Archivi del giorno: 13 giugno 2009

Pietro Orsatti » Blog Archive » G8 e terremoto – Il Califfo, la Presidentessa e gli sfollati. Il trionfo delle facce toste al convegno dei giovani di Confindustria

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Definiamoli “dotati di faccia tosta”, e saremmo stati pietosi. Lo show di Silvio Berlusconi, il califfo della Certosa, al convegno dei giovani di Confindustria, a Santa Margherita Ligure in provincia di Genova, ha raggiunto il grottesco quando ha iniziato a parlare del prossimo G8 de L’Aquila di luglio. Ecco le sue dichiarazioni a proposito. Coinvolgendo “i migliori mobilieri italiani”, all’Aquila per il G8 “abbiamo completato 30 appartamenti secondo richieste dei singoli capi di governo. Sono venute le delegazioni ed hanno fatto richieste anche molto particolari”. “Abbiamo fatto tutto e saranno accolti in modo eccellente”, ha aggiunto: “Poi li porteremo in giro per i luoghi del terremoto”. Ecco spiegato perché è stato bloccato l’accesso all’area di Onna (il set preferito del nostro premier) sia ai giornalisti sia a molti lavoratori che stavano lavorando a piccoli cantieri privati. Che nessuno veda il set creato per i Grandi. Che nessuno si stupisca se comparirà un inizio di presunta ricostruzione in carta pesta, e mentre lui coinvolge i migliori mobilieri italiani perché non pensa all’accelerazione delle morti di anziani costretti nelle tende da un decreto confuso, che non prende atto della situazione confondendo emergenza con ricostruzione, come denunciato da un’inchiesta del mensile “Liberetà” che apre uno squarcio sconcertante sulla condizione della popolazione anziana abruzzese, colpita dal terremoto del 6 Aprile scorso e ancora accampata nelle tendopoli allestite dalla Protezione Civile. Caro premier, pensi meno agli stucchi e ai controsoffitti e faccia i conti con la sua scelta di tenere decine di migliaia di persone per mesi all’interno di tende, non tenendo conto di molti fattori ambientali, della composizione anagrafica dei senza casa. Le istituzioni sanitarie, quel poco che è stato messo in piedi dopo il sisma,  stanno facendo fronte ad emergenze inattese con scarsità di personale, mezzi e dotazioni sanitarie.
La  popolazione anziana, secondo “Liberetà”, rappresenta la grande maggioranza delle persone senza casa. Polmoniti, bronchiti, confusione mentale, disidratazione, sono alcune delle patologie che interessano gli anziani nelle zone del terremoto. E il premier ha continuato con alcune battute del teatro dell’assordo: “Entro fine novembre completeremo la consegna delle case agli sfollati.Un miracolo. Siamo sicuri che riusciremo a farlo è una sfida che abbiamo voluto lanciare”. La consegna delle case inizierà “a partire dal 15 settembre”. Prima di tutto si parla non di tutti gli sfollati ma di solo 10.000. Sempre che ci riesca prima delle nevicate e delle gelate, 20.000 persone almeno rimarrebbero senza un tetto sulla testa. E quindi in tenda. La dica tutta, caro Cavaliere. Gli aquilani lo hanno capito benissimo che cosa sta combinando, quale pasticcio mediatico-politico-pecoreccio ha delegato a un pezzo di questo Stato, la Protezione civile, che da “civile” si è trasformata in strumento e macchina di controllo e propaganda e erogazione (in deroga a ogni regola e controllo) di denaro pubblico. Certo, passando quasi indenne (vedremo fino a che punto) dalla congiuntura del voto europeo,lei, caro Cavaliere, si sente abbastanza tranquillo da sparare spacconate (oggi mi sento davvero pietoso e beneducato) sulla tragedia che stanno passando decina di migliaia di suoi concittadini. Ma si sa, un Califfo, un monarca assoluto, simpatico e “birichino” si può permettere tutto, vero? La pensa davvero così?
E andiamo alla seconda faccia tosta della giornata. La celebratissima presidente di Confindustria. Sul vertice all’Aquila del G8 la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che ha preso in gestione il centro della Maddalena destinato originariamente ad ospitare il vertice internazionale, denuncia un grave danno, rispondendo quasi con amarezza al premier Berlusconi che poco prima di lei, dal palco di Santa Margherita Ligure ha sottolineato le qualità della nuova struttura sull’isola sarda. Ed ecco la chicca della giornata. ”Abbiamo fatto i miracoli in Sardegna – ha detto Berlusconi – e abbiamo gia’ un impegno per otto manifestazioni internazionali nel 2010 di cui la prima sara’ un incontro con la Spagna”. La presidente di Confindustria, ha replicato che lo spostamento all’Aquila del G8 seppur importante dal punto di vista simbolico, le ha procurato ”un grave danno economico”. Cara Mercegaglia, detto fra noi chi se ne frega. Si è fatta abbindolare dal venditore di Arcore? Ora si tenga, in silenzio, la fregatura. Farà sicuramente più bella figura.

ComeDonChisciotte – LA RAPIDA CONDANNA A MORTE DEL TERZO E QUARTO POTERE

ComeDonChisciotte – LA RAPIDA CONDANNA A MORTE DEL TERZO E QUARTO POTERE.

DI ALESSANDRO TAURO
alessandrotauro.blogspot.com

Il 15 giugno del 1993 il Senato della Repubblica modificava la nuova legge sull’immunità parlamentare uscita in prima lettura dalla Camera dei Deputati il luglio precedente.
Nella lettura al Senato la legge, che andava a disintegrare ogni retaggio di quella che era l’allora immunità parlamentare, venne completamente stravolta, reintroducendo tante e tante garanzie parlamentari eliminate dai colleghi deputati. Garanzie che ritroviamo ancora oggi, come l’autorizzazione a procedere per gli arresti e le varie richieste preventive per il controllo di posta, telefonate ed altro ancora.

Nel passaggio al Senato il trittico DC, PSI e PLI propose la reintroduzione (poi approvata) dell’autorizzazione preventiva per l’intercettazione delle telefonate e della corrispondenza.
I contrari? Pds, Rifondazione, La Rete, Verdi e Pri. Lo stranoto storico conclave bolscevico. Ma non solo.

Nella foto: Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, 38 anni

A far compagnia a questi “campioni del giustizialismo” c’erano MSI (poi divenuto AN) e Lega Lombarda (in seguito Lega Nord).

Si trattava non di ridurre o vietare lo strumento delle intercettazioni, ma solo di avvisare preventivamente i deputati sottoposti al provvedimento.
Bossi e Fini non ne volevano sentir parlare.
Speroni, allora capogruppo della Lega Nord, nel motivare il suo voto contro l’avviso preventivo, dichiarava: “Per le perquisizioni domiciliari e le intercettazioni non ci deve essere alcun beneplacito se non si vuole che il provvedimento perda efficacia“.

Ora, improvvisamente, non solo è giusto avvisare preventivamente un deputato o un senatore sottoposto ad intercettazione telefonica, ma è ancora più giusto proibire de facto l’utilizzo di questo strumento.

318 sì, 224 no. Questi i numeri utili sull’approvazione del disegno di legge che limita drasticamente l’uso e la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. Utili perché in essi è racchiusa la scomoda verità dei 21 deputati dell’opposizione favorevoli al provvedimento. Voto favorevole che era legato alla dichiarazione di fiducia al governo. Uno straordinario segnale.

Il segnale è ancora più straordinario se si pensa che poche ore prima i capigruppo Soro (PD), Donadi (IDV) e Vietti (UDC) avevano scritto una lettera congiunta al Presidente Napolitano per segnalare la privazione dei poteri parlamentari attraverso l’uso sistematico della fiducia.

I franchi tiratori dell’opposizione sono ben noti, in ogni caso. E’ sufficiente leggere la dichiarazione di Vietti sulla fiducia per capire dove cercarli…
Porre la fiducia in questo momento è profondamente sbagliato. Il Parlamento viene umiliato per l’ennesima volta e si impedisce a chi non era contrario a modificare l’attuale disciplina sulle intercettazioni, come l’Udc, di dare un contributo“.

Enigma risolto. E sono stati sufficienti 2 minuti di ricerca e lettura. E un brevissimo nesso logico con la vicenda dei 3 parlamentari UDC indagati per concorso in corruzione e favoreggiamento ad organizzazione di stampo mafioso: Salvatore Cuffaro, Salvatore Cintola e Saverio Romano.

I punti chiave del provvedimento parlano da soli:

  • Divieto di intercettazioni per reati con pene sotto i 5 anni, per i reati con pene al di sopra è necessario possedere “evidenti indizi di colpevolezza“. Ovvero ciò che basta per procedere ad un arresto (e probabilmente ad una condanna). Le intercettazioni diventano insomma uno svago di qualche magistrato curioso che non sa come ammazzare il tempo libero.
  • Fanno eccezione le intercettazioni per mafia o terrorismo, per cui bastano “sufficienti indizi di reato”. Ma come ben sappiamo nella stragrande maggioranza dei casi si finisce per incriminare qualcuno di mafia o terrorismo una volta che li si è intercettati per reati legati a rapina, spaccio di droga, ricettazione, estorsione
  • Le intercettazioni raccolte per il reato A non potranno essere utilizzate per un procedimento relativo al reato B. Quindi se un PM intercetta qualcuno per spaccio, deve sperare che l’ascoltato non sia anche un serial killer, perché se ciò emergesse dalle intercettazioni, non potrebbe fare assolutamente nulla.
  • Divieto di pubblicazione dei nomi dei magistrati inquirenti e giudicanti, così come per i PM è vietato il rilascio di dichiarazioni sul procedimento affidatogli. Pena: rimozione e denuncia per “rivelazione del segreto d’ufficio”.
  • Divieto di pubblicazione delle intercettazioni, anche non segrete, finché non è terminata l’indagine preliminare, che quasi sempre dura qualche anno. Le pene per i giornalisti che non si atterranno al divieto sono: interdizione dall’albo per tre mesi e carcere da 6 mesi a un anno.
    Come se questo non fosse sufficiente, è prevista una multa che va da 64.500 a 465.000 euro per gli editori che permettono un tale “affronto alla censura”. Un enorme incentivo per i proprietari dei quotidiani a mettere bocca sulle libere scelte editoriali dei giornalisti.
  • Limite di intercettabilità di un indagato: 60 giorni di tempo. Allo scadere del sessantesimo giorno l’ascolto terminerà obbligatoriamente. Un espediente per aumentare la suspense nel lavoro del magistrato inquirente.

Ma di chicche ce ne sono tante altre ancora.

E’ difficile esprimere un giudizio su un provvedimento simile che non necessiti di parole “scontate” come censura, bavaglio alla libertà di informazione, controllo dall’alto, criminalizzazione di magistrati e giornalisti e regalo per il crimine.
Perché oltre alla censura giornalistica, al bavaglio e alle pene spropositate per le violazioni, qui si parla di un enorme terribile segnale in termini di contrasto alla criminalità. Organizzata o disorganizzata che sia.

Basti pensare agli orrori della clinica Santa Rita di Milano, alle partite truccate di Calciopoli, al terribile caso del sequestro di Abu Omar, le scalate dei furbetti del quartierino, a Vallettopoli, ai reati da puttaniere truffatore contestati al signor Di Savoia (puro fascismo chiamarlo “principe”), all’affare Total, all’indagine Why Not, alle tangenti Inail.
Nulla di tutto questo sarebbe mai e poi mai emerso se questa legge fosse stata in vigore.

E il clou dello stupro della Caffarella. Gli innocenti Loyos e Racz sono stati catturati ed incriminati grazie ai “classici metodi d’indagine” tanto esaltati dal governo. I due veri stupratori sono stati individuati grazie alle intercettazioni. Se non fosse stato per queste, starebbero ancora a piede libero.

Ma questa osservazione pochissimi italiani potranno farla. Gli altri sono già passati ad interessarsi ad un nuovo tormentone. E quando ritornerà la psicosi “rumeni”, il tema intercettazioni sarà già passato di moda… Alessandro Tauro
Fonte: http://alessandrotauro.blogspot.com/
Link: http://alessandrotauro.blogspot.com/2009/06/la-rapida-condanna-morte-del-terzo-e.html

PI: Chiuso per rettifica

PI: Chiuso per rettifica.

Roma – Il Governo pone la fiducia sul discusso disegno di legge in materia di intercettazioni e la blogosfera ne fa le spese rischiando di essere “chiusa per rettifica”. È questo il senso di quanto è accaduto nelle scorse ore in Parlamento, dove per effetto dell’approvazione del maxi-emendamento presentato dal Governo sta per diventare legge l’idea – di cui si è già discusso sulle colonne di questa testata – di obbligare tutti “i gestori di siti informatici” a procedere, entro 48 ore dalla richiesta, alla rettifica di post, commenti, informazioni ed ogni altro genere di contenuto pubblicato.

Non dar corso tempestivamente all’eventuale richiesta di rettifica potrà costare molto caro a blogger, gestori di newsgroup, piattaforme di condivisione di contenuti e a chiunque possa rientrare nella vaga, generica e assai poco significativa definizione di “gestore di sito informatico”: la disposizione di legge, infatti, prevede, in tal caso, una sanzione da 15 a 25 milioni di vecchie lire.

Tanto per esser chiari e sicuri di evitare fraintendimenti quello che accadrà all’indomani dell’entrata in vigore della nuova legge è che chiunque potrà inviare una mail a un blogger, a Google in relazione ai video pubblicati su YouTube, a Facebook o MySpace o, piuttosto al gestore di qualsiasi newsgroup o bacheca elettronica amatoriale o professionale che sia, chiedendo di pubblicare una rettifica in testo, video o podcast a seconda della modalità di diffusione della notizia da rettificare. È una brutta legge sotto ogni profilo la si guardi ed è probabilmente frutto, in pari misura, dell’analfabetismo informatico, della tecnofobia e della ferma volontà di controllare la Rete degli uomini del Palazzo.

Provo a riassumere le ragioni di un giudizio tanto severo.
L’intervento normativo in commento mira, nella sostanza, a rendere applicabile a qualsiasi forma di comunicazione o diffusione di informazioni online – avvenga essa in un contesto amatoriale o professionale e per scopo personale, informativo o piuttosto commerciale – la vecchia disciplina sulla stampa dettata con la Legge n. 47 dell’8 febbraio 1948 e, in particolare, il suo art. 8 relativo ad uno degli istituti più controversi introdotti nel nostro ordinamento con tale legge: l’obbligo di rettifica.

La legge sulla stampa, tuttavia – come probabilmente è noto ai più – costituisce una delle poche leggi vigenti scritte e discusse direttamente in seno all’assemblea costituente ormai oltre sessant’anni fa ed ha, pertanto, già mostrato in diverse occasioni un’evidente inadeguatezza a trovare applicazione nel moderno mondo dei media che poco o nulla ha a che vedere con quello avuto presente dai padri costituenti. Si tratta, per questo, di una legge che avrebbe richiesto un intervento di “aggiornamento” urgente, competente ed approfondito o, piuttosto, meritato di essere mandata in pensione dopo oltre mezzo secolo di onorato servizio. Contro ogni legittima aspettativa, invece, Governo e Parlamento hanno deciso di affidarle addirittura la disciplina della Rete ovvero della protagonista indiscussa di una delle più grandi rivoluzioni del mondo dell’informazione nella storia dell’uomo. Difficile, in tale contesto, condividere la scelta del Palazzo.

Ma c’è di più.
Sono anni che si discute ad ogni livello – nelle università, nelle aule di giustizia e, persino, in Parlamento ed a Palazzo Chigi – della possibilità e opportunità di estendere in tutto o in parte la disciplina sulla stampa e, in particolare, le disposizioni dettate in materia di obbligo di registrazione delle testate, a talune forme di comunicazione e diffusione delle informazioni online senza che, sin qui, si sia arrivati ad alcuna conclusione sicura e condivisa.

La brutta ed ambigua riforma dell’editoria introdotta con la legge n. 62 del 2001, il famoso DDL Levi ribattezzato l’ammazza blog presentato e poi ritirato, il DDL Cassinelli ovvero il “salvablog” tuttora in attesa di essere discusso alla Camera dei Deputati e la “storica” condanna dello storico Carlo Ruta per stampa clandestina pronunciata dal Tribunale di Modica in relazione alla pubblicazione del blog dello studioso siciliano sono solo alcuni dei provvedimenti e delle iniziative che hanno, negli ultimi anni, alimentato – in Rete e fuori dalla Rete – un dibattito complesso ed articolato senza vincitori né vinti. L’entrata in vigore della nuova disciplina sulle intercettazioni vanificherà e polverizzerà il senso di questo dibattito stabilendo, una volta per tutte, che la disciplina sulla stampa – o almeno una parte importante di essa – si applica a qualsiasi forma di comunicazione e diffusione di informazioni nel cyberspazio.

Difficile resistere alla tentazione di definire dilettantistica, approssimativa ed irresponsabile la scelta del legislatore che è entrato “a gamba tesa” in questo dibattito ultradecennale ignorandone premesse, contenuti e questioni e che ora rischia di infliggere – non so dire se volontariamente o inconsapevolmente – un duro colpo alla libertà di manifestazione del pensiero nel cyberspazio modificandone, per sempre, protagonisti e dinamiche.
Nel Palazzo, domani, qualcuno – nel tentativo di giustificare questo monstrum giuridico liberticida e anti-Internet – dirà che è giusto pretendere anche da blogger, gestori di piattaforme di condivisione di contenuti e titolari di qualsiasi altro tipo di sito Internet la pubblicazione di una rettifica laddove loro stessi o i propri utenti pubblichino contenuti non veritieri o ritenuti lesivi dell’altrui reputazione o onore. Libertà fa rima con responsabilità è il ritornello che sento già risuonare nel Palazzo.

Il problema non è, tuttavia, il ritornello che non si può non condividere, quanto, piuttosto, le altre strofe della canzone per restare nella metafora ovvero le modalità attraverso le quali il legislatore ha preteso di raggiungere tale ambizioso risultato. Provo a riassumere il mio punto di vista.

The web is not the press (or tv) si potrebbe dire con uno slogan e non è, pertanto, possibile né opportuno applicare ad ogni forma di comunicazione online la speciale disciplina dettata per l’informazione professionale. Dovrebbe essere evidente ma così non è. Gestire le richieste di rettifica, valutarne la fondatezza e, eventualmente, darvi seguito è un’attività onerosa che mal si concilia con la dimensione “amatoriale” della più parte dei blog che costituiscono la blogosfera e rischia di costituire un elemento disincentivante per un blogger che, pur di sottrarsi a tali incombenti e alle eventuali responsabilità da ritardo (una multa da 25 milioni di vecchie lire per aver tardato a leggere la posta significa la chiusura di un blog!), preferirà tornare a limitarsi a leggere il giornale o, piuttosto postare solo su argomenti a basso impatto mediatico, politico e sociale e, come tali, insuscettibili di “disturbare” chicchessia. Allo stesso modo, il gestore di una piattaforma di condivisione di contenuti o, piuttosto, di social networking che, per definizione, non produce le informazioni che diffonde, ricevuta una richiesta di rettifica non potrà, in nessun caso, in 48 ore, verificare con l’autore del contenuto la veridicità dell’informazione diffusa e, quindi, l’effettiva sussistenza o meno dell’azionato diritto di rettifica.

Risultato: o si doterà – peraltro non a costo zero – di una struttura idonea a pubblicare d’ufficio tutte le rettifiche ricevute o, peggio ancora, deciderà di rimuovere tutti i contenuti che formino oggetto di un altrui istanza di rettifica tanto per porsi al riparo da eventuali contestazioni circa la forma, i caratteri e la visibilità della rettifica stessa.

Sembra, in altre parole, evidente che la nuova legge produrrà quale effetto pressoché immediato quello di abbattere sensibilmente la vocazione all’informazione diffusa che ha, sin qui, costituito la forza del web come primo spazio davvero libero – o quasi-libero – di divulgazione di quello straordinario patrimonio di pensieri e notizie che, sin qui, i media professionali non hanno in parte potuto e in più parte voluto lasciar filtrare per effetto dei forti ed innegabili condizionamenti che i poteri politici ed economici da sempre esercitano sulle testate giornalistiche cartacee, radiofoniche o televisive che siano. Da domani, quindi, i nemici della libertà di informazione avranno un pericoloso strumento per far passare la voglia a tanti blogger nostrani di dire la loro ed ad altrettanti “giornalisti diffusi” di raccontare storie inedite via Facebook, YouTube o MySpace.

Ma c’è ancora di più.
Il senso dell’obbligo di rettifica previsto nella vecchia legge sulla stampa risiede nella circostanza che in sua assenza il cittadino che si senta diffamato o avverta l’esigenza di “rettificare” un’informazione diffusa da un giornale non potrebbe farlo o meglio resterebbe esposto all’arbitrio del direttore della testata, libero di pubblicare o non pubblicare la rettifica. Non è così, tuttavia, nella più parte dei casi in Rete dove – salvo eccezioni – chiunque può pubblicare una precisazione, un commento, un altro video o, piuttosto, condividere un link su un profilo di Facebook per replicare e/o rettificare l’altrui pensiero. È questo il bello dell’informazione non professionale online ed è questa una delle ragioni per le quali l’informazione in Rete è – sebbene ancora per poco – più libera di quanto non lo sia quella tradizionale.

E per finire, dopo il danno la beffa.
Mentre, infatti, la nuova legge impone a chiunque utilizzi la Rete per comunicare o diffondere contenuti e/o informazioni gli obblighi caratteristici dei produttori professionali di informazione, continua a non riconoscergli pari diritti: primo tra tutti l’insequestrabilità di ogni contenuto informativo diffuso a mezzo Internet alla stessa stregua di un giornale. In questo modo si sarebbe, almeno, potuto dire “onori e oneri” mentre, così, l’informazione in Rete finisce con l’essere svilita ad un’attività pericolosa, onerosa e mal retribuita o, nella più parte dei casi, non retribuita affatto. Basterà la passione ad indurre i protagonisti del cosiddetto web 2.0 a resistere anche a tale ulteriore aggressione o, questa volta, getteranno la spugna consegnando la Rete ai padroni dell’informazione di sempre?
Chiediamocelo e, soprattutto, chiediamolo a chi ha voluto questa nuova inaccettabile legge ammazza-Internet.

Guido Scorza

IL DIRITTO DI SAPERE: NON SI BUTTA VIA NIENTE

IL DIRITTO DI SAPERE: NON SI BUTTA VIA NIENTE.

Un team di ricercatori argentini guidati dal chimico Rodolfo Segovia, laureato nell’università della Plata Buenos Aires, ha sviluppato un composito di microrganismi che decompongono la materia organica in un massimo di 20 giorni, una formula che accelera i processi naturali di biodegradazione.
Questo composito è stato testato in uno stabilimento di riciclaggio dei rifiuti nella città di Gualeguay.

La formula, il cui nome commerciale Starter Z001, è stata testata per più di vent’anni e, dal settembre scorso, si applica in questa città che fino allora gettava tutti i suoi scarti in una discarica a cielo aperto situata a pochi metri dalla costa.

Il processo ha avuto precedenti prove sperimentali nei municipi di Las Heras, Mendoza; Villa Giardino, Cordova; e Luján, Provincia di Buenos Aires.

UN ALTERNATIVA ALLE DISCARICHE A CIELO APERTO.

Per velocizzare il processo di biodegradazione a bassa temperatura, il team di Segovia ha isolato i microrganismi più efficienti per la decomposizione dei rifiuti organici, questi sono dei batteri e funghi che risiedono nel suolo e si attivano a meno di 40 gradi.

L’obiettivo della formula è riciclare i rifiuti organici: cibo, rifiuti forestali, ecc, ossia materiali che rappresentano più della metà dei rifiuti generati dalle zone urbane, e trasformarli in un fertilizzante organico biologico di qualità senza generare gas tossico o percolato.

Il nuovo sistema si presenta come scelta alternativa ecologica alle discariche a cielo aperto, inceneritori, sotterramento dei rifiuti. Poiché si attiva a meno di 40 gradi, il pool di microrganismi agisce senza alzare la temperatura ne emanare gas tossici come il metano e biossido di carbonio.

Poiché il processo non dura più di 20 giorni, i metalli, come le batterie, non sono corrosi e quindi non generano percolato ha spiegato a CriticaDigital il chimico Santiago Ascheri laureato nell’università di Cuyo e ricercatore del Gruppo guidato da Segovia nei centri di ricerca a San Luis.

La velocità del processo di biodegradazione evita l’emissione di cattivi odori e la proliferazione d’insetti e roditori.

L’impianto pilota di Gualeguay possiede delle terre in cui si è coltivata della soia: metà delle piante sono state arricchite con il compost che emerge dal trattamento dei rifiuti e l’altra metà senza.

Il centro regionale di ricerca dell’università nazionale di Cuyo, l’istituto Nazionale tecnologico agricola, l’università di Lujan e l’università di Buenos Aires sono stati gli enti che valutarono il composito.

“Su tutti i test realizzati, i risultati sono stati più che soddisfacenti”, ha detto Ascheri.

A Gualeguay sono stati più entusiasti e hanno riferito che le piante concimate con il compost prodotto dal processo di biodegradazione sono cresciute un 30% in più delle altre.

RICICLARE SENZA ODORE:

I benefici sono evidenti, ha detto il ricercatore, inoltre ha spiegato che i rifiuti solidi si riducono del 50% e l’altro 50% è riciclabile, carta, plastica, vetro, non dovrebbe rimanere nulla da bruciare o sotterrare.
La materia organica si biodegrada in tempo record un massimo di 20 giorni e non più in mesi in una normale biodegradazione.

La soia che hanno seminato nella terra arricchita con questo compost è cresciuta un 30% in più, nell’agenda dei ricercatori ci sono diversi appuntamenti con sindaci di Buenos Aires e di paesi come Chile, Messico, che guardano con interesse, lo sviluppo dell’impianto pilota.

http://www.criticadigital.com/

Blog di Beppe Grillo – La Rete rettificata

Blog di Beppe Grillo – La Rete rettificata.

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Il disegno di legge sulle intercettazioni può far chiudere la Rete. Se questo succederà, la responsabilità di ciò che verrà dopo sarà del Governo e del Parlamento. La Rete è lo strumento, lo spazio, il media che ha permesso a milioni di italiani di credere a un cambiamento democratico. Di illudersi di essere cittadini e non sudditi. Senza la Rete, con le televisioni e gran parte dei giornali in mano allo psiconano e ai suoi amici piduisti e mafiosi questo Paese si avvia verso una dittattura senza controllo e dagli esiti sociali imprevedibili.
I gestori di siti informatici dovranno procedere entro 48 ore dalla richiesta, alla rettifica di post, commenti, informazioni ed ogni altro genere di contenuto pubblicato. Non dar corso alla richiesta da parte di blogger, gestori di newsgroup, piattaforme di condivisione di contenuti e di chiunque sia definibile “gestore di sito informatico” avrà come conseguenza una sanzione da 15 a 25 milioni di vecchie lire. Si potrà richiedere a questo o a un altro blog, per ogni commento, per ogni video pubblicato su YouTube, per ogni fotografia, una rettifica. Più informazione pubblichi, più rettifiche puoi ricevere e dover pubblicare. Ci potrebbe essere il caso di chi invia un commento con un nickname e poi chieda lui stesso la rettifica.
E’ una legge insensata e chi l’ha scritta è un analfabeta di Internet o uno che vuole metterle il bavaglio. I blog di liberi informatori come Martinelli o Byoblu chiuderanno dopo le prime multe e con loro centinaia di altri. Solo per gestire le richieste di rettifica entro 48 ore dovrei assumere 10 persone, e forse non sarebbero sufficienti. In un anno dovrei pagare probabilmente alcuni milioni di euro di multa. Una legge che non esiste neppure in Cina o in Birmania, concepita per fottere la libertà di espressione. Se passa, sarà la morte della blogosfera italiana. Se dovesse avvenire non dimenticheremo chi l’ha firmata, chi l’ha votata e chi, eventualmente, la controfirmerà. La Rete non è un ballo delle debuttanti, questi golpisti se ne accorgeranno. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

Leggi l’articolo di Punto Informatico.

Antimafia Duemila – ”Il Ddl Alfano ferma la meta’ dei processi”

Antimafia Duemila – ”Il Ddl Alfano ferma la meta’ dei processi”.

Intervista di Alberto Gaino a Gian Carlo Caselli – 12 giugno 2009
Il procuratore capo: “Vallette, una polveriera”
«Con la nuova legge in cella non finiranno grandi criminali ma pesci piccoli»

Gian Carlo Caselli ha chiesto all’ufficio di calcolare gli effetti del disegno di legge sulle intercettazioni approvato l’altro ieri alla Camera: «Il 50 per cento dei procedimenti torinesi si dovrà fermare. Purtroppo il dato di cui dispongo non è disaggregato per tipologia di reato. Ma, siccome le intercettazioni per mafia e terrorismo proseguiranno quasi tutte, è di evidenza che la percentuale del 50 per cento è destinata salire per tutti gli altri fascicoli aperti per omicidio, stupro, rapina, pedofilia e corruzione. I nostri governanti parlano tanto di sicurezza, il risultato è la produzione di insicurezza».

C’è comunque una logica?
«Senza intercettazioni i grandi delinquenti resteranno impuniti e il carcere continuerà a riempirsi di persone che hanno commesso reati molto meno gravi per cui le intercettazioni non servono».

Il carcere, più che un luogo di detenzione, sembra essere diventato una discarica umana.
«Intanto c’è da osservare che le strade percorse dal legislatore in questi ultimi tempi portano ad affrontare tutti i problemi di maggior e minore disagio con lo strumento penale, incluso il carcere: dalla scritte sui muri alle donne per strada, dalle violenze negli stadi all’immigrazione clandestina. Magari è così solo di facciata, in ogni caso non si danno risposte efficaci ai problemi. E così si riempie il carcere di tossicodipendenti e folli con il venir meno del welfare. Così si ritiene di poter affrontare il problema complesso della migrazione. Sappiamo trovare soltanto risposte repressive e non mirate sui casi gravi. Rispetto all’efficacia i dati sono eloquenti.

Quali dati?
«Nel mese di maggio sono entrate in carcere, a Torino, 513 persone che a fine mese si erano ridotte a 53. Gli arresti facoltativi erano stati 210 e 74 quelli relativi alla legge sull’immigrazione. Tutti detenuti per poche ore e giorni, per cui scatta un meccanismo complicato e costoso: immatricolazione, visita medica, colloquio psicologico, esami ematochimici ed ematologici di screening, fornitura di gavette e coperte. Si è così pensata una soluzione, affidata al prefetto Padoin: la ristrutturazione delle camere di sicurezze delle aule bunker alle Vallette, gestite dalle forze dell’ordine, insieme all’amministrazione penitenziaria, sino al processo per direttissima e al successivo ingresso in carcere di quel 10 per cento che risulta dalle statistiche».

Stiamo parlando di un carcere con sempre meno risorse, come accade per l’intera amministrazione pubblica. Di un carcere che potrebbe esplodere con una media di 1650 detenuti.
«Si tratta di una struttura in cui convivono più carceri: quello “fiumana” di chi entra ed esce sovraffollando le sezioni dei nuovi giunti, la palestra. Con la soluzione delle camere di sicurezza si può limitarne l’ingresso restituendo dignità ad un ambiente di detenzione invivibile. Altra problematica acuta la condizione di chi attende il giudizio: di indeterminatezza e scarse relazioni rispetto a cui si hanno meno strumenti di intervento e dove si realizza il carcere dell’ozio che porta all’80 per cento dei gesti di autolesionismo. In queste condizioni solo la professionalità del personale di custodia e l’aiuto del volontariato evitano che il carcere esploda».

Muammar Al Tappon – Marco Travaglio – Voglio Scendere

Muammar Al Tappon – Marco Travaglio – Voglio Scendere.

Un solo paese, nel mondo libero, poteva riservare gli onori di Stato a una tetra macchietta come il colonnello Gheddafi: il nostro. Un solo premier, nel mondo libero (anzi, semilibero), poteva non solo accogliere nelle più alte sedi istituzionali, ma addirittura baciare con trasporto un soggetto che fino a qualche anno fa foraggiava gruppi terroristici, cacciava ebrei, faceva abbattere aerei di linea come piccioni (Lockerbie, 270 morti), approntava armi di distruzione di massa (vere), bombardava l’Italia senza neppure centrarla: il nostro. Del resto, dal punto di vista coreografico, c’è un solo un leader al mondo che rivaleggi con Muammar Al Tappon quanto a ridicolaggine, tintura, fard, ombretto, per non parlare del corteo di «amazzoni», versione tripolina delle veline di Villa Certosa.

Anche la concezione che i due hanno della democrazia è piuttosto simile, anche se milioni di gonzi italo-padani si erano illusi che Al Tapone fosse almeno uno sfegatato filoamericano, punta di diamante dell’«alleanza contro il terrorismo». Vederlo baciare chi sostiene che «bisogna capire le ragioni del terrorismo» e paragona gli Usa a Bin Laden e sentire Schifani definirlo «uomo di Stato» potrebbe creare qualche spaesamento in un elettorato minimamente avveduto. Dunque non quello del Pdl, che digerisce tutto, anche il fard. Ottimo, come sempre, il Pd che è riuscito a dividersi anche su Gheddafi, grazie all’encomiabile apporto di Mohammed Al Dalemah e del fido Alì Lah Torr, che hanno invitato il colonnello a concionare in Fondazione Italianieuropei. Ribattezzata per l’occasione Beduinieuropei.

Antimafia Duemila – ”Ddl intercettazioni compromette lotta mafia”

Antimafia Duemila – ”Ddl intercettazioni compromette lotta mafia”.

“In Commissione Antimafia è emerso chiaramente che questa legge danneggia l’efficacia delle indagini e quindi la repressione del fenomeno mafioso”.
Lo sottolinea il senatore del Partito Democratico, Giuseppe Lumia, commentando l’approvazione alla Camera del Ddl sulle intercettazioni telefoniche su cui il Governo ha posto la fiducia. “In apparenza – spiega l’ex presidente della Antimafia – sembra non riguardare i reati di mafia. Nella sostanza complica e limita il ricorso all’utilizzo delle intercettazioni e riduce l’ambito di manovra degli investigatori, compromettendo il buon esito delle indagini”.

La tassa occulta del nucleare

La tassa occulta del nucleare.

Cento milioni di euro. Questa la cifra che sarà prelevata dal 1 gennaio 2009 dal finanziamento che ogni famiglia italiana paga, grazie ad una tassa sulla bolletta elettrica, per garantirsi la sicurezza di non essere contaminata dai 28.000 metri cubi di scorie radioattive ereditate dalla stagione nucleare degli anni ’60. L’idea è di un deputato del PDL, tale Zanetta, e del suo emendamento al Ddl 1195, il Disegno legge che ripaprirà la stagione nucleare italiana. Disegno legge che attende solo il terzo ed ultimo passaggio parlamentare per diventare legge di stato. Scippo dei soldi compreso.

L’emendamento, che non centra niente con quel progetto, serve a creare surrettiziamente una tassa occulta deviando un finanziamento che dal 2000 ad oggi ha visto arrivare nelle casse della società deputata a smantellare il nostro sistema nucleare, la Sogin, ben 1.092,2 milioni di euro. Tanti soldi che…

in un momento di crisi fanno gola e che da gennaio 2009 – questo dice l’emendamento Zanetta – saranno usati per rimpinguare il bilancio dello Stato. Un’ottima pubblicità per un governo che da sempre dice di non voler mettere le mani nelle tasche degli italiani.

L’idea che ha avuto Zanetta non è però originale. Il padre di questa idea “creativa”, cioè usare i soldi dati per un particolare progetto per rimpinguare le casse dello Stato, l’ebbe il ministro Giulio Tremonti nel 2005. Era l’anno del famoso taglio delle tasse promesso da Berlusconi e in qualche maniera si doveva recupera almeno in parte le entrate mancanti. Lo strumento usato fu la Finanziaria, che deviò il finanziamento per lo smantellamento nucleare nel bilancio statale (articolo 1, comma 298). In pratica, ciò che sta rifacendo oggi Zanetta.

Quella del 2005 fu una Finanziaria di dolorosi tagli, tanto che non solo si ridussero i soldi dei ministeri così da avere “una minore spesa pari a 700 milioni di euro per l’anno 2005 ed una minore spesa annua di 1.300 milioni di euro a decorrere dall’anno 2006”, ma si aumentarono anche alcune imposte indirette come “gli importi fissi dell’imposta di registro, della tassa di concessione governativa, dell’imposta di bollo, dell’imposta ipotecaria e catastale, delle tasse ipotecarie” – alla faccia delle promesse Berlusconiane – cosi da recuperare, solo per il 2005, ben 1.120 milioni di euro. Infine si cercarono dei “tesoretti” nascosti.

Oggi si parla di conti dormienti, ma nel 2005 si pensò al “tesoretto” che era stato raccolto nelle casse della Sogin. Nemmeno un prelievo “una tantum”, ma una disposizione annuale. La cosa incredibile è che nel 2006, con al governo il centro sinistra, quella disposizione non fu abrogata, ma ci si aggiunsero altri 35 milioni di euro! Insomma: nel 2005 i milioni erano 100, ma a partire dal 2006 divennero 135.

L’unico che prese carta e penna per denunciare questi fatti fu il presidente dell’Autorità Elettrica, che scrisse ben due volte al Parlamento perché abrogasse queste disposizioni. Secondo Ortis quegli articoli prevedevano “accanto ad una componente parafiscale (quella degli oneri di sistema) un vero e proprio prelievo di tipo fiscale, di natura sostanzialmente occulta poiché non realizzato attraverso un provvedimento di carattere esplicitamente tributario, ma agganciando una parte del gettito dovuto al bilancio ad un prelievo di altra natura”.

Una denuncia che il Parlamento non accolse. Né quello di centro destra, ne quello di centro sinistra. La conseguenza fu che a partire dal 2006 – per coprire l’ammanco nei conti della SOGIN – l’Autorità elettrica fece l’unica cosa possibile: aumentò quella tassa che provocò nel 2006 un onere addizionale pari a oltre lo 0,4% sulla bolletta elettrica. Una bella cifra in un anno che vedeva l’inflazione aumentare del 1,2%.

Sino al 2008 questa tassa occulta si è rivelata un regalo da parte delle famiglie italiane al governo di 600 milioni di euro e dopo 4 anni, grazie all’onorevole Zanetta, quell’idea creativa viene aggiornata. Lo si fa riscrivendo proprio l’articolo del suo maestro Tremonti. In pratica andando a cambiare quel comma si avrà una Finanziaria 2005 contenente una norma… che inizierà ad avere effetto solo 4 anni dopo! Un assurdità legislativa se si pensa che le disposizioni delle Finanziarie regolano anno dopo anno l’attività patrimoniale dello Stato.

La cosa incredibile è che il Ddl 1195 dice esplicitamente che la Sogin sarà smembrata e che nascerà una nuova agenzia governativa nucleare che si occuperà di tutto, smantellamento compreso. Il disegno parla però solo degli impianti nuovi e non dice cosa si farà delle vecchie scorie e dei vecchi impianti e, soprattutto, se sarà la nuova Agenzia ad occuparsene. A quanto pare l’unica preoccupazione è stata quella di chiudere la Sogin e arraffare una buona pare dei soldi per lo smantellamento.

Ad oggi l’unica certezza è che ci ritroveremo delle nuove centrali nucleari in casa quando quelle vecchie non sono ancora state smantellate e una bolletta elettrica che sicuramente aumenterà perché i soldi per controllare quei vecchi siti, anche se non si sa chi li controllerà, da qualche parte devono venire fuori. Come devono saltare fuori i 135 milioni per i Bilanci governativi.