivo “di aumentare il contributo dell’energia atomica alla pace, la salute e la prosperità nel mondo” ma assicurandosi che l’aiuto fornito non sarà una deviazione per “fini militari”.

1968: I firmatari del Trattato di Non Proliferazione (TNP) si impegnano a « non fabbricare né acquistare” armi nucleari e, se ne possiedono già, a pattuire “un trattato di disarmo generale e completo.” In compenso, il trattato definisce un “diritto inalienabile a sviluppare (…) l’energia nucleare a fini pacifici” ed impegna “a facilitare uno scambio tanto largo che possibile” di queste tecnologie.

2005: L’AIEA ottiene il premio Nobel per la pace, malgrado l’incompatibilità delle sue missioni.

Il padrone dell’AIEA teme un’onda di proliferazione

Il ” custode” del TNP è inquieto.

Mohamed ElBaradei, direttore dell’agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), annuncia che il sistema di non proliferazione rischia di cedere. “Presto, avremo non solo 9 Stati nucleari ma probabilmente anche 10 o 20 Stati “quasinucleari” , e stima che numerosi paesi “hanno la capacità di svilupare armi nucleari in un tempo molto breve se escono del TNP o se riescono a farlo clandestinamente.”

Unica uscita secondo ElBaradei: che le potenze nucleari stabilite restaurino la loro “autorità morale” disarmando ” rapidamente.”

Faccia ai rischi di deviazione indotti dalla promozione dell’energia nucleare, ElBaradei raccomanda il rafforzamento del sistema di controllo e la creazione di una “banca di combustibile.”

Il principio sarebbe di centralizzare la fabbricazione del combustibile nucleare nei paesi già nuclearizzati.

Questa misura incontra l’opposizione del Brasile, dell’Iran e di altri paesi membri del Movimento dei nonalineati.

“L’accesso al combustibile nucleare non può essere riservato a certi, creando un monopolio e dunque una disuguaglianza “, riassume il presidente iraniano.

Le materie nucleari fornite rischiano anche di essere deviate verso fini militari. Il combustibile MOX, a base di plutonio, presenta da questo punto di vista un rischio elevato. I pretendenti al fuoco nucleare sono sempre riusciti a passare a traverso i controlli. ElBaradei lui stesso lo riconosce: l’AIEA censisce” 200 casi di traffico illecito di materie nucleari all’ anno.”

Iran, emblema delle contraddizioni del TNP

Il caso dell’Iran è esemplare nelle contraddizioni inerenti al TNP.

Costretto dalla comunità internazionale a dare termine al suo programma di arricchimento di uranio, questo paese esalta le sue intenzioni pacifiche. Rimprovera ai grandi poteri “di impedire ad altri paesi di acquistare la tecnologia che permette di produrre un’energia nucleare pacifica” e di “bloccare da anni” i progressi in materia di disarmo.

Firmatario del TNP fin da 1968, l’Iran dello Scià annoda numerosi partnership nucleari. La Francia l’invita nel 1974 ad investire nella sua fabbrica di arricchimento di uranio, Eurodif. La Germania comincia nel 1976 la costruzione di una centrale nucleare nel sud dell’Iran.

Sorpresi dalla rivoluzione islamica, gli Occidentali interrompono ogni collaborazione, malgrado i fondi impegnati dall’Iran.

L’onda di attentati perpetrati in Francia negli anni 1980 è stata imputata in parte alla rappresaglia iraniana legata al contenzioso Eurodif.

Nel 1995, i Russi riprendono la costruzione della centrale iraniana.

Nello stesso periodo, l’Iran si procura semi-clandestinamente la tecnologia per l’arricchimento dell’uranio attraverso la rete pakistana. Installa delle centrifughe in gran numero e pretende di produrre il combustibile della sua futura centrale elettrica che, nel 2009, non è ancora entrata in funzione. L’AIEA gli rimprovera inoltre di ostacolare i suoi controlli giocando sulla regolamentazione.

Un fascio di presunzioni lascia supporre che l’Iran prepara un programma militare, ma nessuna prova permette di affermarlo categoricamente. Finché il TNP garantirà “il diritto inalienabile di sviluppare (…) l’energia nucleare a fini pacifiche”, l’Iran o altri Stati avranno bel gioco ad invocare questo argomento per condurre a bene le loro ambizioni atomiche.

Come hanno acquistato la bomba

Cinque potenze “ufficiali :

Nel 1945, gli Stati Uniti trovano il segreto dell’arma atomica. Sono raggiunti dall’unione sovietica (1949), il Regno – Unito (1952), la Francia (1960), e la Cina (1964). Mettono in piedi degli arsenali di portata fabbricandosi un’industria elettronucleare, grazie ai loro investimenti massicci nella ricerca scientifica e le tecnologie di punta.

” 4 stati “fuori TNP” :

Israele, India, Pakistan e Corea del Nord

” 3 programmi “clandestini” :

Africa meridionale, Iraq, Iran

44 stati nuclearizzati :

44 Stati possiedono delle centrali nucleari o dei reattori di ricerca, compresi i 9 paesi dotati di armi atomiche. Questi paesi che dominano la tecnologia “civile” hanno la capacità di sviluppare velocemente un’arma nucleare.

Il Trattato di interdizione completo delle prove nucleari (TICE) è stato adottato dall’ONU nel 1996. È stato concepito per entrare in vigore solo dopo la ratifica di questi 44 Stati. L’ammissione che sono ben pronti a mettere a punto dei carichi nucleari…

Il “club nucleare” attira dei pretendenti:

Le potenze installate sviluppano i loro arsenali, nuovi paesi accedono alle armi atomiche … Questa situazione può provocare un effetto di allineamento . Il « Nonproliferation Policy Educazione Center » classifica tra i candidati plausibili l’Iran, la Corea del Sud, Taiwan, il Giappone, l’Algeria, il Brasile, l’Argentina, l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Siria e la Turchia… Altrettanti stati che o hanno emesso il desiderio di appartenere al “club nucleare”, o ne possiedono le potenziali tecniche.

Africa meridionale: lo stato che ha eliminato il suo arsenale

Nel 1963, la Francia scambia del minerale di uranio sud-africano contro un trasferimento di tecnologie nucleari. Fornisce a Pretoria le installazioni e forma il personale necessario all’elaborazione della sua bomba.

Si aggiungeranno nel 1976 due reattori nucleari e l’uranio arricchito. Spalleggiata anche dalla Germania e dalla Svizzera, l’Africa meridionale si equipaggia così, in segreto, di sette armi atomiche negli anni1980. Il presidente Di Klerk, eletto nel 1989, decide di eliminare queste armi per segnare la fine dell’apartheid e ratifica il TNP nel 1991.

Iraq: il programma smascherato

L’Iraq aderisce al TNP fin dal 1969.

La Francia gli vende nel 1975 un reattore di ricerca, l’Osirak, poi nel 1978 un laboratorio di estrazione del plutonio. Nel 1981, sospettando Saddam Hussein di volere sviluppare la bomba, Israele bombarda il reattore prima della sua entrata in servizio. L’Iraq prosegue allora le sue ricerche in installazioni camuffate. Nel 1991, al termine della guerra del Golfo, si scopre che l’Iraq era sul punto di approdare. L’AIEA smantella allora queste installazioni. Dieci anni più tardi, gli americani conducono una guerra contro l’Iraq riparandosi specialmente dietro il sospetto da un nuovo programma nucleare che in realtà non esisteva .

Israele: il segreto assoluto

Fin dalla sua creazione, nel 1948, Israele vuole la bomba. Nel 1956, firma un accordo di cooperazione segreta con la Francia. Un reattore nucleare ed una fabbrica di estrazione del plutonio del modello francese sono costruiti nel deserto israeliano. Grazie al plutonio estratto, Israele elabora la sua prima bomba atomica verso1965. Nel 2009, Israele non ha ancora firmato il TNP e non ha riconosciuto ufficialmente l’esistenza del suo arsenale nucleare.

Corea del Nord: Finzioni in vero programma

A partire dagli anni 1950, l’URSS, la Cina, poi il Pakistan vendono alla Corea del Nord delle informazioni e del materiale nucleare “civile”. Il paese possiede così dei reattori ed un’installazione di separazione che permette di ottenere del plutonio. Firma il TNP nel 1985 ma alterna negoziati e rifiuti delle ispezioni dell’AIEA, impotente di fronte a questi capovolgimenti. Nel 2003, la Corea del Nord annuncia il suo ritiro del TNP. Procede alla sua prima prova nucleare nel 2006, alla seconda nel 2009.

Pakistan: una rete clandestina internazionale

Negli anni 1960, gli Stati Uniti ed il Canada forniscono al Pakistan dei reattori nucleari. Nel 1971, in conflitto con l’India, il Pakistan annuncia: Il “nostro popolo avrà la sua bomba islamica”. Ciò non impedisce alla Francia di vendergli una fabbrica di estrazione del plutonio nel 1973. Un contratto interrotto nel 1978 in seguito a delle pressioni americane. Dandosi alla trafila dell’uranio, il Pakistan costruisce segretamente una fabbrica di arricchimento. I piani sono stati rubati nei Paesi Bassi dal Dr Caravanserraglio, una spia. Il materiale necessario arriva da parecchi paesi occidentali. La Cina fornisce i piani di una bomba all’uranio arricchito e, fin dagli anni 1990, il Pakistan annuncia che sa costruire un’arma nucleare. Lo prova nel 1998 con due prove, in risposta a quelle dell’India. Inoltre, la rete clandestina del Dr Caravanserraglio cede le tecnologie dell’arricchimento alla Libia, alla Corea del Nord ed all’Iran.

India: la breccia nel TNP

Nel quadro del programma “Degli atomi per la pace”, l’India riceve nel 1955 un reattore nucleare canadese. Tra 1963 e 1971, gli Stati Uniti e la Francia forniscono anche dei reattori e del combustibile.

Nel 1968, l’India disdegna il TNP. Nel 1974, prova la sua prima bomba, nutrita al plutonio del reattore “civile” canadese. E qualifica questo tiro di “pacifico!” Segue un embargo che l’impedisce di importare delle tecnologie nucleari. Troppo tardi! Nel 1998, l’India procede a 5 nuove prove atomiche.

Nel 2008, un accordo di cooperazione con gli Stati Uniti e la Francia sollevano l’embargo. Questa iniziativa ingrandisce ancora la breccia nel regime del TNP. L’India accetta solamente in parte il controllo dell’AIEA ma potrà acquistare liberamente delle centrali nucleari agli Stati Uniti ed alla Francia!

L’energia nucleare in facciata

« Ho sempre badato che il nucleare civile ed il nucleare militare vadano di pari passo…

Sarebbe la morte del secondo se il primo sparisse. »

Generale Charles Ailleret, uno dei “padri” della bomba francese

Fin da 1945, il Generale de Gaulle crea il Commissariato all’energia atomica (CEA).

Questo organismo allo statuto di eccezione copre l’insieme della trafila nucleare, embricando industria e difesa nazionale. I tre reattori della trafila “grafite-gas”, costruito a Marcoule negli anni 1950, sono presentati come i prototipi per la produzione di elettricità.

In realtà, fabbricano prioritariamente del plutonio per la bomba. Il governo annuncia solo nel 1958 l’esistenza di un programma militare ed il primo tiro atomico francese ha luogo nel 1960.

Da allora, la Francia resta l’esempio perfetto della sinergia tra nucleare civile e militare, dominando tutte le tappe delle due trafile. Se non produce più materie ad uso militare, di cui possiede una scorta abbondante, ne custodisce il potenziale con le sue installazioni “civili”.

Una nuova fabbrica di arricchimento è costruita vicino a quella di Eurodif. E la fabbrica di rilavorazione di La Hague, nella Manica, è la più grande al mondo.

La Francia favorisce la proliferazione

La Francia pretende di lottare contro la proliferazione. Tuttavia, sviluppa il suo arsenale ed esporta le sue tecnologie nucleari a dispetto dei rischi di deviazione

La Francia ha minimizzato per molto tempo il rischio di proliferazione, fino a difendere “il potere égalisateur dell’atomo”. Sebbene il TNP gli riconosca un statuto privilegiato, l’ha firmato solamente nel 1992. Ciò gli ha permesso, durante i 24 anni, di proliferare senza rendere conto delle sue attività nucleari nazionali ed internazionali.

Secondo il presidente Sarkozy, la Francia “ha oggi un bilancio esemplare, ed unico al mondo, in materia di disarmo nucleare”.

Una concezione molto particolare del disarmo. Difatti, se la Francia ha limitato il numero delle armi nucleari, non smette di perfezionarle. Si prepara tra l’altro ad attrezzare i suoi sommergibili di un nuovo missile, il M51, di una portata di 9000 km .

E costruisce degli attrezzi di ricerca, come il laser Mégajoule, vicino a Bordeaux, per elaborare le armi nucleari del futuro.

In quanto al disarmo totale al quale l’impegna il TNP, non è all’ordine del giorno. Nicolas Sarkozy si pose tuttavia in difesa del diritto internazionale e dichiarava così nel giugno 2009: “Se l’Iran vuole il nucleare civile, ne hanno il diritto. Il nucleare militare: no. Se avessero delle volontà pacifiche dovrebbero accettare i controlli.”

Dagli anni 1960, la Francia ha favorito l’uscita dei programmi militari collaborando con Israele, Africa meridionale, Pakistan, Iraq e Iran. Una politica amplificata dall’elezione di Nicolas Sarkozy.

“La Francia è pronta ad aiutare ogni paese che vuole dotarsi dell’energia nucleare civile”, dichiarava così all’epoca della conferenza sui cambiamenti climatici di settembre 2007, negando ogni rischio di deviazione.

Dal 2007, la Francia ha firmato dei nuovi accordi di cooperazione nucleare “pacifica” in Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, Cina, India, Italia, Slovacchia, Tunisia, Pakistan e Brasile. E tenta di convincere l’Egitto, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita.

Agire per eliminare le armi nucleari

L’Onu ed il Parlamento europeo vorrebero una Convenzione per l’eliminazione totale delle armi nucleari.

L’associazione « I Sindaci per la Pace”, creata dall’eletto di Hiroshima, milita affinché questo testo sia firmato per la prossima conferenza di revisione del TNP, a New York, in maggio2010.

La rete Abolizione 2000 (2 000 organizzazioni in più di 90 paesi), sostiene questa iniziativa.

Chiama inoltre le principali potenze nucleari a sostenere la nuova Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (Irena) ed a pianificare l’abbandono dell’energia nucleare. I cittadini del mondo intero sono invitati a scrivere ai presidenti in questione sul sito della campagna “Nucleare, fate passare la fiamma dell’abolizione” :

www.abolitionflame.org

Tagliare l’approvvigionamento alla fonte

Il progetto di Trattato di interdizione della produzione di materie fissili per la fabbricazione di armi nucleari è sostenuto dalla maggior parte delle potenze nucleari. Questi Stati possiedono infatti già delle scorte e conservano la loro capacità di produzione con la trafila energetica.

Un tale trattato sarà efficace solamente se vieta totalmente l’arricchimento di uranio e la produzione di plutonio.

Potrebbe proibire anche lo sfruttamento delle arie di uranio, come lo richiedono degli ONG. Una decisione che taglierebbe l’approvvigionamento delle due trafile, civile e militare.

Le zone senza nucleare maggioritarie sul pianeta

La maggioranza dei paesi non possiede né centrali né bombe atomiche. 5 zone esenti da armamenti nucleari (Zean) sono state create in Antartico, in America Latina e nei Caraibi, in Asia del Sud-est, in Africa e nel Pacifico-sud. Un’altra deve essere ratificata in Asia centrale.

Ma ahimè, conformemente alla logica del TNP, l’ONU ha conferito agli Zean il diritto di accedere all’energia atomica.

Ora, un disarmo completo e duraturo esigerebbe delle zone totalmente esenti dal nucleare, sia a scopo militare che energetico.

Parecchi paesi hanno bandito le centrali nucleari.

In Austria, l’uso dell’energia nucleare è anticostituzionale. La Nuova Zelanda si è dichiarata “zona denuclearizzata.” In Europa, dei paesi come la Germania ed il Belgio hanno deciso di uscire dal nucleare.

Numerose collettività locali europee ed americane si sono dichiarate “zone denuclearizzate” per pesare sulla politica del proprio governo.

Irena, l’agenzia delle vere energie pacifiche

L’agenzia internazionale delle energie rinnovabili (Irena) è nata in gennaio2009. Cinque mesi più tardi, 136 paesi l’avevano raggiunta.

La Francia ha esitato a avvicinarsi all’Irena prima di ottenerne la presidenza. Una strategia di cavallo di Troia? La Francia tenta regolarmente di fare entrare il nucleare tra le energie rinnovabili.

Coincidenza: la sede dell’Irena è stata attribuita agli Emirati arabi Uniti che progettava di acquistare dei reattori nucleari alla Francia.

L’Irena deve promuovere le energie rinnovabili e le economie di energia attraverso il mondo. A termine, questa agenzia potrebbe detronizzare l’agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA, promuovendo delle energie realmente pacifiche,).

http://www.sortirdunucleaire.org/index.php?menu=sinformer&sousmenu=brochures&soussousmenu=nucleaire-militaire&page=index

Democrazia a 5 Stelle- Blog di Beppe Grillo

Fonte: Democrazia a 5 Stelle- Blog di Beppe Grillo.

L’unico voto utile è quello che dai a te stesso, alle tue convinzioni, a un programma. Libertà è partecipazione come diceva Gaber. Libertà non è inserire una scheda in un’urna e sperare che siano gli altri a occuparsi della tua vita. Se non te occupi tu dei problemi che ti riguardano, dalla scuola alla salute, perché dovrebbero occuparsene dei politici professionisti equivalenti a parassiti sociali molto ben pagati e senza responsabilità alcuna dei risultati (mai) raggiunti. La democrazia non è una competizione fatta di percentuali, ma la somma di responsabilità individuali, di pensieri, di persone, di obiettivi condivisi. La democrazia senza il senso di comunità non è nulla. E’ un artificio, un castello costruito sulle nuvole. Un voto al MoVimento 5 Stelle non è un voto tolto a qualcun altro, ma un’affermazione di esistenza dei cittadini.

Ferma il nucleare. Al referendum vota Sì. | Greenpeace Italia

Fonte: Ferma il nucleare. Al referendum vota Sì. | Greenpeace Italia.

Ferma il nucleare. Al referendum vota Sì.

Nucleare: Berlusconi vuole decidere per te. Con il referendum lo bloccheremo per sempre.

Lo stop del governo al nucleare è semplicemente un trucco per impedire ai cittadini di votare al referendum del 12 e 13 giugno e imporci le centrali nucleari domani. Berlusconi l’ha ammesso (guarda il video qui a destra).

Non è bastata Cernobyl e neanche Fukushima per capire che l’energia nucleare è troppo pericolosa e non ha futuro. È inaccettabile che a meno di due mesi dal referendum non sappiamo ancora se andremo a votare su un tema tanto importante. 

Al referendum si deve votare. Fai la tua parte: impegnati ad andare a votare e attiva i tuoi amici se vuoi che in Italia i progetti nucleari vengano bloccati per sempre.

Nuove fughe radioattive a Fukushima. Barre fuse nel reattore 1

Fonte: Nuove fughe radioattive a Fukushima. Barre fuse nel reattore 1.

Scatta l’ennesimo allarme. Ancora acqua altamente contaminata in mare

Cesio 620.000 volte al di sopra del limite di sicurezza stabilito dal governo

La Tokyo Electric Power Company (Tepco) ha annunciato oggi alle 7,00 ora del Giappone che «E’ stata trovata acqua altamente radioattiva che si infiltra nel mare vicino a uno dei reattori della centrale nucleare danneggiata di Fukushima o Daiichi». I “liquidatori” hanno scoperto l’11 maggio che l’acqua contaminata scorreva da un tubo presente in un pozzetto di un tunnel per cavi elettrici (nella foto), vicino alla presa di acqua del reattore numero 3.I lavoratori poi hanno utilizzato una telecamera per filmare nelle vicinanze del tubo di aspirazione dell’acqua ed hanno verificato che l’acqua contaminata stava fuoriuscendo anche dalla parete della “fossa” e raggiungeva l’Oceano Pacifico.

La Tepco ha detto che l’acqua nella fossa conteneva 37.000 becquerel di cesio-134 per centimetro cubo, cioè un livello 620 mila volte al di sopra del limite di sicurezza stabilito dal governo. L’azienda ha anche scoperto che nell’acqua di mare tra la tubazione di carico e una vicina barriera speciale il cesio-134 era 32.000 volte sopra il limite. La barriera è stata realizzata davanti alla centrale nucleare per impedire che l’acqua radioattiva fuoriuscita finisca nell’oceano.

La Tepco assicura di essere riuscita a fermare la perdita nel corso della giornata di ieri, dopo aver chiuso il tubo e averlo sepolto nella fossa con una colata di calcestruzzo. Due ore dopo il primo annuncio, la Tepco ha ammesso che in realtà «I livelli di acqua contaminata nell’edificio della turbina del reattore n. 3 erano già allarmanti domenica».

Da dove venga la nuova fuga di acqua radioattiva sembra un mistero: la Tepco «Sta esaminando la possibilità che l’acqua radioattiva nella costruzione della turbina del reattore possa essere trapelata attraverso un tunnel di collegamento nel tubo, perché i livelli di acqua nell’edificio turbina erano scesi da martedì» e che non sa quando sia iniziato la fuga, ma che indagherà se il monitoraggio dei livelli di acqua è stato adeguato..

Sembra lo tesso “film” di aprile, quando la Tepco dovette confermare che acqua altamente radioattiva era fuoriuscita in mare da una crepa in una fossa all’esterno del reattore 2. I media giapponesi si chiedono apertamente perché la Tepco non sia in grado di prevenire anche quest’ultima perdita di acqua altamente radioattiva. L’ennesimo incidente rischia di ritardare ancora il progettato trasferimento di acqua radioattiva accumulata negli edifici delle turbine verso gli impianti di stoccaggio provvisorio.

La cosa sta imbarazzando molto il governo giapponese: stamattina il capo di gabinetto Yukio Edano ha detto che «La nuova fuga di materiale radioattivo in mare è estremamente deplorevole» ed ha aggiunto, rivolto soprattutto ad un’opinione pubblica sempre più apertamente anti-nucleare ed ai sempre più arrabbiati cinesi e sudcoreani: «Il governo si scusa con i residenti, il settore della pesca e i Paesi vicini». Edano ha sottolineato che di aver incaricato la Tepco «Di studiare come si sia verificata la perdita. La società deve prendere misure per impedire un altro episodio». Ora la Tepco sta controllando se ci sono in giro altre perdite.

Purtroppo un altro episodio c’è già: acqua radioattiva potrebbe fuoriuscire da un buco nel reattore n. 1, provocando un forte calo del livello dell’acqua all’interno del reattore. La Tepco ha inviato gruppi di “liquidatori” all’interno dell’edificio per stabilizzare la colonna d’acqua del reattore. Subito l’utility sospetta che semplicemente l’indicatore di livello non funzionasse correttamente «In quanto il livello dell’acqua non è aumentato, nonostante il pompaggio in di 150 tonnellate di acqua al giorno per raffreddare il reattore», ma stamattina i lavoratori hanno constatato che il livello dell’acqua era più di un metro sotto il bottom della barre di combustibile.

«E’ da ritenersi che perda dal containment vessel», ha comunicato oggi la Tepco, aggiungendo che «Le temperature nella parte inferiore del reattore sono comprese tra 100 e 120 gradi Celsius, il che suggerisce che le barre di combustibile sono scivolate verso il basso e vengono raffreddate dell’acqua sottostante». L’utility assicura che «Continuerà a monitorare la situazione, aumentando il volume di acqua da iniettare».

Edano ha detto ai giornalisti che «Il reattore appare stabile, perché è stato costantemente raffreddato per un lungo periodo. Ma la condizione del reattore deve essere rivalutata, visto che alcuni dati sono contraddittori».

La Nuclear and industrial safety agency del Giappone ha sottolineato che «Se i dati più recenti sono esatti, sembra che parti della barre di combustibile si siano fuse e accumulate nel bottom del reattore». Ma ha aggiunto: «Riteniamo che le barre di combustibile siano raffreddate»

GENOCIDIO NUCLEARE – La fermata – Cadoinpiedi

Fonte: GENOCIDIO NUCLEARE – La fermata – Cadoinpiedi.

Chernobyl sta facendo oltre 1 milione di vittime. Fukushima è peggio. A Fallujah i bambini nascono senza cervello. Una libbra di plutonio basterebbe a sterminare il genere umano

L’allarme nucleare è tutt’altro che rientrato. In Giappone qualche ora fa hanno registrato una fuoriuscita radioattiva dalla centrale di Tsuruga, proprio mentre in Italia Greenpeace esponeva un lungo striscione sulla facciata di Palazzo Venezia a Roma, contro l’eventualità di bloccare il referendum. Helen Caldicott, dottoressa autraliana che ha dedicato la sua vita agli studi contro il nucleare, qualche giorno fa a Montreal, in Canada, ha parlato dei rischi dell’atomo. Ne è uscito un quadro raccapricciante. Ecco le parole della Caldicott:

“Secondo alcuni studi quasi un milione di persone sono già morte a causa del disastro di Chernobyl. Ma OMS e AIEA dicono altro. Ritengo che Chernobyl sia stato uno dei più mostruosi insabbiamenti nella storia della medicina. Tutti dovrebbero sapere di questa storia.
E oggi facciamo i conti col Giappone. Quanto accaduto in Giappone, come ordine di grandezza, è molte volte peggio di Chernobyl. Mai in vita mia avrei pensato che 6 reattori nucleari potevano essere a rischio. Conoscevo tre ingegneri della General Eletric che hanno collaborato nella pianificazione dei reattori di prima generazione prodotti dalla GE. Questi tre ingegneri si sono dimessi proprio perché sapevano benissimo che questi reattori sono pericolosi. E i giapponesi hanno pensato bene di andare a costruirli proprio sopra ad una faglia sismica. I reattori hanno resistito parzialmente al terremoto ma non allo tsunami. L’energia elettrica è mancata ed è proprio l’energia elettrica che spinge l’acqua di raffreddamento (un milione di galloni al minuto) a ognuno dei 6 reattori. Senza l’acqua di raffreddamento le barre di combustibile si surriscaldano fino a sciogliersi, proprio com’è capitato a Three-Mile Island e a Chernobyl. I generatori d’emergenza, ognuno grande come una casa, sono stati distrutti dallo tsunami e non è rimasto alcun rimedio per fare circolare l’acqua di raffreddamento nei reattori. In più, sui tetti dei reattori, non dentro all’involucro stesso dei reattori, ci sono dei bagni di raffreddamento. Ogni anno rimuovono circa 30 tonnellate delle barre di combustibile più radioattive.
Ognuna delle barre è lunga 12 piedi, ed è spessa mezzo pollice. Emette un livello così elevato di radioattività, tipo raggi-X, che se tu dovessi stargli accanto per un solo paio di minuti, moriresti senz’altro. Non moriresti stecchito ma … vi ricordate ancora quel Litvinenko, il Russo che è stato avvelenato con il Polonio, beh moriresti proprio così, ti cascherebbero i capelli, emorragia fatale, e moriresti di un’infezione gigantesca, come muoiono anche quelli affetti da Aids. Per di più, queste barre sono anche termicamente caldissime quindi devono essere sommerse in un grosso bagno e raffreddate costantemente.
In Giappone ci sono state tre esplosioni di Idrogeno le quali hanno scoperchiato l’edificio, non l’involucro del reattore ma il tetto dell’edificio stesso. Il che ha esposto il bagno di raffreddamento. Due di questi bagni di raffreddamento ora sono secchi e non contengono nessuna acqua, il che ha conseguenze disastrose.
Le barre di combustibile sono rivestite con un materiale che si chiama Zirconio. Quando lo Zirconio viene esposto all’aria, brucia. A Fukushima 2 dei bagni di raffreddamento producono 20 volte più radiazione di quanta ne produce il nocciolo del reattore. Considerate che in ognuno dei noccioli dei reattori c’è tanta radiazione quanta prodotta da mille bombe come quella sgaciata su Hiroshima.
Si tratta di energia diabolica. E=mc2 è l’energia che fa esplodere le bombe nucleari. Einstein disse che “l’energia nucleare è un modo pazzesco per fare bollire l’acqua!” Questo è l’unico utilizzo dell’energia nucleare: fare bollire l’acqua con calore pazzesco per produrre il vapore che poi fa girare le turbine che quindi producono energia elettrica. Quando si pratica la fissione dell’Uranio, si formano circa 200 elementi, ognuno dei quali è ancora più velenoso dell’Uranio per il corpo umano. Nonostante il fatto che l’Uranio sia così velenoso, gli americani lo hanno comunque usato a Fallujah, e pure a Baghdad. Ora a Fallujah, 80% dei neonati nasce senza cervello, con un occhio solo e senza arti superiori. I dottori del posto hanno addirittura detto alle donne di smettere di fare figli.
L’incidenza di cancro infantile è aumentato di circa 12 volte. Questo è un genocidio. È una vera guerra nucleare quella che si svolge in Iraq. L’Uranio che utilizzano dura per più di 4,5 miliardi d’anni, quindi stanno contaminando la culla della civiltà.
Comunque sia, negl’impianti nucleari ci sono dei livelli altissimi di radiazione. Ci sono 200 elementi, alcuni durano pochi secondi ed altri invece milioni d’anni. Lo Iodio radioattivo per esempio dura sei settimane e provoca il cancro della tiroide.
A Chernobyl oltre 20.000 persone hanno contratto il cancro della tiroide. Hanno dovuto farsi prelevare la tiroide e morirebbero senz’altro se smettessero di assumere dosi giornaliere di medicinali supplementari, proprio come un diabetico deve assumere dosi giornaliere di Insulina.
Lo Stronzio 90 si disperderà. Durerà circa 600 anni. Entra nelle ossa e provoca il cancro delle ossa o la leucemia.
Anche il Cesio dura circa 600 anni. Si trova dappertutto in Europa. Il 40% dell’Europa è tuttora radioattiva. Gli alimenti turchi sono tuttora molto radioattivi. Non acquistate mai albicocche secche prodotte in Turchia ed evitate le nocciole prodotte in Turchia. I turchi si sono arrabbiati moltissimo con i Russi, tanto che hanno spedito tutto il loro thè radioattivo in Russia a seguito del disastro a Chernobyl. Comunque, il 40% dell’Europa rimane tuttora radioattiva. Nelle aziende agricole Britanniche gli agnelli sono così pieni di Cesio che non possono nemmeno venderli. Qualsiasi alimento prodotto in Europa è a rischio.
Ma tutto ciò non è niente rispetto a cosa sta capitando ora. Uno degli elementi più mortali rimane il Plutonio, il quale prende il nome da Plutone, dio degli inferi. Solamente un milionesimo di un grammo, se inalato, provoca il cancro. Teoricamente, una sola libbra di questo elemento sarebbe sufficiente per provocare il cancro in tutta la gente esistente nel mondo. Ognuno dei reattori contiene 250 chili di Plutonio al suo interno, e qui si parla di chilogrammi. Bastano solo 2.5 chilogrammi per produrre una bomba perche attualmente si utilizza il Plutonio per produrre le bombe. Il Canada vende attualmente solo due cose. Vende il grano per la vita e l’Uranio per la morte.
Il Plutonio fuoriuscirà e si disperderà per tutto l’emisfero boreale. Sta tuttora già viaggiando verso l’America del Nord.
Poi c’è lo Iodio 129 radioattivo, il che ha una “half-life” di 17 milioni d’anni, e poi ancora lo Stronzio, il Cesio, il Trizio, e potrei continuare ad infinitum…
Quando piove precipita anche la radioattività e si concentra negli alimenti. Se finisce in mare, viene concentrata centinaia di volte dalle alghe, poi dai pesciolini, poi dai pesci più grandi ed infine dagli esseri umani che stanno all’apice della catena alimentare. Questi elementi radioattivi non hanno alcun gusto o odore e non sono visibili. Sono silenziosi! Quando entrano nel corpo, non si muore immediatamente dal cancro. Ci vogliono 5-6 anni per contrarre il cancro e quando una persona ha il cancro, non può risalire al boccone di pesce che gliel’ha procurato. Qualsiasi tipo di radiazione è dannosa. Ha un effetto cumulativo e ogni dose che si assume aumenta il rischio di contrattare il cancro.
Se piove e la radioattività precipita, non si devono produrre alimenti. Il che significa non magiare qualsiasi alimento per i prossimi 600 anni!
Ho sentito che le scorie radioattive, qui in Canada, verranno seppellite nei dintorni del Lago Ontario. Quindi fuoriuscirà e durerà per milioni d’anni, finirà nell’acqua e quindi nella catena alimentare. Questa radioattività finirà per provocare delle vere e proprie epidemie di cancri, leucemie e malattie genetiche in eterno. Questo è il più importante rischio per la sanità pubblica che il mondo abbia mai visto, a parte il rischio onnipresente di una guerra nucleare. Einstein disse che “lo spaccamento dell’atomo ha cambiato tutto meno che il modo di pensare del uomo!” Molto profondo… E quindi si galleggia verso una catastrofe incomparabile! Siamo troppo arroganti. Abbiamo un eccesso di presunzione e secondo me il mesencefalo rettile del cervello di certi uomini è completamente patologico. Siamo di fronte ad una situazione dove siamo riusciti ad imbrigliare la forza del sole. Tutto pero è fuori controllo e oramai non possiamo farci più nulla!”

Schizofrenici nucleari | Jacopo Fo | Il Fatto Quotidiano

Fonte: Schizofrenici nucleari | Jacopo Fo | Il Fatto Quotidiano.

Giorgio Meletti, su Il Fatto, ci ricorda quel che scrivevano i nuclearisti prima dell’apocalisse giapponese. Varrebbe la pena di rileggerlo: “Il nucleare è una tecnologia sicura. Con le norme e gli standard attuali, incidenti come quello avvenuto a Chernobyl non possono più ripetersi… le probabilità di un evento catastrofico di quel tipo sono una ogni cento milioni di anni.”

Il problema è che, a quanto pare, la misura immensa del loro errore di valutazione non li ha assolutamente portati, almeno nella loro frangia governativa, a un profondo ripensamento.

Nel quasi totale silenzio dei media si è compiuto un assalto a un treno carico d’oro: il fotovoltaico è il nemico da battere per impossessarsi di mille casse d’oro. La situazione è oltre il grottesco e il demenziale.

Il 4 marzo 2011 un bel decreto legge blocca tutti gli impianti fotovoltaici che non saranno ultimati entro il 31 maggio 2011. Un disastro epocale per chi stava costruendo un impianto che avrebbe potuto essere ultimato in 9 mesi ma non in 90 giorni. Centinaia di imprenditori rovinati, e centinaia di aziende costrette a chiudere licenziando migliaia di dipendenti.

Ci dicevano: si spende troppo per il fotovoltaico, meglio il nucleare…

Poi, spaventato dalla certezza di perdere il referendum sul nucleare, il governo ha proclamato una moratoria sulle nuove centrali.

Ora la logica vorrebbe che si facesse subito marcia indietro sul fotovoltaico. Ma il testo del nuovo sistema di incentivi che il governo ha appena varato, a quanto pare, servirà a far fuori il fotovoltaico sparandogli alla schiena e nessuna forza sembra in grado di organizzare un’opposizione fattiva.

Il crimine viene commesso in modo raffinato.

Nominalmente il decreto, infatti, ristabilisce nuovi finanziamenti per il fotovoltaico (anche se in quantità e modalità vistosamente ridotte) ma c’è un codicillo che stabilisce un tetto alla spesa. Un sottocodicillo (astutissimamente) stabilisce poi che il tetto non viene calcolato sulla base degli impianti realmente costruiti ma sulla base delle domande presentate. Siamo alla cultura bizantina: la differenza, apparentemente insignificante, sta nel fatto che gran parte delle domande presentate NON vengono poi portate avanti e quindi le graduatorie ingorgate da domande farlocche impediranno a molti che vogliono veramente realizzare un impianto di entrare in graduatoria. Un ulteriore codicillo stabilisce infatti che non occorre avere l’approvazione dell’Enel per la connessione alla rete elettrica, che è molto più lunga e difficile da ottenere degli impianti di produzione di elettricità.

Cioè, si fa un finanziamento costruendolo in modo tale che poi sia in gran parte non utilizzato.

Alla prima graduatoria ci troveremo di fronte a una situazione disastrosa, con migliaia di domande per progetti con autorizzazioni impossibili da ottenere che ruberanno il posto agli impianti veramente realizzabili.

Il risultato sarà una drastica riduzione dei kilowatt installati e una grave crisi del settore fotovoltaico. E noi ci troveremo a dover pagare da subito l’energia elettrica più cara.

Se infatti è vero che finanziare il fotovoltaico ci costa circa il 5% della bolletta elettrica, è anche vero che la produzione di energia elettrica si concentra nelle ore più calde del giorno, specie in estate quando ci sono i picchi dei consumi e la corrente è più cara.

Uno studio della ASPO Italia e Cautha S.r.l. dimostra proprio questo: nei prossimi anni l’aumento del fotovoltaico sarebbe stato un contrappeso ai picchi dei consumi, tale da provocare un risparmio in bolletta per i consumatori intorno al 5% *.

E dietro a questa questione si nascondono anche le ragioni forti (dei poteri forti) che hanno portato a queste scelte scellerate.

Chi produce energia elettrica da fonti fossili ha il massimo dei suoi guadagni proprio nei momenti di picco dei consumi. Se il fotovoltaico aumenta l’offerta di energia proprio nelle ore di picco dei consumi, chi produce energia dal fossile ci perde una barca di soldi. Quindi, per i soliti interessi miopi si decide di fare un bel buco nella barca sulla quale stiamo remando.

Come è possibile pensare che il sistema Italia continui a galleggiare senza investimenti nel settore energetico rinnovabile, con i prezzi del petrolio che potranno solo salire?

Garantirsi energia elettrica a prezzi certi in futuro è un imperativo assoluto. Non è una cosa che si può rimandare. E questo dovrebbe essere prioritario per tutti i cittadini e i loro polmoni e per tutti gli imprenditori.

Senza energia elettrica è più faticoso produrre automobili.

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* Nota: Il Senatore Ferrante, vicepresidente Kyoto Club ci spiega che: “Gli incentivi per le fonti rinnovabili pesano per meno della metà del totale degli oneri di sistema: nel 2010 circa 2,7 miliardi su un totale di oltre 5,8 miliardi di euro… “

In Italia gli irriducibili del nucleare | Mauro Meggiolaro | Il Fatto Quotidiano

Fonte: In Italia gli irriducibili del nucleare | Mauro Meggiolaro | Il Fatto Quotidiano.

Mentre la Germania accelera sulla svolta energetica e i governi europei discutono di uscita dall’atomo, il nostro Paese è inamovibile. Se per Berlusconi i reattori sono il futuro, l’Enel investe su centrali in Slovacchia e in Romania, dove altre grandi compagnie hanno abbandonato il campo

Gli “ultimi giapponesi” del nucleare. Sull’atomo il governo italiano e l’Enel sono irriducibili, come quel gruppetto di soldati nipponici nell’isola di Guam che, decine di anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, con i capelli bianchi e i fucili arrugginiti, ancora non sapevano della resa ed erano pronti a combattere per l’ultima battaglia. Se da un lato Silvio Berlusconi annuncia candidamente che il programma nucleare è solo rimandato per evitare l’impatto dei referendum, dall’altro Fulvio Conti, amministratore delegato dell’Enel, fa sapere che “sul nucleare la macchina non si ferma”: il progetto è sospeso in Italia, ma si continuerà a investire all’estero per migliorare le tecnologie.

Nel frattempo le politiche energetiche di molti stati europei sono in fase di ridiscussione e alcune grandi corporation sarebbero pronte a fare un passo indietro sul nucleare. Come il colosso tedesco dell’elettronica e delle infrastrutture Siemens, che all’inizio di aprile ha espresso i primi dubbi sull’alleanza con la compagnia Rosatom (controllata dal governo di Mosca) per lo sviluppo di nuove centrali in Russia. “Il problema principale rimane quello di trovare un modo per salvare la faccia alla Russia e a Peter Löscher (amministratore delegato di Siemens)”, ha dichiarato al Financial Times un dirigente del gruppo tedesco. Una decisione formale non è ancora stata presa, ma nella sostanza Siemens sarebbe pronta ad uscire dalla joint venture con i russi non appena le condizioni fossero favorevoli per entrambi i partner.

La frenata di Siemens avrebbe un forte significato simbolico anche perché, solo due anni fa, il colosso tedesco aveva deciso di abbandonare lo storico alleato francese Areva per passare con Mosca, con l’ambizione di diventare il “leader di mercato nell’energia nucleare”. Ora le cose sono cambiate e il “rinascimento nucleare” che Siemens pensava di realizzare sulla sponda russa rischia di essere bloccato prima ancora di iniziare a concretizzarsi.

Intanto in Germania il cancelliere Angela Merkel preme sull’acceleratore dell’Energiewende, l’attesa svolta energetica che traghetterà il paese fuori dall’atomo. Secondo quanto riportato martedì dal quotidiano economico Handelsblatt, il governo tedesco sarebbe pronto a fissare una data precisa per l’uscita dal nucleare. Horst Seehofer, segretario della Csu (l’Unione Cristiano Sociale che fa parte della coalizione di governo), parla espressamente del 2020, mentre la Merkel per il momento preferisce pensare a tutte le possibili soluzioni per colmare il buco – pari al 23% del fabbisogno energetico – che deriverebbe dalla dismissione di tutti e 17 gli impianti attualmente funzionanti nel paese. La ricetta – secondo quanto riporta Handelsblatt – sarebbe già stata elaborata: nuove centrali a gas in Baviera e Nordreno-Vestfalia, in prossimità di impianti industriali, e investimenti crescenti nelle energie rinnovabili.

Mentre la Germania si prepara a smantellare, l’Italia rimane aggrappata con tutte le forze al piano governativo sul nucleare e ai pochi progetti che Enel è riuscita a portare a casa negli ultimi anni. Come la centrale di Cernavodă in Romania, fiore all’occhiello di Ceauşescu. Concepita negli anni ottanta, Cernavodă è composta da cinque reattori, di cui solo due sono stati effettivamente completati: uno nel 1996 e uno nel 2007. Il progetto per il completamento della centrale è stato rilanciato nel novembre del 2008 dal governo rumeno attraverso il consorzio Energonuclear, che inizialmente comprendeva l’agenzia nucleare nazionale Nuclearelectrica e grandi imprese come ArcelorMittal, ČEZ, GDF Suez, Enel, Iberdrola e RWE. Poi poco a poco il consorzio si è sfaldato. Nel settembre del 2010 il gruppo ceco ČEZ ha annunciato l’uscita dal progetto, mentre il 20 gennaio del 2011 sono usciti i francesi di Gdf Suez, i tedeschi di Rwe e gli spagnoli Iberdrola, spiegando che “le incertezze economiche e del mercato che circondano il progetto, relative in gran parte alla crisi finanziaria, non sono conciliabili con gli investimenti richiesti per lo sviluppo di un nuovo impianto nucleare”. In poche parole il gioco non vale la candela: troppe le incognite, troppo elevati i costi. Ma nonostante tutto Enel ha deciso di restare, mantenendo la sua partecipazione del 9% nel consorzio assieme agli indiani di ArcelorMittal (6,2%) e all’agenzia di Stato. Una scelta coraggiosa, ma non isolata.

Sempre in Europa dell’est, a Mochovce (Slovacchia), Enel, che dal 2006 controlla con il 66% l’operatore elettrico slovacco Slovenské Elektràrne, è impegnata nella realizzazione di due nuovi reattori in un impianto di progettazione sovietica, approvato nel 1987. Il 13 gennaio di quest’anno il Comitato di Conformità della Convenzione di Aarhus delle Nazioni Unite sull’Accesso all’informazione e la partecipazione dei cittadini in materia ambientale, ha rilevato “un’inadeguata partecipazione e consultazione delle comunità locali nel processo di costruzione dei due nuovi reattori”, che avrebbe comportato la violazione della Convenzione da parte della Slovacchia. La raccomandazione del Comitato, se recepita dalla Commissione Europea, potrebbe comportare la sospensione del progetto in attesa dell’elaborazione di una nuova valutazione d’impatto ambientale. Per Enel si tratterebbe di un ulteriore ostacolo sul fronte della “rinascita” nucleare.

E infine c’è la Russia, dove a Kaliningrad la compagnia elettrica italiana sta completando uno studio di fattibilità per valutare una possibile partecipazione a una nuova centrale in collaborazione con Rosatom: il Baltic Nuclear Power Plant. Le autorità russe hanno chiesto ripetutamente alle corporation europee di partecipare al progetto, offrendo il 49% delle azioni. Alla fine nessuno ha manifestato un vero interesse. Nessuno tranne Enel. Che, “se ci saranno le condizioni tecnologiche e di mercato sarebbe felice di investire nel nucleare in Russia”. L’ha dichiarato l’ad Conti nel corso dell’ultima assemblea degli azionisti, ricordando il memorandum siglato con Rosatom. La stessa compagnia russa dalla quale Siemens starebbe cercando di staccarsi.

Antimafia Duemila – Perche’ i Graviano non parlano

Fonte: Antimafia Duemila – Perche’ i Graviano non parlano.

di Lirio Abbate – 12 maggio 2011
I due boss sanno tutto dei rapporti tra Forza Italia e Cosa Nostra. Ma su Berlusconi e Dell’Utri tacciono. E, curiosamente, nessuno ha toccato il loro impero economico: imprese edili, immobili, stazioni di servizio.

Silenzi e tesori. Tutto in nome della famiglia. Con una situazione così paradossale da destare molto stupore e qualche sospetto. Giuseppe e Filippo Graviano sono i boss di Brancaccio e hanno ricevuto diverse condanne all’ergastolo: come autori e ideatori dell’attentato a Paolo Borsellino, come esecutori della strage di via dei Georgofili a Firenze e poi ancora come mandanti dell’uccisione di padre Pino Puglisi. E hanno conquistato un ruolo politico di primo piano quando davanti ai giudici hanno scelto di non rispondere alle domande su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.

I due vivono da oltre 16 anni in cella, molti dei quali in isolamento sotto il regime del 41 bis, continuando però a controllare un piccolo impero imprenditoriale. Dalle indagini emerge che a Palermo gestiscono indirettamente distributori di carburante, società di servizi e imprese edili e intascano gli affitti di parecchi immobili. Affari che si sviluppano anche a Roma e Milano. Con la copertura di prestanome.

Sono le rendite dei ricchi investimenti realizzati prima del 1994, quando i due fratelli dominavano i proventi criminali più proficui di Palermo. La cattura avvenuta a Milano non ha fermato il business: negli anni Novanta è proseguito grazie alla complicità del loro avvocato dell’epoca, poi finito anche lui in manette.

Ma nemmeno questo arresto ha ostacolato l’incredibile sviluppo della “holding Graviano”. I collaboratori di giustizia hanno poi descritto la storia recente del tesoro: ne hanno parlato in particolare Gaspare Spatuzza e da poche settimane il dichiarante Fabio Tranchina che è stato il loro autista durante il periodo della latitanza.

I Graviano sono figure uniche nell’ultima generazione di Cosa nostra. Anche in carcere indossano abiti griffati e hanno saputo costruire un’immagine vincente attraverso i “dico-non dico” e gli ammiccamenti registrati in alcuni importanti processi. I loro ricordo, o non ricordo, ruotano sempre attorno a imprenditori e politici, a partire dal premier e dal parlamentare che costruì Forza Italia. Ogni volta che qualcuno in aula pronuncia quei nomi, i fratelli si celano dietro il silenzio. Per i siciliani che sono abituati a “dialogare” a distanza con un gesto o un cenno, questo potrebbe essere inteso come un segnale, o un messaggio.

I fatti dimostrano che la coppia più mafiosa di Palermo può arrivare a tutto. Basta ricordare che sono stati capaci di far “volare la cicogna” dalla cella di massima sicurezza in cui nel ’97 erano detenuti. Le loro mogli partorirono due bimbi in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, nonostante i mariti fossero detenuti da oltre due anni. La procura avviò un’inchiesta in cui veniva ipotizzata una fecondazione in provetta realizzata illegalmente.

Le indagini non portarono a identificare i complici. Le donne con i loro bimbi hanno vissuto a Nizza (dove hanno fatto investimenti); poi a Roma, dove i piccoli hanno frequentato un istituto privato fra i più costosi della capitale.

Da pochi anni sono tornate a Palermo: i loro spostamenti sono accompagnati da un autista e anche qui la scuola scelta per i figli è un istituto privato. Alle mogli viene corrisposto un assegno mensile di circa 5 mila euro, mentre le spese legali per i processi sono “rimborsate” a parte dalla cassa della “famiglia”. Un tenore di vita sorprendente.

Come quello della sorella Nunzia che, dopo aver scontato una condanna per mafia, oggi è nelle attività economiche della capitale: con un socio, controlla quote di catering e bar. Tanto che gli inquirenti si chiedono: paga più il crimine o il silenzio?

Piero Ricca » Il paese reale

Fonte: Piero Ricca » Il paese reale.

Il 10 per cento del Pil italiano proviene dal riciclaggio di denaro.
Lo ha dichiarato ieri il vice-direttore della Banca d’Italia. Ed è una accumulazione incontrollata di ricchezza, di natura mafiosa, che i condoni e la legge sul rientro dei capitali illecitamente esportati, come sappiamo, hanno ampiamente favorito. Sono altrettanto impressionanti e vanno lette nel medesimo contesto le stime, già note, che forniscono l’ordine di grandezza del fenomeno della corruzione e dell’evasione fiscale. Stiamo parlando, nel complesso, di centinaia di miliardi di euro. Se a questi fattori aggiungiamo l’indotto miliardario generato dalla burocrazia e dai privilegi del carrozzone politico, iniziamo ad avere un quadro attendibile di come gira l’economia del “Paese reale”. Legalità e trasparenza sono questioni che attengono alla sfera economica oltre che a quella morale.

La guerra a tempo- Blog di Beppe Grillo

Fonte: La guerra a tempo- Blog di Beppe Grillo.

La guerra a tempo è un’invenzione tutta italiana. Per quanto ti bombardo? Due o tre settimane? Fino al prossimo ponte? L’uscita dal conflitto a tavolino è stata decisa da Frattini e Boss(ol)i. Siamo in guerra, ma solo per un po’. Siamo un po’ vergini, un po’ federalisti. E se il nostro esercito arrivasse alle porte di Tripoli? Torniamo indietro perché il tempo è scaduto? Siamo una Cenerentola al ballo della Nato. Una danza macabra con l’uccisione di civili innocenti (ma i militari dell’esercito libico che non si sono macchiati di crimini di cosa sono colpevoli? Di far parte di un esercito considerato regolare da tutti gli Stati fino a ieri? Dobbiamo ucciderli per questo?).
Mussolini dichiarò guerra alla Francia ormai sconfitta buttando sul piatto qualche migliaio di morti per un posto al tavolo dei vincitori con la Germania. Pdl e Pdmenoelle e Napolitano che “ha il comando delle Forze armate…e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere (art.87 della Costituzione)” hanno deciso di buttare qualche centinaio di bombe sulla Libia per non essere esclusi dalla spartizione dell’energia. Machiavelli sosteneva che i fini giustificano i mezzi, quindi il petrolio giustifica le bombe.
Qualunque Paese stipuli un trattato di pace con noi sa ora che è carta straccia. Vale solo finché ci conviene. Perché dovrebbero fidarsi di noi la Francia e gli Stati Uniti? Gheddafi fu salvato nel 1986 dai servizi segreti italiani che lo avvisarono prima del bombardamento ordinato da Reagan. Perché non ora? Ufficialmente non siamo in guerra e, sempre ufficialmente, lo siamo fino alla fine del mese. Gheddafi dal bunker dove si trova, però si sente in guerra con l’Italia. Lo capisce dai razzi “made in Italy” che gli cadono in testa. Ricorderà i baciamano, la Juventus, l’Unicredit, l’ENI che lo hanno sempre accolto a braccia aperte. Ripenserà all’aria di Roma,ai saluti servili dei parlamentari italiani, alla grande tenda, agli onori, ai picchetti sull’attenti. Quanto tempo è passato? Che cosa è cambiato? Gli italiani sono alleati a tempo che fanno la guerra a tempo. Una sicurezza internazionale.

ComeDonChisciotte – LA CONTRORIVOLUZIONE NEL VICINO ORIENTE

Un lungo e interessante articolo che parla dei burattinai che stanno dietro a tutti i terrorismi del medio oriente e che farebbero capo alla famiglia reale saudita e alla cia, queste due collegate dal mutuo interesse nel commercio del petrolio

Fonte: ComeDonChisciotte – LA CONTRORIVOLUZIONE NEL VICINO ORIENTE.

DI THIERRY MEYSSAN
Reseau Voltaire

Un clan saudita dei Sudairi è al centro dell’ondata controrivoluzionaria lanciata nel Vicino Oriente per conto degli Stati Uniti. In una lunga analisi, suddivisa in episodi pubblicati sul più importante quotidiano di lingua russa, Thierry Meyssan inizia partendo da Damasco nel descrivere il quadro generale delle contraddizioni che agitano questa regione…

LA PRIGIONE DI ALDO MORO – La fermata – Cadoinpiedi

Fonte: LA PRIGIONE DI ALDO MORO – La fermata – Cadoinpiedi.

di Stefania Limiti – 8 Maggio 2011
A 33 anni dal delitto del presidente della DC tanti dubbi sul delitto e sul covo del sequestro

Aldo Moro è stato ucciso nel garage in cemento del covo brigatista di Montalcini? E’ stato sempre tenuto lì, oppure i luoghi delle prigioni sono stati diversi? Davvero nessuno sapeva dell’esistenza della ‘base’ di fronte a Villa Bonelli, nel quartiere romano Portuense? (sulla esistenza di una sola prigione per primo espresse molti dubbi il giudice Mastelloni).
Queste domande rappresentano una parte infinitamente piccola, ma assai significativa, della ‘grande nebulosa‘ del caso Moro. Proprio pochissimi giorni fa, infatti, l’ex presidente della Rai, Ettore Bernabei, in una lunga intervista in occasione dei suoi 90 anni, tra un ricordo e l’altro, è tornato sull’argomento (ma parla ad un paese distratto) dicendo senza indugi: «Spesso [la dietrologia] converge con la realtà. Pensi al povero Moro. Io credo ai solerti 007 che hanno ubicato il suo barbaro omicidio tra le mura di Palazzo Caetani»….(L’espresso, 5.5.11)
Recentemente, abbiamo dato conto dell’esistenza di un ‘ultimo testimone’ (per ora) di questo buco nero della nostra storia: lo abbiamo chiamato signor Mario e ha raccontato alcune cose interessanti sul covo di via Montalcini. Ci disse che lui aveva fatto parte di un gruppo di speciali ‘osservatori’, un team messo in piedi per monitorare cosa avveniva nella casa di via Montalcini: l’operazione era basata sul supporto logistico e sul coordinamento offerto da uomini di una stazione dei Carabinieri della Capitale. Rimasero a ‘guardare’ nel buco della serratura per parecchi giorni e furono smobilitati proprio il giorno prima dell’uccisione di Moro.
Se tutto fosse vero, significherebbe che lo Stato sapeva esattamente cosa accadeva ogni minuto di quei 55 giorni.
Intanto, non dimentichiamo che la ‘pista’ di via Montalcini fu di fatto ‘imposta’ nell’immaginario collettivo quanto il ministro dell’Interno Rognoni annunciò in modo solenne – durante un suo intervento alla Camera – l’individuazione della prigione di Moro (senza dare l’indirizzo ma si riferiva alle cose dette dal pentito Antonio Savasta). Era il 1 febbraio del 1982 e da allora il nodo della prigione di Moro è apparso sempre come un caso risolto, anche se in sede giudiziaria non è stato possibile scrivere una parola definitiva su questo capitolo. Così è stato quasi inutile chiedersi, ad esempio, perché non si è mai trovato negli archivi del ministero dell’Interno l’appunto di un maresciallo che per primo si recò in via Montalcini ”già in un periodo antecedente il 24 luglio 1978”. Non solo: un teste, all’epoca addetto alla segreteria del direttore dell’Ucigos, già per anni alle dipendenze di Umberto Federico D’Amato, dichiarò – ritrattando successivamente – che  il pedinamento di Anna Laura Braghetti, la ”vivandiera” della ”prigione Br” e proprietaria dell’appartamento di via Montalcini, cominciò durante il sequestro del Presidente della Dc.
Ma torniamo ai nostri giorni. La testimonianza del signor Mario, in parte resa pubblica su questo sito, ha provocato legittime perplessità di attenti lettori: per questo mi sembra utile tornare sull’argomento ma con altri elementi.
Il racconto del nostro uomo, infatti, ha sollecitato l’attenzione di un ex ragazzo della zona che non ha mai dimenticato quei giorni: «ha mai fatto un sopralluogo in via Montalcini» mi ha chiesto con tono deciso dopo aver letto il racconto del signor Mario e aver rintracciato il mio recapito. Beh, sì conosco la via, gli ho risposto, ma lui va dritto al punto: «venga qui che l’accompagno a fare un giro nei luoghi di cui parla il suo testimone». Aveva ragione, abbiamo fatto insieme una lunga passeggiata che è stata molto istruttiva: «vede, ecco il lampione dove potrebbero aver messo la telecamera», mi ha detto appena dopo esserci presentati. Effettivamente, la posizione dei pali, mai cambiati, e delle lampade è ideale, perché ‘guarda’ proprio dritto verso la fatidica casa. Ma ecco la sintesi della nostra conversazione. Chiameremo stavolta il nostro uomo il signor Montalcini: un nome di dubbia fantasia ma che rende bene il personaggio. Non deve sembrare strano il rifiuto dei ‘testimoni’ a fare pubblicamente il loro nome: è normale che da un caso così intrigato si voglia stare fuori. Anche con il signor Montalcini abbiamo fatto le opportune verifiche per capire meglio la sua ‘umanità’: oggi è un professionista di oltre quarant’anni, molto cordiale, pacato e molto riflessivo. Allora era uno dei tanti ragazzi che gironzolavano nel quartiere che offriva un’enorme zona verde, Villa Bonelli, solo dagli inizi degli anni ’80 ‘area di verde pubblico ‘ ma allora terra verde, incolta e selvaggia, un paradiso per i ragazzi. Ci siamo incontrati proprio di fronte al numero civico 8, quello dell’appartamento brigatista, e la prima cosa impressionante è che la casa-covo si trova così vicina alla strada, così esposta e poco protetta, che è impossibile credere che sia stata scelta come la prigione super-clandestina di Aldo Moro. Proprio la stessa identica impressione che si ha in via Gradoli, dove si trovava l’altro covo-prigione: anche quella è una via lunga ma molto, molto stretta e la base brigatista si trovava esattamente di fronte all’appartamento a disposizione della Banda della Magliana. E, quando diciamo di fronte, significa a pochissimi metri, proprio la posizione ideale per controllare, come sostiene di aver fatto uno della Banda, Alessandro D’Ortenzi (vedi L’Anello della Repubblica).

D. Signor Montalcini, cosa l’ha colpita della testimonianza di Mario?

R. «Mi sembra che dia risposte a domande che io, i miei familiari e amici ci siamo sempre fatti. Allora avevo poco più di dieci anni e per me ed i miei amici il quartiere era casa nostra. Impossibile che una prigione-covo potesse reggere la clandestinità. Mi ha colpito soprattutto il fatto che era assolutamente possibile, invece, un sistema di controllo direi quasi a cerchi concentrici, oggi diremmo all’interno di una ‘zona rossa’, anche perché nella villa c’erano vecchie case ridotte a rudere, oggi completamente recuperate, nelle quali si poteva stabilire una base di controllo, proprio come dice il suo testimone. In quei giorni, come ricorda spesso mio padre, e come io stesso ricordo, c’era un furgone fisso in una via Francesco Ripandelli, una strada privata che interseca via Montalcini e dalla quale si poteva controllare proprio il noto appartamento. Allora non ci facevamo caso perché in zona abitavano anche personaggi noti e alti funzionari, ma il furgone non c’era mai stato prima del sequestro, né mai torno dopo».

D. Ma era possibile stabilire basi di ascolto in una delle case diroccate all’interno della villa senza il pericolo di un’invasione da parte di voi ragazzi della zona ? Non eravate un pericolo per un’operazione di quel tipo?

R. «Secondo me no, in realtà c’erano punti inaccessibili dove nessuno di noi andava, anche perché avevamo a disposizione tutta la villa. Proprio di fronte all’appartamento di via Montalcini numero 8 c’era la casa a due piani, oggi una pertinenza del Municipio, nella quale senz’altro era possibile stabilire un punto di indisturbato d’osservazione nella parte superiore.  E poi in quel momento in particolare, a metà del 1978, la zona era una specie di cantiere, alcuni condomini erano in fase di costruzione e c’erano grandi lavori di ristrutturazione dell’Italgas. C’erano fili ovunque, operai che andavo e venivano nelle case e sicuramente potevano essere mimetizzati fili di telecamere o altre apparecchiature (delle quali parla il signor Mario), visto che all’epoca non c’erano sistemi wi-fi o di trasmissioni satellitari».

D. Comunque, era una zona tranquilla e questo è quello che conta quando si deve scegliere dove sistemare un covo…

R. «Era tranquilla per noi, per giocare liberamente per strada insieme ai nostri amici, tra i quali c’erano figli di funzionari dello Stato e di gente meno raccomandabile. Io giocavano spesso con il figlio di Franco Giuseppucci, il ‘negro’, perché tra queste vie è noto che i membri della Banda della Magliaia venivano a scegliere i loro appartamenti: più a valle, appunto nel quartiere della Magliana, facevano affari di vario tipo e qui ci abitavano, come è stato ricordato da alcuni attenti osservatori. A via Gaetano Fuggetta 59, cioè a 120 passi da via Montalcini, c’era Danilo Abbruciati, Amelio Fabiani, Antonio Mancini; in via Lupatelli 82, 230 passi dalla prigione del popolo, c’era Danilo Sbarra e Francesco Picciotto (uomo del boss Pippo Calò); in via Vigna due Torri 135, 150 passi, Ernesto Diotallevi, segretario del finanziere piduista Carboni».

D. Dunque intende dire che era tranquilla ed anche molto ben protetta?

R. «Era abitata da famiglie del ceto medio, come la mia, ma anche da persone molto diverse, comunque il punto è che lì nulla avveniva a caso. E poi c’è ancora un fatto….C’era un intero palazzo di proprietà dei carabinieri proprio in via Montalcini, accanto a quello della “prigione”. Accanto significa a tre metri. Lo chiamavamo la ‘palazzina dei carabinieri’ e aveva un frequente ricambio di inquilini».

D. Il signor Mario dice che lui e i suoi compagni erano stati sistemati in un appartamento che si trovava nel palazzo proprio dopo quello del civico 8..

R. «Sì, potrebbero coincidere…Comunque, era una zona ‘infiltrata’, nel senso abitativo, dalla banda della Magliana, anche se abitata da molti vip, diremmo oggi. Io andavo a scuola con il figlio di un importante magistrato, ma c’erano avvocati e politici piuttosto in vista».

D. Nel 1978? Ne è sicuro?

R. «Altro che! Guardi, se il caso Moro è rimasto nella coscienza collettiva del paese, si figuri quanti ricordi e quanti pensieri suscita a noi che siamo nati e cresciuti proprio nella via ritenuta ‘la prigione del popolo’. Dopo aver letto il racconto del signor Mario, tanti ricordi sono tornati a galla e li ho condivisi con la mia famiglia e con gli amici con cui sono cresciuto. Deve sapere che all’epoca ci fu una grande mobilitazione di noi residenti: si costituì il Comitato per la difesa di Villa Bonelli che, grazie alla lotta dei cittadini e al sostegno delle istituzioni di allora, oggi è area pubblica – il grande sindaco Petroselli venne ad inaugurare l’area proprio pochi giorni prima della sua prematura scomparsa. Ma nei primissimi anni ’80, la battaglia fu dura anche perché tra i contendenti c’erano un importante uomo politico. Ma sono passati troppi anni e i protagonisti di quella stagione non sono più qui e alcuni sono andati via per sempre».

I TERREMOTI SI POSSONO PREVEDERE – Cadoinpiedi

Fonte: I TERREMOTI SI POSSONO PREVEDERE – Cadoinpiedi.

di Giampaolo Giuliani – 13 Maggio 2011
L’eredità di Bendandi non va seppellita. Il sisma è un evento fisico, e come tale è prevedibile L’Italia è fra le nazioni più sismiche al mondo, eppure non ha una cultura sui terremoti

Nelle ultime settimane si era diffusa la notizia circa una previsione di Raffaele Bendandi su un terremoto a Roma l’11 maggio 2011. Nessun sisma a Roma, ma l’11 maggio 2011 un violento terremoto ha fatto tremare la Spagna. I terremoti, dunque, sono prevedibili? Ne abbiamo parlato con il sismologo Giampaolo Giuliani.

I terremoti si possono prevedere?

Sì, i terremoti si possono prevedere. Il terremoto non è che un fenomeno fisico, quindi ha delle cause che lo producono. Studiando a fondo le cause che producono i terremoti, è possibile arrivare a prevederlo, quello che noi facciamo con la nostra ricerca sperimentale ormai da 11 anni, avvalorata anche dalle collaborazioni straniere che perseguono lo stesso scopo. Quindi, attraverso la mia ricerca sperimentale noi riusciamo a prevedere nel raggio d’azione delle nostre stazioni, 6 – 24 ore prima. In questo momento esiste una rete che funziona in questo modo di almeno 4 stazioni.

Cosa ne pensa della storia di Bendandi e del terremoto a Roma? Alla fine un terremoto c’è stato…

Bendandi ebbe una intuizione. Lui ha lasciato scritto qualcosa delle sue esperienze. Il terremoto del 1908 nello Stretto di Messina lo colpì e prese a studiare questo evento. L’intuizione fu che l’effetto mareale prodotto dalla luna e dal sole e dai pianeti giganti, possono essere una delle cause principali del rilascio di energia dei terremoti sulla terra. Lo stesso fenomeno mareale che osserviamo negli oceani e nelle acque, secondo Bendanti, viene seguito anche dalla crosta terrestre, non solo ma anche dal fluido magmatico del mantello, quindi dall’alterazione dell’energia termodinamica all’interno del mantello E’ la causa che fa caricare di energia le rocce. Quando questa energia satura sul punto di rottura delle rocce, si produce il terremoto, questa era la sua teoria.
Ho avuto modo di studiare i carteggi del Bendandi dell’anno 2010, dell’anno 2011 in corso e ho disponibile anche quello del 2012. Nel suo carteggio non ho trovato nessunissima indicazione su un forte evento che si sarebbe dovuto verificare a Roma l’11 maggio 2011 anche perché Bendandi era consapevole del fatto di non essere in grado di indicare con precisione l’epicentro dell’evento. Lui era consapevole di poter indicare solo una vasta area pari a circa 250/300 chilometri, in cui si può verificare un evento sismico. Non solo, nei carteggi ci sono indicazioni su altri terremoti effettivamente da lui previsti e la previsione veniva evidenziata con la data in quanto era molto preciso nelle sue previsioni, nella finestra temporale. Faceva un errore non superiore a 24 ore. Era invece consapevole che non aveva la stessa precisione sull’indicazione della zona epicentrale, anche perché non possedeva una longitudine precisa, poteva dare una latitudine con un margine di errore di 3, 4 gradi, ma la longitudine aveva un’elasticità maggiore.
Per cui che l’abbia previsto o meno il terremoto dell’11 maggio 2011 io non ho traccia sulle carte da lui scritte e lasciateci in qualche modo in eredità.

Perché se i terremoti sono prevedibili, questa procedura viene bloccata?

Perché in Italia è stata una scelta a alti livelli di responsabilità scientifica quella di non perseguire da più di 30 anni uno studio di ricerca sulle possibilità di poter evidenziare dei precursori sismici. Questa scelta in modo particolare l’ha presa chi ha diretto per tantissimi anni l’ente maggiormente accreditato in Italia su questo argomento, gli Ngv e quindi il Presidente degli Ngv. Loro hanno sempre detto che è impossibile prevedere i terremoti, per cui cosa migliore sarebbe stata quella di creare una rete di sismografi abbastanza fitta da poter, con 20/30 anni, mappare il territorio e sapere lì dove si sarebbero potuti verificare eventi forti, eventi pericolosi e catastrofici. Questa secondo me è stata una scelta sbagliata perché questo sistema non avrebbe permesso neanche con il passare degli anni, neanche con l’evoluzione tecnologica, di metterci in condizioni di poter avere informazioni da quelli che sono poi i precursori sismici, sistema invece usato in altri stati: Stati Uniti, Russa, Taiwan, Giappone, Cina, Turchia.

Secondo i suoi studi c’è un posto, in Italia, più a rischio?

Tutto il territorio italiano è un territorio ad alto rischio sismico, in modo particolare la dorsale appenninica, e se vogliamo in modo particolare evidenziare dei territori a maggior rischio sismico, allora parliamo di Umbria, Marche, Abruzzo, una parte del Lazio, la Campania, la Calabria, un po’ meno la Puglia e la Sicilia. Attualmente noi siamo interessanti da un rilascio di energia abbastanza presente, non molto intenso, ma ciò non di meno come numero di eventi strumentali giornalieri abbastanza marcati, in particolare nell’area di Gubbio, sul territorio di Sora, quindi Frosinate, Cassino quella zona… E in più in Sicilia dove da l’altro ieri ha ripreso in parte l’attività, il vulcano, l’Etna.

La popolazione italiana è su un territorio che è considerato tra il quinto e il sesto come pericolosità al mondo per il rischio sismico. Occorrerebbe dare una cultura alla popolazione, cosa che non è stata fatta negli ultimi 30 anni. Nessun tipo di prevenzione sismica sugli edifici, sulle strutture, sul territorio. Si potrebbe quantomeno fornire alla popolazione quel grado di competenza, di cultura sul terremoto in modo tale da non far accadere ciò che è accaduto a Roma in quest’ultimo mese quando si diceva che Bendandi aveva previsto questo terremoto, fomentando un panico come quello che è stato, ma questo panico è stato dovuto solo e esclusivamente alla mancanza di informazione e di cultura della popolazione.
Se voi avete osservato il comportamento della popolazione giapponese, invece, durante il forte terremoto che ha colpito il Giappone ultimamente… stiamo parlando di un nono grado che è un qualcosa di veramente catastrofico. Si è notato che negli ultimi 30 anni in Giappone si è fatta quella prevenzione sismica che in Italia non è mai stata fatta e nonostante l’alto grado di quel terremoto, se non ci fosse stato lo Tsunami, con ogni probabilità loro non avrebbero avuto neanche un morto. Non solo, ma il comportamento della popolazione che ha avuto una cultura per 30 anni sul modo di come comportarsi, tutto questo è ciò che è mancato e che manca attualmente in Italia.

BRUSCA, DELL’UTRI E COSA NOSTRA – La fermata – Cadoinpiedi

Fonte: BRUSCA, DELL’UTRI E COSA NOSTRA – La fermata – Cadoinpiedi.

di Luigi Grimaldi – 7 Maggio 2011
Gli intrecci pericolosi svelati dal pentito, fra rifiuti tossici, Somalia e partiti

Brusca, Dell’Utri e Berlusconi: qualcosa non torna, e non sono bruscolini. Riina mi disse “si sono rappresentati dell’Utri e Ciancimino che gli volevano portare la Lega e un altro soggetto”. Brusca, chiamato a deporre di fronte alla Corte d’Assise di Firenze nell’ambito del processo per la strage dei Georgofili è tornato sulla trattativa e sui referenti politici e sulle stragi del 1993 spiegando che servivano «a far tornare lo Stato o chi per esso a trattare» dopo l’interruzione di ogni contatto seguita alla strage di Via D’Amelio. Riina gli avrebbe ancora raccontato che Marcello Dell’Utri e Don Vito Ciancimino volevano portare la Lega a Totò Riina. Ma nella sua deposizione Brusca sembra voler dare un tono secondario, quasi incidentale, a questa vicenda rispetto alla sostanza del suo racconto e “butta là”, come niente fosse, la conferma che Berlusconi era stato individuato come futuro referente politico. Ed è qui che storia si fa, volenti o nolenti, assai succosa. Un po’ lunga ma interessantissima in quanto emergono elementi che fanno capire che nella deposizione del boss ci sono conti che non tornano affatto.
C’è un contatto con Dell’Utri, dice Brusca. Quando? Il quando è importante, molto importante: «A ottobre del 1993 con Bagarella ebbi un contatto con Dell’Utri, senza mai incontrarlo, attraverso Mangano, per avere modo di arrivare a Silvio Berlusconi….abbiamo convocato Mangano e lo abbiamo mandato a Milano con l’incarico di contattare Dell’Utri per dirgli che le bombe le avevamo messe noi e avremmo continuato a metterle se non cambiava qualcosa….So che Mangano si è incontrato con Dell’Utri e lui disse che si sarebbe messo a disposizione….».
Che potere potevano mai avere Berlusconi e Dell’Utri nell’ottobre del 1993 per “accontentare” Cosa Nostra nelle sue richieste? E perché mai gli attentati di Via Fauro, Via Palestro, Via dei Georgofili e alle chiese Romane avrebbero dovuto avere un potere ricattatorio su Publitalia? Brusca non lo spiega ma è questo il succo vero della sua deposizione. Ottobre 1993. Il quando è importante.
E’ clamoroso, ma per capire serve un passo indietro.
Nei mesi di agosto e settembre 1992, quindi subito dopo la strage di via D’amelio e l’interruzione della trattativa che, secondo Brusca avrebbe avuto come terminale Mancino, il responsabile dell’Agenzia dell’Onu per la Protezione dell’ambiente (Unep) a Nairobi, Mustafa Kamal Tolba, rivela in una conferenza stampa che imprese italiane e svizzere in collegamento con la “mafia italiana” stanno per realizzare un colossale smaltimento di rifiuti tossici in Somalia.
Che c’entra? Centra.
La denuncia del responsabile dell’Unep accende mille riflettori sull’operazione. Emerge così il nome di una società romana, la Fin Chart con sede in via Fauro 43 – proprio di fronte al luogo dove nel maggio 1993 esploderà la prima delle bombe della strategia mafiosa descritta da Brusca nella sua deposizione (l’esplosione aprirà un cratere tra il civico 41 e il 43). Questa società avrebbe infatti anticipato al ministro somalo della Sanità, Nur Elmi Osman, 13 miliardi di lire, scontando titoli di credito di proprietà somala di fatto senza valore. Il fatto è che il procuratore fiduciario del governo somalo per lo sblocco di fondi proprietà di quel paese bloccati in Italia in seguito alla guerra civile è tale Roberto Ruppen (precedentemente vicino alla sinistra Dc) che all’epoca è contemporaneamente il responsabile del Progetto Urano (snaltimento di scorie tossico nocive e nucleari in Somalia) ed uno dei pochi fidati personaggi incaricati da Dell’Utri di portare a termine un progetto ambizioso: trasformare Publitalia in un partito politico, Forza Italia. Anche qui il “quando” è importante: siamo a maggio 1992.

Il fatto è che Roberto Ruppen finisce sotto interrogatorio da parte della Procura della repubblica di Alessandria nell’ambito di una inchiesta che coinvolgeva anche altri protagonisti del Progetto Urano – per ricettazione di auto rubate e altro materiale – il 23 novembre 1993. Verso la fine dell’interrogatorio, a sorpresa, Ruppen mette a verbale: “Devo aggiungere peraltro che sono venuto a conoscenza che […] in Svizzera […] è stato […] arrestato tale Roberto Rupperi che ha molteassonanze con le mie generalità. […] Sono venuto a saperlo nell’ambito dell’attività che attualmente svolgo in seno al c.d. programma Forza Italia. Esibisco in proposito per le indagini del caso tutta la documentazione di cui sono in possesso. Trattasi di una documentazione che io ho trovato sul mio tavolo di lavoro in busta chiusa. Nella documentazione che ho rinvenuto si parla anche di Aldo Anghessa come soggetto partecipe di manovre di informazione e disinformazione in merito a diversi fatti di rilevanza nazionale”. Ruppen mette le mani avanti perché pochi giorni prima, e quindi poco dopo il “contatto dell’Ottobre del ’93 tra Brusca e Dell’Utri, è stato “bruscamente” allontanato dagli uffici di Publitalia con tutto il gruppo di lavoro. A raccontarlo è Ezio Cartotto, il capo di Ruppen, l’artefice della trasformazione di Publitalia in partito politico: «Un certo giorno venni a sapere che non avevo più l’ufficio all’ottavo piano. Addirittura mi ritrovai con la signora Lattuada, la segretaria di Dell’Utri, imbarazzata che mi comunicava che tutte le mie carte erano state messe in una scatola da ritirare. Ineffabile licenziamento in tronco senza essere mai stato assunto».
Cartotto chiede così spiegazioni a Berlusconi e si sente rispondere: «Ma sai… Marcello ha molti problemi… Ci sono in giro molte chiacchiere negative, informazioni negative sui tuoi collaboratori.
Ce li hai portati in casa». E ancora: «Sai, troppa gente viene e va, qui siamo in una situazione delicata […]. Girano dossier, girano informazioni…».
«A un tratto – continua Cartotto – scoprono cose che sapevano benissimo fin da quando era iniziato il tutto. Vengono scoperte a novembre.» Cartotto non spiega in modo esauriente a cosa si riferisse Berlusconi a proposito dei dossier e delle informazioni negative ma il ruolo e la deposizione di Ruppen, assieme ai riferimenti resi noti oggi da Brusca, chiariscono molto in merito. Insomma, se il messaggio con la bomba di Via Fauro del 14 maggio 1993 non fosse arrivato prima a destinazione, tra ottobre e novembre sembra essere arrivato al giusto destinatario.
Già perché assieme a Ruppen al progetto Urano è interessato anche un altro personaggio, Giancarlo Marocchino (al centro delle vicende legate all’assassinio a Mogadiscio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin il 20 marzo ’94) a sua volta legatissimo, e qui sta il punto, all’avvocato Stefano Menicacci, collegato a Paolo Bellini e assoluto protagonista della stagione delle Leghe del Sud, legato alla Lega Nord (di cui è stato anche avvocato) e al neofascista Stefano Delle Chiaie. Serve una conferma? Eccola.«I carabinieri – racconta Brusca in una deposizione di molto precedente alle attuali esternazioni – nel periodo delle stragi, avevano gli strumenti per capire le nostre mosse. Infatti con loro stavamo portando avanti contemporaneamente due trattative con lo Stato: quella del papello e quella riconducibile ai miei rapporti con Bellini per cui i carabinieri sapevano benissimo quello che noi volevamo ottenere.». Ecco, Bellini, appunto. Nell’informativa della Direzione investigativa antimafia di Palermo del 31 gennaio 1998 (Procedimento penale n. 3815/98) si fa infatti riferimento proprio ai rapporti fra l’avvocato Menicacci e Paolo Bellini, personaggio proveniente dalla destra eversiva, coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna e nel 1992 in contatto con il mafioso Nino Gioè nell’ambito di una delle cosiddette «trattative» che Cosa nostra avviò durante la stagione stragista. Il documento della Dia sottolinea anche qualcosa di clamoroso, stando alla odierna deposizione di Brusca quando afferma: «Nel ’93 su indicazione di Riina mandai Mangano a Milano da Dell’Utri e Berlusconi: senza revisione di maxiprocesso e 41 bis le stragi sarebbero continuate». «Dell’Utri e Ciancimino gli volevano portare la Lega e un altro soggetto che non ricordo». E infatti nel ’98 la Dia scrive in relazione a Menicacci e ai vertici delle Leghe del Nord: «Si evidenzia anche la partecipazione dell’on. Bossi, sempre nel 1990, ad alcune manifestazioni politiche organizzate da leghe costituite dall’avvocato Stefano Menicacci (ad esempio il 6 dicembre 1990 a Perugia in una manifestazione organizzata dalla Lega Umbra di Menicacci […])» e ancora: «Risulta, in particolare – scrivono i giudici di Palermo – che è stato candidato in alcune consultazioni elettorali nelle liste della Liga veneta l’avvocato Stefano Menicacci, uno dei promotori delle leghe meridionali, con un passato di primo piano negli ambienti degli attivisti della destra estrema, legale di Stefano Delle Chiaie, ma anche del leader della Liga veneta Franco Rocchetta, anch’esso proveniente dalle file della destra eversiva.». Un rapporto, quello di Menicacci col Carroccio, che dura nel tempo. Ancora nel gennaio 1993 l’avvocato viene incaricato dalla Lega Nord di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Roma per ottenere una ridefinizione della quota di finanziamento pubblico destinato al partito e relativo al risultato elettorale del 1992. Sulle strette relazioni tra Menicacci e il leghismo, la Dia giunge alla conclusione che l’avvocato Menicacci è «l’elemento di collegamento principale» fra la Liga veneta e le iniziative leghiste centromeridionali sviluppatesi negli anni Novanta. Signor Brusca, le sue deposizioni dovrebbero essere più precise ed esaurienti.

“Il servizio agli italiani” del Pdl a Pavia lo gestisce l’amico dei boss | Fabio Abati | Il Fatto Quotidiano

Fonte: “Il servizio agli italiani” del Pdl a Pavia lo gestisce l’amico dei boss | Fabio Abati | Il Fatto Quotidiano.

Il Caf creato dal ministro del Turismo apre due sedi nella città lombarda. A gestirlo Dante Labate, consigliere comunale azzurro, più volte intercettato mentre parla al telefono con i referenti delle cosche in Lombardia

Il presidente onorario è Silvio Berlusconi. La sua funzione, quella del classico patronato: “sviluppare ed estendere – come recita lo slogan – il concetto di assistenza al cittadino e all’impresa, offrendo soluzioni concrete a problemi quotidiani, dal settore previdenziale a quello fiscale, dalla formazione al lavoro, alla difesa dei consumatori”. Insomma, “Pdl, al servizio degli italiani” è una specie di Caf azzurro, nato sotto l’egida di B. ma affidato in provincia a figure di partito con uno spiccato radicamento territoriale. E a volte chiacchierate.

A Pavia l’associazione “al servizio degli italiani” arriverà per iniziativa dell’attuale consigliere comunale, naturalmente in quota Pdl, Dante Labate. Ribattezzato sui blog che si occupano di notizie politiche pavesi, “l’iper-intercettato”, Labate ha riempito molte parti dei documenti riguardanti l’ultima grande operazione anti-‘ndrangheta effettuata in Lombardia, la “Infinito”. Spesso era al telefono con Carlo Chiriaco, il direttore sanitario dell’Asl che si vantava di essere tra i capi della ‘ndrangheta a Pavia; e con Pino Neri, il referente per le cosche nella regione motore economico del paese, dopo la morte del grande capo Carmelo Novella.

Labate non è indagato, ma stando alle indagini della distrettuale antimafia di Milano viene, suo malgrado, tirato in ballo da Chiriaco, “colui che si pone – scrivono i magistrati – come mediatore tra il mondo politico pavese e alti esponenti di ‘ndrangheta”.

Labate prosegue però la sua carriera tra le fila del Pdl. Oltre a mantenere la carica in consiglio comunale, fa parte del direttivo dell’Aler di Pavia, l’ente che gestisce gli alloggi popolari. Le recenti cronache, poi, riportano la sua partecipazione alla convention romana in cui l’associazione di patronato è stata costituita, alla presenza di Berlusconi e del ministro Michela Vittoria Brambilla. A quest’ultima il compito di occuparsi dell’organizzazione pratica della struttura. A Pavia sono previste due sedi, tutte nel centro della città: in piazzale Nenni e in corso Manzoni.

Labate s’è sempre detto sereno e minimamente preoccupato di fronte alle indagini della Boccassini e a quanto trapelato su giornali. Del resto, altri componenti della sua famiglia sono finiti nel tritacarne della magistratura. Suo fratello Massimo, anch’egli consigliere comunale ma a Reggio Calabria – città d’origine della famiglia Labate – nel 2007 è stato addirittura arrestato per concorso esterno. Ma nel 2010 il processo lo ha riconosciuto innocente e quindi assolto. Nel febbraio di quello stesso anno Dante Labate commenta l’accaduto nientemeno che con Pino Neri: “Perché c’è un assurdo logico e giuridico in tutti i campi…ma no…ma io me lo auguro…ed è una piena rivalutazione da un punto di vista… perché se lo merita e glielo devono tutti…tutto l’ambiente…”. L’oggetto era naturalmente il reintegro del fratello sulla scena politica e sociale.

Massimo Labate è stato consigliere comunale per Alleanza nazionale nella giunta di Giuseppe Scopelliti, prima che lo stesso diventasse Presidente della Regione Calabria. Proprio Scopelliti sarà a Pavia il prossimo 3 giugno a inaugurare i due centri “al servizio degli italiani”.

Labate li gestirà assieme ai colleghi di consiglio, Giuseppe Arcuri, Carlo Conti e Valerio Gimiliano. Con loro tre minacciò l’uscita dal partito lo scorso novembre, per dei dissidi intestini che paiono rientrati. Il Pdl pavese, infatti, ha dovuto trovare a tutti i costi coesione in vista delle prossime votazioni, in programma il 15 e 16 maggio, per il rinnovo della Provincia. Sui movimenti politici in previsione di quella scadenza, l’antimafia milanese si è abbattuta come uno tsunami. Giancarlo Abelli e Giovanni Alpeggiani, pdl ed entrambi citati nell’inchiesta Infinito (non indagati), hanno mollato Vittorio Poma, l’attuale presidente, colui che avrebbe volentieri replicato il suo mandato. Ma la Lega ne ha preteso la testa, per le dimissioni a cui costrinse Angelo Ciocca, consigliere regionale e assessore in provincia, fotografato assieme a Pino Neri. Sarà Ruggero Invernizzi il candidato del centro destra. Poma lo osteggerà come leader del terzo polo, appoggiato pure da “Rinnovare Pavia” di Enrico Filippi, altro nome citato da Chiriaco ma non penalmente rilevante.

ComeDonChisciotte – IL DINARO D’ORO: SALVARE L’ECONOMIA MONDIALE DA GHEDDAFI

Fonte: ComeDonChisciotte – IL DINARO D’ORO: SALVARE L’ECONOMIA MONDIALE DA GHEDDAFI.

FONTE: RTCOM

Qualcuno crede che sia per proteggere i civili, o per il petrolio, ma altri sono convinti che l’intervento in Libia ha a che fare con il progetto di Gheddafi per introdurre il dinaro d’oro, un’unica divisa africana fatta d’oro, una condivisione di valore reale.

È una di quelle cose che devi progettare in gran parte al segreto perché, appena dirai che hai intenzione di passare dal dollaro a qualcos’altro, sarai considerato un obbiettivo da colpire“, sono le parole del dottor James Thring, del Ministry of Peace & Legal Action Against War. “Ci sono state due conferenze che avevano questo come oggetto, nel 1986 e nel 2000, organizzate da Gheddafi. Tutti erano molto interessati, la maggior parte degli stati africani era entusiasta.”

Gheddafi non si è dato per vinto. Nei mesi che hanno portato all’intervento militare, ha chiamato a raccolta le nazioni africane e musulmane per creare insieme una nuova moneta che avrebbe rivaleggiato con l’euro e il dollaro. Avrebbero venduto il petrolio e le altre risorse in tutto il mondo solo in cambio di dinari d’oro.

È un’idea che avrebbe spostato la bilancia dell’economia mondiale.

Il valore di una nazione sarebbe così dipeso dall’oro nei propri forzieri e non da quanti dollari ha scambiato. E la Libia aveva 144 tonnellate d’oro. Il Regno Unito, ad esempio, ne ha il doppio, ma ha anche una popolazione di 10 volte maggiore.

“Se Gheddafi avesse l’idea di riprezzare il petrolio o qualsiasi altra cosa il paese riesca a vendere sul mercato globale e accettare qualsiasi altra divisa o addirittura lanciare una moneta d’oro, una mossa del genere non sarebbe certo ben accetta dall’élite al potere, che è responsabile del controllo delle banche centrali mondiali”, ha detto Anthony Wile, fondatore e editore capo del Daily Bell.

“Sì, sarebbe certamente un qualcosa che potrebbe provocare una sua immediata deposizione e la ricerca di altre ragioni che possano giustificare la sua rimozione dal potere.”

È già successo altre volte.

Nel 2000 Saddam Hussein annunciò che il petrolio iracheno sarebbe stato scambiato in euro, non in dollari. C’è chi motiva le sanzioni e la susseguente invasione con il fatto che gli Americani erano disposti a tutto per evitare che i paesi membri dell’OPEC usassero l’euro nel commercio del petrolio.

L’introduzione del dinaro d’oro avrebbe serie conseguenze per il mondo finanziario internazionale, ma darebbe anche molto potere ai popoli d’Africa, una cosa che gli attivisti di colore ritengono gli Stati Uniti vogliano evitare a ogni costo.

“Gli Stati Uniti hanno negato l’autodeterminazione degli africani all’interno del suo territorio, e allora non siamo sorpresi da qualsiasi cosa gli Stati Uniti facciano per ostacolare l’autodeterminazione degli africani nel proprio continente”, dice Cynthia Ann McKinney, un’ex componente del Congresso USA.

L’oro del Regno Unito è tenuto in un deposito sicuro nelle profondità della Banca d’Inghilterra. Ma come nella maggior parte dei paesi sviluppati, non ce n’è abbastanza per tutti.

Ma questo non è il caso di paesi quali la Libia e molti di quelli del Golfo.
Un dinaro d’oro darebbe ai paesi africani e mediorientali ricchi di petrolio la forza di prendere di petto i propri clienti affamati di energia e dirgli: “Spiacenti, il prezzo è rialzato, e noi vogliamo l’oro.”

Alcuni pensano che gli Stati Uniti e i suoi alleati nella NATO non si potrebbero permettere che ciò accada.

Fonte: http://http://rt.com/news/

Link: http://rt.com/news/economy-oil-gold-libya/

05.05.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

La strana polizia europea

Fonte: La strana polizia europea.

Si chiama Eurogendfor. Una sigla, solo una sigla apparentemente innocua, che però in italiano diventa “Gendarmeria europea”. Proprio in questi giorni, circondata da uno strano silenzio della stampa, è in discussione presso le commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati la proposta di legge di ratifica del trattato, datato 18 ottobre 2007, che istituisce questa strana gendarmeria: una forza militare sub-europea indipendente.

Andando a scavare nella documentazione dell’Unione Europea risulta difficile scovare genesi e obiettivi di questo organismo. Sulla carta è nato il 18 ottobre 2007, con il Trattato di Velsen, anche questo poco o nulla pubblicizzato presso i cittadini europei. Ne fanno parte non tutti i Paesi UE, ma solo quelli dotati di una polizia militare: Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e Italia. Secondo il Trattato, si tratta di una sorta di super-polizia sovranazionale a disposizione della UE, dell’OSCE, della NATO o di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche.

Una forza pre-organizzata, robusta e rapidamente schierabile, composta esclusivamente da…

elementi delle forze di polizia con status militare, al fine di svolgere tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi. Dal 17 Dicembre 2008, fa parte a pieno titolo di Eurogendfor anche la Gendarmeria romena, portando quindi a sei il totale degli Stati membri.

Eurogendfor può contare su una forza di 800 “gendarmi” mobilitabile in 30 giorni, più una riserva di altri 1.500; il tutto gestito da due organi centrali, uno politico e uno tecnico. Il primo è il comitato interdipartimentale di alto livello, chiamato CIMIN, acronimo di Comité InterMInistériel de haut Niveau, composto dai rappresentanti dei ministeri degli Esteri e della Difesa aderenti al trattato. L’altro è il Quartier generale permanente (PHQ), composto da 16 ufficiali e 14 sottufficiali (di cui rispettivamente 6 e 5 italiani). I sei incarichi principali (comandante, vicecomandante, capo di stato maggiore e sottocapi per operazioni, pianificazione e logistica) sono ripartiti a rotazione biennale tra le varie nazionalità, secondo gli usuali criteri per la composizione delle forze multinazionali.

Non si tratta quindi di un vero corpo armato europeo, un inizio di esercito unico europeo, nel qual caso si collocherebbe alle dipendenze di Commissione e Parlamento Europeo, ma di un semplice corpo armato sovra-nazionale che, in quanto tale, gode di piena autonomia. Non risponde delle proprie azioni a nessun Parlamento nazionale, né al parlamento europeo. Dunque, a chi risponde?

La sede del Quartier generale di Eurogendfor è in Italia, precisamente nella Caserma Chinotto a a Vicenza, dopo un lungo e silenzioso negoziato con la solita Francia. Ma a cosa serve, e soprattutto perché tanto silenzio? Non lo sappiamo per certo, ma la circostanza del silenzio mediatico pone determinati e seri interrogativi, soprattutto in considerazione del fatto che alcuni articoli del trattato prevedono una totale immunità giudiziaria a livello nazionale ed internazionale.

Non solo. L’articolo 21 del trattato di Velsen prevede infatti l’inviolabilità dei locali, degli edifici e degli archivi di Eurogendfor. L’articolo 22 immunizza le proprietà ed i capitali di Eurogendfor da provvedimenti esecutivi dell’autorità giudiziaria dei singoli stati nazionali. L’articolo 23 prevede che tutte le comunicazioni degli ufficiali di Eurogendfor non possano essere intercettate.

L’articolo 28 prevede che i Paesi firmatari rinuncino a chiedere un indennizzo per danni procurati alle proprietà nel corso della preparazione o esecuzione delle operazioni. L’articolo 29 prevede infine che gli appartenenti ad Eurogendfor non potranno subire procedimenti a loro carico a seguito di una sentenza emanata contro di loro, sia nello Stato ospitante che nel ricevente, in tutti quei casi collegati all’adempimento del loro servizio.

Queste sono le inquietanti protezioni di cui la struttura si è dotata. Ma che compiti avrebbe? Nel trattato di Velsen c’è un’intera sezione intitolata “Missions and tasks”, in cui si apprende che Eurogendfor potrà operare “anche in sostituzione delle forze di polizia aventi status civile”, in tutte le fasi di gestione di una crisi e che il proprio personale potrà essere sottoposto all’autorità civile o sotto comando militare.

Vastissimi sono i compiti che il trattato affida a Eurogendfor: tra le altre cose garantire la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico, eseguire compiti di polizia giudiziaria (anche se non si capisce per conto di quale Autorità Giudiziaria, controllo, consulenza e supervisione della polizia locale, compreso il lavoro di indagine penale, dirigere la pubblica sorveglianza, operare come polizia di frontiera, acquisire informazioni e svolgere operazioni di intelligence.

Forse il vero scopo di Eurogendfor è proprio in questo ultimo punto: con tutte le immunità e le protezioni di cui si è dotata, la struttura somiglia più a un servizio di spionaggio interno ed esterno, che ad uno di polizia. E’ stata progettata una sorta di struttura militare sovranazionale che potrà operare in qualsiasi parte del mondo, sostituirsi alle forze di Polizia locali, agire nella più totale libertà e che, al termine dell’ingaggio, dovrà rispondere delle sue azioni al solo comitato interno. Pertanto, non sembra una Polizia, ma qualcosa di simile al KGB sovietico, alla Stasi della DDR, all’OVRA di Mussolini, alla Gestapo di Hitler.

In Italia, i relatori del provvedimento di ratifica sono gli onorevoli Filippo Ascierto e Gennaro Malgieri, entrambi del PDL, che assicurano che i chiarimenti del caso potranno essere dati in Aula, a Montecitorio, precisando che questa squadra speciale di polizia militare extra-nazionale risponderà solo ai ministri degli Esteri e della Difesa degli Stati membri. Cosa alquanto pericolosa, perché dietro vi è celato il potere, dato ad ogni Paese firmatario, di espropriare i propri parlamenti dalle decisioni sull’impiego delle proprie truppe. E consente di farlo in piena legalità.

In pratica, è un altro pezzo di democrazia che va via, che toglie potere ai parlamenti regolarmente eletti. L’opinione pubblica non lo sa, perché i mezzi d’informazione tacciono. Sappiamo infatti tutto sulle libertà sessuali del Premier, ma poco su quelle civili di noi tutti. Quando la democrazia va in deficit, l’informazione si adegua?

Alessandro Iacuelli

ComeDonChisciotte – LA TERRIBILE RIVOLUZIONE

Fonte: ComeDonChisciotte – LA TERRIBILE RIVOLUZIONE.

 IL NEOLIBERISMO È UN RISCHIO PER LA SALUTE PUBBLICA ?

DI BEN WINEGARD E CORTNE JAI WINEGARD
DissidentVoice.org

Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi…
Charles Dickens

La rivoluzione neoliberale, che iniziò negli anni Settanta, ha prodotto una diseguaglianza sociale mai vista dalla Gilded Age [1].
Nel periodo 1942 – 1978 il 10% più influente della società deteneva circa il 33% del benessere nazionale. Attualmente la percentuale di benessere del 10% al top costituisce il 47%. Ancor più sorprendentemente, lo 0,1% delle migliori famiglie (una su 1.000) ha visto aumentare la propria percentuale di reddito da poco meno dell’1% nel 1978, a circa 5% nel 2008 [2].

Le politiche che hanno creato questa disparità di benessere, incluse privatizzazioni, deregolamentazione e il sostegno alla stabilità macroeconomica, si sono guadagnate le ingiurie dei critici e il plauso degli apologeti. Nel dibattito mainstream, il plauso al libero mercato e il chiacchiericcio anti-governativo sono quasi necessità [3].

È considerato segno di virtù nutrire una fede mistica nelle proprietà taumaturgiche del libero mercato. Certo, a conti fatti, sia i progressisti che i conservatori desiderano un potente apparato regolatore e uno stato interventista. I progressisti preferiscono che questi strumenti vengano usati per creare maggior equità; i conservatori vorrebbero usarli per far defluire più reddito verso l’alto [4].

I critici del neoliberismo hanno scritto innumerevoli lavori spiegando nel dettaglio le negative conseguenze economiche e sociali associate alle politiche neoliberiste [5,6,7,]. La maggior parte dei progressisti conosce queste critiche e se ne avvale in discussioni, blog, articoli e libri.
Purtroppo, c’é una lacuna nelle critiche progressiste per cui gli apologeti possono rimanere irreprensibili difensori della fede: le conseguenze psicologiche della politica neoliberista non sono state provate rigorosamente – al di fuori della letteratura specializzata [8].
Ne risulta direttamente che l’entusiasta neoliberista ammette i fatti economici, ma sostiene che maggior libertà, individualismo e prosperità ne ripagano ampiamente i costi.
Certo, i lavoratori non specializzati e gli operai stanno peggio rispetto a 30 anni fa, ma a chi importa? L’apologeta si profonde nel lodare l’incomparabile quantità di beni di consumo disponibili per la vendita. E alla fine fa notare che il vicino della classe operaia ha due cellulari e un televisore a schermo piatto.
E se avesse ragione? Se i dati raccolti negli ultimi 40 anni ci fornissero la prova che i cittadini statunitensi sono più felici e sani che mai, sarebbe più difficile condannare senza attenuanti il neoliberismo. Viceversa, se i dati fornissero delle prove del crescente malessere psicologico e fisico sarebbe difficile reclamizzare la salubrità del neoliberismo.

Le patologie del neoliberismo

La felicità è il significato e lo scopo della vita, l’obiettivo ed il fine ultimo dell’esistenza umana.
AristoteleNeoliberismo e felicità

I neoliberisti spesso si appellano alla maggior prosperità, alla libertà, alla possibilità di scelta del consumatore per giustificare il loro fondamentalismo di mercato. Alla base di tutto questo il presupposto, che non trova però alcun riscontro, che la possibilità di scelta del consumatore e il benessere sono, necessariamente, fonte di felicità.
Guardando alle ricerche accademiche, è vero che livelli più alti di reddito sono associati, in tutta la nazione, a maggior felicità. Per esempio, i ricercatori hanno individuato correlazioni da moderate a forti (fra .50 e .70) fra reddito pro capite e benessere medio in tutte le nazioni [9]. Comunque, se il reddito è a livello moderato (circa 10.000 dollari USA pro capite), gli effetti di un aumento di reddito sulla felicità sono marginali o nulli [10, 11].
Negli Stati Uniti la felicità media è rimasta la stessa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, mentre la percentuale di americani che si considerano molto felici è rimasta stagnante dagli anni ’60 (vedi grafico sotto) [12, 13, 14].


[ (Cliccare il link per ingrandire N.d.r.). Myers, D.G., & Diener, E. (1995). Who is happy? Psychological Science, 6, 10-19. p 13. Reprinted with APA permission.]

I sostenitori del neoliberismo hanno ragione quando sostengono che il senso di libertà aumenta il benessere soggettivo; hanno torto nel presupporre che le politiche neoliberiste massimizzano la libertà percepita [15].
Le politiche neoliberiste aumentano la disuguaglianza, che a sua volta fa diminuire il senso di libertà ed è associata a una serie di malesseri sociali (i dettagli più sotto). Inoltre, le nazioni che hanno il maggior tasso di soddisfazione di vita, Danimarca, Olanda, Norvegia e Svizzera, sono tutte più egualitarie e collettiviste rispetto agli Stati Uniti [16].
Ciò trova conferma nelle ricerche in cui si dimostra che le politiche più generose dei welfare-state sono associate a livelli più alti di felicità [17]. Ci sono un paio di ragioni per cui i paesi relativamente collettivisti con generose politiche di welfare tendono a essere paesi più felici degli Stati Uniti.
In primo luogo, in un ambiente sociale competitivo e iper-individualistico il reddito diventa uno degli oggetti di desiderio principali e, di conseguenza, l’individuo sopravvaluta la sua importanza nel creare benessere e perde di vista fattori più importanti [18].
In secondo luogo, di solito la gente trova giovamento dall’avere possibilità di scelta, ma è provato che troppa possibilità di scelta è, invece, deleteria per il benessere.
Questo fenomeno è stato giustamente definito il paradosso della scelta.

Per fare un esempio a riguardo, pensate all’ultima volta in cui siete andati al supermercato. Non siete mai stati sommersi da dentifrici in offerta?
Che differenza c’é fra un dentifricio al fluoro ad azione sbiancante ed uno al fluoro che protegge lo smalto? Dovreste usare il fluoro, il perossido o il bicarbonato? Oppure tutti insieme?
Ci troviamo di fronte al paradosso della scelta perché vorremmo fare scelte razionali, ma abbiamo poco tempo e poche informazioni. Spesso é impossibile avere sufficienti informazioni per fare la scelta migliore. Perciò soccombiamo di fronte a beni di consumo che fanno ben poco per aumentare la nostra felicità, anzi aumentano l’ansia.
Fintanto che il neoliberismo promuoverà il consumismo, probabilmente diminuirà la nostra percezione soggettiva di benessere.

Lo squilibrio tra ricchi e poveri è la più antica e la più fatale di tutte le malattie delle Repubbliche.
PlutarcoDisuguaglianza e funzionamento psicologico

La disuguaglianza è aumentata drasticamente nell’era neoliberista – lo ammettono anche gli apologeti più sfacciati. Gli esperti più ottimisti ribattono che la disuguaglianza è irrilevante fintanto che la società accresce la propria ricchezza in termini assoluti. Controbattono anche che la disuguaglianza è il prezzo che si paga per la libertà di poter perseguire i propri talenti. La ricerca scientifica, tuttavia, ci racconta una storia totalmente diversa.
Centinaia di studi dimostrano che la disuguaglianza è controproducente sia socialmente sia psicologicamente [20, 21, 22]. La tabella sottostante mostra una panoramica degli effetti della disuguaglianza [23, 24, 25, 26, 27].


[ (Cliccare il link per ingrandire N.d.r.). Referenze 23-27. Nota: le frecce indicano l’aumentare o il diminuire dei parametri con la diseguaglianza.]

Uno sguardo veloce alla tabella mostra che la disuguaglianza è correlata a un peggior stato di salute generale e psicologico della popolazione, così come a una serie di malesseri sociali. Anche la mobilità sociale, la cause célèbre degli aficionados neoliberisti, è negativamente correlata alla disuguaglianza (es. più equa la società, maggiore la mobilità sociale).
Questi dati aiutano ulteriormente a comprendere la mancanza di relazione fra il reddito pro capite e la felicità: non è il reddito che conta, né la sua distribuzione relativa.

Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale. La nostra grande depressione è la nostra vita.
Fight ClubChe effetto fa crescere neoliberali

La generazione X e le generazioni successive sono, in modo preoccupante, le cavie della storia neoliberale. Se i sostenitori del neoliberismo avessero ragione, queste generazioni dovrebbero essere dotate di una felicità e di una forza psicologica impensabili per le generazioni precedenti.
D’altro canto, se i dubbi dei critici sono anche solo parzialmente fondati, dovremmo assistere a numerosi esiti psicologici e sociali che non vanno esattamente nella direzione voluta. Dunque, come ci ha fatto notare Mike Males, dobbiamo fare attenzione a non usare le giovani generazioni come capro espiatorio [28].
Ma dobbiamo anche resistere alla tentazione opposta – Males è quasi riuscito a scrivere un’agiografia a proposito [29].

In passato, tutto ciò su cui ci potevamo basare per dare prova dei trend generazionali erano le critiche fornite dai più giovani riguardo a chi li aveva preceduti. Certo non è una testimonianza imparziale. Fortunatamente, di recente, Jean Twenge e i suoi colleghi hanno condotto una ricerca pionieristica sui metodi trasversali per stabilire i trend generazionali rigorosamente e oggettivamente [30, 31]. In sostanza, il metodo consiste nel raccogliere i punteggi di sondaggi che vadano il più possibile indietro nel tempo. Per esempio, da sondaggi sugli studenti del college potremmo raccogliere punteggi riguardanti l’autostima a partire dal 1976 a oggi.
Poi potremmo prendere la media delle matricole del 1976 e compararla a quella delle matricole del 1977 e così fino ai dati pubblicati recentemente. La genialità di questo metodo è che possiamo fare tutti i tipi di analisi statistiche mettendo a confronto studenti di college in diversi periodi e possiamo quantificare trend longitudinali. Può essere un po’ più impegnativo di pontificare aneddoticamente, ma ha l’innegabile vantaggio della fondatezza scientifica.

La tabella sottostante presenta un estratto degli indicatori sociali e psicologici (es. manifestazioni empiriche del nostro concetto generale di benessere psico-sociale), così come il trend generale nelle diverse epoche. La tabella riporta anche l’età della coorte (es. studenti di college), i dati raccolti così come la durata (es. 1976-1993) [32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44].


[ (Cliccare il link per ingrandire N.d.r.). Referenze 32-44. Nota: le frecce indicano l’aumentare o il diminuire dei parametri nel periodo indicato. ]

C’é stato un declino nel capitale sociale a partire dalla metà degli anni Sessanta, in tutti i gruppi. Ciò è evidente in tutto, a partire dalla diminuzione della partecipazione al voto fino alle meno frequenti conversazioni con i vicini.
Fra le giovani coorti si tende al narcisismo individualistico, come dimostrato dall’aumento, nel tempo, della considerazione di sé, dell’autostima e della personalità narcisistica. Ovvero, i giovani di oggi danno punteggi più alti a questi parametri di quanto non dessero i giovani di 10 o 20 anni fa.
Mentre l’alta autostima di solito è un fatto positivo, non lo é se non va di pari passo con risultati visibili. In questo caso, l’alta autostima porta a ambizione irrazionale, competitività, diffidenza e narcisismo. Lo stesso vale, a fortiori, per la visione positiva di sé. Certo, è un fatto positivo avere una visione positiva di sé. Tuttavia, se si crede di essere i più intelligenti, attraenti e atletici del mondo, si tenderà ad essere meno cooperativi ed altruisti.

È interessante che sia il locus of control esterno, sia la fiducia nel mondo sono in aumento dagli anni ’70. Il locus of control esterno é la convinzione che sia più che altro la fortuna a determinare la propria vita.
Gli individui che danno punteggi alti di locus of control esterno tendono ad essere cinici, dato che non credono che le proprie azioni possano dare buoni risultati. Perciò, se si ha un crescente locus of control esterno, è probabile che l’individuo non faccia molti tentativi per ottenere ciò che desidera. La fiducia nel mondo si riferisce alla tendenza a credere che il mondo sia sostanzialmente giusto e che le persone ottengano quello che si meritano. Gli individui che hanno fiducia nel mondo tendono a giustificare lo status quo e a incolpare gli altri per i loro fallimenti – anche se questi sono causati da fenomeni esterni (es. cambi strutturali nell’economia, gravi malattie). Perciò, i giovani di oggi tendono a giustificare lo status quo e a incolpare le vittime più di quanto facessero i giovani degli anni Settanta.

Presa nell’insieme, la ricerca riassunta nella tabella soprastante è una prova schiacciante contro i sostenitori del neoliberismo. I giovani di oggi soffrono di crescente ansia, depressione e disagi psicologici; mostrano una esagerata visione di sé e minor empatia; credono che il denaro sia importante, più di quanto non credessero le generazioni precedenti; e tendono ad accettare lo status quo con cinica sopportazione.
Questi trend psicologici sono rispecchiati da un costante declino del capitale sociale e da un aumento del mero materialismo [45]. Ma non dobbiamo incolpare subito i giovani per queste tendenze. Sono causate da cambiamenti materiali e culturali, non da cambiamenti psicologici innati.
Sono il risultato di una cultura basata su valori materialisti e individualismo. In breve, sono i risultati prevedibili della politica neoliberale.
In conclusione: il neoliberismo è un rischio per la salute pubblica.

Dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace.
TacitoLe prove appena presentate, prese in toto, sono incontestabili e mirano ad una sola conclusione: le politiche neoliberiste sono un pericolo per la salute pubblica. Come le sigarette, la propaganda neoliberista dovrebbe recare una monito del Ministero della Salute: il neoliberismo può causare depressione, ansia, cinismo ed é stato associato a un impoverimento del capitale sociale. I critici progressisti del neoliberismo dovrebbero avvalersi di queste scoperte nei blog, negli articoli e nelle conversazioni.
E’ difficile credere che la maggior parte degli americani tollererebbe le politiche neoliberiste se fosse a conoscenza delle conseguenze.

Si spera che queste prove colmeranno la lacuna cui si accennava in apertura. Non c’è motivo per cui ignorare la psicologia parlando di politiche sociali.
Infatti, è proprio per gli esiti di queste politiche sulle persone in carne ed ossa che le critichiamo. I progressisti, talvolta, evitano la psicologia. Purtroppo gli apologi del neoliberismo l’hanno usata a loro vantaggio: mentre spendono paroloni riguardo le supposte virtù del libero mercato e la possibilità di scelta del consumatore, i progressisti, nella maggior parte dei casi, rispondono con chiare statistiche riguardo disuguaglianza e disoccupazione.
Non è difficile capire a chi dà più ascolto il cittadino medio. Armati dei dati sulla psicologia, i progressisti possono controbattere con acute descrizioni di malessere psicologico crescente.

Mentre non abbiamo nessun consiglio saggio da offrire agli attivisti, è importante tenere a mente che il neoliberismo non è il nostro fato. Ci sono delle alternative.

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Ben Winegard è uno studente laureato di psicologia evolutiva e dello sviluppo presso la University of Missouri. Ha pubblicato articoli specialistici peer-reviewed sul tifo sportico e sulla insoddisfazione femminile verso il proprio corpo. Si interessa alla politica radicale e all’attivismo. Ben può essere contattato presso: bmw8vb@mail.missouri.edu. Cortne Jai Winegard ha un Master’s Degree in sviluppo delle comunità e pianificazione urbana. E’ attiva nell’area di Columbia, Missouri nella promozione di uno stile di vita semplice e della bicicletta. Non possiede veicoli a motore e ne và fiera. Si interessa di politica radicale e attivismo. Cortne può essere contattata presso: QiQiJai@yahoo.com. Altri articoli di Ben Winegard Cortne Jai Winegard

Titolo originale: “The Awful Revolution: Is Neoliberalism a Public Health Risk?”

Fonte: http://dissidentvoice.org
Link
19.04.2011

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di GIADA GHIRINGHELLI

L’attentato al Papa e il nido di serpi- Blog di Beppe Grillo

Fonte: L’attentato al Papa e il nido di serpi- Blog di Beppe Grillo.

Lech Walesa di Solidarnosc doveva essere assassinato dai servizi dell’Est. I servizi francesi vennero a conoscenza dell’attentato a Giovanni Paolo II e avvertirono il Vaticano. Le Brigate Rosse erano collegate con i servizi bulgari. Alì Agca fu assunto come killer dall’Urss attraverso la mediazione della Bulgaria. Il rapimento di Emanuela Orlandi fu un avvertimento a Agca, che da allora si finse pazzo e smise di parlare. L’Occidente non fece nulla in seguito per arrivare alla verità per non compromettere il processo di distensione con l’Unione Sovietica. Una delle due guardie svizzere, Alois Estermann, trovate uccise nel 1998 in Vaticano insieme alla moglie, un caso apparente di omicidio suicidio, era una spia della Stasi arrivata al vertice della Polizia Vaticana. Woytila in un colloquio con Indro Montanelli definì la vicenda dell’attentato un “garbuglio“. Un pozzo nero, un groviglio di serpi che più sciogli più si rivela complesso, inestricabile e sempre pericoloso anche per chi si avvicina alla verità a distanza di 30 anni, da quel 13 maggio 1981 in piazza San Pietro.

Intervista a Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato autori di “Attentato al Papa“.
Il grande complotto (espandi | comprimi)
S. Provvisionato – Per uccidere il Papa, questo era l’obiettivo, fortunatamente fallito, bisognava mettere in campo più forze, non è come qualcuno ancora si ostina a dire: l’atto isolato di un turco folle, anche se Agca ha delle vene di follia. E’ un qualcosa invece di molto più complesso, perché il Papa? Perché siamo nel 1981, in piena guerra fredda, l’impero sovietico, che crollerà nel 1989 comincia a scricchiolare e in questo contesto un Papa polacco che è molto legato a Solidarnosc, il sindacato polacco che sta minando le basi della repubblica polacca, è un Papa che dà fastidio, va assolutamente eliminato.
Il fatto di non essere riusciti a eliminarlo sarà per il blocco dell’Est un grande autogol, tant’è che il Papa diventerà ancora più Santo, la sua santità che si celebra in questi giorni nasce proprio da lì, dal fatto che riesce a scampare da un attentato, ma perché un grande intrigo ancora? Perché non finisce con l’attentato al Papa, la nostra non è altro che un’inchiesta giornalistica che si basa soprattutto su documenti, molti inediti, di provenienza della Germania dell’Est, Stasi soprattutto, è un grande intrigo che non finisce con l’attentato al Papa ma continua perché dopo l’attentato al Papa, fallito, c’è il problema che questo Ali Agca comincia a parlare, comincia a raccontare delle cose dopo un periodo di lungo silenzio, comincia a raccontare la verità. La verità dà fastidio, però a tutti dà fastidio, anche al blocco occidentale, perché se veramente i sovietici insieme ai bulgari e ai tedeschi dell’Est hanno organizzato questo grande complotto, la famosa Ostpolitik, la politica di espansione tra due blocchi non può andare in porto e allora ecco il grande muro di gomma che si crea intorno all’attentato al Papa. Il Vaticano non vuole più parlare di questa storia, si trovano ostacoli, addirittura orditi dai nostri servizi segreti combutta con quelli dell’Est.
Poi c’è il capitolo più doloroso, quello di Emanuela Orlandi, la ragazza figlia di un dipendente del Vaticano, al terzo tentativo perché inizialmente ci sono altre due ragazze del Vaticano messe nel mirino dei sequestratori, viene sequestrata. Viene sequestrata a un solo scopo: intimidire e attirare in una trappola Agca, cosa significa? Agca sta parlando, sta raccontando tutto, Agca ha delineato la pista bulgara ma c’è una coincidenza che neanche a livello giudiziario all’epoca era stata notata. Il 24 giugno 1983 sparisce Emanuela Orlandi, il 26 giugno, appena 2 giorni dopo Agca smette di parlare, il sequestro di Emanuela non è un sequestro chiaro fin dall’inizio, si pensa a una sparizione, ma Agca ha capito che il sequestro di Emanuela è legato a lui, quindi cosa fa? Da una parte smonta tutto quello che aveva costruito, dall’altra spera in uno scambio con questa ragazza. Non otterrà né l’uno né l’altro in realtà, perché poi la pista bulgara sarà indagata al di là delle cose che lui tratterà, fingendosi addirittura pazzo, ricorderete che nel corso del processo Ali Agca fa il matto, dice di essere Gesù Cristo, dice di essere il profeta tornato sulla terra, racconta un sacco di balle.
Purtroppo il sequestro alla Orlandi Emanuela non sortirà nessun effetto neanche per quanto riguarda la sua liberazione.

La pista bulgara (espandi | comprimi)
F. Imposimato – Le indagini fatte dopo i processi hanno confermato la validità della pista bulgara, tanto che uno dei testimoni di questa vicenda che è l’interprete dell’ambasciata bulgara che si chiama Assen Marcevski ha scritto un libro “I misteri italo – bulgari” in cui dice che addirittura i giudici bulgari Jordan Ormankov e Stefan Markov Petkov, che poi non erano giudici, ma agenti segreti bulgari, cercarono di convincere Ivanov Antonov che era un capo della Balcan Air, a confessare di aver commesso il delitto assieme a Ali Agcaperò a confessare di averlo fatto per fini privati e non per conto dello Stato bulgaro.
Quindi questa circostanza che è emersa però soltanto 20 anni dopo, conferma la validità della pista bulgara, è vero che Ali Agca poi a un certo punto ha incominciato a fare il farneticante, il delirante, l’islamico, il terrorista islamico, però questo è avvenuto dopo che egli è stato minacciato nel carcere di Rebibbia da due falsi giudici che erano Jordan Ormankov e Stefan Markov Petkov , i quali erano addestrati a Berlino Est dove andavano durante il periodo precedente l’attentato e dove avevano contatti con il capo della Stasi che era Markus Wolf. Sono andato a parlare con Markus Wolf, il quale mi ha confermato che dietro l’attentato al Papa c’erano i bulgari, però questo non ha voluto ovviamente dirlo in maniera ufficiale, che loro fecero tutta una serie di operazioni per sviare le indagini dalla Bulgaria, portandoli invece sui lupi grigi e sulla Cia e questa opera di depistaggi poi ha prodotto degli effetti devastanti perché ancora oggi noi siamo costretti a constatare che molti si lasciano condizionare dai depistaggi proprio di Markus Wolf e di Gunther Bohnsack e della Stasi che era la polizia segreta della Germania orientale.
S. Provvisionato – Il grande intrigo continua addirittura fino al 1998, quando il 4 maggio avviene qualcosa di clamoroso dentro le mura del Vaticano, in un appartamento dentro le mura vengono trovati tre cadaveri, il Comandante delle guardie svizzere, Alois Estermann, una giovane guardia svizzera Cedric Tornay e viene trovata anche la moglie del comandante. Il comandante ma questo lo si scoprirà dopo quando gli archivi dell’Est verranno aperti, era una spia della Stasi, era riuscita addirittura arrivare al vertice della Polizia dell’esercito del Vaticano.
Vengono trovati morti tutti e tre, si pensa a uno scontro tra la guardia Svizzera e il suo Comandante. si scoprirà invece che il comandante stava per abbandonare il suo incarico, stava per fuggire all’estero e aveva già contatti per raccontare tutto questo intrigo.

Codice 17: Unabomber e le stragi del ’92 e ’93 – parola d’autore – Cadoinpiedi

Fonte: Codice 17: Unabomber e le stragi del ’92 e ’93 – parola d’autore – Cadoinpiedi.

di Luigi Grimaldi – 11 Maggio 2011
Un’analisi che intreccia l’azione di servizi segreti, criminalità organizzata e associazioni eversive

Che fine ha fatto Unabomber?
E perchè dopo 12 anni di attentati, e cioé dal 1994 al 2006, è scomparso improvvisamente nel nulla? Forse una risposta c’è e per trovarla, con qualche sorpresa che fa letteralmente sobbalzare, bisogna partire da lontano.

Ciancimino e Gladio
Tra i documenti che sarebbero stati conservati in uno sgabuzzino da Massimo Ciancimino, c’è anche una lettera, scritta forse nel 1993, al Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. La lettera, porta la firma autografa del padre, Don Vito (la scientifica ne ha confermato l’autenticità). L’ex sindaco mafioso di Palermo parla di un fantomatico “regime” che avrebbe ideato un “piano eversivo” perpetrato con le stragi del ’92-’93. E scrive che la mediazione in corso con l’allora colonnello Mori si interruppe dopo l’uccisione di Borsellino, dando così ragione alla ricostruzione fatta in tribunale nei giorni scorsi da Brusca.
La lettera si chiude, ecco il punto, con un paragrafo in cui l’ex sindaco mafioso si dichiara organico all’organizzazione Gladio, “Stay Behind”: «ritengo che dopo la caduta del muro di Berlino – ha scritto l’ex sindaco mafioso – sia venuto a mancare il vero motivo ed anche i presupposti per i quali io stesso ho aderito a tutto questo».

Le stragi, la mafia e la falange armata
Ora i fatti importanti su questo tema sono tre: 1) è stato processualmente accertato che i mafiosi autori delle stragi del 92 e 93 avevano la preventiva consapevolezza che gli attentati sarebbero stati rivendicati dalla Falange Armata.
2 )Un altro dato pacificamente acquisito è che una delle telefonate di rivendicazione di questi attentati è stata effettuata a nome della Falange Armata, da Udine, dove in ambito Gladio, inquadrato nella sezione “K” del Sismi, operava il centro Ariete, gemello del centro Scorpione di Trapani, quello diretto dal Maresciallo Sismi Vincenzo Li Causi (morto assassinato in Somalia nel ’93).
3) Vincenzo Li Causi, i cui parenti vivono a Udine, era sospettato dalla Polizia di Stato di essere un animatore della Falange Armata.

Il telefonista delle stragi sospetto Unabomber
L’autore di questa rivendicazione telefonica falangista partita da Udine è noto. La sua identità è però una vera sorpresa.
Si tratta di un personaggio che diventerà celebre appena tre anni più tardi, nel 1996, come uno degli ormai storici “ex indagati” nel caso Unabomber: decine e decine di micro attentati tra il 1994 e il 2006. Una teoria di sangue e di paura senza una spiegazione e di cui non sono mai stati individuati i responsabili a causa di una errata, caparbia e decennale impostazione delle indagini che hanno inutilmente inseguito un inesistente maniaco seriale: imprendibile, geniale ed esperto esplosivista. Alla fine emerge invece, secondo il Pubblico Ministero Federico Frezza di Trieste, che le esplosioni sono riconducibili a un gruppo, a tre, quattro, o forse di più bombaroli: « L’obiettività non indica affatto un unico attentatore. Esistono invece sottogruppi di attentati nell’ambito dei quali è plausibile supporre che l’attentatore fosse unico» e ancora: «Ipotizzare un’unica mano dietro alcuni rudimentali tubi-bomba privi di nitroglicerina, abbandonati su una spiaggia o in una vigna e un vasetto di Nutella collocato in un supermercato due anni più tardi, è null’altro che un’opera di intuizione creativa, indimostrata e indimostrabile».

I servizi, le armi e la Libia
Il fatto è che il sospetto (ora prosciolto) unabomber/telefonista della Falange Armata è un personaggio inquietante che a partire dal 1984 ha collaborato con l’ambasciata Libica a Roma tanto da essere poi sentito, nel 1996, come teste, dal Giudice Priore in relazione alla strage di Ustica, per riferire notizie apprese durante i suoi rapporti con funzionari dei servizi segreti libici. E’ curioso notare poi come anche un altro ex indagato storico del caso Unabomber, ex ingegnere missilistico ala Oto Melara di Genova, ( anch’egli oggi del tutto riabilitato grazie a una vicenda rocambolesca di sparizione e alterazione di prove che sarebbe qui troppo lungo riepilogare) abbia in qualche modo potuto aver a che fare con la Libia attraverso la fabbrica di armi Oto Melara di Genova che, ancora nel 1984 e 1985, stava provvedendo alla completa revisione del sistema d’arma in dotazione alla fregata “Dat Assawari”, la più importante nave da battaglia della marina libica, dotandola di un sistema missilistico avanzato. Ma, libia o non Libia, il fatto importante è che l’ex sospetto unabomber/telefonista udinese ha effettuato la telefonata di rivendicazione di una delle stragi di Mafia del 1993, utilizzando, a nome della Falange Armata, lo stesso codice numerico di riconoscimento utilizzato (sempre dalla Falange Armata) per attribuirsi la strage in cui era stato ucciso, assieme alla sua scorta, il Giudice Borsellino il 19 luglio 1993.

Gladio il centro Scorpione e la Libia
Con queste premesse diviene assai interessante un passaggio della richiesta di archiviazione della Procura della repubblica di Trapani, risalente al 2000, dell’inchiesta sul centro Scorpione di Trapani in cui si menziona l’utilizzo di mezzi aereo navali di trasporto nella disponibilità dei servizi proprio in relazione a rapporti non sufficientemente giustificati con la Libia: “Un centro GLADIO a Trapani era realmente esistito e la sua denominazione nell’ambito del SISMI era C.A.S. (Centro Addestramento Speciale) SCORPIONE. Esso venne apparentemente installato nel 1987, ultimo della serie degli altri C.A.S. situati in altre regioni italiane, e facente capo al c.d. G.O.S. Gruppo Operazioni Speciali del SISMI, di cui facevano parte gli agenti denominati K, definiti da chi li ha creati come quelli che, all’occorrenza, “devono uccidere e farsi uccidere”. Apparentemente (secondo quanto risulta dall’istruzione fatta e dalla documentazione raccolta) nacque per contrastare possibili infiltrazioni dalla Libia (è il periodo dei famosi siluri che arrivano via mare a Pantelleria)”.

Scorpione arruola solo massoni
Ma la Procura di Trapani sottoscrive anche altro di estremamente interessante notando come al Centro Scorpione di Trapani: “Vengono reclutati solo agenti della Sicilia Orientale, risultati tutti iscritti a Logge massoniche ufficiali, che, di fatto, non vengono addestrati e non mettono mai piede a Trapani….Gli unici fatti degni di nota che avvengono durante la permanenza in vita del C.A.S. Scorpione sono:
• l’omicidio Rostagno a Trapani; • l’omicidio Insalaco (ex sindaco di Palermo come Ciancimino ndr) (ex gladiatore) a Palermo; • il fallito attentato all’Addaura (contro il giudice Falcone ndr.); • l’omicidio dell’agente di P.S. Agostino; • la sparizione di Emanuele Piazza.”

Da Unabomber alle stragi
Ora il fatto è che alcuni degli attentati di Unabomber, in Friuli e nel Veneto hanno qualcosa in comune: uno è stato messo in atto a Treviso, nei pressi della Telcoma, l’azienda produttrice del telecomando utilizzato per la strage di Via D’amelio. Un altro, a Pordenone, dentro il Palazzo di Giustizia, nei bagni dell’aula Falcone e Borsellino. In quasi tutte le esplosioni poi, a decine, sono presenti riferimenti ambientali alla data del “17 novembre (come ha rivelato il sospetto unabomber telefonista della Falange Armata)”, o alla parola Vittoria (il 17 novembre è il giorno di Santa Vittoria). Una data che il sospetto Unabomber/telefonista nella sua rivendicazione accosta alla Falange firmando il messaggio a nome di un inesistente “Falange Armata gruppo 17 novembre”.

Codice 17 11: Roba da servizi segretissimi
Un bel rebus, ma semplicissimo per chi avesse ben presenti le caratteristiche della rivendicazione della Falange Armata in generale e della strage in cui fu ucciso il giudice Borsellino in particolare: il telefonista/ex-sospetto-unabomber ha infatti utilizzato nella sua rivendicazione, accanto alla data del 17 novembre, il codice numerico di identificazione 763321 che è lo stesso appositamente creato, solo qualce giorno prima del 19 luglio ’93, per rivendicare la strage di Via D’Amelio. Esistono molti codici numerici di identificazione utilizzati negli anni dalla falange armata (e cioè fino al 1994, anno in cui scompare la Falange e compare Unabomber). Molti di questi hanno in comune una sorta di prefisso: il numero 763. Solo alcuni hanno, ma solo a partire dalla strage di Via D’Amelio, la cifra finale 321: non è un conto alla rovescia ma la chiave di una sorta di codice. Il 321° giorno dell’anno è infatti il 17 novembre, il giorno di Santa Vittoria. Una codificazione che pare senza senso a meno di non considerare il 17 novembre come 17 11. Basta pensare infatti al quadrante dell’orologio per rendersi conto di come le undici siano anche le 23 e le diciassette le 5. 23 e 5, un’altra data, il 23 maggio, il giorno della strage di Capaci e della morte del Giudice Falcone, di Francesca Morvillo e degli uomini della scorta. Roba da servizi segretissimi.